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LA COMUNITA’ UN NUOVO STILE
EDUCATIVO Nel quotidiano bailamme di intemperanze etiche, di
utopie violente, ci sono, a fare da ponte verso una qualche salvezza,
realtà serie e credibili, che si mettono a mezzo a quel disagio sociale
che miete vittime innocenti, mentre in seno al consorzio civile crescono
persone sempre più fragili, giovani che non ce la fanno a prendersi in
braccio e stringere i denti. Da molti anni c’è la Comunità Casa del Giovane a
Pavia, una comunità di servizio e terapeutica per quanti sono in
ginocchio a causa
dell’assunzione di sostanze stupefacenti, dell’alcol, per vere e proprie
patologie psichiatriche derivate dal poliabuso. Svolgendo il mio servizio di accoglienza e
accompagnamento in comunità nei riguardi di chi è ultimo, azzoppato da
una vita sopravissuta, mi rendo conto di quanto l’informazione sia
soggetta a forme idiosincratiche, come a voler mantenere inalterati i
meccanismi perversi che producono personalità disgregate o frantumate.
Chi come me passa molto tempo in una comunità a
lavorare e ascoltare non ha difficoltà a imbattersi nell’inganno per
cui: i giovani sono il problema, e così dicendo gli adulti si
autoassolvono dall’aver conciato a questa maniera non soltanto gli
adolescenti, ma la società e le regole che ne tutelano i diritti e i
doveri. E’ un teatrino delle maschere e dei ruoli, dapprima
usurati e poi usurpati, delle invettive che fanno audience, dei nuovi
comportamenti di vita che passano sopra ai giovanissimi, incapaci di
affrontare le ordinarietà di cui la vita necessita, le banalità
derivanti dal rispetto delle regole. Quando parliamo di droga, di violenza, di devianza,
parliamo di adolescenza rapinata, mai di una normalità da sbandierare
con fatalità impropria, non tanto per porre rimedio a un disagio
divenuto sociale, piuttosto per giustificare l’uso e abuso di sostanze,
gli atteggiamenti aggressivi che divengono violenti, creando allarme non
di facciata. Bisognerebbe invitare la collettività a venire a
trovarci in comunità, dove io svolgo il mio servizio, a partire dalla
scuola, dalla famiglia, dalle istituzioni, ai conduttori di coscienze da
formare. E’ un
invito che non ha a che fare con l’ufficialità della cerimonia, della
ricorrenza legata a momenti
esponenziali di dolore per i tanti ragazzi feriti a causa
delle regole defenestrate di autorevolezza. Si tratta di un invito per prendere atto di come le
lacerazioni tutto intorno assomigliano alle riproposizioni dei mali
a cui ci siamo incredibilmente abituati, vere e proprie diaspore,
disturbi della personalità così gravi da non esser più capaci di
sanare. Sarebbe un viaggio di poche ore ad ascoltare, a
incontrare, a comprendere come mai in questo momento di atomizzazione di
etiche e di morali, questo spazio educativo rappresenti lo spaccato
sociale più autentico, residuo di un mondo adulto irresponsabilmente
celato, che non riesce a frenare quelle brame di possesso e quelle fughe
in avanti che rispediscono al mittente richieste di aiuto disperate e
disperanti. Forse è davvero importante accettare un momento di
incontro in comunità, dare voce alla possibilità di uno stile di vita
equilibrato perché dignitoso, affinché possa diventare criterio da
seguire per tentare di riconsegnare un’attenzione, un piacere, un
interesse, e allontanare quei desideri dilanianti per non sentirsi uno
zero, e la paura di ciò è tanta di questi tempi.
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