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CONOSCI TE STESSO
Mi trovo da due anni nella Comunità " Casa del Giovane " di don Franco Tassone a Pavia, per svolgere il mio servizio di accoglienza come tutor. Sembra ieri, eppure in questo tempo molto ho appreso, ma assai di più c’è da conoscere e da capire. Il mio compito consiste nel seguire giovani e giovanissimi, e percorrendo un pezzo di strada insieme, mi sono accorto che l’ipocrisia di ieri è quella di oggi, pur di sfuggire il carico che dovrebbe essere di gioia per un genitore, per un educatore, per una qualsiasi agenzia istituzionale preposta all’accompagnamento e alla tutela dei minori. Con questi ragazzi che non sono diversi dai tanti altri coetanei, imbellettati e ben inquadrati, nelle nostre città e periferie, mi accorgo che studi e pratiche di conoscenza sul disagio giovanile, sul mito della trasgressione, sul rischio di una conseguente devianza, non sono altro che il campo di azione, e peggio di elezione, di troppi "sapienti" con patentino di saggi autorevoli. I quali sistematicamente, ad ogni accadimento tragico che appunto vede coinvolti i più giovani, prorompono in dialettiche altisonanti, senza ostacolare il loro scivolare perenne in un impossibile reale, e addirittura ancorando ogni possibile soluzione a teoremi mai interamente leggibili. Puntigliosamente, essi sottolineano il disfacimento di questa generazione. In questo agire, a mio avviso, c’è la diastasi che intercorre tra il dire e il fare, tra il conoscere e il capire, soprattutto ci sono questi ragazzi, che cadono e si rialzano, inciampano e il più delle volte imparano a ben camminare, se accompagnati senza la presunzione di fare scomparire rinculi e future incertezze. Sono seduto con loro al tavolo di lavoro, e una prima intuizione mi morde: quella punta di nostalgia, che fa capolino ad ogni affermazione delle persone adulte, di fronte a questo fenomeno dei cosiddetti "ragazzi difficili", è un’espressione di un dispiacere per un tempo andato, assai migliore dell’attuale. Mentre semplicemente siamo noi ad essere cambiati, noi, che non siamo più quelli di prima, e non il tempo che rimane lì, in tutta la sua comoda convenzione. Siamo noi, che non possediamo occhi e sguardi nuovi per osservare questi ragazzi e noi stessi, perché proprio noi siamo delle fotografie impolverate, ma appunto solo fotografie, che rappresentano ciò che cambia e si trasforma, e non è più. Noi che non percepiamo l’importanza di sospingere avanti una cultura nuova, che privilegia coloro che hanno bisogno di maggiori e autorevoli risposte, e cioè proprio i ragazzi più giovani. "Casa del Giovane" e Don Enzo Boschetti, suo fondatore: " si educa e si rieduca solo con l’amore e la fiducia". In queste parole non c’è solamente il fondamento di questa comunità, ma il filo conduttore che ammoderna e severamente ammonisce quanti vivono di ricordi irripetibili, in una sorta di rendita del destino, tra questi ragazzi che dietro la maschera dell’invincibilità nascondono il macigno dell’insicurezza-fragilità-solitudine, con la conseguenza di farsi apporre sul passaporto il timbro di prigionieri di una libertà che non c’è più, anzi non c’è mai stata. Gianluca, Michele, Fabio, e ancora, ancora, ancora, la lista è interminabile: ci sono decenni della mia vita spesa male n questi guerrieri in erba che ho di fronte. Mi guardano, conoscono la mia storia, anch’io li guardo, e conosco la loro, quella che è lì al loro fianco, ora. E nuovamente mi coglie un’altra intuizione. Nei loro occhi c’è sofferenza, per un oceano di solitudine che vuole essere riempito, mentre di là, nell’altro mare di parole, di pregiudizi, c’è il tentativo di minimizzare e ironizzare sullo scarso dialogo in famiglia, sulla difficoltà a comunicare veramente, sul malessere nella scuola, sul disagio occupazionale. C’è indifferenza sul vuoto dei valori e di spiritualità che li accompagna. Non riusciamo più a fare i conti, a sommare e detrarre, a dividere compiti e responsabilità. Eppure, qualcuno inascoltato ripete: "qui non si tratta di bene o male da stabilire al supermercato dei valori". Credo allora che, indipendentemente dalla storia personale di ognuno, per ciascuno c’è un valore, perché ciascuno è un valore, e andare a parare ossessivamente sulle motivazioni, sulle miserie che non ci appartengono, sulle mancanze che sono sempre dell’altro, sia un atteggiamento che non sminuisce la nostra responsabilità, e soprattutto non è uno stile di vita che ci consente di custodire alcuna garanzia per "nostro figlio", per nessun figlio che dorma sulla illusione comune che tanto "non capiterà a lui-noi". Mentre lavoro con alcuni ragazzi, e discuto sul valore delle regole, sulla fatica a rispettarle, uno di loro mi dice: " sono stanco di sentire parlare i grandi di quando, ai loro tempi, tutto andava meglio". Più fragili, più soli,più sballottati dal benessere che allontana e si allontana: ecco la differenza che divide loro da quelli della mia generazione, e mentre Michael sospira, nel passarmi delle copertine da incollare, io continuo a credere che ogni persona sia un mistero vissuto, e non lo si può conoscere sul terreno pratico, ma lo si incontra nel campo affettivo, in una ricerca dinamica, come in ogni crescita personale, che consente e sviluppa il recupero di occasioni perdute, per tentare di riconsegnare a ciascuno la propria: DIGNITA’ Su questa intuizione che adesso non è più la mia ( e vorrei tanto lo fosse ) è proprio da questi giovanissimi, che imparo il senso a dare, è proprio in questa grande casa che intravvedo alcune figure mancanti di questa società, i riferimenti se non scomparsi, atomizzati, che ora più che mai abbisognano di un ritorno, per diventare insegnanti migliori, di quelli, cioè, che continuano a insegnare giorno dopo giorno senza sapere come insegnare…ma avendo ben presente, più per capacità d’amore che per titoli conseguiti, cosa insegnare.
Vincenzo Andraous ottobre 2001 |
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