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DONNE E BAMBINE
QUOTIDIANAMENTE OLTRAGGIATE Non passa giorno che ci arrivi addosso la notizia di
una giovane donna scomparsa, o ritrovata con gli occhi reclinati. Donne e bambine afferrate, legate in qualche angolo
buio dove non esiste rispetto né amore, soltanto l’infamia più grande,
che non è più possibile accettare. Prese a botte, umiliate, senza un risveglio di
coscienza, donne oggetto di violenza fisica, psicologica, sessuale.
Siamo scandalizzati e arrabbiati, quando prendiamo
atto di un sopruso su un innocente, rimaniamo sconvolti quando facciamo
i conti con la notizia di una bambina rubata, dilaniata, dalla
disumanità più indicibile. Eppure non siamo attenti, non
mettiamo in atto partecipazione vera che avvicina alla condivisione
profonda da cui ri-partire per dire basta e trasformare il male in un
cambiamento che migliori le persone. Viviamo un paese storto,
capovolto, monco di comportamenti e di significati che consegnano
consapevolezza, un paese che stenta a dismettere i panni sporchi, a
chiamare a raccolta la propria coerenza, intanto le sabbie mobili
salgono vertiginosamente, rischiando di
soffocarci. Nonostante questa emergenza, miserabile e
intollerabile, non riusciamo a fare uno scarto, a possedere un rigurgito
di vergogna dai silenzi, i mutismi, le omertà malcelate, continuiamo a
nasconderci e passare avanti, a vivere di sacralità della furbizia, a
scapito della giustizia che è l’unica possibile solidarietà. Madri, bambine, molestate, stuprate, depredate e
uccise, vite prese a calci, tra sussurri, porte chiuse e cuori aridi,
donne-cose, oggetti, soprammobili, improvvisamente ritenute
insopportabili da amare e curare. Siamo presi in mezzo dalla violenza verbale e da
quella fisica, nuova dinamica che corrode e annienta la relazione,
comportamenti che rendono gran parte del tessuto sociale un malato
grave, il cui disagio relazionale rischia di diventare patologia
conclamata. Donne e bambine soccombono, scompaiono senza un
grido, una solitudine che umilia l’amore che ci viene da tutte le donne,
relegandole a merce di scambio, tra chi non sa amare e chi dalla vita ha
tratto il bene più grande: la fiducia di stare insieme. La violenza sulle donne
continua a rimanere un dramma rimosso, una ecatombe che non ha fine, un
fenomeno delinquenziale sociale. Si può fare male in tanti modi a una collettività,
parlando di una tragedia ripetuta come questa, solamente quando il
conato di vomito ci strozza in gola, quando è ricorrenza una volta
l’anno, tanto per non fare mancare niente alla festa, un po’ meno alla
commozione per le tante storie sbagliate nell’indifferenza più
colpevole. Piccole e grandi donne rese invisibili agli occhi e
al cuore, ingiustizia e incapacità a sanare la ferita che è gia
cancrena, e ancora rimaniamo avvinghiati alle nostre visioni distorte,
di comodo. Ogni volta che una donna viene percossa, una bambina
offesa, entrambe rapinate della propria dignità, la responsabilità
collettiva non può fare passi indietro, tanto meno restare impantanata
in quella cultura universale che nega la parità dei diritti, e in molti
casi considera legittimo oltraggiare le donne. Forse è il caso di
ri-pensare alla libertà, intesa nella misura in cui c’è consapevolezza
che la responsabilità non è qualcosa di automatico, perché vantaggioso,
ma responsabilità della condivisione a un rispetto quotidiano nei
confronti di tutte le donne, bambine, come delle persone più deboli e
innocenti.
Vincenzo Andraous |
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