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EROI DI TUTTI I SANTI GIORNI E’ trascorso
qualche anno, acqua ne è passata molta sotto i ponti che accolgono e
accompagnano i riesami, i mutamenti, le nuove condotte sociali. Il delitto è
chiaramente un crimine odioso,
inaccettabile, per cui occorre una
Giustizia giusta, ma che rappresenti la pena come un tragitto di
vita, che al suo declinare espliciti forza e umanità sufficienti, per
ricomporre quell’inalienabile istanza che lega e salda le persone: la
solidarietà sociale. Giustizia come
trasformazione che coinvolge l’interezza della persona, dell’ultimo
degli uomini, dalla sua colpa e dal suo rimorso, quale anticamera di ben
altra dimensione. Giustizia che non
veste l’abito del mito, ma consente di aiutarmi e farmi aiutare, e
possibilmente di essere di aiuto agli altri, ai meno fortunati, affinché
non abbiano a scavarsi la fossa con le proprie mani. Forse quel prete
conosciuto tanti anni fa intendeva dire proprio questo, richiamando la
nostra attenzione alla necessità di una cultura della legalità, nel
rispetto di tutte le persone. In quella sorta
di terra di nessuno che è il carcere, Don Giuseppe Baschiazzorre è stato
un movimento lento, ma inarrestabile, soprattutto inalienabile,
nonostante le contorsioni perverse prodotte dai meccanismi
spersonalizzanti che si sprigionano da quel pianeta sconosciuto. Don Giuseppe ha
dimesso gli abiti di Cappellano del carcere di Voghera, non lo incontri
più nelle sezioni, a colloquio nei corridoi, nelle celle, oppure nei
passeggi cementati. Da qualche tempo
Don Giuseppe non c’è più, è finalmente a riposo, in una di quelle stanze
confortevoli in Paradiso. Ricordo
quell’uomo con le croci degli altri ben cucite addosso, tanto da farle
proprie. Rammento l’uomo e
poi il Sacerdote; l’uomo con lo sguardo in alto, sebbene tra l’incudine
e il martello; dei vertici penitenziari distanti, dei detenuti
inchiodati alle loro colpe. Ancor oggi
ritrovo intatta la sua capacità di credere e sperare nell’uomo nuovo,
insieme agli antichi insegnamenti: “occorre riesaminare continuamente il
passato per approdare a un mutamento interiore che costruisca civiltà
nell’amore”. Patrimonio,
questo, di quella sua cristianità che non regala facili ammende, o
percorsi illusoriamente in discesa. Rimangono le sue
parole che non sono mai di ieri, parole di Giustizia, anche per gli
ultimi, in un carcere ancora troppo lontano dalla parabola evangelica
del figliol prodigo, ancora troppo a misura ( o peggio dismisura ) di
una mentalità che considera il pagare una regola che va onorata, ma
disinteressandosi dell’assenza e dello spirito della Costituzione,
quindi dello stesso Vangelo. Mentre rimango ad
ascoltarmi ed a parlare con
l’Uomo, rivivo i giorni in cui il Papa ha messo insieme come una
Trinità: PACE-GIUSTIZIA-PERDONO. Persino
all’interno di una prigione, di una solitudine imposta, di uno spazio
angusto, non c’è solo l’eternità della penitenza, ma il bisogno di un
aiuto, la necessità di un recupero che riconduca alla propria dignità
tra gli uomini. E’ con questi
pensieri che oggi saluto Don Giuseppe, con la gratitudine di chi sta
imparando che Giustizia e Perdono vanno conquistati e meritati, con cura
e attenzione, nella fatica e negli impegni assunti in tutti i giorni.
Vincenzo Andraous |
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