|
|
LA FUGA E LA COSCIENZA Forse ora è possibile riflettere sul caso Cesare
Battisti con più cura e attenzione per le persone ferite, per quelle che
non ci sono più, e parlarne senza l’obbligo della violenza verbale,
dell’invettiva che buca il
video. In questa vicenda così poco onorevole,
giuridicamente, mediaticamente, l’unica cosa certa è la condanna passata
in giudicato, la sentenza definitiva a seguito dei tre gradi di
giudizio, l’ergastolo erogato. Battisti un imputato politico, un delinquente comune,
il risultato di una risoluzione politica lungi dall’essere stata
riconciliata e quindi accettata come tale. Ha confessato, ha negato, ha ammiccato alla lotta
armata trapassata, da scrittore,
da uomo libero, da colpevole ma innocente, nella convinzione che
sia “normale” sentirsi
innocenti di essere colpevoli. Inaccettabile che un uomo condannato all’ergastolo
possa essere un uomo libero in un paese amico, evaso da un carcere
italiano abbia potuto trovare ospitalità-asilo politico in altri paesi
cosiddetti amici. Rimangono le richieste di equità, di giustizia, di
dignità istituzionale e personale, sottovoce e in punta di piedi
un soprassalto di generosità interiore. La querelle gioca la sua carta migliore nel ribadire
la sponda del perseguitato politico, piuttosto che del criminale comune
che non intende pagare alcun dazio per i colpi inferti: è una diatriba
spettacolare, dove però ci sarebbe da obiettare per il dolore delle
vittime trapassate a polvere e per quelle ammutolite ancora oggi. Non mi pare onesto intellettualmente buttarla sul
patetico, affondando l’ultima arringa sull’invivibilità carceraria
(peraltro vera e tutta italiana ),
sulle tante morti imposte o costrette al suicidio, unica
lontananza tollerata dal dolore dell’impazzimento. Tanto meno fare leva sulle reiterate tirate di
orecchi e bacchettate provenienti dall’Alta Corte di Strasburgo, che ci
umilia per disumanità “disorganizzata” secondi solamente alla Turchia. Battisti in fuga da colpevole, Battisti in Brasile da
innocente, in ogni caso si tratta di un uomo sconfitto dall’amoralità di
una costruzione terroristica al macero, schiacciato
dall’impossibilità di
riparare. Senza rispetto per chi in una galera sconta la
propria condanna, per chi muore, per chi cammina in ginocchio, per chi
non rinnega a buon mercato la propria colpa, e sceglie l’unica via
possibile del “ritorno lungo, lento e sottocarico, che non richiama
veloci ammende nè facili scorciatoie”. Perfino per chi sta in una cella da trenta o quaranta
anni, in una indifferenza che non cauterizza né sana la frattura, per
chi agogna la possibilità di costruire insieme la speranza di un
perdono. Forse occorre strabuzzare meno
gli occhi nella meraviglia per l’irresponsabilità di Cesare Battisti
tanto spesso replicata sotto il naso, ecco
perché non c’è proprio niente da emulare né da poter esser
difeso.
Vincenzo Andraous |
La pagina
- Educazione&Scuola©