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Morti sulle strade, morti sul lavoro, morti per droga, morti per soldi e morti per legge di sangue, morti tutti per non curanza. Un paese piagato dall’ingiustizia della violenza, prepotenza, arroganza, incapace di valorizzare ciò che è bene, disattento a smitizzare quanto è virtuale, ma assolutamente reale. Ogni tragedia appare come una sequela di errori sfornati in serie, tutti uguali per quantità e qualità. Un paese dalle interpretazioni sfumate, una società bullistica che non ha più niente da con-dividere, se non parole prive del Dna, atteggiamenti fotocopiati e impolverati. E’ tutto così scontato e banale, che l’abitudine alla fatica, quella che accompagna il pensare al fare, ha cambiato residenza, non abita più la nostra struttura mentale, s’è dislocata altrove, a debita distanza. Un paese di spari e di rapine, di morti per un’offesa che non scalfisce il viso, ma il portafoglio, di feriti e di umiliati dal primo venuto, un treno merci di prassi, di moventi, di simulazioni. Un paese alla berlina nell’umanità disintegrata, nelle preghiere accartocciate ai piedi di una croce resa invisibile al pentimento, che non ha più voce interiore, eppure è il nodo della questione sotto il profilo culturale e anche da un punto di vista politico. Promesse, lanci pubblicitari, matite spuntate e racconti inefficaci di uomini e donne presi per il bavero, derubati della propria dignità che sta nel sudore della speranza. Donne e bambini messi all’angolo, per vigliaccheria, per gelosia, per invidia, per un potere dominante acquistato a basso costo, al mercato del silenzio, quello più infamante. Vite disperse nella disattenzione, peggio nel disamore, come fotografie da scegliere, da scartare, da nascondere, mentre a ogni sussulto di coscienza, interviene la preparazione di un palco per mostrare gli attributi, e magari una buona dose di follia per volere cambiare il mondo. Eppure il nostro futuro è tutto adagiato nella nostra capacità di rivedere il passato, di rielaborare i nostri trascorsi, per andare oltre il disincanto vissuto dai tanti giovani, per non essere costretti a vivere l’uno accanto all’altro come “sordi”. Non c’è più bisogno di scuse, di giustificazioni, il gioco è allo scoperto, alla mercè delle intelligenze che non si sottraggono al dazio da pagare per avere concesso un uso smodato delle proprie debolezze, fragilità, inadeguatezze. Ma ancora una volta in nostro soccorso giungono gli esempi di uomini autorevoli e di cittadini sconosciuti, che non lasciano spazio alla resa, affidandosi ai piccoli gesti quotidiani, come ha detto don Enzo Boschetti, per liberare la libertà, quella libertà che non si raggiunge mai in solitudine, ma insieme, non accettando questa emorragia di felicità verso la morte, dove il male e il dolore crescono e sono pochi i malati che guariscono. Riferimenti importanti che ci insegnano la sola ricetta possibile, l’ascolto, avendo cura che giovi a qualcuno ne ha bisogno, senza badare a quanti poco amano le voci scomode, gli impegni eroici, come don Franco Tassone che ci viene incontro e ci costringe ad avere fede di guardare “oltre”, ce lo dice per darci coraggio, e dare a nostra volta speranza a chi ha difficoltà anche solo a pensarla.
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