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PALESTRA DI VITA Ho avuto modo di osservare, ascoltare, accompagnare tanti giovanissimi, nella comunità Casa del Giovane di don Franco Tassone. Ragazzi isolati, che a loro volta si isolano in uno sballo a tamburo battente, dove i timpani diventano i polmoni. La loro sordità a cercare, creare e mantenere relazioni, è quanto meno paritaria alla ottusa cecità della collettività, la quale non intende proporsi come soggetto protagonista, e della propria evoluzione famigliare, e della propria attenzione disponibile ai bisogni e alle sofferenze dei giovani all’intorno, i quali inascoltati non troveranno quei riferimenti certi con cui identificarsi. Minori a rischio che troppo superficialmente sono gia etichettati devianti, e perciò irrecuperabili. Ma qualcosa non quadra, qualcosa sfugge in quest’umanità che va scavando con le dita rotte quel senso nascosto al primo strato. Per noi adulti-formati-realizzati è sempre tutto chiaro, soprattutto nel condannare...le azioni o le inquietudini degli altri... naturalmente. Non è facile, nell’età dei rifiuti, delle ribellioni, delle reazioni emotive, avere fiducia nell’altro che guida e a volte rimprovera. Non è facile affidarsi all’onestà intellettuale degli altri, ma i luoghi della maturità consapevole ci insegnano che chi dice qualcosa ne è responsabile, proprio per rendere proficua e costruttiva la tecnica dialogica, che impone ai due interlocutori di non barare. Alla “Casa del Giovane” c’è umanità nel servire e formare, c’è priorità alla disponibilità e all’accoglienza, ed è giusto sia così, perché avere e sentire e custodire umanità sta a significare che c’è prerogativa inalienabile al diritto di amare noi stessi e così gli altri. A tal punto che pensare all’umanità, al diritto di poter vivere nella propria dignità di persona, non è qualcosa di conferito statualmente, ma è sintesi e insegnamento che ci arriva da lontano. Giovani “a rischio” ce ne sono tanti, nelle città come nelle periferie, tutte diversità che esistono e con cui dobbiamo fare i conti. Ma spesso non siamo preparati alla scoperta, proprio perché esse circoscrivono la profondità delle nostre stesse sofferenze, attese esitanti, delle angosce difficilmente contenute, nel poco rispetto verso l’altro o l’altra, che invece è ragione del nostro stesso esistere. Tutto questo denota un cocente male di vivere, che lasciamo in eredità alle future generazioni, ai ragazzi qui con me ora, a cui rimetto la mia capacità di sostenere una fratellanza allargata, basata su diritti e doveri, dove ( come un vecchio filosofo mi ha insegnato ) i problemi di tutti siano percepiti da ciascuno come propri, e ciascuno cerchi la soluzione dei propri problemi entro la soluzione dei problemi di tutti. In questo contesto di realtà avanzata, c’è il rischio preliminare di non poter “dare di più”? Ma il “di più” sta nel trovare convergenze, e tutte per produrre interventi molteplici: di assistenza, di rinnovamento, di riconciliazione.
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