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QUANDO LA DIGNITA’ VIENE DIMENTICATA Il mercato del delitto non va mai in ferie, le televisioni ci rendono ciechi nella ragione, affidiamo agli occhi il compito di tradurci i messaggi, mentre con il pensiero cerchiamo altre cose da fare, qualche scorciatoia per acquistare al banco dell’usato i soliti giudizi affrettati, persino la vergogna ha il volto tumefatto dalle disattenzioni e gli abbandoni di chi è disperato. Di fronte alla morte non dovrebbe mai esserci spazio per quel chiacchiericcio che rende la pietà simile a un privilegio, al punto da non scorgere più il dolore per una dignità derubata, calpestata. Da qualche tempo fanno incetta di audiens i delitti da grande fratello, quei fattacci su cui imbastire programmi televisivi, e perché no, presunte innovazioni giuridico culturali, mentre nella preoccupazione per una prevenzione di facciata, c’è comunque posto per l’esplicazione reiterata di leggi di emergenza rattoppate a una contemporaneità malata. Ci sono persone che muoiono, persone che scompongono il futuro assai incerto, che scompaiono improvvisamente, persone che lasciano ad altri la possibilità di ritrovare una pervenza di umanità, persino attraverso il tentativo estremo del suicidio. Ma per queste persone anonime, non esiste spazio di comunicazione, il grande fratello è oltre, non è interessato a questa diaspora esistenziale, dirompente, non solo per i numeri ma per l’incomprensibilità dei tanti suicidi in carcere. Se la vivibilità è migliorata con il superamento del problema endemico all’Amministrazione Penitenziaria, il sovraffollamento, in carcere si continua a morire a catena, in un silenzio devastante, trattandosi di eventi imprevedibili di una normale rottamazione, tutta dentro una sorta di terra di nessuno. Quali le domande e quali le risposte, senza incorrere nel rischio delle ipocrisie ideologiche, o peggio, una alzata di spalle. Il carcere e l’indulto, il carcere e le scappatoie giuridiche, il carcere e il suo presunto svuotamento, insomma un carcere che non ha più i SOLITI E FASTIDIOSI problemi che coinvolgono nella sua insopportabilità operatori e detenuti. Quando muore un delinquente anziano, incallito al cuore, nessuno si preoccupa, quando i morti in rapida successione sono giovani e apparentemente in salute, forse è il caso di essere più attenti, meno assoggettati dall’abitudine alla somma della retorica, per tentare di costruire più partecipazione da parte di tutti, perché una doverosa esigenza di giustizia appartiene a chi l’offesa l’ha ricevuta, ma anche a chi quell’offesa l’ha arrecata e sconta la propria condanna con dignità. Forse il problema non sta nei morti di serie a e di serie b, forse c’è in corso una lacerazione lenta ma inesorabile della nostra società, una specie di mutamento piramidale, dall’alto al basso, che investe gli intelletti e logora le coscienze, per cui quel preciso interesse collettivo, recuperare le persone in carcere, renderle cooperanti e consapevoli di una possibile risalita e riscatto, diventa un ideale secondario, rispetto all’impossibilità di ritrovare se stessi e gli altri.
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