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IL RISPETTO PRIMA FORMA EDUCATIVA La politica è un punto dolente per sua esplicita ammissione, infatti
non fa più proseliti né sforna nuovi eroi, rimane lì, a barcamenarsi tra
spot elettorali e slogan scopiazzati qua e là. Gli uomini al vertice, quelli a metà, gli altri alla base della
piramide, sono a disagio nell’agire comune per programmare minimi
obiettivi, per cui diventa miraggio la pratica condivisa nell’impegno di
una buona vita, molto meglio stare in ordine sparso, in attesa, pronti
al balzo. Un microcosmo di gestualità portate di taglio per fare più male, di
parole lanciate come fossero cluster bomb per esser certi di conseguire
il danno importante. Atteggiamenti che diventano comportamenti quotidiani violenti, per
esser primi, per rimanere con i primi, poco conta a quale prezzo stare a
galla: persino il conflitto che diviene notte tempo violenza, la stessa
droga una sostanza non del tutto malaccio, il valore della persona non
più bene primario. I giovanissimi, gli adolescenti, non parlano e così
non danno possibilità di parlare, sono lì a osservare, sono carta
assorbente per non tralasciare niente di questa dinamica sgangherata del
vociare, prendere a botte, gridare aiuto inascoltati. Il tradimento culturale sta nel ribaltare lo stato delle cose, nel
cambiare i connotati alla realtà, così i più giovani già per metà
professionisti di domani, diventano armi contundenti di un pezzo di
futuro che non è mai possibile ipotecare. Una sorta di democratico rinculare nei simboli
tribali, soprassedendo alle sacralità ridotte a comparsate maleodoranti,
nel belare vittimistico
l’equilibrio delle rendicontazioni, tra il giusto avuto e il maltolto,
la dignità di un rifiuto e la vergogna di un accordo comprato. In questo botto a perdere del consumo della
notizia, dello smercio informatico, della comunicazione istantanea
sguaiata, c’è il rischio di interpretare il rumore di sottofondo come un
ritmo incalzante, il movimento ondivago di una crociera della mente,
dentro il paradosso di un benessere
apparentemente diffuso, perché portatore di sprechi incredibili:
benessere non certo nei valori raggiunti e condivisi, piuttosto per
traguardo economico da aggredire e acquisire. Tutto ciò incide sulle personalità in costruzione?
Su quelle più fragili? Sulle altre
cosiddette formate?
Forse è sufficiente osservare dove gli sguardi non sono di persone
realizzate, ma di una umanità ripetutamente vinta. Per essere portatori di una libertà che educa occorre arrischiare un
passo indietro rispetto a ciò che ferocemente attualizziamo, perdendo di
vista la sostanza delle cose, l’analisi, gli interventi da azionare
senza ulteriori rimandi. Un passo indietro dall’assuefazione a giudicare chi sta al passo e
chi no, chi vince e chi perde, chi starà ai piani alti e chi invece nei
sottoscala. Forse c’è ancora tempo per procedere sul terreno delle nuove
relazioni, nella coerenza generosa della libertà, scegliendo di non
rimanere prigionieri delle stive colme di dobloni d’oro, del piccolo
schermo eroe in tuta mimetica, chissà se c’è ancora spazio sufficiente
per credere in qualcosa di autentico, non mercificabile, un valore che
dia ancora senso alle persone, alle cose, persino alle Istituzioni: il
rispetto come prima forma educativa dell’umanità.
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