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NON C’E’ PEGGIOR SORDO DI
CHI NON VUOL SENTIRE Sassate dalle finestre, passanti presi di mira,
automobili rigate, docenti passati al setaccio dai pugni,
nell’ostentazione di una prepotenza che non conosce la vergogna della
sanzione. Bullismo, prevaricazione, violenza, è pratica fino
all’ultimo giorno di scuola, come a voler significare che abbiamo
iniziato l’anno scolastico male e lo abbiamo concluso anche peggio. E’ il caso di continuare a puntare il dito sui
ragazzini delle elementari, delle medie inferiori e superiori,
accusandoli di essere i dispensatori di sofferenze e dolori,
indicandoli come i devastatori delle dimore del sapere? E’ ancora il caso di avere nel mirino quelli che
sono tenuti meno in considerazione dal sistema sociale, poi quando
accade il botto eclatante, solo allora ne percepiamo il danno, ma come
se non fossimo del tutto coscienti che è stato provocato da noi adulti,
da noi educatori, da noi portatori di grandi parole e pochi
comportamenti, refrattari a comprendere che volenti o nolenti ne
paghiamo tutti le conseguenze. Sassate che arrivano dritte al cuore, ci vogliono
dire qualcosa, ce lo gridano pure, ma non c’è peggior sordo di chi non
vuole sentire. Dentro una classe, vicino a una scuola, sotto casa,
gli attori e le comparse si defilano, si sciolgono, si ricompongono. E’
una comunità educativa che non conosce la tattica, la strategia, è un
agglomerato costantemente in difesa, che ogni tanto minaccia sconquassi,
ma riduce la risposta autorevole, perché in credito di autorità, con
l’urto e il fastidio di una nota, di una sospensione, di una bocciatura. Riduce e ricuce la risposta da formulare come
comunità pedagogica genitoriale, non riesce a immaginare lo scarto
necessario per non difendere l’indifendibile, per non negare l’evidenza
di una fragilità che abbisogna di aiuto, di sostegno, di altre capacità
per venire fuori dalle sabbie mobili in cui si è cacciata la famiglia. Il Ministro Gelmini ha detto che “bisogna
rilanciare un progetto educativo e nessuno si può chiamare fuori”, come
a dire educare e collaborare è opera di tutti, impegno irrinunciabile di
quella solidarietà sociale che tiene insieme valori di riferimento quali
libertà e giustizia. Il problema sta nel niente corposo che traveste di
ordinario il quotidiano di tanti giovani, in quel nulla dalle tante
maschere indossate a casaccio, il pericolo-pieno della violenza che lega
insieme, e rimanda a una insoddisfazione malata dall’incapacità di
parlare, di confrontrarsi, di comprendersi e comprendere l’altro. Vittime predestinate di un nomadismo dell’errore
privo di uno sbocco, ripetuto sino alla nausea, straripa il
dolore che non ce la fa più a rimanere pancia a terra, e sebbene
da sempre si verifichino atteggiamenti- comportamenti aggressivi e poi
violenti, occorre riprendere in mano il bandolo della matassa, bisogna
rifarlo ogni volta che serve, non avere timore delle risposte che urtano
alla nostra porta di genitori, è urgente chiederci: ma se non si diventa
bulli, violenti, criminali all’improvviso,
come è potuto accadere che nostro figlio………………….. Un grande scrittore ci ha insegnato molto della
buona vita da vivere: “chi è nell’errore compensa con la violenza ciò
che gli manca in verità e forza”. Il mondo adulto, la famiglia, sarà bene si chieda quale valore consegnare alla correttezza e alla continuità di educare per riuscire davvero a crescere insieme.
Vincenzo Andraous |
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