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IL TIRAPUGNI DEL BULLO
Un fermo di routine della Polizia di Stato ha consentito il ritrovamento di un tirapugni sull’auto di un ragazzo da poco diventato diciottenne, un tirapugni per incontrarsi dietro l’angolo. Forse non è il caso di farne un dramma, di esagerare con le parole, di mischiare quel che è successo con ciò che non è possibile prevedere, ma la mia esperienza, unita a quella di tanti altri ragazzi che faticando, lavorando, impegnandosi, ritornano a vivere nella Comunità Casa del Giovane, mi spingono a pensarla diversamente, a tenere ben presente il rischio che possa accadere l’irreparabile, ciò che nessun padre e nessuna madre vorrebbero succedesse al proprio figlio, cìò che un adolescente non riesce neppure a immaginare, la vita a perdere di qualcuno, la propria esistenza gettata in pasto a una cella lontana dalla propria famiglia. Troppe sono le storie anonime che mi rammentano come nasce una tragedia, un dolore insopportabile, accade sempre così, con una sciocchezza autorizzata a passare inosservata, poi è troppo tardi per tentare di rimettere insieme i cocci. Rammento una pietra raccolta in gran fretta, il mito della forza, la prevaricazione, la violenza al palo, in attesa, pronta a fare il suo “dovere”, alla prima occasione, con tutto il carico di disperazione che ne è seguita. Un tirapugni come quello che nei film sta nelle tasche dello studente nero americano, dentro e fuori la scuola, un simbolo, un totem, un colore acceso per riconoscere la riserva, dove agli altri non è permesso entrare, osservare, vedere, mentre a chi partecipa al banchetto “tutto è condiviso”, tutto, anche la follia inaspettata, quella che non risparmia nessuno. Una cosa da poco quel tirapugni, un bravo ragazzo incappato in una bravata, ma l’avventura del salto in avanti a occhi bendati, comincia sempre così, con la paura di vivere a soli diciotto anni, dove “ vivere” sta nell’esibizione della forza che fa sparire qualunque inadeguatezza. E’ fin troppo chiaro il segnale, la luce rossa d’emergenza, il fermo e il blocco che costringe a una paralisi culturale che si espande, come se la stessa ricerca evolutiva del giovane adulto fosse un optional di cui poter fare a meno, mentre si è liberi soltanto dopo avere ben rovistato nella nostra testa, nella nostra pancia, per liberarci della nostra incultura, illegalità, che generano indifferenza e disattenzione per i nostri limiti. Riflettendo su quel metallo intorno alle dita di una mano, in attesa di infrangersi sui denti di un coetaneo, possiamo renderci conto di quanto male faccia togliere ai più giovani la necessità di un impegno che obbligatoriamente deve consegnare fatica da fare per inquadrare un obiettivo compatibile con il carattere individuale di un adolescente, che sarà bene ricordare, non è un bene di consumo da bypassare costantemente. Adesso bisogna allontanare la nebbia della confusione adulta, che genera e moltiplica uno stile comportamentale sbilanciato sull’ottenimento del tutto e subito, piuttosto che attraverso il rispetto per se stessi e per gli altri, che è autorevolezza, non certo violenza come pratica quotidiana, che conduce dritti al vicolo cieco, dove è molto facile entrare, quasi impossibile uscire.
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