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LA TOURNEE NEI PERIMETRI DELL’ASSENZA I grandi delitti italiani fanno audience, costituiscono il piatto forte della nostra informazione, si parla della morte, dei contorcimenti delle vittime, delle meschinità innominabili dei carnefici, lo si fa soprattutto per sentito dire, per interpretazioni personali, per voglia di gogna, se ne parla senza alcuna compassione per le assenze eterne. Scompaiono bambini, uomini e
donne, ognuno di essi viene “liquidato”, con una tecnica senza
preambolo, la morte sopraggiunge senza neppure concedere l’ultima
volontà di un perdono. Neanche più gridare è permesso. Quando di mezzo ci sono
costantemente i più giovani, quando vanno a farsi male gli indifesi, uno
stato e una società coesi non mollano la presa, non arretrano di un
passo, divengono radice profonda per sostenere il
carico che deriva dalla cultura universale
che considera illegittimo, ingiusto e disumano appropriarsi con la forza
e la violenza della vita altrui, soprattutto di donne e bambini. E morte che aggredisce le carni e le menti, che
spedisce al Creatore senza tentennamenti, è morte che non bisogna
rimuovere ma neppure renderla una danza, una gita turistica, una maniera
nuova di passare il tempo. Di fronte ad accadimenti così indicibilmente cruenti,
forse occorre meno parlottio da salotto, minore orecchio al ruminare di
pancia, che confondono i percorsi dell’esistenza, anche quella più
soggetta a torsioni e abbandoni della propria umanità. A che serve istituire la vacanza di fine settimana
nei luoghi della morte, dove invece è necessario approfondire e
riflettere sulle questioni più urgenti e dolorose, fatti eclatanti
sconvolgono la speranza, il futuro dei bambini, che invece dovrebbero
essere e rimanere simbolo di un rispetto inalienabile, che lega
indissolubilmente le scelte più importanti, per un tempo che non è mai
finito. Rispetto che non è paura, che nulla ha a che fare con il
linguaggio mediatico che assorda, ammorba le coscienze, sino al punto da
scambiare la disperazione circostante con la possibilità di partecipare
a un film, a una esposizione virtuale delle proprie inadempienze
personali, mimetizzate nell’incultura ridotta a disturbo psicologico. Lutti e tradimenti privano la vita di amore e
fiducia, provocando nelle persone che le sopravvivono il bisogno di
sfuggire la realtà, le responsabilità, soprattutto quando a osservare,
ascoltare, ci sono i nostri figli, quelli che da soli rifanno il
montaggio della pellicola. Il nuovo asse di coordinamento sociale è basato sulla
fiction, non è importante comprendere quanto accaduto, ma sapere tutto
del misfatto, con una curiosità che non avvicina alla verità, ma rimanda
indietro, alla iniziale paura di partecipare alla compassione che non fa
sconti a chi gioca con la libertà degli altri, con la stessa ricerca
della verità. La morte come uno show, il gioco delle percentuali
sulla colpevolezza, delle statistiche sull’innocenza, fino ad arrivare a
proporre con virulenza l’immagine del mostro, dei mostri, di quanti sono
colpevoli, di alcuni che forse lo saranno, di altri che non lo sono, ma
hanno tutte le caratteristiche per esserlo. Va in scena la tournee
nei perimetri dell’assenza, e mentre la giustizia arranca nello
sgomberare il campo dalle trappole dialettiche, i venditori della nuova
era comunicazionale, sono gia alla ricerca di sangue fresco appena
versato.
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