L’ambiente, dimora degli esseri viventi

di Angelo Tartaglia

 

Il contrasto uomo/ambiente

La questione più delicata che la storia presenta oggi all'umanità, e quindi anche al nostro paese, è quella della compatibilità tra il suo modo di svilupparsi e le leggi fisiche dell'ambiente in cui lo sviluppo avviene.

Il sistema complessivo di cui siamo parte si può dividere per comodità in due sottosistemi, l'uno dei quali fa da involucro e da base per l'altro.

Il sistema inviluppo possiamo chiamarlo materiale, l'altro sociale. Entrambi i sistemi evolvono in conformità a delle leggi interne che regolano i rapporti tra le varie parti che li compongono. Vi è però una differenza fondamentale: le leggi del sistema materiale sono leggi fisiche che si possono tuttalpiù scoprire ma non modificare; le leggi del sistema sociale sono costruite, nel divenire storico, dall'umanità e pertanto si possono modificare, e, di fatto, sono modificate anche se non per semplici atti di volontà di questo o di quel soggetto singolo. La storia contemporanea si è incaricata di dimostrare nei fatti, (concettualmente la cosa era comprensibile da tempo) che le leggi dell'attuale sistema sociale (che includono economia e politica) non sono compatibili con quelle fisiche. Stante il fatto che il sistema sociale non è isolato in sé ma si fonda su quello materiale e ne è inglobato, l'esito dell’incompatibilità, dovunque essa si manifesti in forma di conflitto, è uno solo: le leggi economiche e sociali si adegueranno a quelle fisiche. Il modo con cui l'adeguamento avverrà e le conseguenze che ne deriveranno per il sistema sociale dipendono dalle scelte che l'umanità saprà compiere prima di esservi costretta, e questo è compito della politica e di una politica intesa come pratica di massa. L'elemento più rilevante della contraddizione tra i due sistemi sta nel fenomeno e nella teorizzazione da parte dell'economia della crescita continua della produzione di beni, dei consumi e dell'ingombro oggettivo di ogni singolo essere umano: questa crescita continua non è materialmente possibile, arrivando prima o poi (e ormai l'abbiamo davanti) a scontrarsi con ostacoli assolutamente invalicabili.

La cosiddetta salvaguardia dell'ambiente, di cui ogni tanto si parla, è in realtà la salvaguardia dell'umanità, nel senso che qualsiasi società umana che voglia durare indefinitamente deve porsi in una sorta di equilibrio dinamico con l'ambiente, ossia col sistema materiale. Ciò significa che una tal società deve riorganizzare la propria economia in modo da consumare ogni anno una quantità fissa di energia, non superiore al flusso energetico che attraversa l'ambiente occupato.

Il rispetto di questo forte vincolo comporta dei drastici cambiamenti nell'organizzazione dell'economia e dei rapporti sociali.

La spinta verso la crescita deve essere trasferita dal campo della quantità a quello della qualità e della varietà delle forme.

Il problema centrale delle società umane, che è quello della ripartizione della ricchezza disponibile, deve trovare soluzioni diverse da quelle attuali, che per di più soluzioni non sono in quanto alimentano situazioni di sperequazione esasperata e di acuto malessere anche dove la "ricchezza" collettiva è grande. Naturalmente il problema della ripartizione della ricchezza non è semplicemente un problema distributivo, ma è anche un problema di legittimazione, come tale percepita dalla collettività e dal singolo, ad accedere alla quota parte di "ricchezza" di cui si fruisce.

I fondamenti di questa legittimazione non possono che essere due: il riconoscimento, già ricordato, di un valore fondamentale di ogni essere umano antecedente e indipendente rispetto al suo specifico modo di essere o di porsi in relazione con gli altri; l'attribuzione a ciascuno di un compito da lui e da tutti riconosciuto come socialmente utile e rilevante (ed è questo il problema dell'occupazione). Tutto questo non modifica i vincoli materiali posti all'evoluzione umana e per la verità scarsamente ne dipende: si tratta ancora e primariamente di un problema politico.

E' chiaro che il vincolo circa i consumi di energia implica nell'immediato una riduzione e comunque in prospettiva una limitazione dei posti di lavoro connessi direttamente con la produzione di oggetti, ma la complessità del sistema sociale e la spinta verso l'affinamento della qualità postula una quantità di ruoli "socialmente utili e rilevanti" già oggi individuabili e parzialmente scoperti. Questi ruoli nel momento attuale non godono però molto spesso di un riconoscimento di mercato ossia del corrispettivo economico della loro "legittimità". Perché questo corrispettivo sia riconosciuto occorrono meccanismi diversi da quelli automatici di mercato e i soggetti in grado di attivare questi meccanismi non possono che essere quelli istituzionali il cui compito è quello di cogliere e servire gli interessi comuni di breve e di lungo periodo: si tratta insomma dei cosiddetti pubblici poteri, a patto che essi siano corroborati e sostenuti da quella che ho chiamato politica come pratica di massa.

Che fare subito

Il riconoscimento dei vincoli esterni al sistema sociale consente di trarre indicazioni specifiche circa scelte da effettuare nell'immediato. Innanzi tutto la constatazione della distanza tra le caratteristiche attuali dello sviluppo e una situazione di equilibrio insieme con quella dell'inerzia complessiva del sistema sociale ci ricorda che la transizione da una situazione all'altra non può comunque, fintantoché non ci sia brutalmente imposta dall'esterno, avvenire in tempi brevissimi. La transizione dunque, che può richiedere la durata di una generazione o più per compiersi, deve essere pilotata in modo da vedere un costante rallentamento della crescita della produzione di oggetti e quindi anche del consumo di energia, verso la condizione di stabilità. Lo strumento per il governo della transizione non può che essere un bilancio complessivo dell’azienda Italia" stilato non in lire ma in grandezze fisiche (per esempio kilowattora).

Occorrerà successivamente incentivare il risparmio energetico, la diversificazione delle fonti (anche attraverso l'autoproduzione), la diffusione di tecnologie a basso consumo energetico e infine progressivamente porre mano ai consumi stessi premiando abitudini e stili di vita meno energivori. Il punto di arrivo dovrà essere la stabilizzazione delle quantità di materia annualmente lavorate conseguita per mezzo di una scelta sociale delle produzioni e tramite lo strumento programmatorio.

L'altro problema immediato cui porre mano fin da subito è quello delle immissioni nell'ambiente generate dalle attività umane. Anche queste, in un sistema in crescita risultano inevitabilmente in crescita e producono crescenti effetti negativi: è il problema generale dell'inquinamento. Esso è concretamente e tecnicamente affrontabile solo in un sistema in equilibrio e inoltre i danni possono essere eliminati solo se ciò che si scarica può essere inserito in uno dei tanti cicli, biologici e non, che costituiscono l'ecosistema. Per altro non tutti i cicli esistenti possono essere sfruttati a questo scopo in quanto solo quelli aventi tempi caratteristici di durata inferiore o uguale a quella del rifiuto sono efficaci nell'eliminare gli impatti negativi di quest'ultimo.

Certamente una reale soluzione non è in generale quella di aggiungere alle lavorazioni "inquinanti" ulteriori lavorazioni "disinquinanti" in quanto la moltiplicazione dei processi (energivori) di trasformazione dal punto di vista fisico necessariamente incrementa e non riduce il "disordine" ossia l'inquinamento globale.

I provvedimenti da assumere per modificare anche qui gradualmente una situazione oggi inaccettabile debbono tendere a stabilizzare prima e ridurre poi le emissioni inquinanti derivanti dalle attività umane. Occorre incentivare e, ove del caso, imporre l'introduzione di nuovi materiali, nuovi processi produttivi, nuovi prodotti i cui residui risultino o totalmente indifferenti rispetto alla biosfera oppure concretamente inseriti nei cicli di cui ho già parlato. In questo schema trova scarso. Per non dire nessuno spazio l'idea di "discarica".

In ogni caso comunque il volume globale dei consumi deve, come già detto, essere stabilizzato e la loro natura deve cambiare. Questo beninteso è anche un problema culturale e come tale va affrontato. Per cominciare occorre far regredire l'idea stessa di cultura come consumo "di qualità". Occorre concretamente privilegiare la cultura come sistema complesso di relazioni consapevoli tra gli esseri umani e pertanto come fatto partecipato. Piuttosto che come fruizione. In questo campo val più produrre che consumare anche perché questo tipo di "produzione" coinvolge più le capacità intellettive che quelle materiali e pertanto può essere scarsamente rilevante dal punto di vista energetico mentre lo è moltissimo dal punto di vista sociale.

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Note :

Connotazioni e tendenze della società contemporanea

1) Noi siamo, come altri, una tipica società dei "2/3", anche se non è detto che la percentuale sia proprio quella. La maggioranza della popolazione (i "2/3") non ha rilevanti problemi materiali nel senso che dispone di un reddito reale discreto; una minoranza è povera e deve quotidianamente affrontare disagi rilevanti. Questo stato di cose unito ad una democrazia puramente numerica pone un grave problema: l'idea di far corrispondere ai gruppi sociali soccombenti un unico disegno politico (e magari una specifica forza politica) mirato all'emancipazione ed alla promozione degli oppressi risulta, oltre che utopica, inefficace in quanto questi gruppi sono per l'appunto minoranza.

2) La nostra società continua notoriamente ad invecchiare nel senso che il declino della natalità (e della mortalità) sta elevando l'età media della popolazione. Ciò pone gravi problemi all'economia (carico delle pensioni, "concorrenza" coi giovani per il posto di lavoro) e al sistema sanitario e assistenziale (crescita del numero di persone bisognose di assistenza di vario tipo). Ciò modifica inoltre il carattere della società, rendendola meno flessibile, vitale e ricettiva.

3) Le sperequazioni internazionali tra paesi ricchi e paesi poveri, la mancanza apparente di alternative per questi ultimi, la crescita demografica producono una pressione migratoria verso il "Nord" che pare inarrestabile. La capacità di attrazione della tavola dei ricchi è tale che i poveri filtrano per capillarità attraverso qualunque barriera. Questo flusso migratorio nuovo, soprattutto per l'Italia, pone complessi problemi di convivenza e/o di integrazione. In ogni caso la società verso cui si va non potrà che essere multietnica e multiculturale.

4) Globalmente il nostro (dei paesi ricchi) modo di vivere non è né generalizzabile né trasmissibile.

Non è generalizzabile nel senso che il tenore materiale di vita (le quantità di energia e risorse consumate pro capite) italiano o ancor di più americano non è fisicamente estendibile a 5.200.000.000 di esseri umani viventi, il che implica che il nostro modello sia intrinsecamente ingiusto.

Non è trasmissibile nel senso che stiamo intaccando un patrimonio non rinnovabile che non sarà più disponibile per le generazioni future. Ciò implica un conflitto tra presente e futuro e tra anziani e giovani che per conformarsi al modello loro trasmesso mantengono ed intensificano la pressione sull'ambiente umano e non umano.

5) Sul piano individuale la dimensione di vita dominante è quella dei consumi entro il cui cerchio ognuno è racchiuso e da cui trae i valori di fatto perseguiti. Nell'ambito del consumo sono riconducibili gran parte delle attività, inclusi lo svago e la cultura.

6) Il mito dell'autosufficienza individuale, del "fatti da te", del successo personale è forse un tantino in ribasso rispetto a qualche anno fa, ma l'atomizzazione della società procede a grandi passi. Stili di vita basati sull'individualismo si affermano sempre più procedendo di pari passo con l'allentarsi dei vincoli tra singolo e territorio, singolo e nucleo familiare. Anche all'interno di strutture sociali fondamentali come la famiglia mononucleare i rapporti interpersonali si modificano in senso individualista.

Il fenomeno somiglia a quanto si verifica in un fluido al crescere della temperatura: più questa sale più le molecole tendono a muoversi le une indipendentemente dalle altre, fino all'ebollizione. La "temperatura" sociale continua a crescere.

7) Un allentarsi della dimensione sociale è testimoniato anche dalla generalizzata tendenza a non rispettare regole che non siano materialmente imposte. Si tratta di un fenomeno che va ben al di là del conflitto tra la pretesa, tipicamente latina, di normare qualsiasi cosa e la pressione verso la cosiddetta deregulation. Nel nostro paese si stima in più di 1.000.000 il numero delle persone che "delinquono" con regolarità (i detenuti sono poco più di 30.000), il furto è un reato praticamente non perseguito. Le regole "minori", come ad esempio quelle del traffico, non sono rispettate spontaneamente da "nessuno". Anche in questo senso la "temperatura" sociale continua a salire.

8) E' in atto una "crisi della temporalità" nel senso che gli orizzonti temporali individuali si accorciano progressivamente. Le prospettive tendono a circoscriversi nel presente o nel futuro immediato: carpe diem ovvero mordi e fuggi.