C’è una relazione tra il nostro pensiero economico e il
malessere psichico? Qualsiasi coscienzioso operatore della
psiche si pone un giorno o l’altro questa domanda,
perché coscienza e inconscio denunciano in continuazione la
sproporzione tra le preoccupazioni legate ai meccanismi
economici, e quelle affettive e istintuali nella vita
dell’individuo, e le nevrosi che da questo squilibrio
insorgono. E’ sempre più raro infatti il caso di malesseri
prodotti da divieti simbolici (come il complesso di Edipo,
su cui si regge gran parte della psicoanalisi classica).
Mentre invece sono sempre più frequenti le
nevrosi prodotte da dispositivi o orientamenti
economici ( ad esempio: consuma quanto è socialmente
richiesto, e guadagna di conseguenza), a detrimento dei bisogni e
desideri affettivi, e/o istintuali. Curiosamente però,
l’approfondimento di questo squilibrio, e delle sue ragioni, è
pressoché assente dalla riflessione psicologica,
apparentemente impegnata nella costruzione di una babelica
nosografia e tipologia del malessere, quasi che il nominarne
accuratemente le manifestazioni equivalga a curarlo, o farlo
sparire.
Molto più ricco e utile di indicazioni in proposito appare
invece il pensiero di altre Scienze umane, in modo particolare
quello dell’antropologia e sociologia culturale, di parte delle
Scienze politiche, e dello stesso pensiero economico.
All’incrocio di queste diverse discipline, e di altre, come la
filosofia e l’epistemologia, si colloca l’opera di Serge Latouche,
di cui è stato ora pubblicato da Arianna L’invenzione
dell’economia, mentre Bollati Boringhieri, suo editore
abituale, aveva pubblicato alla fine dello scorso anno : La
sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea.
I saggi di Latouche pubblicati in L’ invenzione dell’economia
andrebbero accuiratamente studiati, tragli altri, dagli
psicoterapeuti, per comprendere come fare a liberare il
contemporaneo nevrotico “oeconomicus” dalle sue ossessioni
dominanti. Sapere infatti che l’economia viene “inventata” solo
da un certo punto in poi, e che come scienza è inotre assai
dubbia, dato che non ha un oggetto di osservazione preciso, al di
fuori di quelli prodotti dallo stesso discorso economico (come
osservava già Fourquet), può aiutare chi soffre delle molteplice
coazioni indotte dal “discorso economico” a
guardarle con occhio più critico. Latouche ricorda infatti
di economia non si parla prima di Platone e Aristotele. E si
chiede "Significa forse che prima non esietavano pratiche
materiali? Naturalmente no, è la risposta, ma queste,
principalmente la sopravvivenza della specie e la
riproduzione dei gruppi sociali, non vengono, fino a un certo
punto, “ pensate come una sfera a parte, autonoma”.
Dunque: “ non esiste qualcosa come la vita economica, bensì
la vita tout court”. Tutta la riflessione di Latouche
pone l’economia attuale, i suoi meccanismi e i suoi discorsi,
sotto un riflettore più ampio, che tiene conto non solo delle
scienze occidentali negli ultimi due secoli e mezzo, ma di tutto
il sapere sull’uomo e le sue pratiche materiali, a nostra
disposizione , anche quello riferito alle aree del mondo esterne
all’ “Occidente”, e a periodi storici precedenti. La
progressiva autonomia dell’economia dalla vita nel suo
complesso è dovuto secondo Latouche allo sviluppo unilaterale
manifestatosi da un certo punto in poi nella ragione occidentale.
Egli ricorda che la ragione aveva presso i greci due
aspetti: il logos, e la phronesis, la saggezza. Latouche pensa che
nel pensiero dell’Occidente moderno, il logos sostituisce del
tutto la phronesis e diventa “razionalità calcolante”: quella del
calcolo economico. Che tuttavia, avendo perso di vista la
saggezza, e la vita nel suo complesso, è sempre meno in grado di
spiegarla e rappresentarla. Se non cercando disperatamente di
ridurre la vita a calcolo: e quanto innaturale e produttiva
di malessere sia quest’operazione è appunto ciò che l’operatore
della psiche arttento deve constatare ogni giorno. A questa
razionalità calcolante, strumentale, Latouche oppone (ed è quanto
fa, in particolare, nella Sfida di Minerva), la dimensione
del ragionevole. Quando ci si occupa di esseri umani, osserva
Latouche, la razionalità strumentale e calcolante (che può
funzionare per acquistare in borsa), non basta più, perché si ha a
che fare con dei valori: la libertà, la giustizia e altri ancora.
( E potremmo aggiungere con stati d’animo: la felicità, la
sofferenza…) Solo se si fosse eliminato ogni valore, o
collocandosi all’interno di un solo valore (ciò che è stato
chiamato: il pensiero unico occidentale”), ci si potrebbe affidare
alla sola razionalità calcolante.
Di questo allargamento di prospettive, e di conoscenze, rispetto
al pensiero economico più citato, fa parte la partecipazione
di Latouche al MAUSS, il movimento economico non
utilitarista, che prende il suo nome dal sociologo che rilevò come
la compravendita, o il baratto non siano affatto state le
uniche forme di scambio nella storia umana, ma come il
dono abbia svolto una funzione altrattanto, e in alcuni casi più
importante. Anche qui Latouche però non cade mai
nell’unilateralità mostrata da alcuni suoi compagni
del MAUSS, che teorizzano un modello donativo, in
sostituzione del modello utilitario, e si preoccupa
invece di salvaguardare ogni forma adottata dall’uomo nelle
sue pratiche materiali. Attenzione che appare
sacrosanta anche allo sguardo psicologico, consapevole
che quanto viene rimosso fatalmente tornerà, ma
in forme malate e produttrici di sofferenza.
Serge
Latouche L’invenzione dell’economia, Arianna Editrice,
Casalecchio (BO), 2001, 186 pagine, Lire 22000; e:
La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione
mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, 169
pagine, Lire 26000.
Articolo
pubblicato in : Fondazione Liberal , N.8, gennaio
2002.
http://www.claudio-rise.it/globalizzazione/economia.htm |