Le apocalissi dell'11 settembre
di ENZO BIANCHI
QUELLO che è avvenuto l'11 settembre scorso si mostra sempre di più
come una "apocalisse" nel senso etimologico e cristiano del
termine: un "alzare il velo", una rivelazione di ciò che è
l'uomo, di quello che l'uomo vuole e, perciò, opera.
Se è vero, come dice l'antica sapienza di Israele, che "l'uomo nel
benessere non capisce", è anche vero che nelle crisi c'è
l'occasione propizia al pensare, all'interrogarsi e, quindi, favorevole
al confronto con l'altro.
Tuttavia si ha l'impressione che oggi sia diventato talmente difficile e
faticoso pensare che si preferisce ricorrere a semplificazioni,
schierarsi senza aver percorso un autentico cammino di conoscenza e di
discernimento, si preferisce cioè non ascoltare l'altro ma rinsaldare
la propria posizione e difenderla a ogni costo. Una delle
"rivelazioni" di cui occorre prendere atto riguarda i
cristiani o, meglio, i cattolici.
Di fronte agli eventi dell'11 settembre hanno reagito e continuano a
reagire in modo diverso, perfino contrapposto e, oserei dire, confuso.
Non era stato così, su queste tematiche, negli ultimi decenni, dopo il
magistero sulla pace di Giovanni XXIII e del concilio Vaticano II; oggi
invece le voci si contrappongono e gli esponenti dell'uno e dell'altro
orientamento affermano di riferirsi al vangelo, allo stesso vangelo. La
confusione è tale che può essere letta come un invito a concludere che
sui temi più profondi ed essenziali della vita anche il vangelo risulta
impotente ed inefficace e che ciascuno può invocarlo a sostegno della
propria posizione. Disagio dunque di molti cristiani, ma anche polemica
offensiva e a volte calunniosa da parte di chi non vuole capire che
esistono "ragioni cristiane".
Una prima tematica conflittuale è certamente quella che riguarda il
rapporto tra cristiani e occidente. Il cristianesimo è nato in
occidente sul ceppo mediterraneo dell'ebraismo e in occidente si è
sviluppato: i popoli dell'occidente portano ancora oggi nella loro
cultura e nella loro tradizione le tracce di questo dinamismo originale.
Non solo, ma per molte nazioni occidentali c'è stata un'identificazione
tra religione e nazione per cui, ad esempio, la Francia era chiamata
"la primogenita della chiesa", la Spagna vantava il titolo di
"Cattolica", fino al caso di alcuni paesi, come la Polonia, in
cui l'identità nazionale è stata conservata anche grazie alla
religione durante gli anni della cattività comunista. Tuttavia è stato
osservato che l'occidente per il cristianesimo è un
"accidente" (in senso tomista), cioè è stato un luogo di
incarnazione ma, essendo il vangelo destinato a ogni uomo di ogni
cultura, non si può operare un'identificazione tra occidente e
cristianesimo. Sarebbe un tradimento della volontà di Gesù Cristo e
del dinamismo millenario insito nel suo annuncio di salvezza. Di
conseguenza, i cristiani che vivono in occidente dovrebbero imparare a
discernere le differenze tra messaggio evangelico e cultura che l'ha
trasmesso venendone in parte plasmata, dovrebbero vigilare affinché non
avvenga questa identificazione .
Non mi pare quindi che si possano bollare simili posizioni come
"antioccidentali" né, tantomeno, come
"antiamericane". Né si scambi per opposizione agli Stati
Uniti, una critica squisitamente cristiana ed evangelica all'attuale
modo di vita dominante occidente, a una prosperità che in quella
nazione, prima iperpotenza globale, ha la sua epifania più evidente.
Affermare, come è stato fatto da parte occidentale, che l'eccidio di
New York è stata "un'aggressione contro il nostro stile di vita,
dovuta al fatto che si detesta la nostra prosperità" significa
proprio identificare il sistema socioeconomico con la popolazione
dell'occidente. Ignacio Ramonet su Le Monde diplomatique osserva che
molti nel mondo pensano che "l'America se lo sia meritato":
amara e detestabile constatazione che però trova terreno fertile nei
sentimenti di quei milioni di persone che pensano alla loro miseria
disperata come a una condizione cui non è estraneo il mondo ricco che,
tramite i mass media, entra nelle case dei miseri. Per citare solo una
delle recenti, autorevoli prese di posizione, non sospettabili di
antioccidentalismo, vorrei ricordare cosa ha scritto il cardinal
Ratzinger: "Regna ormai un'ideologia in cui gli uomini abituati
alla ricchezza e al benessere non fanno più sacrifici per raggiungere
un benessere universale, ma promuovono strategie per ridurre il numero
dei commensali alla tavola dell'umanità, affinché non venga intaccata
la pretesa felicità che i pochi hanno raggiunto!". Dove è
incarnata e vissuta questa ideologia? Forse in Etiopia o in Cambogia? La
Fao ha dichiarato nei giorni scorsi che ogni giorno nel mondo muoiono di
fame 24 mila persone (il che significa quasi 9 milioni in quest'anno di
attesa supplementare): questo dramma è imputabile solo alla loro
arretratezza, alla loro situazione storica, alla loro incapacità
cronica a competere con l'occidente? Oppure, come qualcuno ha pensato di
fare, bisogna additare nel papa il principale responsabile: "il
maggiore colpevole della povertà è chi ostacola la contraccezione...
nel corso del lungo papato di Wojtyla le bocche da sfamare sono
diventate un miliardo in più"? È certo che non sono gli Stati
Uniti l'origine e la causa di tutti i mali dei poveri, ma è altrettanto
certo che essi, come tutte le nazioni ricche del pianeta, non sono
innocenti. Sì, è davvero sbrigativo e fuorviante etichettare come
"antiamericanismo" ogni critica al nostro sistema: oggi la
cultura e la forma di società degli Stati Uniti è anche la nostra, non
è dunque possibile per noi nutrire sentimenti antiamericani, ma è
possibile restare critici verso il sistema in cui viviamo e del quale
ognuno di noi, in forma diversa, è responsabile.
Un'altra "apocalisse", un altro svelamento provocato dalla
tragedia dell'11 settembre riguarda l'atteggiamento dei cristiani verso
la guerra: è impressionante notare come da un lato si affermi di
rispettare la voce del papa, la si definisca voce "profetica"
(leggi "fuori della storia") che è opportuno che risuoni come
monito (leggi "fervorino"), come affermazione di una
"speranza" (leggi "utopia") ma, d'altro canto, un
sano realismo impedisce che le si dia ascolto e le si presti obbedienza!
Prevalgono dure esigenze concrete di lotta per sconfiggere il
terrorismo, dunque il papa continui pure a fare il profeta, ma i
cattolici dicano un chiaro sì alle armi cui si affidano i valori più
nobili: tolleranza, pace, diritti umani... Ma il papa non si era chiesto
quale mai può essere quella verità (quel valore) che si serve della
violenza per affermarsi? Cosa dedurne? Che la chiesa cattolica parla a
più voci? Che al suo interno sono presenti fiancheggiatori di Bin Laden?
O che ha perso ogni possibilità di credere nella pace come strumento e
prassi di riconciliazione e lascia all'audace ostinazione del papa il
solitario compito della voce utopica?
Ancora una volta mi pare di poter constatare amaramente che il
cristianesimo ha sì dei "nemici", ma essi sono sempre e
soltanto al suo interno: sono quelli che vorrebbero declinarlo come
"religione civile", identificandolo con l'occidente e
chiedendogli di dare fondamento etico (un tempo si sarebbe detto
"benedizione") a un potere che non vuole interrogarsi sulle
diverse possibilità di fermare il terrorismo e sulle conseguenze di un
intervento armato per le popolazioni civili e nel futuro del mondo.
Classificare con disprezzo i cristiani come pacifisti, antioccidentali,
succubi di un buonismo melenso è facile, e oggi appare strategia
pagante, ma non è operazione seria e capace di favorire l'ascolto e di
contribuire a un dipanamento della crisi.
Certo che chi è vigilante, non tace di fronte ai massacri dei ceceni
(neppure se opportunisticamente legittimati come lotta al terrorismo),
ricorda tutti i genocidi commessi e condanna qualsiasi forma di
terrorismo: quello dell'Irlanda del Nord, dei Paesi Baschi e della
Corsica, divenuto endemico e tristemente "familiare" agli
europei, come quello tragicamente cronico in Israele o quello di Bin
Laden, assurto a evento mediatico. Sì, oggi, ancora una volta, i tempi
non sono favorevoli né per i poveri, né per le vittime della guerra,
né per quelli che credono nella pace |