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APPELLO PER LA DIFESA DEI DIRITTI DELLA RICERCA STORICA Il prossimo 4 ottobre presso la Pretura di Partinico (Palermo) si aprirà il processo intentato dal generale dei Carabinieri in pensione Roberto Giallombardo, contro Giuseppe Casarrubea, uno studioso che da anni si batte per la ricerca della verità sui mandanti della strage di Portella della Ginestra e degli attacchi contro le sedi di sinistra e le Camere del Lavoro, nella provincia di Palermo (1° maggio- 22 giugno 1947) Tra i caduti anche suo padre, uno dei tanti sindacalisti ammazzati dalla mafia in quegli anni bui della nostra Repubblica. Diverse sue pubblicazioni sono testimonianza del suo impegno di ricerca. Tra le tante, Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, edita a Milano da Franco Angeli nel 1997 (50° delle stragi) nella collana di studi di storia contemporanea diretta dal prof. Franco Della Peruta. L'autore, sulla scorta di una lunga bibliografia, di atti processuali e di documenti della Commissione Antimafia, aveva sostenuto che alcuni elementi chiave di quelle stragi, come Salvatore Ferreri, alias 'Fra Diavolo, ne erano stati gli esecutori materiali pur essendo, al contempo, confidenti delle più alte autorità di pubblica sicurezza in Sicilia, e come tali, chiusa la manovra stragista, erano stati premeditatamente eliminati. Cosa che Casarrubea aveva ribadito in un'intervista concessa a una emittente televisiva locale in occasione del cinquantenario di quelle stragi. Lasciamo alla magistratura il compito di chiarire i fatti, anche se a distanza di oltre mezzo secolo nessuna verità ufficiale e credibile sappiamo né sulle stragi del 1947, nè sulla morte del bandito Salvatore Giuliano e del suo luogotenente Gaspare Pisciotta. In un'epoca che troppo facilmente è propensa
a rimuovere passato e memoria di quelle lotte che videro il
movimento sindacale e contadino alla testa del processo di
rinnovamento democratico del nostro Paese, Casarrubea è un
testimone di ricerca della verità e della giustizia. Non lasciamolo
solo e attiviamo in suo favore ogni nostra iniziativa: scrivendo un
articolo per un giornale, una e-mail, presenziando al processo,
formando dei gruppi di solidarietà concreta, telefonando a un
amico, a una rivista, ecc. Affermiamo il principio costituzionale
che la scienza non può essere processata, la conoscenza storica non
può essere trascinata nelle aule dei tribunali, né può essere
surrogata dai monopoli dell'informazione. E' intollerabile che oggi
il diritto della libertà della ricerca scientifica debba essere
messo in discussione persino contro gli stessi familiari delle (Se aderisci, copia questa lettera, inserisci il tuo nome e spediscila a un amico- dalla voce 'inoltra' del menù 'messaggio'- e, in copia, a Giuseppe Casarrubea, al seguente indirizzo email: icasar@tin.it) ******** Da INTERLIN EA Carissimi amici Stiamo inoltre lavorando insieme al Progetto : Il laboratorio Maieutico di Danilo Dolci, nella scuola , nel luogo più consono alla diffusione e alla formazione delle idee di cittadinanza democratica, di partecipazione civile, di amore per la legalità. (http://www.edscuola.com/archivio/interlinea/dolci1.html) allegati Un caro saluto "Una lezione dalla storia: non conosciamo i nomi di coloro
che inchiodarono Gesù alla croce. - Armando Fuentes Aguirre, Reforma (Città del Messico). http://www.edscuola.com/archivio/interlinea/dolci.html "NON SOLO PORTELLA" Associazione tra i familiari delle vittime della strage di
Portella della Ginestra, della mafia e di altre stragi compiute in
Sicilia Elenco delle principali iniziative portate avanti
dall'Associazione Giuseppe Casarrubea presidente Associazione 'Non solo Portella'
da repubblica.it Giuseppe Casarrubea rinviato a giudizio con l'accusa di
aver diffamato un APPELLO
PER LA LIBERTA’ DI STAMPA NELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA. Due
recenti sentenze di primo grado del Tribunale civile di Palermo
hanno condannato Claudio Riolo, politologo presso l’Università di
Palermo, e Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di
documentazione “Giuseppe Impastato”, al risarcimento danni da
diffamazione a mezzo stampa. Riolo
ha pubblicato sulla rivista mensile Narcomafie,
nel novembre ’94, un articolo di commento critico alla decisione
di Francesco Musotto, Presidente della Provincia di Palermo e
avvocato penalista, di mantenere la difesa di un suo cliente,
imputato nel processo per la strage di Capaci, mentre l’ente
locale si costituiva parte civile nello stesso processo.
L’articolo, ritenuto diffamatorio dal Musotto che ha chiesto 700
milioni di risarcimento, è stato ripubblicato nel maggio ’95 su Narcomafie
e sul quotidiano Il Manifesto
a firma di 28 autorevoli esponenti del mondo politico e culturale,
che lo hanno sottoscritto “condividendone in pieno i contenuti e
ritenendolo legittima espressione dell’esercizio della libertà di
stampa, di opinione e di critica politica”. Tuttavia Musotto non
ha querelato né citato in giudizio nessuno dei nuovi firmatari e,
dopo quasi sei anni di lungaggini processuali, Riolo è stato
condannato a pagare complessivamente 118 milioni. A sua volta, l’ex ministro Calogero Mannino ha chiesto una riparazione pecuniaria di 200 milioni a Umberto Santino, ritenendosi diffamato per la pubblicazione di alcuni stralci di un “testo anonimo” nel libro “L’alleanza e il compromesso” edito nel ‘97. Nonostante l’autore si fosse limitato ad analizzare criticamente quel documento, prendendone le distanze con l’affermazione esplicita che esso proviene “più o meno direttamente da ambienti mafiosi”, e nonostante quel testo, circolato nel ’92 subito dopo la strage di Capaci, fosse già stato integralmente e ripetutamente pubblicato da altri, Santino è stato condannato a pagare circa 20 milioni. Due miliardi è, invece, la richiesta di risarcimento rivolta dallo stesso ex ministro ad Alfredo Galasso, docente di diritto civile presso l’Università di Palermo, per aver riportato il medesimo testo anonimo nel libro “La mafia politica”, pubblicato nel ’93. Ma il procedimento è ancora in corso e si attende la conclusione. Questi
fatti non rappresentano dei casi isolati, ma si inquadrano in una
preoccupante tendenza generale alla limitazione del “diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione” garantito
dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Negli ultimi anni,
parallelamente ad un preoccupante processo di concentrazione della
proprietà dei mezzi di comunicazione di massa, gli attacchi dei
poteri forti alla libertà di informazione e di opinione si sono
moltiplicati, e ciò è tanto più grave e significativo quando
esponenti della prima o della seconda repubblica, coinvolti a torto
o ragione in procedimenti penali, cercano di far pagare il conto
delle loro “sfortune” a chi esercita per professione o per
impegno antimafia il diritto di cronaca e di critica. In
particolare stiamo assistendo ad un crescente uso indiscriminato del
ricorso ai procedimenti civili per risarcimento danni da
diffamazione a mezzo stampa. Il procedimento civile, infatti, offre
una serie di vantaggi rispetto a quello penale: il risarcimento
danni può essere chiesto a distanza di cinque anni dai fatti,
mentre per sporgere querela non si possono superare i novanta
giorni; nel civile si
può ottenere la condanna del presunto diffamatore senza l’onere
di dover dimostrare l’esistenza del reato di diffamazione; è, per
di più, possibile ottenere risarcimenti sproporzionati per “danno
morale” anche quando non si riesca a dimostrare l’esistenza di
un effettivo “danno patrimoniale”; la condanna, infine, è
immediatamente esecutiva, senza dover attendere l’espletazione di
tutti i gradi del giudizio. Oltre
a tutto ciò il giudizio civile comporta un minor clamore rispetto a
quello penale, clamore che comunque è sempre controproducente anche
per il presunto “diffamato”. Si
sono, pertanto, moltiplicate le richieste di risarcimenti miliardari
nei confronti di giornalisti, studiosi e familiari delle vittime
(basti, qui, ricordare i 20 miliardi chiesti da Berlusconi a
Luttazzi, Freccero e Travaglio per la trasmissione televisiva Satyricon,
o il miliardo chiesto da Mannino a Giuseppina La Torre per alcune
interviste rilasciate nel ’95, o ancora il miliardo e 150 milioni
chiesti da Musotto ad Attilio Bolzoni per gli articoli su Repubblica
riguardanti le sue traversie giudiziarie del ‘95)
il cui effetto non è la legittima tutela dell’onorabilità
della persona, ma l’instaurazione di un clima d’intimidazione
nei confronti di chiunque intenda far conoscere, commentare o
studiare il persistente fenomeno delle contiguità tra politica,
mafia e affari. Con
questo appello intendiamo rivendicare con forza il diritto e il
dovere di sottoporre l’operato di chi ricopra cariche pubbliche o
ruoli rappresentativi al vaglio critico dell’opinione pubblica,
con la consapevolezza che ciascun politico ha una responsabilità
aggiuntiva rispetto agli altri cittadini nella misura in cui
coinvolge la credibilità delle istituzioni. In particolare, sul
terreno della lotta contro la mafia, la piena libertà
d’informazione e di opinione è indispensabile per individuare e
stigmatizzare tutti quei comportamenti che configurino delle
responsabilità politiche e morali, indipendentemente
dall’accertamento di eventuali responsabilità penali che spetta
esclusivamente alla magistratura. Ci
proponiamo, pertanto, di avviare una campagna di sensibilizzazione e
di mobilitazione dell’opinione pubblica per la realizzazione dei
seguenti obiettivi: a)
una nuova regolamentazione legislativa in materia di
“diffamazione”, che ristabilisca un giusto equilibrio tra
diritto di cronaca e di critica e tutela della persona, e che
uniformi procedimento penale e procedimento civile per impedirne un
uso distorto e strumentale; b) la costituzione di un fondo di solidarietà tramite la sottoscrizione del presente appello (ad ogni firma corrisponderà la sottoscrizione di una quota minima di centomila lire); il fondo sarà utilizzato, a cominciare dalle due condanne citate, per difendere la libertà di informazione, di opinione e di ricerca limitatamente all’ambito della lotta contro la mafia (sarà gestito, sulla base di un regolamento, da un comitato di garanti, di cui faranno parte, tra gli altri, Rita Borsellino, Luigi Ciotti e Valentino Parlato).
Confederazione Generale Italiana Del lavoro Lettera di Giuseppe Casarrubea a Sergio Cofferati Caro Segretario, ricevo oggi la Tua solidarietà e quella di tutto il Sindacato che rappresenti. Ti sono grato - al di là del mio personale coinvolgimento nella vicenda giudiziaria dalla quale sono stato investito, mio malgrado- per la vicinanza che mi dimostri e perchè la Tua stima m'incoraggia a proseguire imperterrito sulla strada che già da diversi anni ho intrapreso. Non ho mai avuto intenti diffamatori nei confronti dei personaggi che le carte seppellite dalla polvere, ci consegnano per la memoria dei nostri figli, e della gente onesta, troppo spesso vittima del silenzio delle istituzioni, dello strapotere mafioso, delle complicità che hanno rese possibili in Italia stragi e ferite profonde alla nostra democrazia. Mi sento la coscienza pulita e credo di avere fatto bene il mio modesto lavoro di ricerca, avendo già consegnato al mio avvocato, Vincenzo Gervasi del foro di Palermo, una valigia di documenti. Sono perciò sereno e fiducioso nel lavoro che dovranno fare i giudici, perchè questa volta spetta a loro il compito di andare al di là di una questione che non ha nulla di personale, ma - come dici Tu nella lettera- riguarda la nostra storia, la storia dell'Italia e le garanzie costituzionali dei cittadini. Ricordo il Tuo discorso a Portella della Ginestra (1° maggio 1947) quando, con Giancarlo Caselli, nel cinquantenario della strage, vi siete impegnati sul "Sasso di Barbato" nella vostra azione di desecretazione delle carte sulla quella immane strage. Immane non solo perchè provocò morti e feriti tra i lavoratori che manifestavano durante la festa del 1° maggio, ma perchè quelle vittime innocenti, donne, bambini, lavoratori della terra, non hanno mai avuto giustizia. Grazie alla Tua vicinanza sento accanto a me tutti i lavoratori, quelli che oggi lottano per i loro diritti negati, e quelli morti che queste battaglie hanno fatto col loro sangue e che per me non sono mai andati in 'prescrizione'. GIUSEPPE CASARRUBEA Lettera di Giuseppe Casarrubea a Rita Borsellino Partinico, 19 settembre 2002 A Rita Borsellino Egr.a Signora, La ringrazio per l'adesione alla "Catena della memoria" che abbiamo voluto lanciare come recupero delle ragioni e dei valori propri della nostra storia, da Portella della Ginestra in poi. A Portella della Ginestra il 1° maggio 1947, proprio quando all'Assemblea Costituente i nostri Padri fondatori della Repubblica discutevano dei principi costituzionali e dei poteri dello Stato, un fuoco micidiale fu aperto contro donne, bambini, lavoratori inermi che celebravano la festa del lavoro. A terra rimasero esanimi 11 corpi; trenta furono i feriti. Un mese dopo, le stragi continuarono con gli assalti contro le Camere del Lavoro e gli attentati dinamitardi contro le abitazioni di dirigenti sindacali e politici. Una bomba ad alto potenziale fu fatta esplodere alla Centrale elettrica di Palermo. Anche questa volta ci furono morti (mio padre e Vincenzo Lo Jacono) e feriti. Nessuna verità ufficiale è mai venuta fuori da un tribunale. Per lo Stato, ancora a oggi, quei caduti non hanno mandanti. E qualcuno vorrebbe anche che non avessero storia. Colgo quindi il Suo "esserci" come un filo della continuità della memoria che riannoda e unisce passaggi significativi della nostra storia siciliana e nazionale in una sequenza - direi quasi - unitaria, anche se troppo frammentato è stato finora il ricordare, chiusi come siamo stati, nel nostro antico dolore, nella nostra solitudine. Ricordo quando Lei è venuta a trovarci all' "Antonio Ugo" perché i ragazzi avevano piantato alberi da coltivare alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Avevano appeso i loro pensieri sui rami ancora teneri di nuovi germogli, e lasciato i loro pensieri, chiusi in piccoli contenitori collocati nelle radici. Ricordo quando L'abbiamo avuta con noi presso la Scuola Media "G.B.Grassi Privitera" di Partinico e abbiamo ascoltato le Sue parole d'incoraggiamento a proseguire nella nostra azione faticosa di costruzione di nuove coscienze, di una nuova consapevolezza. Abbiamo imparato da Lei anche quello che non ha detto: il dover essere sereni e testimoni pazienti. So, quindi, che Lei è sempre stata con noi, e che tutti noi siamo stati sempre con Lei, e con Giovanni e Paolo. Paolo l'avevo incontrato ad Alcamo, in occasione della presentazione di un libro di Vito Mercadante su iniziativa di Teresa Vivona, della Fidapa, credo nel 1989. Dovevamo relazionare lui sulle caratteristiche della mafia ed io sugli aspetti educativi della lotta antimafia. Mi colpì la sua straordinaria serenità, anche se fumava una sigaretta dopo l'altra. Era controllatissimo tuttavia. Il suo discorso partì da lontano, dai giorni della sua infanzia, dal fatto che avesse avuto qualche compagno di classe appartenente a famiglie mafiose, e si snodò poi fino alle collusioni che in Sicilia correvano tra mafia ed enti locali. Toccai con mano che queste collusioni, avevano una storia lunga, cronicizzata, e ormai avevano legittimato la mafia nelle istituzioni. Il battesimo di fuoco di questo percorso fu proprio Portella della Ginestra. Le sono perciò grato per avermi dato l'opportunità di considerare il difficile cammino che ci accomuna, anche se veniamo da strade diverse. Mi auguro che un giorno non lontano tutti i familiari delle vittime di stragi e crimini mafiosi, possano trovarsi assieme per costruire, con la loro memoria e con la loro voglia di riscatto, il futuro che ci è stato sottratto. Mi creda devotamente Suo |
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