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"Arte"
di
Guido Strazza
Gran cosmate, 1982, acrilico su tela, 181x294 cm.
E', oggi, veramente chiaro e univoco il
concetto di istruzione artistica?
E' chiaro il concetto di artista? Ci si deve chiedere fino a che punto, e come, progetti e prospettive per il futuro di un giovane dipendano dalla sua idea di tradizione; come dire dalla sua idea di identità. Tradizione significa sapere non tanto e solo ciò che si è stati e si è fatto ( peraltro sempre reinterpetabile e reinterpretato) quanto il come si è arrivati a fare e a essere quel qualcosa col quale sentiamo di identificarci.
Avere il senso di una tradizione comporta perciò
un giudizio critico attivo, un senso forte della necessità di una sua
continua ridefinizione.
C'è un farsi della storia e delle opere che più
dell'atto compiuto ne rivela il significato vitale.
L' arte, nel suo essere decifrazione senza fine del mondo (dei segni del mondo direbbe un artista) ne è testimonianza limite ed esemplare. Il valore estetico secondo il quale la giudichiamo, pur nella sua polivalenza ambigua, ha fondamento nel riconoscimento e nel rispetto delle cose del mondo: pensieri e moti dell'anima che non riguardano solo gli artisti, ma ogni uomo e ogni sua attività nel momento in cui la intraprenda con quel pensiero e quel sentimento della tradizione che la rendono vera, credibile: con una identità.
Questo per dire che la bellezza (che non è il
piacevole) coinvolge la responsabilità morale, cioè la consapevolezza
che solo quegli atti e quelle opere che rendono "bella" (in amicizia
dei contrari, non estranea e ostile alle cose e agli esseri del mondo)
quella ininterrotta catena di giudizi e decisioni che fanno la nostra
vita, le danno vera identità.
E' qualcosa che antepene i doveri ai diritti.
Sul piano personale, perchè si ha il dovere di rispettarsi e
rispettare per poter fare e chiedere e dare sul serio qualcosa. Sul
piano sociale, perché i diritti possono e devono essere rivendicati
proprio per esigere, in primo luogo dalle istituzioni, il rispetto dei
propri doveri.
In primissima istanza il diritto a una istruzione che non sia solo utilitaria in relazione alle convenienze del momento, ma educhi a saperle giudicare e gestire in una prospettiva di più ampio respiro.
Le cose cambiano e bisogna tenerne conto.
Nuove tecniche offrono nuove possibilità espressive; si creano nuovi linguaggi, ma anche nuove applicazioni professionali. Ecco, in questa parola, il punto nodale della questione! un conto è la professione: cioè l'applicazione competente, nel suo linguaggio creativa, di una tecnica mirata a una precisa finalità. Altro conto è l'arte, cioè il moto primo e puro della creatività che ha linguaggio e finalità conclusi in sé.
Le sue "applicazioni" non la negano, ma la
condizionano , non necessariamente in negativo. Dipende dalla qualità
e dallo spessore del pensiero e della pratica individuali dell'arte.
In breve dall'apprendimento autodidattico o didattico che sia perchè c'è comunque un riferimento , diretto o mediato..all'insegnamento istituzionale.
Dove si collocano la Accademie?,
Gli istituti che istituzionalizzano l'insegnamnento dell'arte? Sono il nucleo forte del pensiero e della pratica del segnare,base di ogni possibile sviluppo,o sono istituti quasi professionali e quasi d'arte?
Quando, negli ami '80, come direttore
dell'Accademia di Beller Arti di Roma, insieme a colleghi belgi,
francesi e spagnoli con me impegnati in un progetto Erasmus, si era
discusso il problema della vera Portata, per gli artisti, di quella
iniziaiva di integrazione culturale europea, ci era ben presto parso
evidente che,al dì là dei pur importanti risultati genericamente
culturali e pratici di equiparazione professionale (cioè di
equiparazione dei titoli,per esempio per insegnare) rimaneva irrisolto
e anzi deviato il vero problema dell'identità di un artista in una
società che lo sa e può e vuole considerare solo come professionista,
produttore di servizi e cose.
Sentivamo che nell'ambiguità non casuale di quelle implicite e burocraticamente organizzate definizioni si giocava il senso profondo della tradizione europea e, in questa, della didattica artistica.
Accademia e Università.
Già allora si poneva il problema del loro rapporto. Valore del fare, valore del pensare: un'antinomia classica, in parte superata, che da tempo le riforme sembra vogliono risolvere nella sintesi salvifica del produrre. Che è falsa meta per l'istruzione artistica delle Accademia, falsa meta per ogni disciplina di studio e ricerca dell'Università. In questo disagio stanno insieme; tuttavia Università e Accademie di Belle Arti non si amano, si sospettano; forse non del tutto senza qualche ragione se tuttora pensano alla loro integrazione, l'una, l'università, come presa di possesso, l'altra come forzatura alla sua indipendenza e identità. Ho vissuto questa antinomia in un'esperienza illuminante in occasione di un seminario che ho tenuto all'Università di Siena per i corsi di specializzazione dedicati a laureati di Storia dell'arte.
Tema: il linguaggio dell'incisione. Fin dalle
prime parole, che supponevo di normale uso per i miei ascoltatori,
dovetti rendermi conto di non essere capito. Usavo definizioni di
materie, tecniche, modi di vedere e di giudicare del tutto consueti
per un artista e in ogni accademia, ma che, per loro che avevano solo
letto e pensato sull'arte, avevano significato nullo o incerto.
Proposi di sospendere la lezione e di fare una
breve esperienza diretta sul segnare: che ognuno sapesse cosa vuol
dire pensare, progettare, fare e vedere infine un suo pur minimo
segno.
Con l'aiuto dell'Istituto d'Arte fu allestita
una piccola stamperia. Si procurarono torchio, lastra, carta e punte.
Tempo , tre giorni.
Nessuno doveva diventare incisore. Tutti, però, avrebbero potuto vedere come si forma ( per questo l'incisione e non il troppo diretto disegno) e alla fine schizza fuori delle loro mani ( ..dalla loro testa) un segno. Tutti avrebbero potuto vedere, toccare, giudicare, decidere il modo di farsi forma di un pensiero. Piccola ma importante esperienza. Un vuoto di reciproca conoscenza poteva essere facilmente riempito senza morti e feriti sul campo. A me parve in quel momento che Accademie e Università avrebbero avuto gran vantaggio a lavorare insieme. Diverse, indipendenti, coordinate.
Che significano queste considerazioni?
Che la filosofia, oggi vincente, dell'uso piuttosto che della complice utilizzazione delle cose e della tradizione, comporta uno sfuocamento di identificazione con la storia e con la cultura che ci fanno gli uomini che siamo. Cose, luoghi, situazioni e persone viste e usate come materia prima da manipolare al fine ultimo e prepotente del raggiungimento di un successo. Quale successo? Quello, semplicemente e nemmeno definitivo, della pura vendita di un prodotto, matriale o ideale che sia; che non è ovviamente un male in sè, ma, eccolo chiaro!, un nodo cruciale a proposito della responsabilità didattica. Perchè, infatti, c'è successo e successo, come c'è prodotto e prodotto.
Ce ne sono di veri e falsi, necessari e
superflui, utili e dannosi ( cose e idee) , ma specialmente, ce ne
sono di "belli" e di "brutti", in amicizia o
inimicizia con il mondo.
Intervento di Guido Strazza a:
problemi, proposte e prospettive
XXIV Congresso
ANISA
Rovereto 26,27,28 novembre 2004
da Internet
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A cura di
Nadia Scardeoni
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