La comunicazione interculturale e la necessitą del
dialogo:
Mikhail Bakhtin e lincontro antropologico
di Silvia Ferrero
Uno degli ostacoli piu grossi alla comprensione tra culture differenti, e la mancata consapevolezza che tutto cio che pensiamo, affermiamo e proponiamo dipende non solo piu o meno da esplicite supposizioni che differiscono tra loro ma anche da presupposti di cui non siamo completamente consapevoli, e che non necessariamente sono gli stessi dei nostri interlocutori. E importante fare una distinzione tra supposizioni e presupposti. Una supposizione e un principio che io stabilisco alla base del mio processo pensante. Una presupposizione, daltra parte, e qualche cosa che do per scontato, che presuppondo indiscriminatamente e senza riflettere. Generalmente le presupposizioni esistono e nascono dai miti del mondo di cui faccio parte, in cui appartengo, e dai quali, in modo riflessivo, costruisco il mio modo di pensare. Sono questi, miti particolari, cio in cui si crede, senza tuttavia sapere che si crede in essi. In altre parole, sono lorizzonte della nostra intelligibilita, cio che e non-pensato, cio che elude la nostra consapevolezza. Nel momento in cui noi diventiamo consapevoli di un mito e lo scopriamo, esso cessa di essere un mito. Nel momento in cui una presupposizione e svelata, conosciuta, come base del pensiero, o il punto di partenza di un processo individuale, cessa di essere una pre-supposizione.
Solo unaltra persona, o noi stessi in un momento di riflessione successiva, puo farci diventare consapevoli delle nostre presupposizioni. Questo processo logicamente porta a una crisi. La crisi della scoperta. Quante volte, soprattutto nelle relazioni tra nativo e non-nativo, o semplicemente con gli altri, ci si accorge che non solo diamo risposte differenti alle domande concrete e fondamentali che ci vengono poste, ma non facciamo le stesse domande in determinate circostanze, e non abbiamo le stesse concrete aspirazioni. Essere costantemente aperti e consapevoli che le nostre azioni e la nostra vita sono basate su pre-supposizioni, e una condizione importante perche possa esserci una comprensione e un dialogo aperto. Questo assicura lattitudine allascolto da entrambe le parti. Un ascolto che non riguarda solo cio che laltro dice o pensa, ma che considera anche cio che non pensa o non dice. Un ascolto che educa anche allascolto della dimensione non detta, non pensata di se.
Dovremmo essere tutti quanti consapevoli del fatto che abbiamo presupposizioni di cui non siamo consapevoli. Certamente non possiamo e non riusciamo a percepirle. Tuttavia, possiamo riconoscerle. Come? Attraverso laltro. E laltro che scopre i miei miti, i miei orizzonti di intelligibilita. E laltro che svela le convinzioni che stanno alla base delle mie credenze. E questo un pensiero che il filosofo linguista russo Mikhail Bakthin aveva espresso ampiamente nei suoi scritti. E vero, siamo piu o meno consapevoli delle nostre supposizioni, ovvero delle nostre convinzioni, degli assiomi da cui nasce il nostro modo di vedere. Ma sono supposizioni e convinzioni che dipendono esse medesime da presupposizioni che diamo per scontato. Sara il nostro interlocutore a renderci consapevoli e a richiamare lattenzione su tali presupposizioni, e a portarla allo scoperto con una discussione, o un dialogo. Una delle scoperte piu problematiche, e nello stesso tempo piu soddisfacenti e liberatorie, e che non esiste lassoluto, ossia un criterio universale e perfettamente valido con cui analizzare e giudicare tutto cio che esiste sotto il sole.
Con questo consapevolezza, ogni dialogo e ogni valutazione antropologica sarebbero destinati a fallire. Eppure esiste la possibilita antropologica dellascolto e della comprensione degli altri. E la possibilita e la capacita di capire lalterita, di creare un dialogo che diventi "dialogico", che favorisca una crescita reciproca tra coloro che si incontrano e si parlano.
Invito, a tal proposito, il lettore a andare oltre (non a negare o rifiutare) la nozione puramente razionale e oggettiva di cultura che le scienze moderne (o post-moderne) adottano. Poiche non puo essere la cornice adeguata per un dialogo interpersonale, per una scoperta dellaltro. Le scienze moderne sono un mondo, tra tanti mondi. E come tale ha la sua cultura, il suo linguaggio. Soprattutto, ha unattitudine riduzionistica e ci abitua a chiedere obiettivita, unobiettivita in cui le nozioni precise, obiettive e chiare non lasciano entrare il personale, il soggettivo, lempatetico. Con una simile attitudine, si cercano strutture, modelli, tipologie, concetti, varianti e non-varianti culturali, concetti universali che possano essere trasportati ovunque. Se ci mettiamo nel mondo concettuale e epistemologico dellordine, parleremo solo con concetti, terminologie e definizioni. Se, tuttavia, ci situiamo anche nellordine mitico e simbolico, potremo conoscere un livello piu profondo che ci mette piu in diretto contatto con la realta esistenziale e esperienziale. Poiche in ogni cultura ce una realta esistenziale, esperienziale e personale.
Ho un altro invito, tuttavia da proporre. E quello di disfarsi dei nostri miti (i miti occidentali basati sulla storia, la scienza e la ragione) e affrontare lincontro con laltro, la relazione tra nativo e non-nativo, il rapporto noi e gli altri, in un dialogo che non sia razionale e civilizzato, costruito con concetti scientifici e obiettivi. Cio che propongo e di adottare il "dialogo dialogico" di Bakthin, che, come spieghero piu avanti, non appartiene necessariamente alla dialettica e non esiste come metodo per conoscere laltro. E un dialogo che significa apertura completa di se allaltro, cosicche laltro possa parlare e scoprire i miei miti e le mie presupposizioni. Richiamare a un risveglio della dimensione mitica della realta, non significa comunque sperare in un ritorno allirrazionalismo. Naturalmente la nozione di mito che qui propongo non e quella definita dalle scienze moderne. Al contrario. Proviene da un livello di realta di umana consapevolezza che va oltre il livello della ragione e della filosofia, che va oltre i miti della storia e delle scienze. E un livello che esprime apertura e la volonta antropologica di incontrare, abbracciare laltro nella sua pienezza e totalita. Se, per esempio, dovessimo focalizzare la nostra attenzione sulle relazioni tra gli esseri umani e il loro ambiente naturale per capire i principi del comportamento umano potremmo scoprire che la nostra epistemolgia occidentale e basata su un concetto di natura (ereditata dalla filosofia greca) che ci rende incapaci di capire altri sistemi culturali in cui le piante e gli animali sono considerati parti fondamentali del loro sistema. Gli studi antropologici tra gli Indiani Hopi di Whorf, per citare un esempio e tante altre ricerche, hanno dimostrato ampiamente lesistenza di culture in cui non esiste la dicotomia tra natura e societa.
Come e dunque possibile capire, dialogare, senza essere intrappolati nei nostri schemi epistemologici occidentali? Ecco che emerge dunque il problema epistemologico del pensiero razionale occidentale. Eredi dellillusione platonica che il regno della pura intelligibilita esiste, ogni nostro tentativo di afferrare e dominare lesperienza, la conoscenza, la vita, le culture, obbedisce ad un istinto, quello di dominare la natura con la ragione. Il dogma e quello di scoprire la realta attraverso il pensiero. Parole come imparare, afferrare, rappresentare, riflettere hanno solo una preoccupazione: non fuggire il controllo del pensiero. Ce tuttavia, unaltra consapevolezza. Secondo questa nuova consapevolezza, non e il pensare che scopre lessere. E solo il lasciarsi parlare che lo permette, in cui ci si apre alla realta, allaltro, a se stessi. In cui non si cattura o si comprende quella realta, ma le si permette di mettere in discussione noi stessi, il nostro modo di pensare, i nostri modelli. In tutto cio la vera capacita di questa consapevolezza e basata sullalterita. Bakthin diceva che per vedere noi stessi, noi dobbiamo farci propria la visione dellaltro. In altre parole, ogni relazione tra il se e laltro, in cui laltro significhi anche completezza in termini di suoi tempi e suoi spazi, comporta un dialogo. Un incontro dialogico e insieme antropologico. Ma, a tal proposito, e necessario fare una precisazione.
Il dialogo "dialogico" bakthiniano che qui propongo e un dialogo che richiede una relazione tra esseri relazionali, che credono nelle possibilita infinite del dialogo e della sua apertura. Un dialogo "dialogico" implica che entrambi gli interlocutori siano trattati come esseri che conoscono, e sono in una fase di conoscenza continua, non definita, non arroccata su posizioni indissolubili. Non ci si deve, tuttavia, confondere con il dialogo "dialettico" in cui entrambi gli interlocutori sono prevalentemente esseri razionali, le cui conoscenze sono governate dal principio della non-contraddizione. E facile oggi pensare al termine "dialettico" riferendosi a una stretta relazione tra essere e pensare, ad una tecnica che rafforza il potere del giudizio, dellaffermazione della ragione, della valutazione, anche sulla vita degli altri. Un dialogo "dialogico" per la bellezza e la grazia dei suoi principi richiede molti sforzi. Richiede la buona volonta di andare oltre le categorie, i concetti e gli stereotipi che formano in prevalenza le basi della nostra cultura occidentale.