Brandi, viandante dell’arte e del
mondo
di Gian
Luigi Verzellesi
Estro e sapienza, arguzia e
sottigliezza in un "occhio di lince" al servizio
della cultura
Nel centenario della nascita, la sua figura di
critico e storico giganteggia nel panorama del
Novecento per competenza, rigore e acume
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Per
rievocare Cesare Brandi (Siena 1906- Siena 1988), nel
centenario della nascita, si è poi costituito un
comitato nazionale, presieduto da Antonio Paolucci; si
sono aperti e si apriranno convegni, non soltanto in
Italia, e rassegne d'arte a Roma, Bologna, Siena, Città
di Castello, Bagheria e a Vignano (nella villa donata
dallo studioso senese al Comune di Siena). Iniziative
felici, doverose e promettenti: specialmente se
riusciranno a mettere nel giusto risalto la figura
poliedrica di Brandi, così come si è progressivamente
rivelata nel corso d'una ricerca laboriosissima,
sorretta dall'intento " irriducibile " (così lo definiva
Lionello Venturi) di esaminare e riesaminare un tema
cruciale ricorrente, che riguarda l'"opposizione dura,
latente ma costante, fra la vera humanitas e la civiltà
moderna".
Queste parole di Brandi forse bastano a rilevare la sua
affinità a quella cerchia d'intrepidi pensatori del
dissenso (come Benda, Huizinga, S. Weil, Bernanos, E.
Zolla, Lorenz, Popper...) che hanno preso le distanze
dagli intellettuali " organici " d'ogni specie per
continuare la ricerca sulle vie, strette e difficili,
che possono consentire l'uscita dalla tendenza
all'inerzia conformistica in cui cresce la filosofia
della futilità, sorda ai " diritti umani " e incline a
moltiplicare " i bisogni artificiali " e "i consumi di
moda".
Di questa filosofia, imperversante da decenni, Brandi è
stato critico acuto e instancabile: non soltanto nei
libri d'estetica e critica d'arte, ma anche nelle pagine
che consentono di apprezzare la vena rievocativa di un
sensibilissimo osservatore viaggiante, che dal 1954
(quando esce il memorabile «Viaggio nella Grecia
antica») ha continuato ad allungare il suo occhio,
curioso e rivelatore, ora nella quiete soleggiata delle
«Città del deserto» (1958), ora nelle piccole e grandi
meraviglie enunciate nei capitoli di «Pellegrino di
Puglia» (1960), «Verde Nilo» (1963), Martina Franca
(1968); o nelle pagine più incisive di «A passo d'uomo»
(1970), «Budda sorride» (1973), «Persia mirabile»
(1978), «Diario cinese» (1982).
In questi avvincenti resoconti di viaggi (di recente
ripubblicati da Editori Riuniti), così come nei libretti
dedicati all’Umbria («Umbria vera»-1986) e a Siena
(«Aria di Siena», 1986) Brandi, come "massimo teorico
mondiale del restauro conservativo", non se ne sta a
bisbigliare in penombra; ma consente all'estro balenante
dello scrittore di manifestarsi in una miriade di
notazioni che illuminano squarci di vita vivente, scorci
di bellezza segreta e fuggitiva, angoli di silenzio, in
cui, inopinatamente, il senso di umanità rifulge come un
granello di luce in una nicchia d'ombra protettiva.
Nell'ambito letterario, la presenza di Brandi poeta è
affidata a tre libri (le «Poesie» del ’35, «Voce sola
del ’39», «Elegie» del’42) ma spunta anche nel campo
degli studi artistici: nei quali la figura dell'estetologo
emerge netta già nel «Carmine o della pittura» del '45
(segnalato positivamente dal severo Croce) e si
sviluppa, mantenendo un'inconfondibile omogeneità di
fondo, in tre testi fondamentali: «Segno e immagine» del
’60 (ripubblicato nel 1986 e nel 2001 in Aesthetica
Edizioni), «Le due vie» del '66 (ed. Laterza) e «Teoria
generale della critica» del ’74 (ripubblicata nel '98 da
Editori Riuniti).
In «Segno e immagine» ("un classico dell'estetica del
900" secondo Luigi Russo) è impostata la distinzione
fondamentale tra la realtà dell'arte, costituita dalla
sua presenza stilistica o formale (che si realizza in
figure da apprezzare nella loro specifica consistenza
autonoma), e quella del segno (come veicolo di
significati, messaggi, informazioni che riducono le
figure qualitative dell'arte a segno di qualcos'altro).
Da questa premessa nasce la progressiva elaboratissima
indagine brandiana, che mira a chiarire il rapporto tra
segno e immagine, così come si è realizzato nelle opere
delle più diverse culture e situazioni storiche: dalla
preistoria alla civiltà egiziana, all'iconografia
bizantina; dal manierismo alle tendenze novecentesche,
fino alle ultime riesaminate in una smagliante sintesi
del 1978, che conclude il secondo volume degli «Scritti
sull'arte contemporanea» (ed. Einaudi).
Nelle pagine dense del libro intitolato «Le due vie» (di
cui Eco segnalava la "coraggiosa inattualità" avversa
alla moda semiologica) e in quelle in cui è svolta la
«Teoria generale della critica», la tesi impostata in
«Segno e immagine» risulta riformulata e corretta: al
precedente rifiuto della tendenza "astratta" subentra
una soppesata e complessa riconsiderazione volta
all'apprezzamento di artisti come Afro, Burri, Rothko.
L'impostazione teorica ha subito qualche modifica non
trascurabile; ma gli interventi sull'arte contemporanea,
posteriori alla «Teoria» del '74, attestano che anche
gli ultimi sviluppi della ricerca brandiana ribadiscono
sostanzialmente la conclusione già espressa in «Segno e
immagine»: il panorama artistico novecentesco mostra una
situazione di insofferenza formale e di persistente
sopraffazione del segno sull'immagine. "Ricollegandosi
per i nove decimi a Duchamp, a Man Ray e al Dadaismo"
(si legge in «Ancora la fine dell'avanguardia» del
1978), l'andamento artistico s'accontenta generalmente
di un regime di adeguazione o ripetizione: anche nel
corso della nuova figurazione, della body-art, dell'arte
concettuale e della cosiddetta Nuova Pittura o di quella
dei transavanguardisti, abbarbicati ai precedenti da cui
non riescono a staccarsi. Queste conclusioni attestano
il flusso eversivo delle differenziate tendenze
dominanti e sono, certo, da riesaminare in rapporto a
eventuali nuovi sviluppi imprevedibili. Ma sono
conclusioni coincidenti con quelle dichiarate dalla
pattuglia degli osservatori più dotati, che comprende
Arnheim, Gombrich, Barthes, Rosenberg, R. Klein, Gadamer...
Quest'ultimo, in un'intervista pubblicata nel 1989, non
ha affermato che "di di tutto quello che viene prodotto
e così ingenuamente esaltato" dai pubblicitari, "ciò che
è veramente valido non supera, senza ombra di dubbio, il
cinque per cento"? Dunque il dissenso di Brandi, nei
confronti delle tendenze tardonovecentesche, non è
affatto solitario. Non è frutto di umori apocalittici ma
di argomentazioni altrettanto rigorose, e convincenti,
di quelle che si leggono nella «Teoria del restauro» del
'63 (ed. Einaudi): un prezioso libretto che in sessanta
pagine condensa il risultato di oltre vent'anni di
lavoro, svolto dal '39 (data di fondazione del romano
Istituto Centrale del Restauro) dal giovane direttore,
assetato di cultura adatta a "determinare le condizioni
necessarie per il godimento dell'opera d'arte come
immagine e come fatto storico": da salvaguardare dal
logorio del tempo, dai maltrattamenti di restauratori
inesperti o incauti, e dall'incuria dei politici e dei
tecnici o burocrati che dovrebbero svolgere opera di
tutela.
Su quest'ultimo punto, la lucidità argomentativa di
Brandi "ambientalista" (coraggioso non meno di Antonio
Cederna) spicca nell'antologia dei suoi scritti
giornalistici, raccolti da Massimo Capati sotto il
titolo «Il patrimonio insidiato» (Editori Riuniti).
Scritti vivaci, leggibilissimi, dettati dalla vena
argomentativa di un umanista che ha segnato "una svolta
nell'orientamento dell'estetica contemporanea" (Abbagnano):
ma non si è chiuso nella torre d'avorio, e ha
continuato, con tenacia erasmiana, a svolgere opera di
bonifica etico-culturale: a favore della tutela del
paesaggio e dell'arte come "un insieme indissolubile". E
contro la "spasmodica corsa alla maggiorazione dei
prezzi delle opere d'arte" e "l'universale riduzione dei
valori a valore monetario". Si spera che almeno questi
scritti divulgativi, accanto agli studi
sull’architettura ( raccolti in «Struttura e
architettura» -Einaudi 1967), al «Disegno della Pittura
italiana» (1980) e al «Disegno dell'Architettura
italiana» (1985) editi da Einaudi, non sfuggano
all'attenzione dei lettori più vispi. E magari finiscano
sul tavolo di lavoro degli amministratori civici, e
degli addetti alla difesa dei Beni Culturali, come un
viatico prezioso: per non ripetere tanti errori,
avvistati prontamente e denunciati dall'occhio linceo di
Brandi.
Gian Luigi Verzellesi |
da
L'Arena di Verona
Gian Luigi Verzellesi
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Citazione da
BTA
Gian Luigi Verzellesi è Socio effetivo
dell' ANISA ,
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PER L'EDUCAZIONE ALL'ARTE
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Storia dell'Arte |