Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 
Burnout, psicopatie e antidoti
- di Vittorio Lodolo D`Oria
 

L'abecedario - del 16/01/2004

Nello studiare i casi di disagio mentale più significativi negli insegnanti, mi sono accorto che alcuni termini ricorrono più insistentemente di altri forse perché rappresentativi di quel mondo di esperienze, sensazioni e timori che accompagnano il vissuto dei docenti stremati. Ben lungi dal ritenere l’elenco esaustivo – la lista sicuramente è da allungare, magari col contributo dei lettori – condividerlo con gli interessati può aiutare la comprensione e il dibattito sull’argomento.

“A” come: allarme causato dal rilevante e sempre crescente numero di richieste d’inabilità al lavoro effettuate da insegnanti per questioni psichiatriche; assenze dal posto di lavoro per malattia; alleanza, quella rotta con i genitori e stabilita senza ritegno con i propri figli, ansia vissuta sulla propria pelle; aggressività manifestata nei confronti degli interlocutori; aiuto da richiedere per venirne fuori; amore che rappresenta il vero e unico antidoto al disagio psichico; antidepressivi: vedi alla voce “farmaci”.

“B” come: burnout che solitamente precede la malattia psichica ma già ne contiene il germe; biblioteca, dove vengono confinati coloro che avrebbero invece bisogno di supporto e cure; bizzarrìe come manifestazioni iniziali di un male che “monta”.

“C” come: crollo psico-fisico; cura nella quale poter sperare se intrapresa per tempo; colleghi che ti emarginano anziché aiutarti a condividere il problema; comunità scientifica, assolutamente latitante sulla questione, al punto da non riconoscere nella classificazione delle patologie psichiatriche (DSM IV) il burnout, rendendo impossibile un intervento di prevenzione; censura come provvedimento sanzionatorio che spesso colpisce chi avrebbe invece bisogno di una terapia specifica; Collegio Medico, quello che deve decidere se collocarti a riposo a fronte del tuo stato di salute; crocifisso che talvolta è sinonimo di insegnante ma nessuno sembra accorgersene; considerazione sociale, oramai così bassa da doverla reinventare; conflitti - con colleghi, amministrazione scolastica, studenti e loro genitori - che spesso sottendono una situazione di disagio mentale avanzato; counselling che rappresenta il primo livello d’intervento da parte di un operatore sanitario; capacità critica, quella che si perde col progredire della malattia; colpa, ovviamente della scuola se il figlio mangia male a tavola e dice le parolacce.

“D” come: diagnosi medica, spesso imprecisa, incomprensibile e - talune volte - di comodo; dirigente scolastico: colui che talvolta si improvvisa psichiatra (al lettore immaginare le conseguenze); depressione, che insieme all’ansia rappresenta il 70% delle patologie psichiatriche degli insegnanti; denuncia, quella che spesso viene sporta da studenti e genitori a carico d’insegnanti oramai sprovvisti di ogni forma di autocontrollo; dispensa dal servizio: è mèta agognata dei docenti spossati e ultima risorsa per quelle amministrazioni scolastiche alle prese con veri e propri casi psichiatrici.

“E” come: educazione, abbandonata dalle famiglie, delegata alla scuola, in pratica inesistente; emarginazione, come atteggiamento più comodo e immediato nei confronti di chi è in grave difficoltà; evitamento, la più classica delle sindromi per sfuggire a una situazione che procura ansia.

“F” come: famiglia, che accusa scuola e docenti di tutto il male che è nei giovani (il bene promana ovviamente dalla famiglia stessa); follia, il risultato di una situazione di burnout trascurato; fobie immotivate, sono percepite come reali per incombenti minacce; formazione, appare indispensabile soprattutto quella di tipo pedagogico; farmaci: un ottimo ausilio nel contrastare il disagio, ma solo se somministrati con raziocinio e soprattutto se considerati supporto terapeutico e non soluzione a tutti i mali; futuro, una parola difficile da proferire con serenità alla luce della situazione.

“G” come: Getsemani che ha dato il nome – per scontate analogie con la storia del Maestro - al primo studio al mondo che ha provato una relazione diretta tra patologia psichiatrica e professione insegnante; Golgota, come conseguenza diretta al Getsemani in ossequio all’attuale crocifissione del docente; genitori: viene da chiedersi se non siano più in crisi degli stessi insegnanti (non oso pensare poi la condizione poco invidiabile di chi è genitore-insegnante); guarigione: dopo il venerdì di passione, che ha condotto il Maestro attraverso il Getsemani e quindi sul Golgota, non disperiamo ricordando che l’epilogo è comunque rappresentato dalla Pasqua di resurrezione (almeno per coloro che ci credono).

“H” come: hell cioè inferno, esattamente il posto dove ti sembra d’essere quando ansia e depressione s’impadroniscono della tua vita (professionale); help, proprio quello che manca dalle istituzioni.

“I” come: Istituzioni (da compilarsi a cura del lettore); inabilità al lavoro: il risultato di una situazione misconosciuta o peggio negata; insegnante, sinonimo di “poveretto”; ispettore, colui che è mandato dal MIUR - al posto dello psichiatra - a dirimere controversie che scaturiscono da problematiche mediche; isolamento, ciò che si ottiene confinando i docenti “provati” in biblioteca.

“L” come: lavoro che in realtà si è trasformato in lotta contro tutto e tutti; latitanza: quella di Istituzioni e comunità scientifica di fronte al problema.

“M” come: mobbing o mania di persecuzione: spesso – e non per caso – coincidono, cambia solo il punto d’osservazione; manicomio: oggi ne non esistono più, abbiamo le biblioteche che espletano la medesima funzione.

“N” come: negazione del problema da parte di tutti, in fondo sta bene così.

“O” come: l’iniziale del prof. che provava una tale ansia all’inizio di ogni giornata di lezione che si defecava regolarmente addosso. Grazie alla segnalazione degli studenti al dirigente scolastico giunse di fronte al Collegio Medico che lo ritenne “idoneo all’insegnamento”.

“P” come: (sembra il titolo di una delle più belle canzoni di Concato ma non lo è) psicopatie, esattamente quelle di cui si parla nello studio Getsemani e che – guarda caso -sono contemplate dal famigerato DSM: dunque, professori e studiosi mettersi all’opera; prevenzione: quella che non si farà mai se si va avanti di questo passo; pensione: rimane la speranza dei più robusti che sopravviveranno al martirio della docenza; preside e provveditorato: termini desueti.

“Q” come: querulomania, dalla quale è affetto chi ha predisposto la risposta all’interpellanza parlamentare urgente presentata da 34 deputati sensibili al disagio mentale negli insegnanti.

“R” come: rabbia per la riforma che non prevede alcuna iniziativa di ricerca sull’argomento né programmi di reinserimento e riabilitazione al lavoro degli “scoppiati” (sempre e solo biblioteche).

“S” come: stereotipi nutriti dall’opinione pubblica sul mestiere degli insegnanti; studenti come croce e delizia di un milione di italiani (all’85% italiane); sintomi da somatizzazioni fino ad arrivare anche al suicidio nei casi più disperati (ricordate la Prof. dell’Istituto D’Oria di Genova – per ironia della sorte porto lo stesso nome della scuola - che alcuni anni fa si defenestrò a giugno durante l’ultimo scrutinio?); e poi ancora sanzioni e solitudine come unico destino per chi cede con la psiche stremata; e – dulcis in fundosindacati, quelli in cui, per statuto, è riposta, fino ad oggi invano, la speranza che qualcuno vorrà proteggere l’incolumità psicofisica dei lavoratori.

“T” come: trasferimento (per incompatibilità ambientale), soluzione cui più spesso ricorrono i dirigenti scolastici passando la “peppa” ad altro istituto ignaro del “pacco” in arrivo: perdono tutti – insegnante disagiato compreso – ma chissenefrega; TSO, che in gergo medico significa trattamento sanitario obbligatorio, cioè ricovero coatto in reparto psichiatrico; terapia, quella che talvolta precede ma spesso segue il TSO; tardi, esattamente ciò che stiamo rischiando di fare.

“U” come: usurante sembra essere la professione nonostante i “3 mesi di vacanza all’anno e la mezza giornata di lavoro”. Figuriamoci se la vacanza fosse ridotta a 25 giorni. Non resta che provare se ciò ci aggrada.

“V” come: verità da ricercare sulla questione restituendo valore e dignità al mestiere.

“Z” come: Zorro, non rimane che sperare nel suo salvataggio visto come stanno le cose


Scuola di follia del 31/12/2003

“Sono gli insegnanti a diventare pazzi o solamente i pazzi vogliono fare gli insegnanti?”. Questa era la domanda-battuta che oramai circolava tra colleghi, al termine di ogni collegio medico che stabiliva l’inabilità al lavoro dei dipendenti appartenenti alla Pubblica Amministrazione. Infatti, quando era tra noi lo specialista psichiatra per analizzare i casi di sua competenza, la metà dei pazienti risultava essere inevitabilmente “insegnante”.
“Poveri studenti” commentavamo all’unanimità, ma la cosa finiva lì in attesa della successiva convocazione. Fu solamente quando cominciai ad insegnare – per passione s’intende - che mi sorse l’atroce dubbio: che non si tratti di un mestiere “psichicamente” usurante? Infatti un giorno, rientrando a casa da una interminabile giornata di docenza, per rilassarmi, avevo preparato le mie due figlie per uscire a mangiare un gelato. La cosa sarebbe stata del tutto normale senonchè, sull’uscio di casa, mi fu fatto notare dalla maggiore che, avevo scordato il terzo fratellino di pochi mesi (da me totalmente rimosso per stanchezza), che giaceva addormentato nella culla in sala da pranzo. Ci levammo tutti il cappotto e facemmo dietro-front.
Per evitare simili dimenticanze oggi lo screensaver del mio computer mostra una foto di famiglia dove al momento risultiamo essere in sei (ultimo aggiornamento settembre 2003).
Quell’episodio mi indusse a prendere sul serio la questione e a studiarla in modo approfondito. Ma più studio e più mi rendo conto che nessuno conosce il fenomeno né tantomeno sa come fare ad affrontarlo. Gli insegnanti - ad esempio - non sanno cosa significhi la parola burnout e quando lo scoprono pensano che riguardi solamente il collega. I medici di famiglia - che in media hanno tra i propri assistiti 20 insegnanti ciascuno - spesso dimenticano addirittura di chiedere quale mestiere esercita il paziente (pur rientrando, tale domanda, nella cosiddetta anamnesi fisiologica), ritenendo di pote r passare direttamente alla prescrizione del Prozac di turno. Relativamente agli psichiatri basti ricordare quanto mi disse un esimio primario quando gli mostrai i risultati dello studio Getsemani: “Ora capisco perché molti dei miei pazienti sono insegnanti”. Studenti e famiglie poi vanno alla personalizzazione dello scontro col docente in difficoltà, tirando in ballo l’immancabile avvocato che minaccia denunce e querele.
Chi è dunque chiamato a tirare le somme per venire a capo di un’intricata vicenda come quella del docente “pazzo”? Ovviamente colui che, per legge e in quanto manager, è chiamato a gestire il personale docente, salvaguardando il numero degli iscritti e soprattutto il buon nome della scuola: il dirigente scolastico.
Questo pover’uomo (anche se di sovente è “donna”), solo di fronte a un problema non suo (o almeno “non del tutto suo”), talvolta s’improvvisa psichiatra azzardando diagnosi mediche, oppure chiede l’intervento dell’ispettore del Ministero, o più furbescamente invita il malcapitato a chiedere il trasferimento per non vedere macchiato il proprio stato di servizio, o ancora avvia provvedimenti disciplinari che di terapeutico hanno assai poco.
Vediamo dunque nella realtà due comportamenti tipici di un dirigente scolastico (DS) alle prese con un insegnante problematico.
DS: “…ho richiesto più volte la visita medico-collegiale in quanto convinto che il caso di ZA non sia trattabile a livello disciplinare. Si tratta di comportamenti che hanno un’origine non tanto in una volontà di violare alcune regole o doveri professionali, ma in una patologia mentale: l’insegnante è intimamente convinta di essere chiamata a combattere contro l’ingiustizia e per queste sue battaglie è disposta a tutto. Vive e rifiorisce solo se tutti la trattano come pecora nera, diffida di chi cerca di aiutarla. Non può mai fermarsi perché nuove cause, nuove denunce la sospingono. Le stesse sanzioni disciplinari nella loro esasperante ritualità di deduzioni e controdeduzioni, ricorsi e audizioni in qualche modo la gratificano permettendole di attivarsi, malassistita dal suo avvocato, in denunce che spesso raggiungono tutti senza sortire effetto alcuno. In nove anni non ha saputo presentare un solo ricorso gerarchico o amministrativo sia per il trasferimento d’ufficio, sia per le varie sanzioni disciplinari subite…”.
Tuttavia, dopo aver sostenuto che si tratta di caso psichiatrico, il DS esasperato si contraddice affermando di “… non ritenere possibile perseguire la strada della dispensa dal servizio per inidoneità all’insegnamento” e invoca “sanzioni disciplinari adeguate per i comportamenti di ZA, tenuto conto che vi è anche l’aggravante della recidiva”.
Nel caso analizzato la diagnosi non è mai stata posta in quanto l’insegnante non si è mai presentata a visita medica ed ha raggiunto l’età pensionabile.
In un altro caso il DS stesso finisce per restare vittima dell’intervento dell’ispettore m inisteriale - richiesto a carico di una docente - che scrive: “…la compromissione del profilo professionale della docente FMA è da ricercare in problemi verosimilmente collocabili sul versante dell’equilibrio psicofisico ed è pertanto opportuno disporne in via cautelativa la sospensione provvisoria”. Vengono però mossi addebiti anche al dirigente scolastico in quanto ritenuto responsabile “…d’imperizia nell’affrontare il caso, che avrebbe determinato in buona misura il grado di tensione e di preoccupazione riscontrato nella scuola. Basta leggere le accorate richieste indirizzate al dirigente dell’ufficio competente del Provveditorato per capire la totale inadeguatezza a gestire un siffatto caso: “… Questo è un problema di fobie e di relazione. FMA ha delle fisse e delle manie per cui, anche se si cerca di spiegarle alcune cose, non capisce. Genitori ed insegnanti si attendono risposte da me: cosa fare? Come muoversi? Come cercare di non perdere altra utenza? Chi edo pertanto un vostro supporto, attraverso suggerimenti e procedure, al fine di gestire al meglio la situazione. Chiedo infine, se possibile, di sollecitare chi di competenza, per la definizione del caso”…”.
Non occorrono altre parole per sottolineare la delicatezza dei casi e la totale impreparazione ed impotenza ad affrontarli, ma aggiungerò soltanto che lo stesso collegio medico, senza un’adeguata segnalazione da parte dell’amministrazione scolastica di competenza, rischia di assumere un provvedimento inadeguato alla circostanza.
Si tratta dunque di un gioco a perdere se non si apre il dibattito tra le parti – tutte quelle in causa - per trovare una soluzione dignitosa per insegnanti e utenti del servizio scolastico.
Chi vuole dire la sua, raccontando esperienze o suggerendo soluzioni, è, al solito, il benvenuto.
 


 

La psicotèca
Ho dovuto riflettere un po' prima di decidermi a dare il titolo a questa nuova rubrica che Proteo - coraggiosamente - mi ha proposto di ospitare. In seconda battuta ho pensato a come avrei dovuto esordire, nel tenere la rubrica, per partire col piede giusto. Senza dubbio non sbaglio - mi sono detto - se chiarisco i termini del problema, che poi danno il titolo alla rubrica stessa, mostrando gli elementi di contiguità che esistono tra loro.
La prima parola - burnout - è inglese e significa letteralmente "bruciato fuori", ma in italiano la traduzione corretta è "scoppiato". Si tratta di una condizione - non una sindrome - che è oramai descritta in modo approfondito da numerosi lavori scientifici pubblicati nel mondo anglosassone. Essa è caratterizzata da:

 

  • affaticamento fisico ed emotivo (emotional exhaustion and fatigue)
  • atteggiamento distaccato e apatico nei confronti di studenti, colleghi e nei rapporti interpersonali (depersonalisation and cynical attitude)
  • sentimento di frustrazione dovuto alla mancata realizzazione delle proprie aspettative (lack of personal accomplishment)
  • perdita della capacità di controllo degli impulsi (reduced self-control).


La seconda parola - psicopatie - non necessita di traduzione perché è italiana e tristemente nota.
Quello che è ignoto, infatti, non è tanto il suo significato ma il fatto che abbia qualcosa a che fare con i professionisti per la quale questa rubrica è pensata: gli insegnanti. Mi spiego meglio. Le pubblicazioni scientifiche che parlano di burnout negli insegnanti e nelle professioni di aiuto (le cosiddette helping professions) sono ad oggi più di 6.000 nella letteratura internazionale. Ben diverso è lo scenario riguardo alle psicopatie nella classe docente. Uno solo - al momento - è lo studio che pone in diretta correlazione l'esordio di psicopatie con l'esercizio della professione insegnante. Al momento - ma ancora per poco - lo studio Getsemani (così l'ho voluto chiamare per le numerose analogie con la storia del Maestro) è l'unico a soste nere che, in controtendenza con gli stereotipi diffusi nell'opinione pubblica, la categoria degli insegnanti è soggetta a una frequenza di patologie psichiatriche pari a due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operai.
Un secondo studio, con i medesimi risultati, sta per essere pubblicato quasi ad indicare che non si tratta di una sfortunata coincidenza, ma di una disgraziata realtà che abbiamo volutamente ignorato.
Si, volutamente e non per una fatale dimenticanza. La prova? Eccoci serviti: dall'unico studio italiano, condotto addirittura nel 1979 dal sindacato CISL con l'Università di Pavia, emergeva che mediamente il 29% dei 2.000 insegnanti intervistati nell'area milanese faceva uso di psicofarmaci (ma i docenti della periferia urbana sfioravano il 34%) mentre il 32% ricorreva a prodotti "ricostituenti". Aggiungiamo inoltre come gli psicofarmaci di allora fossero decisamente meno "ma neggevoli" di quelli che oggi sono sul mercato e come negli ultimi tre anni sia praticamente raddoppiata la vendita degli stessi anche per lo scivolamento prescrittivo dal medico specialista al medico di base. Il seguito della scoperta è stato un silenzio assordante.

Antidoti è il terzo termine che si ritrova nel titolo della rubrica. Il significato è chiaro, ma i contenuti sono tutti da immettere. Qual è infatti la soluzione a questa difficile condizione professionale? Chi riguarda? Cosa la genera? Chi è titolato a metterci le mani? Chi la deve riconoscere e validare scientificamente per affermarne l'esistenza (passaggio chiave)? Chi la deve curare e chi ancora prevenire e studiare? Insomma, a chi spetta pelare questa gatta? All'insegnante? Ai colleghi? Al dirigente scolastico? Ai sindacati? Al MIUR? Al Ministero della Salute? Allo psichiatra? Allo psicologo? Al medico del lavoro? Al medico di famiglia? Alla famiglia stessa? Allo studente? O non piuttosto a tut ti - stando però attenti a non pasticciare la già delicata materia - stabilendo prima del dibattito priorità di questioni e ruoli per un proficuo approfondimento? La sola cosa certa è che nessuno può tirarsi indietro, ignorarla né tantomeno credere di poterla risolvere da sè. Dopo anni di studio sull'argomento, abbozzo un sorriso amaro di fronte alla questione se mantenere il crocifisso appeso nelle aule, mentre non ci accorgiamo che questi gira tra i banchi insegnando. Tutti i docenti - così come i collegi medici per l'inabilità al lavoro ai quali appartengo - sanno bene che quando un insegnante è irrimediabilmente bollito, lo si manda in biblioteca lavandosene le mani e isolandolo in una sorta di Cayenna dalla quale non riemergerà facilmente. Basaglia ha chiuso i manicomi e le biblioteche si stanno riempiendo. Forse un giorno - se continueremo a ignorare il problema - avremo il coraggio di essere meno ipocriti chiamandole più correttamente psicotèche. Ma la prospettiva non mi confo rta e questa rubrica nasce per condividere i risultati degli studi sull'argomento, le riflessioni e quelle poche certezze che costituiranno una base sulla quale costruire. Chi vuol partecipare col proprio contributo è il benvenuto. Critiche, insulti e congratulazioni sono parimenti stimolanti. Bestemmie no, il Maestro ha ricevuto fin troppi insulti gratuiti. Nel Getsemani appunto.

vittorio.lodolodoria@fastwebnet.it


La pagina
- Educazione&Scuola©