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La lezione di Cézanne agli artisti novecenteschi
di Gian Luigi Verzellesi A 100 anni dalla morte si rievoca la sua figura che, nell’ambito della pittura dell’800-’900, spicca con un risalto etico-artistico netto come quello di Masaccio nel Rinascimento
Rievocare Paul Cézanne (1839-1906), a cent'anni
dalla morte, è quasi impossibile: si rischia di sottovalutare che la sua
figura differisce da quelle degli artisti d'oggi, così profondamente
condizionati dalla predominante "insofferenza formale" connessa
all'estetica del brutto. "L'arte - diceva Cézanne a Emile Bernard - è un'appercezione personale. Io pongo tale appercezione nelle sensazioni e domando all'intelligenza di organizzarle in opera". Il frutto di questa lucida convinzione si coglie nei dipinti, che " danno l'impressione di un ordine nascente, di un oggetto che sta comparendo " (Merleau-Ponty) e si è trasfuso in una figura (talora una vibrante filigrana cristallina, come in certi stupendi acquerelli): tanto cresciuta, al di là delle prescrizioni antiche o moderne, fino a conseguire "lo strano potere d'insegnarsi da sé" grazie alla sua specifica trama visiva. In tanti dipinti di Cézanne è proprio questa trama che ribadisce senza forzature il proposito programmatico di trasformare l'Impressionismo in " qualcosa di solido e duraturo come l'arte dei musei ". In qualcosa che, nelle opere più intense, raggiunge "uno stato di grazia colorata " per certi aspetti analogo a quello raggiunto da Paolo Veronese nelle Nozze di Cana del Louvre: opera contemplata da Cézanne "in estasi" (Gasquet) sussurrando parole d'ammirazione per quel maestro sommo nell'arte di trasfondere "la pienezza dell'idea nei colori" meravigliosamente modulati nel rappresentare figure che risultano "gioiose come se avessero respirato una musica misteriosa" o "rivestite d'una dolce gloria" sotto la "medesima luce attenuata e calda".
A queste
note d'entusiastico consenso, Cézanne fa seguire un verdetto secco e
tagliente: rispetto alla forza degli antichi pittori veneziani, "manca
qualcosa nei moderni": David, Ingres, Degas, Manet... non reggono al
paragone con Rubens, con Tintoretto, con "i quattro o cinque grandi di
Venezia", con gli spagnoli più ricchi di talento. Queste predilezioni
appassionate possono far intendere al lettore che la poetica di Cézanne
(così sottilmente anticheggiante) è antitetica a quelle connesse alle
disparate tendenze moderniste della seconda metà del Novecento:
specialmente a quelle più eversive, riproposte di recente e portate alle
stelle, sia nelle "fiere" d'iniziativa mercantile, sia nelle rassegne
frettolosamente encomiastiche dedicate al Dadaismo, all'Informe e
all'Informale. Ma per rammentare l'apollinea autorevolezza di Cézanne (nella speranza che non si disperda nelle nebbie del relativismo d'oggi, rumoroso e spesso così povero d'inventiva), forse bastano due testimonianze soltanto. La prima è offerta da Matisse, che a vent'anni compra un dipinto di Cézanne, e tanti anni dopo, nel 1936, lo dona a un amico, direttore del Museo del Petit Palais, con queste parole: "quest'opera mi ha sostenuto moralmente in momenti critici; vi ho attinto fede e perseveranza"! La seconda testimonianza consiste nel giudizio emblematico espresso da un principe della critica d'arte, Erwin Panowsky (1892-1968), certamente inviso ai modernisti d'ogni specie, ma pronto a riconoscere (tra la silenziosa costernazione degli accademici e del pubblico svagato) che, per il flusso di energia che irradia sull'osservatore sensibile, "una natura morta di Cézanne non è soltanto bella quanto una Madonna di Raffaello ma è altrettanto ricca di contenuto" o senso espressivo. Gian Luigi Verzellesi
da L'Arena di Verona Dello stesso Autore In Arte per Arte di Interlinea
Citazione da BTA Gian Luigi Verzellesi è Socio effetivo dell' ANISA , http://www.anisa.it/ , sezione di Verona http://www.anisaverona.splinder.com/
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