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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

da

Edi Rabini

Vi faccio avere questo testo di Alex scritto all'epoca della prima guerra del 1991, dove c'è un bel consiglio su come rottamare i dittatori.

Inoltre la delibera approvata a maggioranza dal Parlamento Europeo.   

 

Le parole  profetiche di Alex Langer sono dedicate a tutti quei giovani che vogliono intraprendere un cammino di affrancamento

da qualsiasi ideologia che ci separi dal concetto più ampio di bene comune.

CONTRO LA GUERRA CAMBIA LA VITA

di Alex Langer  (1991)

 

...."Se tutto uno stile di vita (consumi, produzioni, trasporti, energia, banche...)

nel quale siamo largamente coinvolti,

per potersi perpetuare ha bisogno di condizioni assai ingiuste che regolano le relazioni tra i popoli e con la natura,

bisognerà

dunque intervenire "a monte"

e mettere in questione la nostra partecipazione (anche individuale)

ad un "ordine" economico, politico, sociale, ecologico e culturale

che rende necessarie le guerre che lo sostengono."




Quanti oggi si disperano per non essere riusciti a prevenire prima ed a fermare poi la guerra nel Golfo, si trovano in buona ed illustre compagnia: il Papa ed il Segretario delle Nazioni Unite aprono il lungo corteo di coloro che non si rassegnano facilmente al fatto che la parola sia passata alle armi, che la guerra, "avventura senza ritorno", sia poi effettivamente scoppiata.
 E più si sperimenta l'impotenza di milioni di persone comuni e di migliaia di esponenti rappresentativi delle più diverse istituzioni, chiese, associazioni, sindacati, partiti e persino Parlamenti che invocano la fine della guerra, ma non riescono a farsi ascoltare, più ci si domanda cosa di efficace oggi si possa fare di fronte a gravi ingiustizie internazionali, senza affidarsi alla prova di forza militare.

E se l'Occidente sviluppato e progredito non riesce a trovare risposte a questa domanda, come si può sperare che altri nel mondo, di fronte ad occupazioni ingiuste, gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, minacce, atti di forza, soprusi, ecc. non cerchino in tutti i modi di ristabilire anche loro con piccole o grandi guerre (e col terrorismo, per chi  non dispone del timbro di alcuno stato per legittimare la propria violenza armata) i loro diritti violati?

Come pretendere dai palestinesi, dai kurdi, dagli abitanti del Kashmir, dai ciprioti, dagli armeni, dai tibetani, dai popoli baltici e da tanti altri di respingere la tentazione della violenza come mezzo per affermare i loro diritti violati?
Tanti pesi, tante misure, ed alla fine ogni volta, quando parlano le armi, finisce per affermarsi semplicemente la legge del più forte, che sia nel giusto o nel torto.

Il "pacifismo gridato" (così lo ha chiamato il card.Martini di Milano) esprime la rabbia e la frustrazione di chi sente questa impotenza, ma davvero non sfugge facilmente all'accusa di usare anch'esso pesi e misure diverse, a seconda di chi si tratta di condannare o approvare.

Chi però non rinuncia a considerare la guerra comunque, ed oggi ancor più di ieri e dell'altro ieri, una sconfitta dell'umanità che finisce per provocare mali maggiori di quelli che pretende di curare, non può rassegnarsi ad accettare che ci siano situazioni che solo con la forza bellica si possono risolvere.

Sono due le linee di azioni che a questo punto sembrano degne di esplorazione approfondita.

La prima aiuta a superare il "pacifismo (solo) gridato" e potrebbe essere sintetizzata con un motto formulato dalla "Campagna nord-sud": contro la guerra, cambia la vita.

 La seconda riguarda il ricorso alla "forza", senza che ciò debba essere sinonimo di guerra, un problema che i non-violenti da sempre pongono e che non può ridursi all'alternativa tra subire o fare la guerra.

Contro la guerra, cambia la vita: le guerre scoppiano "a valle", quando tutta una infausta concatenazione di soprusi, violenze e fallimenti si è già prodotta e sembra diventata irrimediabile;
 i popoli, la gente comune, sono poi chiamati a pagare il conto finale senza aver potuto intervenire sulle singole voci che lo hanno via via allungato.

Ma dinnanzi al fallimento della politica e della negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognerà pur rafforzare gli "anti-corpi" a disposizione di ogni singola persona per prevenire le guerre e per non lasciarsene, comunque, catturare, una volta che sono scoppiate.

Se tutto uno stile di vita (consumi, produzioni, trasporti, energia, banche...) nel quale siamo largamente coinvolti, per potersi perpetuare ha bisogno di condizioni assai ingiuste che regolano le relazioni tra i popoli e con la natura, bisognerà dunque intervenire "a monte" e mettere in questione la nostra partecipazione (anche individuale) ad un "ordine" economico, politico, sociale, ecologico e culturale che rende necessarie le guerre che lo sostengono.

Se il consenso alla guerra (sotto forma di nazionalismi, razzismi, pregiudizi, stereotipi, ecc.) può con tanta facilità diventare maggioritario - non certo soltanto tra "fondamentalisti islamici"..! - si dovrà intervenire anche qui "a monte" ed allargare una solida base ideale e culturale di disposizione alla pace ed alla convivenza,
disintossicando cuori e cervelli.

 
Se è considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra, non resta che allinearsi ed arruolarsi (materialmente e culturalmente), bisognerà pur che qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di "obiezione alla guerra".
 
Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per "cambiare la vita di fronte alla guerra", nel senso di negarle ogni consenso e sostegno e nel senso di farle mancare - ognuno - almeno un pezzettino di apparente giustificazione.

Più difficile appare oggi la seconda delle linee proposte: sviluppare strumenti "di forza", ma il meno possibile violenti e comunque non bellici.
Di fronte all'occupazione violenta del Kuwait da parte dell'Irak, ed alla sistematica azione degli USA e di alcuni fra i loro alleati per arrivare comunque alla guerra con l'Irak e realizzare una globale "resa dei conti" per impedirgli di nuocere in futuro, la scelta non-violenta a molti sembra andata improvvisamente in  crisi.
 
 La "guerra giusta" è riapparsa solennemente all'orizzonte - questa volta con tanto di voto a schiacciante maggioranza nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU e quindi con la legalità internazionale assicurata.
 
Non poteva mancare qualche vescovo, qualche moralista e qualche elzevirista a benedire il
"Pacifista" è tornato ad essere un sinonimo di fifone, piagnone o alto traditore e cospiratore col nemico, "non-violento" un aggettivo buono per i sognatori.
Lo stesso Papa viene indicato come capofila del "disfattismo", visto che non cessa di denunciare e chiamare a fermare questa guerra.

L'argomento più forte dei sostenitori della "guerra giusta" (magari ribattezzata "azione di polizia internazionale") è di ordine storico-morale: "se Hitler fosse stato fermato già nel 1934, al momento dell'occupazione della Renania, si poteva forse risparmiare al mondo intero la tragedia del nazismo e della seconda guerra mondiale".
Dove per "fermare Hitler" si dà per scontato che si debba leggere "fare la guerra a Hitler". E dove si dimentica che la coalizione anti-Hitler avrà, sì, battuto l'incubo del totalitarismo nazi-fascista, ma rifondato anche - su 40 milioni di morti - un ordine internazionale che ha tranquillamente consegnato mezza Europa ad un altro totalitarismo e l'intero sud del pianeta allo sfruttamento e, in molti casi, a vecchi o nuovi colonialismi e totalitarismi.

Se quindi è giusto fare tutto il possibile per fermare aggressioni, ingiustizie e soprusi, a partire dal chiamarli per il loro nome ed identificarli come tali, non mi sembra invece nè giusta, nè risolutiva l'idea di farne derivare con una sorta di funesto automatismo la sanzione bellica.
 
Piuttosto la guerra nel Golfo (che fin d'ora appare - a dispetto di tutte le censure nell'informazione - ben più "sporca" di quanto non sia stata presentata, camuffata in  geometrica potenza dell'azione chirurgica elettronica) dimostra che si devono inventare nuovi strumenti alternativi e non-violenti, persuasivi ed efficaci, per ridurre il tasso di violenza nel mondo e per risparmiare bagni di sangue (che si chiamino guerra o repressione, che siano internazionali o interni).
 
 Ne provo ad indicare quattro, di cui mi sembra ci sia bisogno (potendoli qui appena accennare, naturalmente):

1) sviluppare l'arma dell'informazione e della disarticolazione della compattezza derivante da repressione, disinformazione, censura;
 
perché non "bombardare" con trasmissioni radio e TV, con volantini, con documentazione, piuttosto che con armi? ("Radio Free Europe" o "Radio Vaticana" hanno fatto probabilmente di più per la destabilizzazione dei regimi dell'est che non le divisioni della NATO)
 
Perchè non fornire supporti ed aiuti ai gruppi impegnati nei diversi regimi totalitari per i diritti umani, piuttosto che fornire armi agli Stati che un giorno si spera facciano loro la guerra?

2) costituire e moltiplicare gruppi/alleanze/patti/tavoli inter-etnici, inter-culturali, inter-religiosi di dialogo e di azione comune, piuttosto che dialogare solo da campo a campo o da blocco a blocco;
è l'abbattimento dei muri, o perlomeno lo sforzo di renderli penetrabili (vedi l'esperienza inter-etnica dell'"altro Sudtirolo"!)
 
Oggi uno dei "buchi neri" in questa crisi è l'assenza di forti legami inter-culturali ed inter-etnici tra arabi ed israeliani, tra Europa e mondo arabo, tra Cristianesimo ed Islam;
non sono quindi da disprezzare anche modesti strumenti quali i "gemellaggi" tra Comuni, Regioni, associazioni, ecc., che avvicinano concretamente i popoli e rendono più difficile il consenso a "bombardare l'altro" (che si accetta di bombardare tanto più quanto meno lo si conosce);

3) lavorare seriamente per un nuovo diritto internazionale e per un nuovo assetto dell'ONU,
 
basato oggi non solo sugli esiti della seconda guerra mondiale (con le sue "Grandi Potenze", i loro diritti di veto, ecc.), ma anche su un concetto ed una pratica di "sovranità degli Stati" poco consono al destino comune dell'umanità. La tradizionale distinzione tra "affari interni" che esigono la non-ingerenza degli altri (per cui torture e massacri non riguardano la comunità internazionale, finchè non scoppia un contenzioso tra almeno due Stati) ed "internazionali" non regge alla prova delle emergenze ecologiche, nè dei diritti umani;

4) chiedere all'ONU di promuovere una sorta di "Fondazione S.Elena" (nome dell'isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori, ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti la possibilità di servirsi di un'uscita di sicurezza prima che ricorrano al bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle
 
 (Siad Barre, Ceausescu, Marcos, Fidel Castro, il re del Marocco, Saddam Hussein... potrebbero o potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per il tutto);
la questione di amnistie e indulti per chi è abbastanza lontano ed abbastanza vigilato da non poter più fare danni, non dovrebbe essere insolubile.

Ho scelto appena alcuni esempi, tra i molti che si potrebbero fare (pensiamo solo alle diverse possibili articolazioni dell'embargo commerciale, sportivo, scientifico, ecc.), perchè sono convinto che oggi il "settore R&S" (ricerca e sviluppo) della non-violenza debba fare grandi passi avanti e non fermarsi solo alle ormai tradizionali risorse della disobbedienza civile.
E la spaventosa guerra in corso non deve farci fare tutti quanti un salto indietro, riammettendo la guerra tra i protagonisti della storia e tra gli strumenti - seppur estremi - della convivenza tra i popoli.
Con il livello odierno di armamenti, di affollamento demografico del mondo e di precarietà ecologica del pianeta comunque non ci può più essere più "guerra giusta", se mai ve ne poteva esistere in passato.

Da "Terra Nuova Forum" - Roma
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da

Interlinea con....

 

percorso didattico per una lettura ipertestuale di:

CONTRO LA GUERRA CAMBIA LA VITA

a cura di Nadia Scardeoni

 

 

"Con il livello odierno di armamenti, di affollamento demografico del mondo e di precarietà ecologica del pianeta

comunque
non ci può più essere più "guerra giusta",
...........se mai ve ne poteva esistere in passato"
 
 
 
 
parole sporgenti

guerra/avventura senza ritorno - terrorismo - tentazione della violenza - diritti violati -
quando parlano le armi... - pacifismo gridato - guerra/sconfitta dell'umanità -  fallimento della politica e della negoziazione -
"anti-corpi" a disposizione di ogni singola persona - "consenso alla guerra" - base ideale e culturale di disposizione alla pace 
 .....disintossicando cuori e cervelli.
- ...almeno un pezzettino di apparente giustificazione - consolidare scelte di "obiezione alla guerra".-  La "guerra giusta".... -  funesto automatismo - censure nell'informazione  -  guerra/camuffata in  geometrica potenza dell'azione chirurgica elettronica ..
 
...inventare strumenti alternativi e non-violenti, persuasivi ed efficaci ..
 

 

 
materiali
da
 

6. La Pace e la Guerra
- in memoria di Alex Langer

 

 

Stralci da alcuni articoli di ALEX LANGER
da "Azione non violenta"

"Dialogo per la convivenza interetnica

…" Imparare a conoscere la lingua, la storia, la cultura, le abitudini, i pregiudizi e stereotipi, le paure delle diverse comunità’ conviventi e’ un passo essenziale nel rapporto interetnico.

Una grande funzione la possono svolgere le fonti di informazione comuni ( giornali, trasmissioni radio, interculturali, plurilingue), occasioni di apprendimento o di divertimento comune, frequentazioni reciproche, almeno occasionali, possibilità di condividere – magari eccezionalmente- eventi "interni" ad una comunità diversa dalla propria (feste, riti, ecc),anche dei semplici inviti a pranzo o a cena.

Libri comuni di storia, celebrazioni comuni di eventi pubblici, forse anche momenti di preghiera o di meditazione comune possono aiutare molto ad evitare il rischio che visioni etnocentriche si consolidino sino a diventare ovvie e scontate…..

Nella coesistenza inter-etnica è difficile che non si abbiano tensioni, competizioni, conflitti: purtroppo la conflittualità di origine etnica, religiosa, nazionale, razziale ha un enorme potere di coinvolgimento e di mobilitazione e mette in campo tanti e tali elementi di emotività collettiva da essere assai difficilmente governabile e riconducibile a soluzioni ragionevoli se scappa di mano:

esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso sono i fattori più dirompenti della convivenza civile che si conoscano (più delle tensioni sociali ed economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l’economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica e la religione……

…….Una necessità si erge imperiosa su tutte le altre: bandire ogni forma di violenza, reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica, che se tollerato, rischia di innescare spirali davvero devastanti e incontrollabili.La cultura della convivenza.

 …..Quando nella convivenza tra diverse comunità etniche( o religiose o razziali) sullo stesso territorio esistono delle tensioni e dei conflitti, ci può essere la tentazione dell’esclusivismo etnico o religioso: la convinzione, che in realtà, le diverse comunità siano tra loro incompatibili e che sarebbe meglio che non fossero costrette alla coabitazione.

Ma se in una simile situazione si lascia crescere o coltivare la reciproca ostilità, i corpi separati, magari anche le milizie etniche o confessionali, e non si radica quindi una normalità fatta di comunità, non ci si deve meravigliare troppo se dalla latente ed immanente ammissione di "incompatibilità" ad un certo punto si passa al conflitto anche violento ed armato…..

Un nuovo pacifismo

La causa della pace non può essere separata da quella dell’ecologia

…..Guardando alle ragioni del breve periodo, ecologisti e pacifisti non possono che apparire velleitari e sostanzialmente perdenti: chiedono entrambi, di rinunciare ad un vantaggio, apparente ma immediato.

"Non" spingere sull’acceleratore del vantaggio militare o economico, "non" spingere la competizione sino a minacciare o addirittura distruggere l’altro, "disarmare" le proprie tecnologie (produttive, militari, ecc), "rinunciare" ad uno squilibrio apparentemente ed immediatamente favorevole alla propria sete di potere e di profitto, ma nel lungo periodo distruttivo non solo per chi ne rimane vittima sul momento..

Le ragioni del lungo periodo, quindi, starebbero di per sé dalla parte dei pacifisti e degli ecologisti, ma nessuno si fida di accogliere nell’immediato, perché assomigliano troppo ad un disarmo unilaterale della propria parte che procura vantaggi alla controparte.

I pacifisti - al pari degli ecologisti – dovranno trovare un modo non solo predicatorio e moralistico per rafforzare le ragioni del lungo periodo contro quelle del breve periodo.

La paura non basta: né la paura della guerra, né quella della catastrofe ecologica. E comunque sarebbe cattiva consigliera.

E anche l’utopia, intesa come quel "completamente altro" che si sa che non è di questo mondo, non basta: rischia di essere buona solo per le occasioni solenni, per le invocazioni liriche.

Bisognerà quindi rendere "attraente" e convincente la pace: quella tra gli uomini e quella con la natura……Contro la logica sviluppista

Se osserviamo i popoli e le regioni della terra che l’hanno fatta a prendere il treno dello "sviluppo" – da Hong Kong a Taiwan, da Singapore all’Iran, dal Brasile alle Filippine – e se poi confrontiamo il loro "sviluppo" con chi è rimasto indietro ed arranca tuttora nel più desolato "sottosviluppo" è difficile dire dove i danni siano maggiori, mentre è abbastanza certo che i benefici siano assai unilateralmente finiti nelle mani di ristretti gruppi sociali che ne sono diventati agenti locali..

Non è un caso, quindi, che nei paesi del Sud del mondo da qualche tempo cominci ad emergere con sempre maggiore chiarezza una critica all’illusione "sviluppasti"…….

…..In altre parole: cresce la critica al miraggio di uno sviluppo che l’esperienza ha dimostrato essere foriero di dipendenza e povertà alla lunga più feroci di quelle derivanti dal "sottosviluppo"Tra espansione e contrazione

….Ci troviamo al bivio tra due scelte alternative: tentare di perfezionare e prolungare la via dello sviluppo, cercando di fronteggiare con più raffinate tecniche di dominio della natura e degli uomini le contraddizioni sempre più gravi che emergono o invece tentare di congedarci dalla corsa verso il " più grande, più alto, più forte, più veloce", chiamata sviluppo , per rielaborare gli elementi di una civiltà "più moderata"

(Più frugale, forse, più semplice, meno avida) e più tollerabile nel suo impatto verso la natura, verso i settori poveri dell’umanità, verso le future generazioni, e verso la stessa "bio-diversità" (anche culturale) degli esseri viventi.La chiamerei una scelta tra espansione e contrazione…..

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I ponti di Alex
(prefazione a "Alex Langer: non siate tristi continuate", Edizioni della Battaglia, settembre 1995)

di Nadia Scardeoni

Apparentemente si individuano alcuni filoni essenziali negli scritti e nell’opera di Alexander Langer, i grandi temi in cui ha riversato la sua rigorosa capacità di analisi storica e la fertilissima carica progettuale.

In realtà, Alex, ci preclude con le sue sintesi un’analisi frammentata, svelando radicalmente e compiutamente l’integrità armonica del suo "essere-pensare-agire", in ogni sua parte.

Alex non è un poeta che effonda il suo sentire, non è un pittore che visualizzi scenari, né un profeta chiuso nella sua profezia.

Eppure ha tutta la tenerezza del poeta, la prefigurazione del pittore, la precognizione del profeta, trattenuto però dal vincolo invisibile ma tangibile del pudore, un’autolimitazione che impone a sé stesso prima di fissarla come indefettibile esigenza comune.

La sua alta capacità discrezionale nell’osservare il degrado esistenziale che affatica l’uomo contemporaneo procede dalla sintesi sapiente che emerge ininterrottamente in quel suo coniugare particolare e universale dentro costanti relazioni simbiotiche.

Vive la prassi dell’uomo che ha individuato nella relazione la struttura esistenziale fondamentale, irrinunciabile nesso per interpretare le lacerazioni e le contraddizioni che generano i processi autodistruttivi dell’uomo che rompe l’unità con se stesso, con i suoi vincoli affettivi, con le sue radici storiche, con il prossimo praticato, con i suoi mezzi di sostentamento, con lo spazio vitale, con le istituzioni.

Delinea un ecosistema pacifico, non protocollabile, ma frutto della volontà degli uomini consapevoli di condividere l’avventura umana, capaci di misurarsi con i propri limiti, pronti a morire quando giunge la propria ora.

Alex è soprattutto un uomo di scienza, di una scienza nuova, ardua, necessaria, costosa perché impraticabile se non a partire da se stessi: "l’ingegneria delle risorse umane", l’ultima speranza e l’ultimo baluardo contro l’ingegneria dell’alienazione "virtuale" che divide, dissipandolo, il cuore dell’uomo.

Ed è dalla sua storia – se possiamo intuire la fatica del vivere separati nella casa comune – da quel suo essere una sorta di laboratorio armonico di organi propedeutici la formazione dei cittadini del mondo, che si innalza la sua creatura: il ponte, la più ardita e la più fragile delle costruzioni relazionali.

Il ponte per il superamento delle diversità, degli ostacoli naturali, delle fratture anche le più violente.

Ovunque le storie degli uomini sono divise e cieche di fronte al loro indivisibile destino, Alex lavora, studia, analizza, progetta, propone.

 

Ed era un fiorire di ponti.

…………

Si tratta ora di sorreggere il "ponte" di Pian dei Giullari, fra Alex e la sua storia.

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ALEX LANGER
L’EUROPA MUORE O RINASCE A SARAJEVO

Cannes, giugno 1995

da "ALEX LANGER, non siate tristi continuate" a cura di Nadia Scardeoni Palumbo, Edizioni della Battaglia - Palermo

 

Siamo andati a Cannes , dunque, a manifestare davanti ai Capi di stato e di governo, per la Bosnia-Herzegovina.

"Basta con la neutralità tra aggrediti ed aggressori, apriamo le porte dell’Unione europea alla Bosnia, bisogna arrivare ad un punto di svolta!"

Non eravamo tantissimi – qualche migliaio appena, e dall’Italia prevalevano pannelliani. Il grosso dei militanti della solidarietà per l’ex –Jugoslava non avevano saputo e forse neanche voluto.

Dalla Spagna invece sono venuti in parecchi, dalla Catalogna soprattutto; dalla Francia molti comitati, pochi o pochissimi invece da Belgio, Olanda, Svezia, Gran Bretagna e Germania.

Dei parlamentari europei molti avevano firmato – la maggioranza dei verdi e dei radicali, significativi democristiani e socialisti, qualche esponente della sinistra, diversi rappresentanti dei berlusconiani europei ("Forza Europa", ora integrati nei gaullisti), liberali e regionalisti. Tanti bei nomi tra i firmatari, dall’ex-commissario ONU Josè Maria Mendiluce , il socialista Sauquillo, M. Rochard, A. Oostlander, G. Malfa, P. Carniti, G. Kinnock, A.Tjani, K. Lalumiere, B.Koucner. Solo una ventina viene poi effettivamente a Cannes, il 26 giugno 1995.Oltre cento rifugiati bosniaci che dall’Italia vogliono raggiungere Cannes, restano invece bloccati alla frontiera di Ventimiglia: "ecco, ancora una volta l'Europa non ci vuole" è l’amaro commento.

Una manifestazione al confine rende almeno visibile il loro intento.

Dopo la manifestazione in piazza, ci riceve Jacques Chirac in persona, una dozzina di noi vengono ammessi a riunirsi con lui mezz’ora prima dell’inizio del vertice: al nostro appello risponde che sì, liberare Sarajevo dall’assedio è una priorità, ma che non esistono buoni e cattivi, e che non bisogna fare la guerra. Ci guardiamo, la deputata verde belga Magda Aelvoet e io, entrambi pacifisti di vecchia data: che strano sentirsi praticamente tacciare di essere guerrafondai dal presidente neo-gollista che pochi giorni prima aveva annunciato la ripresa degli esperimenti nucleari francesi nel Pacifico!

Ed ecco quanto avevamo elaborato e firmato in tanti:

"Dopo tre anni tutti noi, umili o potenti, assistiamo al quotidiano ormai banalizzato di una guerra i cui bersagli sono donne, bambini, vecchi, deliberatamente presi di mira da cecchini irraggiungibili o colpiti da obici mortali che sparano dal nulla.

Ci volevano dunque tre anni e, soprattutto, una presa di ostaggi dei caschi blù, fatto senza precedenti nella storia della comunità internazionale, perché leadership politiche e media europei riconoscessero che in questa guerra ci sono aggressori e aggrediti, criminali e vittime.

Tre anni di una politica inutile di "neutralità" che ci ha privato di ogni credibilità presso i bosniaci e di ogni rispetto da parte degli aggressori.

Ormai siamo arrivati ad un punto di non-ritorno.

O tiriamo le conseguenze che si impongono e rafforziamo la nostra presenza – mandato dei caschi blu, presa di posizione netta di fronte agli aggressori – e, in fin dei conti, rifiutiamo di essere complici della strategia di epurazione e di omogeneizzazione della popolazione della Bosnia, oppure cediamo al ricatto intollerabile delle forze serbo-bosniache, ritirandoci dalla Bosnia ed infliggendo così alle Nazioni unite la loro più grande umiliazione proprio mentre si celebra il cinquantenario della fondazione dell’ONU.

Oggi più che mai in passato, dobbiamo difenderci, in Bosnia, contro coloro che spingono all’epurazione etnica e religiosa come ideale politico e lo impongono perpetrando crimini contro l’umanità.

Se la situazione attuale è il risultato delle politiche disordinate, rinunciatarie e contraddittorie dei nostri governi, l'Unione europea in quanto tale è rimasta muta, impotente ed assente.

Bisogna che l’Europa testimoni ed agisca!

Bisogna che grazie all’Europa l’integrità del territorio bosniaco e la sicurezza delle sue frontiere siano finalmente garantite. Ma ciò non è più sufficiente.

Per recuperare un credito assai largamente consumato, l’Unione europea deve oggi dar prova di un coraggio ed un’immaginazione politica senza precedenti nella sua storia.

L’Europa può farlo, l’Europa deve farlo. Lo deve tanto ai bosniaci quanto a sé stessa. Perché ciò è condizione della sua rinascita.

Andiamo dunque in tanti a Cannes a manifestare ai capi di stato e di governo che:

  • le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, in particolare quelle che garantiscono il libero accesso degli aiuti alle vittime, devono essere applicate
  • l’assedio a Sarajevo ed alle altre città accerchiate deve essere levato e le zone di sicurezza devono essere effettivamente protette
  • i caschi blu non devono essere ritirati, il loro mandato non deve essere ristretto, al contrario la presenza internazionale in Bosnia va rinforzata
  • di fronte ad una politica di sedicente neutralità, noi stiamo dalla parte degli aggrediti e delle vittime
  • nello spirito di solidarietà che deve animare l’Europa che noi vogliamo, la repubblica di Bosnia-Herzegovina, internazionalmente riconosciuta, deve essere invitata ad aderire pienamente ed immediatamente all’Unione europea: "L’Europa - infatti - muore o rinasce a Sarajevo

 Tuzla, maggio 1995

Esattamente un mese prima era stata bombardata la città di Tuzla: si è fatta strage di una generazione, oltre 70 giovani sono stati ammazzati, centinaia di altri giovani feriti. Quattro giorni prima avevo congedato il Sindaco, musulmano e riformista, cioè socialdemocratico, Selim Beslagic, dopo averlo accompagnato per diversi giorni – insieme al deputato Jfudin Tokic, suo compagno di partito – a Strasburgo, a Bolzano e a Bologna.

Il sindaco Beslagic e l’amministrazione "civica, non etnica" di Tuzla – come fieramente amano definirsi – sono considerati universalmente riferimento di pace e di convivenza, di democrazia e di tolleranza. Bene: il giorno dopo il cannoneggiamento della sua città. Beslagic mi ha inviato un fax copia del suo messaggio al Consiglio di sicurezza dell’ONU, con la preghiera di diffonderlo al Parlamento europeo..

"Voi state a guardare e non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardando: se non intervenite per fermarlo, voi che potete, siete complici: è impossibile che non vi rendiate conto"

E se a Strasburgo, a Bolzano ed a Bologna avevamo lavorato con gli ospiti per portare verso la sua realizzazione l’apertura di un’ambasciata delle democrazie locali" a Tuzla 8 ne esiste già una a Osijek) e per progredire con altri progetti ( acquedotto, parti di ricambio per fabbriche, impianto deionizzatore, scambi di giovani, ecc) , di colpo tutto questo perdeva senso e speranza. A che poteva servire tutto ciò, se l’aggressione finiva per seminare l’odio etnico a Tuzla come a Monstar?

Si può fare qualcosa?

Certo, soluzioni facili non ne esistono. E guardarsi indietro serve a poco: non si troverà convergenza tra chi (come il sottoscritto) è convinto che l’Europa abbia fatto malissimo a favorire la disintegrazione della vecchia Jugoslavia (anche da sinistra: l’espressione magica "autodeterminazione nazionale" aveva un forte corso legale in molti ambienti democratici e di sinistra).

Così bisognerà trovare una linea di demarcazione che aiuti a scegliere chi e che cosa sostenere, chi e che cosa contrastare. Questa linea non separa di per sé i serbi dai croati o i cosiddetti musulmani da entrambi, ma potrebbe essere un’altra: è la distanza che separa le diverse politiche dall’esclusivismo etnico (epurazione, espulsioni, omogeneizzazione nazionale, ghettizzazione, discriminazione ed oppressione delle minoranze, integralismi etnico o religioso..)dalle politiche della convivenza, della democrazia, del diritto, della possibilità di essere diversi e far parte di un ordinamento comune, con pari dignità e pari diritti, e senza che, trovarsi in minoranza, debba essere una disgrazia, cui sfuggire quanto prima attraverso la costituzione di un’entità in cui si sia maggioranza.

Nella direzione di quanto si può fare per ricostruire condizioni di convivenza possibile, vi sono alcuni passi necessari. Tutti prevedono. Innanzitutto, che si lavori non "per", ma "con" gli ex-jugoslavi, ed una proposta, una politica sarà tanto più credibile, quanto più riuscirà a convincere insieme i democratici serbi e croati, bosniaci e sloveni, ungheresi ed istriani.

Bisognerà quindi considerare:

  • Ristabilire il valore del diritto: non deve stupire l’insistenza di tanti cittadini della ex-Jugoslavia sul Tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità!
  • La separazione delle responsabilità individuali dalle degenerazioni etniche o politiche e la supremazia del diritto contro l’arbitrio ( e quindi la possibile tutela dei deboli contro i forti) è di cruciale importanza. Come può altrimenti rinascere la fiducia in un ordinamento giusto? Quante volte nell’est europeo si chiede "quali sono le norme europee, quali sono gli standard europei?" per affrontare questo o quel problema! Si vuole una legge che non sia fatta ed imposta semplicemente dal più forte.

La politica di pace più efficace è oggi l’offerta di integrazione: più che qualunque altra proposta o piano di pace, funziona il semplice invito "venite con noi, unitevi a noi".

La smania degli europei dell’est di entrare a far parte della NATO si spiega facilmente come ricerca di sicurezza / ed in fondo la NATO è riuscita a contenere contemporaneamente greci e turchi!).

Se si vuole promuovere pace in una regione nella quale la precedente casa comune si è dissolta, l’offerta più credibile è quella di entrare sotto un tetto comune più ampio e meno condizionato dai rispettivi nemici preferiti. Ecco perché a tutti i paesi successori della ex-Jugoslavia bisogna aprire le porte dell’Europa. A condizione che scelgano la convivenza, al posto dell’esclusivismo etnico, lo Stato democratico invece che etnico.

(Naturalmente questa prospettiva implica che si lavori alla costruzione della casa comune europea, e che l’Unione europea come tale evolva rapidamente in tal senso).

Offrire il massimo del sostegno a chi decide di dialogare, a chi sa reintegrare: tutte le cosiddette trattative di pace hanno, in realtà, rafforzato i signori della guerra, legittimando la loro leadership, consolidando il loro potere, emarginando i loro avversari democratici. Niente o quasi nulla è stato fatto, invece, per sostenere le forze del dialogo, della reintegrazione, della ricerca di soluzioni comuni. Bisognerebbe definire dei veri e propri "premi o incentivi di reintegrazione" (bonus) e sanzioni all’esclusione etnica (malus), sostenere per esempio, quei comuni che permettono il rientro dei profughi o quei gruppi che organizzano iniziative pluri-etniche o pluriconfessionali o quei mezzi di informazione che ospitano anche voci "degli altri", ecc. Anche il sostegno ai disertori del conflitto, a coloro che sottraggono la loro forza personale alla guerra ( e per questo meriterebbero asilo politico), dovrebbero far parte di questa strategia. Bisogna che il dialogo paghi e porti riconoscimenti e sostegni, e che l’esclusione etnica invece si attiri sanzioni e conseguenze negative.

Massimo sostegno, quindi alle diverse reti organizzate che ricostruiscono legami : dai netwoorks di studenti e professori ai gemellaggi tra città, dai comitati per i diritti umani alle organizzazioni degli operatori dell’informazione. Molto potrebbe essere fatto anche tra l’emigrazione ex-jugoslava.

Il ruolo della prevenzione del conflitto : ci sono oggi situazioni di pre-guerra, dove l’esplosione violenta del conflitto può essere , forse, ancora evitata (Kosovo, Macedonia, …) ma dove occorre concentrare grande attenzione, forte presenza internazionale, intensa opera politica e civile. In questi casi si tratta di influenzare l’evoluzione delle cose o in un senso o in un altro, e nulla dovrebbe essere troppo complicato o troppo "costoso" per non essere tentato, visto che in ogni caso un conflitto armato comporterebbe costi umani, politici, economici e materiali assai più alti. Sostenere in queste regioni le forze della possibile convivenza e scoraggiare l’esclusivismo etnico, dovrebbe avere un’alta priorità nell’opera di pace.

Perché non organizzare almeno una parte del volontariato in corpo civile europeo di pace? Esistono oggi decine di migliaia di volontari della solidarietà con l’ex-Jugoslavia, che in questi anni hanno accumulato conoscenze ed esperienza. Molti di loro sono frustrati dall’essere un po’ come la croce rossa che può solo assistere le vittime, senza fare nulla per fermare la guerra. Oggi c’è una forte domanda politica nel volontariato, molti non si accontentano della funzione di tampone che oggettivamente ricoprono. Perché non trasformare questa straordinaria esperienza in un "corpo europeo civile di pace", adeguatamente riconosciuto ed organizzato ed assunto da parte dell’Unione europea per svolgere – sotto una precisa responsabilità politica – compiti civili di prevenzione, mitigazione e mediazione dei conflitti, attraverso opera di monitoraggio, dialogo, dispiegamento sul territorio, promozione di riconciliazione o almeno di ripresa di contatti o negoziati, ecc? Il Parlamento europeo si è recentemente (18-5-1995) pronunciato a favore di un simile "corpo civile europeo di pace", e nulla potrebbe assomigliargli che la ricca e diversificatissima esperienza del volontariato europeo per l’ex-Jugoslavia, che in quasi tutti i paesi ha sviluppato straordinarie capacità, iniziative, competenza e generosità. Resta purtuttavia un "ma" , ed è quel "ma" da cui prende l’avvio l’appello di Cannes. Se, infatti, non arriva qualche segnale chiaro che l’aggressione non paga e che a nessuno può essere lecito partire per le proprie conquiste territoriali e conseguenti omogeneizzazioni etniche, allora ogni altro sforzo civile si sgretola o si logora.A Sarajevo la parola Europa è ormai associata alla parola cetnik, e nulla nella politica europea lascia pensare che davvero si preferiscano stati democratici piuttosto che etnici.Chi non vuole prendere atto di questa realtà, continua a mettere sullo stesso piano Karadzic e Izetbegovic / come fa il manifesto ), e sventola il pur assai promettente inizio di dialogo fra moderati bosniaci e serbi moderati di Pale come dimostrazione che esiste un’alternativa a ciò che viene chiamata la militarizzazione del conflitto.Sejfudin Tokic è uno dei promotori del dialogo di cui sopra. Tokic è il compagno politico di quel Selim Belsagic che ci ricorda che chi non fa niente contro "i fascisti che ci bombardano, è loro complice". Con che faccia continueremo a blaterare di ONU e Osce come futura architettura di pace e di sicurezza, se poi i soldati dell’ONU diventano ostaggi ed il loro mandato consente loro solo la forza necessaria per proteggere se stessi ed i loro compagni?

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3 luglio1996

di Nadia Scardeoni

Io e Alex quasi non ci conoscevamo eppure era come se ci conoscessimo da sempre perché Alex, cittadino del mondo, é in realtà cittadino di un mondo diverso da quello che tutti noi pensiamo.

Alex Langer appartiene alla categoria umana che non tutti conoscono ma di cui è bene prendere coscienza: la categoria degli uomini o donne, soli. Soli perché incapaci di adattarsi ad un sistema di vita che vieta ai bambini di crescere dignitosamente e li obbliga ad investire altrove le loro risorse.

Allora noi ci dobbiamo chiedere perché Alexander è morto.

Io credo che Alex sia morto perché di questo mondo così degradato, così impazzito, così fuori da ogni regola di sopravvivenza, non sapesse più che cosa farsene.

Cerchiamo allora di capire che cosa ci voglia dire con questa sua morte a Pian dei Giullari, lasciando le sue cose ordinate lì accanto, prendendo per sé uno spago e scegliendo un albero così bello come l'albicocco, alto, maestoso, in un pomeriggio di luglio, forse alle tre, così come era morto il padre adorato, perché, forse, ci vuole dire qualcosa.

Oggi, 3 luglio 1996, a distanza di un anno da quel pomeriggio, io voglio ricordarlo così: sforzandomi di capire la sua morte ingiusta, per continuare in ciò che è giusto. E ritengo sia giusto dedicare queste mie riflessioni ai bambini senza futuro, perché è bene che ne prendiamo atto, non c'è futuro per chi viene oltraggiato nell'età dell'innocenza.

C'è solo la fatica di vivere. Credo.

Credo che ci debba essere un momento nella storia in cui ci si debba fermare, quanti più possibile, davanti a ciò che è ineluttabile. Ma che cosa è ineluttabile?

Credo sia ineluttabile il corso suicida della storia contemporanea, l'evidente, condivisa volontà di correre verso la propria morte.

Quale morte?. La morte rimossa esorcizzata della non vita. Ed è con straordinaria consapevolezza che ogni giorno ha la sua dose, ogni ora il suo gusto e il suo piacere.

Sottratta alla vita la prima causa, il dono, non resta che la scienza per apprestare rimedi, sempre più sofisticati.

Così dentro la giungla dei veleni e degli antidoti non c'è più spazio per la normalità e, la normalità, diventa devianza.

Eppure in qualunque punto della storia dell'uomo noi ci troviamo, tutto dice che la fonte della nostra energia vitale è la ricerca della felicità. Esiste uomo sulla terra che desideri essere infelice?

Come sottrarci dall'assurdo esistenziale che la ricerca della felicità sia un rimedio?

Con la fuga, con le norme, con la retorica?

Guardiamo l'età dell'innocenza, la stagione della vita in cui l'energia vitale, pura come in ogni alba chiede solo di disvelarsi.

Lo sguardo è chiaro e dritto, il gesto è armonico, il cuore s'incendia con sincerità, è tutto uno zampillare argentino verso un'estensione di sé che trattenga e accompagni una misteriosa gioia di vivere.

E poi cosa accade?

Arrivano compatte le scienze esatte. Soprattutto la scienza del buon vivere, la più suadente.

Prende per mano la tua vita e ti dice non chi sei, chi vuoi essere, ti dice:" So ben io cosa ci vuole per te, non ti ribellare, ascoltami, seguimi." E dispone con larghezza di mezzi tante trappole vellutate, tanti morbidi trabocchetti per socializzare gli innocenti verso una condotta sempre più decentrata , estraniata dal prezioso anelito che apre libere emozioni, crescita di identità, passaggi di consapevolezza, sintesi di energia vitale.

Ma la scienza è benigna e scaltra e dice:" Vedi un po’ come vanno le cose! qui c'è una caduta d'interesse! qui c'è malessere! mio Dio questo sta proprio male, occorre un rimedio. Io ho un rimedio!"

Io credo che sia ora di fermarci. Così per un puro atto di intelligenza.

Fermiamoci senza che ci sia un lutto, un cataclisma, una guerra a metterci a nudo di fronte alla nostra stupidità.

C'è una speranza?

Forse si. Io credo nell'artista. Nell'artista che non vende la propria opera ma la dona.

Per quella sapienza che gli fa svelare la fonte di un inesauribile benessere: la comunicazione di sé, il fare comune.

Sappiamo però che la sapienza si è organizzata in scienza, che la creatività è stata deviata in artificio. Si è spezzata ovunque, per la furbizia di chi ne deve trarre un vantaggio, la sintesi che consente ad entrambe di partecipare all'evento salutare che, dall'interno della coscienza, dentro la misura libera e armonica della propria vocazione, costruisce l'oggetto della sapienza creativa:

il dono.

Oltre il dono c'è tutto il resto.

E diventa arduo, per chiunque, inneggiare all'unicità ed alla irripetibilità della vita umana quando è consegnata alla massificazione senza volto senza cuore dei .....rimedi.

E gli innocenti?

Gli innocenti che non sanno di essere innocenti, si ribellano e fuggono.

Fuggono da sé stessi verso rumori sempre più ottundenti per ripararsi dal miele delle nostre lusinghe di "benessere", fuggono dentro sé stessi comprandosi la dose che li fa riappropriare, per qualche ora del benessere che la nostra violenza ha loro sottratto.

Così si chiude il cerchio e noi, onorata società, facciamo finta che siano vivi, invece stanno morendo.

Per questo credo sia un dovere sacrosanto riaprire il gioco dell'arte, della creatività, della comunicazione, della relazione, della conoscenza dell'altro, del fare insieme, della fiducia, dell'esposizione di sé.

La speranza ha visitato i sepolcri e ci chiede di essere solidali verso un significato un po’ più verosimile della nostra esistenza rischiando un'opzione d'amore, piuttosto che una certezza di morte e mortificazione.

Ciao, Alex.

Inviato al Parlamento Europeo il 3 luglio 1996.

 

 

" Che dire allora, degli zingari, popolo mite e nomade, che non rivendica sovranità, territorio, zecca, divise, timbri, bolli e confini, ma semplicemente il diritto di continuare ad essere quel popolo sottilmente "altro" e "trascendente", rispetto a tutti quelli che si contendono territori, bandiere e palazzi?

Un popolo che, un pò come gli ebrei, fa parte della storia e dell'identità europea proprio perchè, a differenza di tutti gli altri, hanno imparato ad essere leggeri, compresenti, capaci di passare sopra tutti i confini, di vivere in mezzo a tutti gli altri, senza perdere se stessi, e di conservare la propria identità anche senza costruirci uno stato intorno! " (Alex Langer)

 

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Bozza di Manifesto

di Danilo Dolci

Notevoli opportunità di resistere, scegliere e inventare vengono evase da chi poi si lamenta vittima: il conformismo gregario deriva, dovremmo ormai sapere, tanto dalla mancanza di autodeterminazione come dalla paura.

Mentre studiamo di regolare interazioni bi e pluriunivoche proviamo intendere le interazioni globali (concepire la cultura dell'ambiente, la struttura ecologica, il sistema della biosfera), non confondendo la capacità di incontrarsi a concepire puntuali programmi di liberazione e la logorrea predicatoria, l'epidemia delle trasmissioni, come sovente avviene.

I dipendenti delle vaste fabbriche (non esclusa la scuola), estraniati dalle finalità e dall'insieme dei progetti, risultano sempre più invischiati, pilotati dalle circoscritta "istruzioni " delle minoranze dominanti che riescono a fingersi legali maggioranze.

Nella selva mercantile il consumo acritico potenzia i produttori-padrone, sovente potenzia i virus del dominio.

L'inaudita complessità dei problemi in un mondo che si dibatte tra la morte ed una nuova vita, richiede analisi e intuizioni approfondite per le quali ognuno può arrecare il suo apporto personale.

Non è possibile comunicare senza impegno sincero, nonviolento, creativo, mentre d'altronde lo sviluppo della creatività richiede effettiva capacità di comunicare, connettere.
Il comunicare autentico (difficile e raro esito di attenta reciprocità, non soltanto vicenda di simboli e parola) rinforza i sistemi immunitari della vita terrestre, ci libera dalle nostre parassitosi e si concreta in economia indispensabile alla crescita civile: nel comunicare la probabilità dell'informazione-fecondazione si amplia potenziandosi e verificandosi complessivamente.

La crescita delle creature dipende dalla quantità dei loro rapporti pluridirezionalmente connettivi: mentre il sincero, l'integro, può comunicare, il virus e l'inganno trasmettono inquinando.
Per lo smascheramento del sistema di dominio non si può generalmente contare sull'aiuto dei cosiddetti "mass media ", espressione unidirezionale di una deformante cultura (le fonti che si dichiarano libere potranno quindi trovare un pubblico banco di prova della loro effettiva autonomia): tendono a trasmettere televisivamente finanche corsi universitari e messe (che dovrebbero consistere in spazi di ricerca e iniziativa comunitaria), a ridurre a spettacolo sia lo sport che l'evento religioso, snaturando la Festa che degenera nel massificante teleassorbire.

Spettacoli elettronici, pilotati da esperti in confezioni di immagini vincenti, più è più sostituiscono l'effettivo approfondimento del radicato dibattito politico, e avezzano a dipendere dal dominante.
Chi gradisce rumori e fetori, e cerca evadere disperato, ferisce attorno nel suicidarsi: mentre il respiro vivo non vuole corrompersi, ferirsi, non si lascia disfare e comperare, non vuole padroni, cerca il cooperare di chi vuole vivere compiutamente.

Le istituzioni-laiche o non- che si presumono monopolio della verità, in ogni tempo - nei secoli passati e nel futuro- cercano impedire la crescita autentica delle persone, dei gruppi, dei popoli.

 

Occorre appellarsi

a chi più avverte l'immensa portata di questa problematica per la vita del mondo, a tutti coloro cui non sfuggono gli intimi nessi tra la valorizzazione delle intime risorse inesplorate, e la pace -o tra sfruttamento e violenza-, soprattutto a chi nei più diversi contesti esercita una pur varia funzione educativa.

Per scoprire ed esprimere i dirompenti segreti del comunicare occorre che germinino ovunque i suoi laboratori, consolidandosi in comuni fronti

Invitiamo ciascuno,dovunque possibile,a :

-promuovere, soprattutto con i giovani, iniziative in cui ognuno possa esprimersi (tra loro e con chi li può aiutare a trovarsi, identificarsi) per riconoscere i propri bisogni concreti; promuovere emancipanti ultime iniziative che rendano possibili valutazioni cooperative;

-organizzare seminari e corsi affinché si formino, in ogni ambito e a ogni livello, esperti di come possiamo crescere in gruppi che favoriscano la creatività personale e collettiva sostituendo all'autorità direzionale strutture di strutture creaturali dall'intimo, sapendo che crescere in/con una struttura comunitaria nelle sue infinite variazioni è necessario, anche se non facile;

-trovare i modi per sperimentare, in ogni ambiente e a ogni livello, quali metodologie possano risultare più efficaci affinché ognuno si interroghi: fino qual punto siamo impediti a costruire civiche strutture comunicanti, e fino quale punto, presi da miopi bisticci, non siamo capaci di concepirle e realizzarle? Il parassitismo non attecchisce più facilmente ove le creature non sanno cresce in sana autonomia?

-identificare le aree ove già si sperimentano strutture comunicative, studiarle, e inventare opportune strategie per ampliare confronti e iniziative;

-favorire la scoperta dei propri autentici interessi, abbandonando anacronistici ordinamenti e comportamenti inerziali (con quali leve?): mentre è l'incoerente fatica disfa le creature, il vero lavoro ne potenzia l'intima natura;

-avviare, con popolazioni che oggi si trovano ai margini delle zone ove più immediato e l'urto morbidamente vorticoso dell'industrialismo, processi di autoanalisi attenti a scoprire e valorizzare la propria genuina potenzialità, evitando di riguardare le proprie condizioni nell'ottica del complesso di inferiorità verso modelli estranei, deformanti (apparenti svantaggi possono risultare inestimabili risorse): iniziando dall'analizzare con appositi gruppi, pur di esperti, come possono essere sanate, attraverso specifici interventi, le piaghe della disoccupazione;

provocare analisi, confronti e verifiche su certi eventi emblematici (l'ammassarsi di centinaia di migliaia di fans, ad esempio, negli stadi; la vacuità di vari "successi" ecc.), costruendo al contempo esperienze - ed operando in modi -che educhino ognuno ad organizzarsi, valutare, scegliere, controllare, ed imparare a sperare senza illudersi;

Contro la moda che inflaziona svuotando il termine "creatività",

suscitare iniziative specifiche, processi di ricerca-azione-riflessione per identificare quali siano le condizioni per uno sviluppo di strutture che favoriscano il concretamento dell'intelligenza, la creatività personale e di gruppo, compresa la capacità di scegliere, decidere, annunciare, agire: ove è possibile avvalersi di iniziative esistenti (scolastiche, culturali, pacifiste, ecologiche, religiose, sindacali, cooperative, autenticamente politiche)?; dove occorre inventare le strutture del rispetto reciproco?;

suscitare autoanalisi coi giovani: come vivono, con quali prospettive, soprattutto negli inurbamenti più fittamente ingabbianti? Quali le cause dei mali? Come disinnescare le diverse forme del dominio? I giovani non vengono forse intossicati da forzature strumentalizzanti ed emarginazioni, prima che dalle droghe? Mentre chi vuole imporsi tende ad aggregare, come può la gente via via apprendere, comunicando, a disinfestarsi da ogni genere di parassitosi?

ovunque la gente senza speranza rischia fuggire dai suoi problemi e dalla sua terra per ammassarsi, sradicata, in ovili antieconomici in ogni senso, cercare di promuovere iniziative, anche internazionali e intercontinentali, escludenti dai rapporti di dominio (lavorare insieme tra diversi e occasione di conoscersi e arricchirsi reciprocamente) per individuare dalla base come valorizzarsi valorizzando al contempo il territorio indigeno e le metodologie più avanzate di ricerca e pianificazione organica, formando via via con gli adeguati organismi i necessari esperti: i governi che socchiudono le frontiere alla gente in fuga dai paesi più poveri, generalmente lo fanno per mantenere basso il salario minimo, a vantaggio dei più ricchi, e per acquistare chi è più disponibile alle prestazioni più ripugnanti -mentre tentano arroccare nei paesi più poveri le industrie transnazionali inquinanti che altrove i più avvertiti rifiutano;

più e più le distanze si raccorciano, chiarire in ogni ambito come la necessità che l'Onu possa attendere a risolvere i problemi internazionali divenga, anche con nuovi esperti, organismo concreto: in modo che le Nazioni Unite possano effettivamente concretare il comunicante governo del mondo verso la pace.

"Combattere per la gente" non basta; non riesce l'avanguardia, pur se generosa, "dei condottieri di massa" a liberare il mondo.

Falso mito e divenire "bandiera che insegni le masse a seguire e odiare", come Gramsci aveva preannunziato.

Non " la violenza è la levatrice", anche se "meglio di scappare è sparare" come Gandhi ha affermato, aggiungendo: "ma meglio di sparare è promuovere conflitti che siano più perfetti, più efficaci dello sparare". Per disfare i sistemi clientelari-mafiosi pur a livelli continentali, non bastano fucili bombe spie.

Come è possibile valorizzare, liberando le infinite energie di un pianeta in cui ancora vengono parassitati interi continenti dall'esterno sistematicamente -come avviene ancora in Sud America-, finchè da luogo a luogo non riusciamo a scoprire gli interessi della gente con la gente medesima?

Rivoluzione autentica non è mobilitare processi maieutici in cui cresca, dall'organizzazione, la forza necessaria per cambiare?Il potenziale del comunicanre maieutico è soltanto al suo inizio, in scala planetaria è da scoprire: contro ogni preteso monopolio annunzia la responsabilità di una nuova rivoluzione, immensa., per ogni prossima generazione.La fissità dell'ammaestramento unidirezionale, screpolata da secoli, comincia a vacillare.Guardare il mondo , tenendo presente le possibilità della struttura maieutica, un po' come il vedere di Galileo al nuovo telescopio.

Ancora non sappiamo esattamente come sia comparsa la prima cellula, le condizioni ottimali di vita, come si siano formati il mutualismo, la coevoluzione ed il ricambio, l'organizzarsi del memorizzare e del coscientizzarsi: nel profondo ci ignota la natura della vita.

Ma dell'albero della vita - i cui rami non potenziati rinseccano - iniziamo a intendere qualche aspetto.

Profumando di miele, nell'autunno tra muro e muro a Modica s'incandidano campagne pullulanti di erbette cardellina

Le angiosperme hanno avuto più tempo di noi per inventare e strutturare l'enorme loro nuova economia;

cos le infiorescenze vegetali: per noi apprendere a comunicare più lento, ancora più complesso.

Quanto difficile non impossibile.

Ogni creatura ha una notevole capacità di autorigenerarsi.

"Gli insegnamenti di Alex Langer"
(Postfazione)

di Nadia Scardeoni



Posso citarmi almeno una volta?

Si, questa volta voglio citarmi perché vorrei che fosse chiaro per noi tutti che cosa ho inteso dire con l'ultima frase della pre-fazione agli scritti di Alex Langer:

"Si tratta ora di sorreggere il ponte di Pian dei Giullari, fra Alex e la sua storia", nel libretto : "ALEX LANGER non siate tristi, continuate."

Che cosa ha voluto dirci Alex in questo suo continuo spezzarsi di fronte all'ambiguità di un mondo politico che, non solo non costruisce e quindi non sorregge i ponti che sono necessari per superare i grandi solchi che separano l'uomo da se stesso, la vita dalla morte, la pace dalla guerra, l'amore dal vuoto d'amore, se non che lui non ha tollerato tutto questo.


Non l'ha tollerato a tal punto che, nel momento in cui tutti i rivoli si sono ingrossati fino a diventare un grande fiume in piena, la furia delle acque, un tempo terse e gorgoglianti dentro argini frondosi, ha travolto tutti i ponti, senza risparmiare quell'ultimo esile, nodoso, palpitante arco che un ramo di albicocco aveva formato con il peso ormai leggero del corpo di Alex.

Il peso leggero di chi lasciava i gravami di un'esistenza che tutto ci offre tranne che l'essenziale, tutto ci insegna tranne che il libero pensiero, tutto ci chiama a dire tranne che la parola amore.

Allora anche Alex ha sbagliato, ha fatto un errore di sintesi, Lui che era ed è un maestro di sintesi.

Alex ha sbagliato albero perché al posto dell'albicocco doveva dirci con più chiarezza da che parte stava.

Alex stava e sta dalla parte dell'amore e , l'albero dell'amore è, tutti lo sappiamo, l'albero di giuda, detto volgarmente "siliquastro".

Un albero che ci insegna che l'amore, anche il più sbagliato, anche l'amore di chi ci tradisce è pur sempre amore. Alex allora non è morto suicidato ma è vivo per un tradimento perché l'amore gli ha concesso di vivere una vita piena ma nascosta, dove tutto si incurva dentro i rivoli più profondi della coscienza. Una vita senza esposizione, senza visibilità eclatante, una vita in cui parola-pensiero-azione hanno costruito l'intreccio più forte che l'uomo possa stringere perché la sua vita abbia un senso.

Allora cosa ci dice Alex nei sui scritti? Alex ci dice che siamo tutti dei traditori.

Noi tradiamo quotidianamente il nostro pensiero quando diciamo che non è il caso di sforzarci verso ciò che non è ancora realizzabile, perché non ne vale la pena.

Noi tradiamo il futuro quando amministriamo la materia senza capire che l'uomo è cosi bello quando è immateriale che niente al mondo può esserci di così... bello.

Noi tradiamo Dio quando pensiamo che Dio sia un giudice inflessibile che ci sta a guardare con occhio burbero se non ...righiamo dritto. Noi tradiamo noi stessi quando non capiamo che l'amore è la cosa più preziosa che abbiamo.


Alex, allora, non è morto.

Siamo noi che non siamo vivi; noi che fingiamo di fare tante cose utili senza capire che sono perfettamente inutili se non costruiscono ponti, questi meravigliosi getti di speranza verso l'ignoto che ancora non ci appartiene, ma che non ci apparterrà mai se nessuno di noi , non prova a dire, in un luogo qualsiasi del mondo : " dove stiamo andando ?"

Ma Alex ci ha detto anche che non possiamo dire tutto questo da soli.

L'ha detto a Petra Kelly, dopo la sua morte: "troppe sono le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni. Troppo grande il carico d'amore per l'umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere."

E allora il ponte da sorreggere , fra Alex e la sua storia, tutti l'abbiamo capito, è un ponte che non verrà mai edificato se non con una forte richiesta di senso della nostra vita, nel legame indissolubile di: " io e te" e "noi e gli altri" per costruire ciò che è giusto. Che cosa è giusto, Alex?


Tu, ci stai dicendo che è giusto qualsiasi atto di buona volontà, singolo o collettivo, che converta la logica stupida di un mondo che ha incarcerato i nostri pensieri, i nostri silenzi, le nostre soste, i nostri desideri, la nostra fantasia, i nostri sogni.

Ci hai reso consapevoli dell'esistenza di un limite che ci basti Ci hai detto che è bello donare il superfluo.

Che la libertà è fruire più che possedere

Che la storia degli uomini è preziosa e ci inchioda

Che il dialogo pacifico non conosce le differenze e infine

Che il governo degli uomini è un'arte pudica che solo pochi conoscono.

 

Tu ci hai dedicato tanta attenzione Alex, lascia allora che anche noi ti facciamo una dedica:

" .....e non lasciate che chi ha mani sterili partecipi alle vostre transazioni, perché costoro venderebbero le loro chiacchiere per la vostra fatica."

Verona, 2 novembre 1995

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Parole di pace

 

Questo piccolo mondo assassino
E' puntato sull'innocente
Gli toglie il pane di bocca
E dà la sua casa alle fiamme
Gli prende le vesti e le scarpe
Gli prende il tempo e i figli
Questo piccolo mondo assassino
Confonde i morti con i vivi
Assolve il fango, grazia i traditori
La parola trasforma in rumore
Grazie mezzanotte dodici fucili
All'innocente rendono la pace
E tocca sempre alle folle
Sotterrare quella sua carne
Sanguinosa e il suo cielo nero
E tocca alle folle comprendere
Quanto debole è chi assassina.

 

PAUL ELUARD

Filo di pensiero

 

"Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza.......Un cammello che passa nella cruna di un ago"

(le ultime parole di Don Milani)

nadia scardeoni

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Da Edi Rabini

allegato
 

 PARLAMENTO EUROPEO
 1999 2004
 
 Documento di seduta
 29 gennaio 2003  B5-0075/2003 }
 B5-0077/2003 }
 B5-0079/2003 } RC1
 PROPOSTA DI RISOLUZIONE COMUNE
 presentata a norma dell'articolo 37, paragrafo 4, del regolamento da  - Hans-Gert Poettering, Ilkka Suominen e Philippe Morillon, a nome del  gruppo PPE-DE
 - Enrique Barón Crespo e Jannis Sakellariou, a nome del gruppo PSE  - Graham R. Watson, Cecilia Malmström, Jean-Thomas Nordmann, Baroness
 Nicholson of Winterbourne e Paavo Väyrynen, a nome del gruppo ELDR  - Gerard Collins e Niall Andrews,  in sostituzione delle proposte di risoluzione presentate dai gruppi:
 - ELDR (B5-0075/2003),
 * PSE (B5-0077/2003),
 * PPE-DE (B5-0079/2003),
 sulla situazione in Iraq
 
 Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione in Iraq
 Il Parlamento europeo,
 - viste le sue precedenti risoluzioni sulla situazione in Iraq, in particolare quella del 26 aprile 2002,
 * viste tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite  sull'Iraq, in particolare la risoluzione 1441 dell'8 novembre 2002,
 * vista la relazione presentata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni  Unite il 27 gennaio 2003 dal capo dell'UNMOVIC e dal direttore dell'AIEA,
 * vista la dichiarazione solenne franco-tedesca firmata a Parigi il 22  gennaio 2003,
 * viste le conclusioni dei ministri degli Affari esteri dell'UE sull'Iraq,  del 27 gennaio 2003,
 
 A. considerando che la risoluzione 1441 del Consiglio di sicurezza  incaricava l'UNMOVIC di imporre all'Iraq un regime d'ispezione in materia
di  disarmo più rigoroso e chiedeva che Baghdad fornisse all'UNMOVIC e  all'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) una dichiarazione
 completa ed esauriente su tutti gli aspetti dei suoi programmi intesi a  sviluppare armi chimiche, biologiche e nucleari nonché missili balistici,
 ogni altra informazione relativa ai suoi programmi in materia di armi  chimiche, biologiche e nucleari,
 
 B. sottolineando che è importante smantellare completamente, sotto controllo  internazionale, le armi di distruzione di massa chimiche, batteriologiche,
 radiologiche e nucleari dell'Iraq, qualora esistano, e annullare l'eventuale  capacità di tale paese di produrre siffatte armi, sulla base delle
 risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite al riguardo,
 C. considerando che l'Unione europea e i suoi Stati membri devono seguire lo  stesso approccio, con l'obiettivo di pervenire ad un monitoraggio
 internazionale rapido ed efficace della situazione in Iraq,
 D. considerando l'autoisolamento del governo dell'Iraq e la sua mancanza di  cooperazione con la comunità internazionale, l'estrema militarizzazione
 della società irachena, le diffuse ed estremamente gravi violazioni dei  diritti dell'uomo e del diritto umanitario internazionale, e la totale
 mancanza di diritti politici e democratici nel paese di cui trattasi,
 1. riafferma il proprio impegno per la pace, la democrazia e il rispetto dei  diritti dell'uomo e del diritto internazionale, e ribadisce che le
 risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite devono essere pienamente applicate e rispettate allo scopo di garantire la pace e la
 sicurezza internazionali;
 2. sostiene pienamente l'attività di Hans Blix, direttore esecutivo della  Commissione di monitoraggio, verifica e ispezione delle Nazioni Unite
 (UNMOVIC), e di Mohamed El Baradei, direttore generale dell'Agenzia  internazionale per l'energia atomica (AIEA), nonché della loro squadra di
 ispettori incaricati del regime potenziato di ispezioni previsto dalla  risoluzione 1441;
 3. ritiene che le violazioni della risoluzione 1441 attualmente individuate  dagli ispettori in relazione alle armi di distruzione di massa non
 giustifichino l'azione militare, e reputa che qualsiasi passo ulteriore  spetti al Consiglio di sicurezza, dopo una piena valutazione della
 situazione;
 4. chiede al governo iracheno di rispettare la rioluzione 1441 del consiglio  di sicurezza delle Nazioni Unite e di continuare a consentire le ispezioni
 dell'UNMOVIC, in modo incondizionato e senza limiti di accesso, nonché di  cooperare pienamente e di reagire alle osservazioni formulate dal capo
 dell'UNMOVIC nella sua relazione; chiede inoltre che tutte le informazioni  disponibili al riguardo, indipendentemente dalla fonte, siano trasmesse
senza ritardi all'UNMOVIC;
 5. accoglie favorevolmente a tale proposito le conclusioni del Consiglio  "Affari generali e Relazioni esterne" del 27 gennaio 2003, e si aspetta
che  esse siano poste in atto dagli Stati membri in tutte le sedi pertinenti;  sollecita il Consiglio a tentare di pervenire ad una posizione comune
 sull'Iraq nel quadro della PESC, cosicché l'Unione europea possa parlare,  sulla scena internazionale, con una sola voce riguardo alla situazione
attuale e ai futuri sviluppi di tale conflitto; chiede ai paesi candidati  all'adesione che, attraverso opportune consultazioni, si allineino ad una  posizione comune europea;
6.         esprime la propria opposizione nei confronti di ogni azione  militare unilaterale e ritiene che un attacco preventivo non sarebbe  conforme al diritto internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite e  porterebbe ad una crisi più profonda, con il coinvolgimento di altri paesi  della regione; sottolinea che occorre fare tutto il possibile per evitare
le  azioni militari;
 7. chiede che vengano esplorate tutte le vie politiche e diplomatiche allo  scopo di pervenire ad una soluzione pacifica del conflitto e sottolinea la  necessità di assicurare e preservare la pace e la sicurezza internazionale;
 8.         sprona l'ONU a verificare l'effetto dell'embargo, in particolare  l'impatto negativo sulla situazione umanitaria dei civili iracheni, e in  particolare delle donne e dei bambini, in modo che, se necessario, sia  possibile definire le misure per porre fine a tale embargo;
 9.  invita il Consiglio a compiere ogni sforzo per fermare la guerra in  Medio Oriente; a tale riguardo, invta la Presidenza UE e l'Alto  Rappresentante ad affermare chiaramente all'amministrazione USA che una  soluzione per il conflitto del Medio Oriente è la massima priorità per l'UE  e che un'iniziativa internazionale forte e convincente per una celere  applicazione del piano dettagliato proposto dal Quartetto non può essere  ulteriormente procrastinata;
10. sottolinea l'impegno dell'Unione europea per quanto attiene alla  sovranità e all'integrità territoriale dell'Iraq, del Kuwait e dei paesi limitrofi;
11. sollecita il Consiglio e gli Stati membri ad assumere l'iniziativa di  proporre che il Tribunale penale internazionale indaghi sulle responsabilità  del regime del leader iracheno per il genocidio degli arabi delle paludi e  per altri crimini di guerra e contro l'umanità;
12. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al  Consiglio e alla Commissione nonché all'Alto Rappresentante per la PESC, al  Segretario generale delle Nazioni Unite e al governo dell'Iraq.

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