L’emozione di conoscere e il desiderio di esistere
Esplorare gli universi dell'immaginario e del conoscere
di Nicola Cuomo
"L’EMOZIONE DI CONOSCERE", un tema che forse non necessita di molte spiegazioni ma di contesti da ricordare, da vivere, di sensazioni più o meno piacevoli a cui riferirsi, forse paure, o faticosi percorsi... Forse l'avventura, l'imprevisto, i sogni, i miti, le utopie propongono il fascino, il desiderio di conoscere e chissà l'uomo ..., l'uomo, con la sua prerogativa di oltrepassare la realtà, di fare scelte soggettive, arbitrarie, proiezioni che vanno al di là di ragioni, in dimensioni che oltrepassano l'esperienza, scopre possibilità di conoscenza e di sapere che la razionalità, l'oggettività, nella prigione dei paradigmi delle scienze definite come "esatte", non avrebbe mai scoperto.
Sognare di volare, di parlare ed ascoltare, vedere gli altri a grande distanza attraverso le proiezioni dell'immaginario non possono che essere i presupposti dello sviluppo scientifico. "L’IMMAGINAZIONE PROPONE DEGLI UNIVERSI OLTREPASSANTI LA VITA QUOTIDIANA", punti di vista non necessariamente consequenziali, fornendo alternative, altre modalità di vedere, sentire, toccare... percepire, immaginare .....
Nelle esperienze vissute ed "interrogate" nei Congressi Mondiali su "L'Emozione di Conoscere e il Desiderio di Esistere" si è voluta determinare una riflessione non soltanto sui contenuti, questi sono stati una occasione di provocazione, ma sulle opportunità che l'incontro di diverse esperienze proponeva di allargare gli orizzonti dell'immaginario sulle condizioni di apprendimento e di insegnamento.
Non sono state le tecniche didattiche né le "schede operative" né gli esercizi che hanno riempito il tempo dei congressi, della formazione degli insegnanti, ma la ricerca nel proprio vissuto di professionisti, di alunni, di genitori di quelle circostanze, di quei contesti, di quelle situazioni e modalità che hanno provocato il piacere ed il desiderio di conoscere.
Si sono "esplorate", "raccontate", "rivissute" le esperienze che hanno lasciato un ricordo piacevole e si è scoperto che con questi ricordi vi erano i contenuti indipendentemente dalle gerarchie che li dividono in: "facili, difficili, difficilissimi".
Si è scoperto insieme che le difficoltà dell'apprendere non erano nei contenuti ma, essenzialmente, nella modalità, nella situazione ', nel contesto che, se non proponeva desiderio di conoscere, curiosità, se non stimolava l'immaginario, non produceva quella situazione di benessere che si definiva quale costante facilitante gli apprendimenti.
"L'emozione di conoscere" veniva riconosciuta quale energia che determinava il superamento delle difficoltà, della fatica che i percorsi di conoscenza spesso propongono, trasformandoli in avventura piacevole.
In questa avventura che la conoscenza propone non si accettano sentieri, percorsi "spianati", "sgombrati" dalle difficoltà, dagli errori, dalla fatica....
Il bambino, lo scienziato si pongono nei confronti del sapere, della conoscenza, quando hanno il sapore dell'avventura, come degli esploratori, degli scalatori che desiderano vivere le sconfitte, le fatiche,... in quanto queste fanno parte dell’ "Emozione di Conoscere".
I contesti, le situazioni, i modi, le strategie, le tattiche che hanno sollecitato e potenziato gli apprendimenti, avevano come costante il desiderio provocato dall'insegnante.
Un itinerario della nostra esperienza è da paragonare a quello di un esploratore che ha come obiettivo quello di voler raggiungere, in una zona/territorio sconosciuto, una civiltà, una organizzazione sociale diversa di cui si è sentito parlare dagli indigeni, ma di cui non si hanno dati certi. Ma per raggiungere l'obiettivo, ci sono da superare un gran numero di incognite e di variabili e, prima di iniziare ad avventurarsi nella zona da esplorare, è necessario acquisire una serie di informazioni utili, senza delle quali non vi può essere alcuna scoperta.
Innanzitutto va chiarita e definita l'ipotesi stessa che prevede la presenza, in quel luogo, di una civiltà diversa.
Bisogna cioè valutare quali sono state le notizie, i dati (le fonti) che hanno portato alla formulazione delle ipotesi, se vi sono state altre esplorazioni, che notizie hanno riportato, la credibilità di queste, quali sono stati gli itinerari seguiti, gli eventuali motivi del fallimento, ... in modo da confrontare questi dati con altre esperienze di altri esploratori.
Una volta controllata l'ipotesi, confermata la validità, è bene organizzare una griglia dei dati più sicuri,
definendo degli obiettivi minimi che sarà possibile immediatamente verificare.
Man mano che tali obiettivi saranno verificati, sarà possibile articolarli ed estenderli nell'elaborazione, nell'analisi e nell'interpretazione dei dati.
L’inizio dell'esplorazione determina un tracciato che continuamente va a verificare l'ipotesi originaria, evidenziando i falsi dati, gli errori, i pregiudizi che l'ipotesi conteneva.
In poche parole l'itinerario pratico può far emergere gli errori di valutazione del luogo e dell'impostazione del problema, facendo scoprire che ogni esperienza precedente può anche risultare inutile o poco valida. Si può scoprire che risulta errato iniziare l'esplorazione nella direzione prescelta, che bisogna mutare direzione. Tale ripensamento ci può far ritrovare in un luogo con strutture diverse, con terreni diversi da quelli previsti: si può passare dal dover attraversare una lussureggiante foresta di pianura al dover scalare un'alta ed impervia montagna rocciosa.
Si pensava dapprima di andare in pianura perché più comodo, ma l'esistenza di un crepaccio, di una profonda voragine, rende inutile il proseguire in quella direzione anche se inizialmente sembrava la più breve; quello che sembrava l'itinerario più scomodo (il sormontare una montagna) ora si presenta come l'unico possibile.
Sono quindi necessari non più strumenti, materiali, esperienze, competenze, collaborazioni per aprirsi un varco nella foresta, ma per scalare una montagna.
E' necessaria la consapevolezza che si deve essere pronti a mutare ipotesi ed itinerari, se risultano errati, impossibili da raggiungere; a buttare via gli strumenti e i materiali progettati per riformulare sia i materiali, sia le idee.
Inoltre può risultare inutile l'andare avanti: bisogna allora avere il coraggio di rinunciare, per mettersi in una attesa capace di rivelare altre strade, di provocare altre ipotesi, altri obiettivi ed altre strategie.
Come ciò non bastasse, quando si sarà raggiunto e scoperto il luogo, ci saranno altre difficoltà: quella di entrare in contatto e in comunicazione con gli appartenenti alla diversa civiltà di cui non si conoscono la lingua, le abitudini culturali, politiche, i modi di pensare, di conoscere, di sapere... Di fronte alla diversa civiltà l'esploratore dovrà iniziare una serie di tentativi per entrare in comunicazione, basandosi inizialmente sulla osservazione delle relazioni, del contesto, individuando segni, simboli e significati e cercando di compararli per interpretarli con il sapere, con le sue teorie.
Uscendo ora di metafora, possiamo dire che il gruppo di lavoro è "partito" alla ricerca di una nuova dimensione di insegnamento per proporre e sperimentare, in relazione all'evoluzione progressiva della formazione dello stesso gruppo, modelli educativi alternativi. (2)
Le esperienze
Una importante condizione che ci ha accomunato nel confronto delle esperienze, suscitando l'emozione di conoscere, è stato il riflettere sul fare, sulle azioni provocate dai contenuti; i percorsi attivi, gli itinerari didattici, i progetti, evocati per essere raccontati, erano presenti nella memoria degli insegnanti ed i contenuti, gli obiettivi erano chiari in quanto il percorso per raggiungerli era stato rivissuto nel confronto con tutti i suoi "accidenti" ed "incidenti". "Errori", "successi", "insuccessi", con i loro tempi: di attesa, di delusione, di "ritardo" (rispetto agli "altri", ai colleghi, all'amico ... ), hanno costituito il percorso che sosteneva la memoria ed integrava il fare con il sapere, "integrava" la mano con I' "oggetto", "integrava" le ipotesi alla loro organizzazione operativa.
Questa memoria, questo ricordare il proprio saper fare è stato un presentarsi "all'altro" e definirsi a sé con una propria identità rappresentabile in percorsi, in azioni (non solo in giudizi), come un individuo con continue possibilità di produrre cambiamenti, in un divenire e non solo in essere.
Una persona, un professionista, disponibile al confronto, a provare altri itinerari, a guardare da altri punti di vista, a cercare i numerosi accessi per risolvere un problema, a capire che forse ciò che sta ostinandosi a risolvere è un falso problema.
Ciò che la professionalità, l’esperienza di ricerca può far apparire semplice e spontaneo, ha come riferimento una capacità di gestire selezioni di dati in ipotesi che li strutturano rapidamente in molteplici possibilità interpretative; queste sequenze di intuizioni e deduzioni devono essere gestite con una competenza capace di diversi modi di osservare le cose, i fenomeni simultaneamente, mantenendo l'attenzione al flusso di informazione che sta pervenendo.
Nei percorsi che i congressi hanno provocato, I"'esistere" nel gruppo con una storia in divenire e non solo in essere ha determinato spazi di proposta, di "proponibili", ed in tale dimensione la formazione è stata vissuta dai convegnisti come un confronto di esperienze; le attività proposte sono state intese e vissute nel loro dinamismo modificabile nelle diverse circostanze.
Il progetto, il lavoro, le ipotesi andavano realizzati in un processo di trasformazioni, di cambiamenti, in quanto le esperienze in ambito educativo sono irripetibili, dove irripetibilità significa che non possono essere replicate tali e quali.
La progettualità
Un progetto pedagogico va fondato su di un atteggiamento sperimentale rigoroso, attento all'osservazione, per una produzione di ipotesi di intervento, di occasioni, riproponibili fondamentalmente quali presupposti teoretici e metodologici (e non come mere ricette ed esercizi) tali da proporre una irripetibilità che garantisca il rispetto dell'identità ed originalità di ciascuno.
L’irripetibilità non contrasta con la necessità di comunicare e di riflettere sulla esperienza avvenuta, ma sottolinea che una data esperienza non può essere ripetuta per tutti "tale e quale".
Attraverso il riportare le esperienze e l'interrogarle, i corsisti hanno potuto riflettere insieme sulle competenze dell'educare, dell'insegnare, del progettare, cercando di recuperare quelle strutture in cui ritrovare le linee principali che possono essere di riferimento per i progetti.
Il progettare risulta un ambito in cui si necessitano azioni: il "fare materiale, nella sua esecuzione, fornisce una struttura che è diversa da quella puramente intellettuale". (3)
Difatti, anche se sul piano intellettuale è possibile pensare ad un progetto che può correre il rischio di separarsi dalla sua realizzabilità, il progetto materiale propone un saper fare, un pensare per fare, un pensare per imparare a saper fare, proponendo un agito, un vissuto che, nella sua concretezza, riporta al senso della realtà, alla possibilità di sperimentare le proprie ipotesi ed a compararle sia tra di loro che con quelle degli altri.
Il non determinare occasioni ed opportunità in cui le proprie ipotesi, le proprie esperienze, gli "interventi" educativi e didattici abbiano "controlli" e "verifiche" rigorose e scientifiche significa correre il rischio di interpretare la realtà in modo soggettivo e riduttivo. Se non si concordano premesse per confrontare, problematicizzare le esperienze, si può venire a determinare il rischio di una sempre presente conflittualità, o di un "democraticistico", comodo: "Ognuno può pensarla come vuole".
Non possiamo pensare ad un professionista nell'ambito della didattica e dell'educazione che basa i suoi progetti ed interventi meramente sulle intuizioni o sui successi occasionali, da persona che spesso si dice "naturalmente portata ad insegnare" e/o che ha la "vocazione".
Le intuizioni indubbiamente sono utili, come pure è importante utilizzare le occasioni, ma non basta, necessitiamo di un "quadro" sistematico, rigoroso, anche se consapevolmente ed intenzionalmente non dogmatico, su cui ed a cui riferirci. Le intuizioni possono stimolare ipotesi, determinare occasioni ma abbiamo necessità di produrre occasioni, di fondare, valutare le ipotesi fondate scientificamente per poter mettere in atto quei percorsi confrontabili con altre esperienze e scienze.
Necessitiamo di ambiti di riferimento:
Teoretici, che non devono rimanere tali in tempi lunghi, altrimenti rischiano di divenire ideologici ed astratti; e Metodologici, in quanto abbiamo bisogno di strumenti per controllare, valutare e verificare le ipotesi teoretiche; e Operativi, organizzati in progetti, che ci permettono di sperimentare sul campo ipotesi e strumenti.
Le teorie, gli strumenti, la prassi
"La giustificazione metodologica di una pluralità di Teorie è che tale pluralità permette una critica molto più approfondita delle idee accettate di quanto non lo permetta il confronto con il regno dei fatti, fatti che si suppone se ne stiano là immobili, indipendenti da qualsiasi considerazione teorica.
Di conseguenza viene definita anche la funzione di idee metafisiche insolite, create in modo non dogmatico e poi sviluppate con sufficiente precisione, così da dare una versione (alternativa) anche delle situazioni sperimentali ed osservazionali più comuni: la loro funzione è quella di giocare un ruolo decisivo nella critica e nello sviluppo di ciò che generalmente è creduto e ritenuto abbondantemente provato ......
Le teorie e le ipotesi scientifiche non sono esenti da pregiudizi e può accadere che: ... la prima teoria adeguata ha il diritto di precedenza su tutte quelle successive, anch'esse ugualmente adeguate. Sotto questo aspetto l'effetto della condizione di coerenza è abbastanza simile a quella dei metodi più tradizionali usati dalla deduzione trascendentale, l'analisi delle scienze, l'analisi fenomenologica, l'analisi linguistica. Essa contribuisce alla conservazione delle teorie vecchie e familiari, non perché abbiano dei vantaggi reali (ad esempio, una maggiore fondazione osservativa rispetto alla nuova teoria proposta, o una maggiore eleganza) ma solo perché sono vecchie e familiari..." (4).
Non è possibile riflettere sulle esperienze, valutarle, affidando le verifiche alle capacità oratorie di questo o di quel (anche se) "professionista", o, ancor peggio, alla forza e alla prepotenza o al " ... vuoi aver sempre ragione; già trovo difficoltà, mi intimidisco, mi viene un magone quando devo esporre, figuriamoci quando devo parlare a lui che mi guarda fissandomi e scuotendo la testa ......
Nelle giornate di confronto la riflessione sulle proprie esperienze è stata per così dire "ancorata" ai laboratori, per evitare che le proprie esperienze si perdessero o disperdessero a causa del troppo parlare, di una intellettualizzazione che ci avrebbe portato fuori dalla progettualità.
Il dover passare a concretizzare ciò che si dice, questo attenersi al "principio di realtà" " costringe" ciascuno a pensare percorsi concreti per produrre quanto si immagina e per verificare gli "scarti" tra l'immaginario e il realizzabile. (5)
Rapportare l'immaginario al "principio di realtà" non significa limitarlo, limitarne l'ampiezza, al contrario paradossalmente significa ampliarne gli orizzonti, in quanto l'azione dell'immaginario si pone come consapevole ed intenzionale risorsa per superare le concrete limitazioni ed allora accade che: ... lo sgabuzzino, il gabinetto, la cucina; il momento dei pranzo, il momento della "ricreazione"; l'insegnante d'appoggio, il personale non docente, solitamente esclusi dal progetto educativo, lo integrano e lo potenziano; che l'organizzazione degli spazi, la posizione dei banchi, le parole, i toni di voce, la divisione dei tempo, gli oggetti, le persone, la loro postura al di là del loro significato convenzionale, oltre che ad incidere nei rapporto sul piano funzionale, hanno una implicazione e una valenza affettiva tali da favorire o sfavorite un rapporto; che la quotidianità, i vari momenti, l'organizzazione della classe, degli oggetti possono essere di supporto e di sostegno alla relazione e all'intervento educativo.
Si scopre che i modi per conoscere possono andare al di là degli itinerari convenzionali, spesso ritenuti unici percorsi per accedere al sapere, alle conoscenze; che il vedere delle immagini può richiamare alla memoria situazioni, odori, suoni, paure e che sentire degli odori può richiamare alla memoria una storia, un vissuto fatto di immagini, di parole, suoni; che gli itinerari della conoscenza non sono soltanto dei percorsi graduali e semplici, risultato di una addizione di percezioni sensoriali e di eventi, ma complessi ed articolati, che costituiscono un vissuto caratterizzato da fantasmi, sensazioni, emozioni, in una situazione affettiva che costituisce un campo di analisi assai vasto, dove è possibile ritrovare le opportunità, le strategie per articolare l'intervento.
La capacità di osservare, scoprire e di includere nelle riflessioni, nella ipotesi di lavoro questo universo non visto diviene uno spazio di analisi e di riflessione negli incontri con gli operatori.
Inoltre, a volte, la lunghezza dei tempi di "risposta", oltre che il saper osservare, implica il saper attendere le risposte che l'abitudine quotidiana ci fornisce in un rapido giro di tempo, per settimane, mesi (forse mai) ed in questi tempi lunghi di attesa non lasciarsi prendere dalla paura, dall'angoscia, dai sensi di colpa di non "aver fatto", di aver "sbagliato" l'intervento o di ripiegare nell'alibi dei "è impossibile", rifiutando l'esperienza.
Nel percorso formativo, nei convegni, si è inteso determinare una condizione destrutturata per problematicizzare sicurezze assolute, visioni unilaterali, riduzionistiche interpretazioni della complessità dell'esperienza, della relazione, della comunicazione...
Come affrontare i problemi girando ed interpretando la situazione, gli eventi, da diversi punti di vista.
" ... spesso colui che pensa, nel tentativo di risolvere un problema assegnato, si ferma, rendendosi conto che la situazione richiede cose del tutto diverse, richiede che venga mutata la meta stessa.
Il restare attaccati a mete stabilite, il volere insistere per raggiungerle è spesso pura e semplice mancanza di pensiero."
"L'EMOZIONE DI CONOSCERE"
Tosinvest Sanità, ha deciso di sostenere e divulgare l'iniziativa scientifica ed operativa nell'ambito dell'Emozione di Conoscere sovvenzionando e promuovendo una rivista; iniziativa scientifica ed operativa multi ed interdisciplinare realizzata in cooperazione con l' insegnamento di Pedagogia Speciale di responsabilità del Prof.Nicola Cuomo del Dipartimento di Scienze dell'Educazione - Università di Bologna. La rivista avrà come titolo "L'EMOZIONE DI CONOSCERE" e come sottotitolo "il Desiderio di Esistere". Il Logo della rivista sarà il viso di Pinocchio che guarda meravigliato una farfalla che si posa sulla punta del suo naso. Con la faccia meravigliata di Pinocchio, unitamente alla farfalla che si posa sul naso, si vuol rappresentare lo stupore, la meraviglia; la farfalla vuol sottolineare quelle modalità emozionanti di apprendere non in modo monotono e rettilineo come la traiettoria di un proiettile, ma un apprendere nel contesto con volteggi, tornando indietro, fermandosi per poi ripartire per molteplici direzioni, come il volo di una farfalla. Il Direttore della Rivista sarà Nicola Cuomo e il Codirettore Giorgio Albertini. La rivista si avvarrà della consulenza e dell'aiuto di quei professionisti di Università ed Istituti di Ricerca Internazionali che già da anni cooperano sul tema dell'Emozione di Conoscere e del Desiderio di Esistere[1]. La scelta del logo di 'Pinocchio' ha una motivazione che si lega al burattino Pinocchio futuro bambino. Pinocchio può rappresentare la diversità e le risorse in essa contenute, divenendo un ambito metaforico adeguato che si adatta allo stile di analisi che vede nei contesti, nella quotidianità e nei progetti educativi grandi potenzialità per sviluppare ed apprendere in presenza di patologia e/o quando gli eventi ambientali fungono da ostacolo. La curiosità del burattino, il suo spirito di iniziativa, il suo amore per l'avventura sono i presupposti metaforici per un bambino non passivo ma attivo, capace e desideroso di conoscere, di scoprire. La rivista trimestrale (di circa 64 pagine) vuol essere uno strumento snello e veloce per fornire ai professionisti, ai genitori, sempre aggiornate riflessioni teoriche e concreti itinerari di intervento educativo-didattici finalizzati al massimo sviluppo dei potenziali, delle autonomie, della socializzazione, degli apprendimenti. La rivista non vuole essere un ricettario da cui attingere passivamente ma uno strumento attivo e dinamico che propone orientamenti per riflessioni e confronti sulla qualità della vita, sulla diversità come risorsa, sulla cooperazione, sull'aiuto reciproco, presupposti dei principi che orientano l 'integrazione e l'inclusione. La rivista ha lo scopo anche di riempire quei vuoti di informazione sulle ricerche e interventi tra un convegno internazionale e l'altro, tra uno stage e l'altro sul tema dell'Emozione di Conoscere; di mantenere quel "filo rosso" che trova nei convegni i momenti forti di confronto, di verifica e di divulgazione al grande pubblico. Il Numero 0 verrà stampato e distribuito tra Ottobre e Dicembre del 2002, mentre l'uscita periodica è prevista a partire dal 2003. Per fornire alla rivista una dimensione internazionale ciascun numero avrà una scheda riassuntiva dei contenuti in lingua inglese. La rivista offrirà, inoltre, la possibilità ai lettori che lo desiderino di poter ricevere un determinato articolo in lingua inglese (se l'articolo richiesto raggiungerà un numero tale da coprire i costi di traduzione).
Elena Paggi Responsabile inserimento dati e gestione Web
Cinzia De Pellegrin Responsabile di Redazione
Ambra Cuomo Responsabile Disegni
Amy Magazzu Responsabile traduzioni, spedizioni, abbonamenti Anna Cupellini, Editor e Responsabilità Tipografica Con la collaborazione del Personale degli Uffici Ricerca, Congressi e Marketing della Tosinvest: Carla Albertini, Isabella Massafra, Astrid Van Rijn .
www.unibo.it/emozione www.emozionediconoscere.itrealizzazione digitale ed informatica Elena Paggi
[1]
La rivista farà riferimento ad un gruppo di "Collaboratori Scientifici"
di Università ed Istituti di Ricerca Scientifica Internazionale che sarà
formato da:
Walther Dreher (D), Jutta Schoeler (D), Josef Fragner (A), Linus Cornellissen (NL), Toshiro Ochiai (J), Tomoaru Hori (J), David Mitchel(NZ), Miguel Angel Zabalza Beraza(E), Delfin Montero (E), Paco Jimenez Martinez(E), Enrique Javier Dietz Gutierrez(E), Miguel Lopez Melero (E), Nuria Illian Romeu(E), J.J.Detraux (B), Juan Carlos Orozco (Bogotà), Gloria Valencia (Bogotà), Monika e Werner Schumann (D), Piero Bertolini (I), Andrea Canevaro (I), Franco Frabboni (I), Maria Grazia Contini (I), Ferdinando Montuschi (I), Favorini Anna Maria (I), Matilde Callari Galli (I), Felice Carugati (I), Guido Sarchielli (I), Marco W.Battacchi (I), Olga Codispoti (I), Franco Bocchicchio (I), Corrado Ziglio (I), Milena Manini (I), Giuseppe Bertagna (I), Vittorio Capecchi (I), Francesco Campione (I), Antonio Gaddi (I), Renato Meduri (I), Bruno D'Amore (I), Giuliana Giovannelli (I) .