Verso l'Europa
Due interventi di Romano Prodi
Bruxelles 28 febbraio 2002
.........."Vi sono momenti nei quali i popoli sono chiamati a
affermare e a definire le ragioni del loro stare insieme."
"Sessione inaugurale della Convenzione sull'avvenire
dell'Europa" - Bruxelles, 28 febbraio 2002
"Vi sono momenti nei quali i popoli sono chiamati a affermare e a
definire le ragioni del loro stare insieme. Per i popoli della nostra
Europa questo momento è arrivato...."
Vi sono momenti nei quali i popoli sono chiamati a affermare e a
definire le ragioni del loro stare insieme.
Per i popoli della nostra Europa questo momento è arrivato. Voi,
rappresentanti degli Stati, delle istituzioni e dei popoli europei
siete qui oggi riuniti in questa Convenzione, perché l'integrazione
ha avuto successo, un successo che è andato al di là di ogni
speranza.
Voi siete qui riuniti perché un continente tutto intero si interroga
sul proprio futuro.
Spetta a voi trovare le risposte. Risposte all'altezza della posta in
gioco.
La questione centrale alla quale siete chiamati a rispondere non è di
natura tecnica .
Essa va ben al di là dei semplici meccanismi, delle regole e delle
architetture istituzionali.
Perché l'Europa è molto più di questo.
Cinquant'anni fa, uomini lucidi, coraggiosi e capaci di guardare
lontano seppero aprire una strada del tutto nuova.
Quegli uomini scelsero la riconciliazione invece della guerra, la pace
fondata sull'interdipendenza invece della reciproca distruzione, il
diritto invece della legge del più forte. Essi gettarono le basi per
la costruzione di una Comunità di popoli e di Stati.
Istituzioni sopranazionali originali furono edificate e, col tempo,
consolidate.
Con gli Stati membri riuniti nel Consiglio collaborano una Commissione
garante dell'interesse generale europeo, un Parlamento eletto a
suffragio universale a rappresentare l'intero popolo europeo e una
Corte di Giustizia che assicura il prevalere della legge.
Questa collaborazione ha generato una nuova identità europea.
Ha incoraggiato scambi di una ampiezza mai prima conosciuta.
Ha permesso e prodotto stabilità e sviluppo.
Ha portato, infine, alla nascita dell'euro, che gli europei hanno
accolto con diffuso entusiasmo.
Tredici anni or sono, i popoli dell'Europa centro-orientale, sino a
quel momento privati della libertà, hanno ripreso il futuro nelle
loro mani e hanno scelto la strada della democrazia.
Oggi, quei popoli di cui saluto i rappresentanti con commozione e con
amicizia - chiedono di unirsi a noi.
A questa richiesta dobbiamo dare una risposta forte e positiva,
rinnovando ed estendendo il patto politico europeo.
Le imperfezioni nella integrazione comunitaria che pure esistono e che
devono essere corrette sono ben poca cosa se confrontate con ciò che
abbiamo saputo costruire e con ciò che ancora possiamo e dobbiamo
fare.
Il successo dell'Unione Europea allargata, il successo della grande
Europa è possibile.
Noi abbiamo le capacità per realizzarlo.
Ma quale progetto per il futuro dell'Europa?
Io credo che questo significhi affrontare queste quattro sfide.
Innanzitutto, dobbiamo assumerci, come europei, la nostra
responsabilità su scala mondiale, al servizio della pace e dello
sviluppo.
Sono infatti in gioco il futuro del mondo, la vita di milioni di
essere umani ridotti in condizioni di indicibile povertà, la sorte
degli innocenti che pagano il prezzo più alto per guerre insensate.
E nessuno dei nostri Stati è in grado di arrivare a tanto agendo da
solo.
Dobbiamo poi, in quanto europei, difendere un modello di società
equilibrato, capace di conciliare benessere economico e solidarietà.
Il nostro benessere e il nostro stesso stile di vita sono, infatti,
strettamente legati all'equilibrio tra crescita, giustizia sociale e
difesa dell'ambiente.
E le nostre capacità di creare sviluppo e occupazione dipendono dalla
moneta unica e dal mercato unico, a loro volta basati su un sistema
comune di regole.
In quanto europei dobbiamo, inoltre, garantire la libertà nel pieno
rispetto dei principi di sicurezza.
La nostra storia e la nostra cultura ci impongono di non separare
sicurezza, giustizia e libertà.
A fronte del terrorismo e della criminalità senza frontiere, a fronte
dei grandi fenomeni migratori, la nostra azione non può che essere su
scala europea.
Infine, noi europei, dobbiamo scommettere sul futuro per fare
dell'Europa un polo di influenza intellettuale, scientifico e di
innovazione.
Perché nel campo dell'intelligenza l'Europa non può permettersi di
restare indietro.
Una volta definito il progetto per l'Europa del futuro, allora, e solo
allora, onorevoli membri della Convenzione, sarà il momento di
affrontare i problemi più specificamente istituzionali.
Permettetemi, a questo riguardo, di esporvi alcune brevi riflessioni.
Noi dobbiamo darci una Costituzione che segni la nascita dell'Europa
politica.
Non dobbiamo, tuttavia, perdere di vista l'originalità
dell'integrazione europea.
L'originalità sta nel fatto che l'Unione Europea è una unione di
popoli e di stati. L'ambizione vera non è quella di costruire un
super Stato. Che senso avrebbe proprio nel momento in cui i modelli
statali classici sono sempre più inadatti a gestire la
globalizzazione? L'ambizione vera, fatta di realismo e visione, sta
nello sviluppare ulteriormente questa costruzione originale verso una
democrazia sovranazionale sempre più avanzata.
Una democrazia europea che si fonda sui popoli e sugli Stati d'Europa.
Per questo, noi dobbiamo adattare a questa costruzione originale
europea i grandi principi delle nostre tradizioni democratiche
nazionali, e cioè: la separazione dei poteri; il voto a maggioranza;
il dibattito pubblico e il voto, da parte degli eletti del popolo, di
tutti i testi di legge; l'approvazione delle imposte da parte del
Parlamento.
Il sistema decisionale dell'Unione deve essere rivisto.
Nuove, più semplici e trasparenti procedure di decisione e di
esecuzione sono necessarie.
Missioni e competenze oggi svolte a livello dell'Unione possono e
debbono essere riconsiderate e devolute agli Stati membri. La
Commissione non si sottrarrà alle proprie responsabilità ed è
pronta a fare la sua parte, ad evolvere in funzione delle nuove
necessità dell'Europa. Essa è pronta a ridefinire i propri compiti e
anche, se utile al bene comune, a cedere parte delle proprie
competenze, per assumere nuove responsabilità in quei campi in cui si
gioca il futuro dell'Europa.
È infatti dovere di tutte le istituzioni qui rappresentate rimettersi
in discussione di fronte a questa Convenzione.
La Commissione è guardiana dei trattati.
Questo significa garantire che l'Unione Europea evolva fedele a se
stessa.
Non vuole dire conservare ad ogni costo quello che i tempi chiedono di
cambiare.
Riconoscendo e rispettando le grandi tradizioni culturali e spirituali
che dell'Europa sono l'anima, dobbiamo lavorare per una vera riforma
dell'Unione.
Una riforma che sia al medesimo tempo profonda e fedele ai grandi
principi che sono stati alla base del nostro successo.
Dobbiamo continuare a tendere a una "Unione sempre più stretta
tra i popoli d'Europa" perché i giovani europei non si
riconosceranno in un progetto ristretto e senza respiro.
Dobbiamo condividere la sovranità per esercitarla in modo reale (come
abbiamo fatto per la moneta).
Dobbiamo riconoscere la necessità di istituzioni responsabili
dell'interesse comune.
Dobbiamo garantire l'eguaglianza di trattamento di tutti gli Stati.
Onorevoli membri della Convenzione,
L'Europa non è un'alleanza. Essa è la casa comune dei cittadini
europei. E' il nuovo protagonista del secolo che si apre.
Per questo essa non può essere fondata sulla legge di pochi perché
sono più grandi, più forti o membri più antichi del club europeo.
L'Unione Europea è una "unione di minoranze" nella quale
nessuno stato deve avere la possibilità di prevaricare sugli altri.
Essa non può accontentarsi di un debole coordinamento incapace di
resistere a forti tensioni.
Cinquant'anni fa, Jean Monnet promosse l'Alta Autorità del carbone e
dell'acciaio persuaso che una istituzione incaricata di difendere
l'interesse superiore dovesse vegliare affinché ciascuno rispettasse
gli impegni presi.
In base a questa medesima persuasione voi, onorevoli membri della
Convenzione, dovrete promuovere istituzioni solide.
L'Unione non è e non deve diventare una nuova Società delle Nazioni,
ridotta all'impotenza dagli egoismi e dai diritti di veto.
L'Unione Europea offre un modello armonioso di democrazia
sopranazionale.
Essa è l'unico tentativo concreto di costruire una globalizzazione
democratica, capace di offrire diritto e sviluppo.
Per questo essa può giocare un ruolo del tutto speciale nel mondo di
oggi e di domani.
Io sono fiducioso che voi saprete dare al nostro continente le
istituzioni necessarie alle sue peculiarità, istituzioni all'altezza
del suo passato, istituzioni adeguate alle sfide del mondo di domani.
La Commissione all'interno della Convenzione sarà rappresentata dai
Commissari Barnier e Vitorino. Essa offrirà con passione il pieno
contributo della propria esperienza e della propria competenza.
*****
"Cinquant'anni di integrazione europea e prospettive
future" - Madrid, 7 febbraio 2002
"Alla fine della seconda guerra mondiale, l'Europa era in rovina.
Era assolutamente necessario allora trovare una strada alternativa per
assicurare una pace duratura. Per ricostruire l'Europa, occorreva una
nuova filosofia delle relazioni internazionali, che si basasse
sull'uguaglianza reale tra Stati e sulla volontà di cooperare su
progetti concreti. Una strada completamente originale per costruire
l'amicizia e la cooperazione fra le nazioni ed i popoli
europei..."
Discorso di Romano Prodi
Presidente della Commissione europea
"Cinquant'anni di integrazione europea e prospettive future"
Instituto de España
Madrid, 7 febbraio 2002
Signore e signori,
sono molto lieto di avere l'opportunità di dare inizio a questo ciclo
di conferenze dell'Insituto de España sulla rifondazione delle
istituzioni europee. Il titolo annuncia che parlerò dei 50 anni
passati ma so che ciò che più vi interessa sono le prospettive
future.
Consentitemi tuttavia di cominciare dal momento in cui ebbe inizio
l'esperimento europeo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, l'Europa era in rovina. Era
assolutamente necessario allora trovare una strada alternativa per
assicurare una pace duratura.
Per ricostruire l'Europa, occorreva una nuova filosofia delle
relazioni internazionali, che si basasse sull'uguaglianza reale tra
Stati e sulla volontà di cooperare su progetti concreti. Una strada
completamente originale per costruire l'amicizia e la cooperazione fra
le nazioni ed i popoli europei.
E questo fu esattamente ciò che propose Robert Schuman, l'allora
ministro degli esteri francese, il 9 maggio 1950 nella sua famosa
dichiarazione.
L'idea radicalmente innovativa di quel testo è che le nazioni europee
avrebbero messo in comune le loro risorse e la sovranità, creando una
forma inedita di unione politica ed economica posta sotto il controllo
di istituzioni sovranazionali. Come disse Jean Monnet: "non si
può realizzare nulla senza istituzioni".
All'inizio il progetto riguardava l'industria del carbone e
dell'acciaio, negli anni seguenti l'integrazione ha coinvolto via via
settori economici sempre più ampi ed infine la moneta. È giusta
l'espressione del Trattato: "un'unione sempre più stretta fra i
popoli dell'Europa".
Schuman non ha mai precisato l'unità che aveva in mente, la sua
profondità e l'estensione. Ma era chiaro che, benché l'oggetto della
cooperazione fosse di natura economica, gli obiettivi e le motivazioni
erano squisitamente politici. Si trattava di elaborare una nuova
convivenza tra Stati e un nuovo sistema politico non statuale, di
superare la vecchia concezione basata sulla coincidenza tra nazione,
stato e istituzioni democratiche.
In questo modo ebbe inizio il processo di integrazione europea e
possiamo essere giustamente orgogliosi di ciò che abbiamo realizzato
in 50 anni.
La pace e lo Stato di diritto sono stati i due risultati più alti
della condivisione della sovranità nazionale finalizzata alla ricerca
di interessi comuni e di un sistema giuridico sovranazionale. Il
processo di costruzione comunitaria si é sviluppato attorno a tre
istituzioni che, in modo diverso e originale, esercitano alcune
funzioni essenziali: l'attività legislativa, quella esecutiva e il
controllo giurisdizionale. Nuovi sistemi decisionali e,
successivamente, l'investitura popolare del Parlamento europeo hanno
caratterizzato in senso ancor più originale il sistema, permettendo
all'Europa di raggiungere alti traguardi.
Il mercato unico ha prodotto un livello di prosperità senza
precedenti che l'euro promette di accrescere ancor di più. L'euro, in
particolare, è la massima espressione di cooperazione in campo
economico ed ha un grande significato politico.
L'euro, a ben guardare, è un fatto eminentemente politico. Come ha
affermato Helmut Kohl, uno degli artefici di questa grande impresa,
dall'Unione monetaria dipende la pace e la guerra nel ventunesimo
secolo. Per questo, il successo dell'euro ha un grande significato, su
cui tutti dobbiamo riflettere e che deve servirci da stimolo per
affrontare le nuove sfide che abbiamo innanzi.
Tra queste, figura, ad esempio, la libertà.
Realizzato il mercato unico, gli obiettivi di libertà dell'Europa
sono andati oltre la dimensione strettamente economica. Le libertà di
cui si parla oggi nell'Unione sono libertà tipicamente civili, legate
al concetto di cittadinanza europea e all'obiettivo di realizzare uno
spazio di sicurezza e di giustizia.
Ma questi obiettivi devono farci riflettere sul metodo necessario ed
opportuno per continuare ad avanzare nel processo di costruzione
dell'Europa.
Parlare di libertà fondamentali, di cittadinanza, di giustizia,
infatti, significa andare a toccare questioni tipicamente politiche,
che richiedono un nuovo metodo democratico e un nuovo tipo di
legittimità.
Sinora, l'Unione europea è stata costruita seguendo una serie di
"passi concreti" che hanno progressivamente dato ai nostri
popoli il senso dell'unità e dell'identità europea.
Passo dopo passo siamo andati avanti: ma in che direzione? Che cosa ci
attende alla fine di questo processo di "unione sempre più
stretta"? E di quali strumenti abbiamo oggi bisogno per
procedere?
Siamo arrivati ad un punto in cui tali questioni non si possono più
rimandare.
Siamo in procinto di realizzare un grande allargamento, ci prepariamo
ad accogliere fino a dieci nuovi Stati membri entro il 2004, mentre
altri seguiranno negli anni successivi.
I nuovi Stati membri ospitano una grande diversità di culture e di
aspirazioni. Quindi questo è il momento di trovare un accordo su ciò
che vogliamo per il nostro futuro comune e di affermarlo in un
Trattato costituzionale.
Per questa precisa ragione è stata istituita la Convenzione, che
darà inizio ai suoi lavori alla fine di questo mese e sulla quale mi
diffonderò più oltre.
L'Unione europea è ad un bivio, anzi si trova di fronte ad un grande
incrocio da cui dipartono molte strade. Quale dobbiamo prendere?
Una strada porta alla completa unificazione politica, un'altra alla
semplice cooperazione intergovernativa, un'altra ancora verso una
maggiore integrazione fra tutti gli Stati membri, l'ultima conduce al
"rafforzamento della cooperazione" fra diversi gruppi di
paesi.
Credo che sia impossibile trovare un accordo sulla direzione da
prendere senza prima aver chiaro il nostro obiettivo di lungo termine.
Dobbiamo avere una visione per il tipo di Europa che vogliamo
realizzare.
Per troppo tempo abbiamo parlato solo di bilanci e di conti,
concentrandoci unicamente sulla dimensione economica dell'Europa.
L'Europa non è un'impresa, è una famiglia di nazioni ed i popoli che
si è unita alla ricerca di obiettivi comuni.
È quindi tempo di abbandonare l'approccio contabile, sollevare gli
occhi dai libri mastri e guardare all'ultimo orizzonte. Dobbiamo
immaginare insieme la meta che vogliamo raggiungere.
Oggi vorrei parlarvi della mia visione di Europa.
Sono profondamente convinto che si debba costruire l'Europa sui valori
di base che ci accomunano:
la pace e la stabilità;
le libertà e la democrazia;
la tolleranza ed il rispetto dei diritti umani;
la solidarietà e la giustizia sociale.
L'integrazione ha già fatto molto per questi grandi valori europei.
In primo luogo, la pace e la stabilità hanno messo radici ovunque in
Europa negli ultimi cinquant'anni.
Più di recente abbiamo contribuito a portare pace e stabilità anche
nelle regioni confinanti, soprattutto nei Balcani. Gli accordi di
stabilizzazione e di associazione con i paesi della regione promuovono
l'integrazione fra quei paesi ed aprono la strada per una loro futura
adesione all'Unione Europea.
L'integrazione ha prodotto anche la stabilità finanziaria ed
economica. La disciplina imposta dall'unione economica e monetaria ha
tonificato l'economia di tutti i paesi. I fondamentali economici sono
buoni, e poi adesso abbiamo l'euro.
Sono convinto che l'Unione, proprio partendo da queste solide basi
economiche interne, debba esportare stabilità. Lo stiamo già facendo
attraverso il processo di allargamento a Sud e ad Est. Dobbiamo
continuare a farlo attraverso una nuova concezione dei rapporti
euromediterranei e una cooperazione sempre più stretta con i
"nuovi vicini" dell'Unione allargata: la Russia, l'Ucraina,
i paesi del Caucaso.
Il mercato unico, l'unione monetaria e le politiche comuni sono
infatti ottimi strumenti di "politica estera" dell'Unione, e
vanno utilizzati come tali, per rafforzare la cooperazione con i
nostri vicini ed estendere al di là dei confini dell'Unione quella
nuova filosofia di relazioni internazionali che è alla base del
successo dell'integrazione europea.
Una filosofia basata sulla libertà e sulla democrazia. La libertà di
movimento è stata la base sulla quale abbiamo costruito la
prosperità in Europa, e la prosperità a sua volta promuove la
libertà individuale.
Negli ultimi dieci anni, la libertà e la democrazia si sono estese
anche all'Europa centrale e orientale. Per questo motivo il prossimo
allargamento dell'Unione è un evento di assoluta portata storica.
Finalmente il nostro continente, per troppo tempo diviso, viene di
nuovo unificato e stavolta non con la forza ma grazie alla libera
scelta e sulla base dei nostri valori comuni.
I negoziati di adesione vengono condotti con attenzione per
consolidare la democrazia, i diritti umani e delle sane politiche
economiche in tutti i paesi candidati.
Contemporaneamente siamo impegnati a stabilire buoni rapporti con i
nostri vicini, non solo con quelli che si trovano oltre i confini
orientali ma anche con i vicini del Mediterraneo.
Vogliamo infondere nuova linfa al processo euromediterraneo nella
speranza che la nostra azione serva a risolvere i conflitti della
regione, soprattutto in Medio Oriente.
Al tal fine, ci siamo posti tre priorità chiare per il Mediterraneo:
la creazione di una banca euromediterranea, lo sviluppo di forme nuove
di cooperazione subregionale, ed il rafforzamento del dialogo politico
e culturale nella regione.
Il dialogo fra le culture è di importanza primaria e, dopo gli
attacchi terroristici dell'11 settembre nella campagna militare che ne
è seguita, è diventato un compito urgentissimo.
Queste considerazioni conducono naturalmente alla successiva coppia di
valori che ho citato poc'anzi: la tolleranza e il rispetto reciproco.
Questi sono ideali profondamente radicati nella tradizione umanistica
europea. Nel corso dei secoli i popoli del nostro continente hanno
imparato, sebbene lentamente e con dolore, a rispettare la cultura ed
il sistema di credenze altrui.
Oggi in Europa abbiamo bisogno di molta tolleranza, più che in
passato, perché apparteniamo tutti in un certo senso ad una
minoranza. Nutro la speranza che, grazie alla nostra secolare
esperienza di convivenza, possiamo offrire al mondo il buon esempio.
La tradizione culturale ed umanistica europea è anche la fonte del
nostro impegno verso la solidarietà e la giustizia sociale. Gli
europei desiderano una società giusta e benevola, che si prenda cura
degli elementi più deboli e assicuri che tutti possano godere del
nostro benessere.
Ciò significa redistribuire la ricchezza ai poveri, ai disoccupati,
ai malati e agli anziani; significa garantire l'istruzione gratuita ai
nostri figli...
Lo Stato assistenziale, nelle sue diverse forme nazionali, è una
delle più alte conquiste europee del ventesimo secolo. È un modello
di come la società possa essere competitiva e solidale allo stesso
tempo. È la prova che il progresso economico può andare di pari
passo con il progresso sociale.
Ma di fronte a noi ci sono grandi sfide sociali. La popolazione
invecchia, la forza lavoro si riduce. Senza una serie di riforme
autentiche, i sistemi sanitari e pensionistici diverranno presto
insostenibili.
Per questo motivo dobbiamo ammodernare lo stato assistenziale
adattandolo alle realtà del ventunesimo secolo. Dobbiamo assicurarci
che non vada perduto e che continui a proteggere le generazioni
future.
Parallelamente abbiamo bisogno di un'energica riforma dell'economia
per farla diventare più forte, più dinamica e più competitiva.
Per le donne e i lavoratori più anziani deve essere più facile
trovare e conservare una dignitosa occupazione retribuita.
Dobbiamo eliminare i disincentivi alla ricerca di un lavoro.
Dobbiamo investire in maniera considerevole nella formazione, nella
mobilità e nell'istruzione.
In breve, dobbiamo perseguire con decisione l'agenda concordata a
Lisbona nel marzo 2000. È essenziale che il vertice di Barcellona del
mese prossimo dia nuovo slancio all'agenda.
Come spesso ricordo, mettere in pratica Lisbona significa dare corpo
alla dimensione microeconomica dell'Unione monetaria, significa agire
con coerenza per permetterci di raggiungere tutti gli ambiziosi
obiettivi che ci siamo fissati e soddisfare alcune legittime
aspettative che noi stessi abbiamo sollevato tra i nostri cittadini.
Signore e signori,
il fine ultimo dell'Unione è quello di favorire il benessere di tutti
i cittadini, senza discriminazioni o esclusioni, di difendere i nostri
valori fondamentali e di promuoverli in tutto il mondo.
Il mio desiderio è di una Unione forte e prospera che realizzi questi
obiettivi. Un protagonista che prenda l'iniziativa sulla scena
internazionale per mantenere la pace dove essa è in pericolo, per
dare stabilità, combattere la criminalità e il terrorismo,
promuovere lo sviluppo sostenibile e il libero scambio, infine per
prendere in mano le redini della globalizzazione.
L'Unione europea può e deve essere un modello per il mondo,
dimostrando nella pratica che è possibile canalizzare le forze della
globalizzazione grazie all'integrazione regionale democratica. Dopo
tutto, l'Europa è anche questo: un esempio di governo democratico
della globalizzazione.
Questa è la mia visione dell'Europa.
Per realizzarla, l'Europa deve imparare a parlare e ad agire
all'unisono.
Mi ha fatto piacere osservare come, dopo l'11 settembre, siamo stati
capaci di esprimere un vero intento comune con grande rapidità.
Dobbiamo procedere in quella direzione. Il mondo vuole più azioni
concertate a livello europeo.
Quindi, di fronte a questo complicato incrocio, credo che l'Europa
debba scegliere la strada di una maggiore integrazione fra tutti gli
Stati membri.
Non ci devono essere corsie veloci e corsie lente, sulle quali ci
lasceremmo alle spalle alcuni Stati membri più deboli. L'Europa o si
fa insieme o non si fa affatto.
Signore signori,
se il modello europeo di integrazione regionale deve servire da
esempio per il resto del mondo, esso deve diventare più efficiente.
Il pericolo maggiore che minaccia il sostegno popolare per l'Europa
sono le promesse non mantenute. Dobbiamo colmare il divario fra i vani
proclami e la realtà. I cittadini desiderano concretezza e risultati.
Non solo, i nostri cittadini chiedono anche più legittimità.
Bruxelles si è allontanata troppo dalla vita dei cittadini e questi,
a ragione, chiedono di voler dire la loro sulla forma che prenderà la
Nuova Europa. E chiedono anche un'Unione dove vi sia una chiara
leadership, un centro esecutivo facilmente identificabile e
politicamente responsabile di fronte al Parlamento e ai cittadini.
Dobbiamo cioè rimediare all'attuale frammentazione della nostra
azione politica, che rende il sistema poco comprensibile e tende ad
indebolire i meccansimi di controllo.
Dobbiamo quindi applicare in Europa alcuni principi di base delle
democrazie liberali, pur tenendo presente che l'Unione é e deve
rimanere qualcosa di diverso da uno Stato.
E abbiamo bisogno di un nuovo sistema decisionale che eviti la
paralisi nell'Unione allargata.
È già difficile raggiungere l'unanimità fra quindici Stati membri,
figuriamoci quando gli Stati saranno venticinque o forse più.
Dobbiamo abbandonare il sistema dell'unanimità ed utilizzare in modo
molto più esteso il voto a maggioranza qualificata in seno al
Consiglio. Inoltre il Consiglio dei ministri dovrà rivedere i suoi
metodi di lavoro. Nell'Unione a 25, un semplice tour de table
durerebbe un interno pomeriggio! Si dovrà quindi votare in tutti i
casi in cui i trattati lo consentono, senza cercare sempre e comunque
un consenso unanime.
Divenire una democrazia sovranazionale compiuta, poi, significa anche
estendere i poteri decisionali del Parlamento europeo a tutta
l'attività di tipo legislativo.
Occorre anche consolidare la base di legittimazione democratica e
l'efficienza della Commissione.Ad esempio, e di questo sono certo, la
Commissione dovrà essere un organismo più snello limitandosi ai
compiti più schiettamente politici e delegando l'attività
amministrativa alle agenzie europee oppure alle autorità nazionali.
A Bruxelles dobbiamo infatti operare in un sistema più semplice e
aperto, concentrando l'attività delle istituzioni comunitarie sulle
missioni fondamentali ed avviando, allo stesso tempo, una forma di
governo nuova e decentralizzata per l'Unione del domani.
Il Libro Bianco che la Commissione ha pubblicato la scorsa estate
propone alcuni passi importanti in questa direzione. Per esempio,
propone un rapporto diverso fra le istituzioni europee e le autorità
nazionali, regionali e locali che consenta a tutti i livelli di
collaborare insieme al governo dell'Unione.
La Commissione europea intende anche istituire una consultazione
sistematica con la società civile.
Lo scopo è di coinvolgere sempre più strettamente i cittadini nella
definizione delle politiche dell'Unione europea.
Il futuro dell'Europa deve restare saldamente in mano ai cittadini.
Dobbiamo costruirlo dal basso, per i cittadini e dai cittadini.
Inoltre dobbiamo costruirlo in modo aperto e responsabile, non a porte
chiuse.
Per questa ragione sono felicissimo che il vertice di Laeken abbia
preso la storica decisione di istituire una Convenzione per preparare
il prossimo Trattato dell'Unione.
L'idea di una Convenzione che elabori le proposte di revisione del
Trattato è nuova e rivoluzionaria. Sarebbe stato impensabile prima di
Nizza. Ricordo che, lasciando il Consiglio europeo di Nizza, la
mattina presto di un giorno di dicembre di due anni fa, mi sono detto:
"Non possiamo andare avanti così, con i capi di Stato esausti
che prendono decisioni formidabili nel cuore della notte. Ci deve
essere un sistema migliore per progettare il nostro futuro."
Subito dopo ho cominciato a proporre la Convenzione, e oggi è una
realtà!
Alla Convenzione si discuterà il futuro dell'Unione europea non solo
fra i rappresentanti dei governi degli Stati membri, ma anche con i
paesi candidati e con i membri di tutti i parlamenti nazionali.
Ci sarà anche la Commissione per fare, come sempre, l'interesse
esclusivo dell'Unione.
Parallelamente avremo un Forum della società civile nel quale le ONG
e tutte le altre organizzazioni dei cittadini potranno esprimere il
loro parere sulle questioni dibattute nella Convenzione.
Le questioni sul tappeto sono importantissime.
Qual è lo scopo dell'Unione?
Quali sono gli obiettivi di lungo termine?
Di quali politiche e istituzioni comuni abbiamo bisogno per
realizzarli?
Quale sarà il ruolo di ciascuna istituzione e dei parlamenti
nazionali nella nuova architettura dell'Unione?
In breve, chi farà cosa nel nuovo sistema?
Valéry Giscard d'Estaing, il presidente della Convenzione, ha tutta
la fiducia della mia Commissione.
La Convenzione sfocerà in una Conferenza intergovernativa nel 2004
che, spero con tutto il cuore, tradurrà le sue raccomandazioni in un
nuovo Trattato.
Molto dipenderà da come la Convenzione riuscirà ad organizzare i
suoi lavori e dalla qualità delle opzionio del documentoche riuscirà
a proporre. Ma molto dipenderà anche dal dibattito pubblico che
dovrà accompagnare i lavori della Convenzione e sostenere in seguito
la Conferenza intergovernativa.
L'informazione, la discussione e la partecipazione dei cittadini alle
proposte della Convenzione saranno fondamentali.
L'Europa ha infatti bisogno di un ampio consenso popolare: sarebbe
estremamente pericoloso continuare a correre avanti e, ad un certo
momento, voltarsi e accorgersi di essere soli.
Per questo, abbiamo anche bisogno di un Trattato che sia finalmente
scritto in termini chiari e semplici e che tutti i cittadini possano
comprendere facilmente.
Signore e signori,
Quanto di buono è stato realizzato in Europa negli ultimi
cinquant'anni è il prodotto dell'integrazione, attraverso il metodo
comunitario.
Tale metodo, rinnovato e rafforzato, deve restare il cuore pulsante
dell'Unione. La semplice cooperazione intergovernativa non è
un'alternativa praticabile, come abbiamo visto chiaramente a Nizza.
Il futuro dell'Unione europea va progettato, attuato e regolato dal
metodo comunitario ma con una partecipazione molto più piena di tutti
i cittadini europei.
Se il leader europei riusciranno oggi ad agire con coraggio, possiamo
dare ai nostri cittadini l'Europa che desiderano, l'Europa che si
aspettano da noi le generazioni future.
Un'Europa giusta, umana e solidale.
Un'Europa appassionante, energica ed intraprendente.
Un'Europa per tutti.
Grazie.
******
da http://europa.eu.int/comm/commissioners/prodi/index_it.htm
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