" nemmeno...io "...... a
cura di
Nadia
Scardeoni
Non insegnate ai bambini
Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.
Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l'unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.
Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto,
al teatro, alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno
di un'antica speranza.
Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all'amore il resto è niente.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Giro giro tondo cambia il mondo. ................................................................................................ da
1 - Il tutto è falso
2 - Non insegnate ai bambini
3 - Io non mi sento italiano
4 - L'illogica allegria
5 - I mostri che abbiamo dentro
6 - Il dilemma
7 - Il corrotto
8 - La parola io
9 - C'è un'aria
10 - Se ci fosse un uomo
L'ultimo disco di Giorgio Gaber
Far finta di essere
Gaber
Il discorso di Massimo Bernardini letto
alla fine della cerimonia nella Abbazia di Chiaravalle.
Cosa vuol dire laico?
Un uomo che non va in chiesa la domenica, non parla sempre bene del Papa
e non è attratto da dogmi, cerimonie e giubilei? Se laico vuol dire
questo, tu, Giorgio, eri un laico.
E allora che ci fai qui, oggi, in questa casa di monaci fondata da San
Bernardo?
lo credo che tu ci stia benissimo, meglio che in mille altri posti.
Perché questa è una casa di Dio costruita dal genio degli uomini, e tu
Giorgio eri un uomo di genio.
Di te un sacerdote milanese, don Luigi Giussani, ha
scritto:
"In un popolo sempre il genio
illumina aspetti dell'esistenza, assicurando a tutti e a ciascuno una
più matura coscienza delle evidenze e delle esigenze elementari del
cuore".
Si preoccupava, don Giussani, che tu fossi più o meno
laico? No. Si stupiva della tua capacità di intuire i desideri del cuore
degli uomini: desiderio di verità, di tenerezza, di appartenenza.
Tu, uomo discreto, appartato, desideravi appartenere. Col Sessantotto ti
sembrò di poter appartenere a una "razza", così la chiamavi, che aveva
scommesso sul futuro, sicura che non avrebbe mai fatto gli errori dei
padri. Ne fece invece di peggiori, e tu, implacabile, col tuo amico
Sandro Luporini la incalzasti canzone dopo canzone, monologo dopo
monologo, spettacolo dopo spettacolo. Le stesti alle costole con un
furioso amore-odio finché ti accorgesti, ma sempre in anticipo sugli
altri, che non esisteva più, che si, era consumata tutta. Fu un dolore
grande, una ferita non rimarginabile, ma se ne accorsero in pochi.
Quel dolore fu scambiato a torto per irredimibile pessimismo, eppure era
lui a rendere amaro il tuo sguardo sul mondo.
Ma è stato sempre accompagnato
dalla speranza che da qualche parte si potesse ricominciare.
Da un uomo e una donna per esempio. Noi oggi dobbiamo ricordare, in
questa casa di Dio, che tu, il laico Gaber, hai capito forse come nessun
altro che lì, in quel punto, in quel dilemma che è ogni incontro fra un
uomo e una donna, si gioca qualcosa di sacro.
Che non si tratta di moralità,
di psicologia, di consuetudini, ma del destino dell 'io, di questo
nostro povero io.
E qui forzo ogni pudore per parlare di Giorgio e di Ombretta. Il segreto
del vostro matrimonio, che si è celebrato proprio qui 37 anni fa, io non
lo so. So però che in questi decenni in cui ho avuto il privilegio di
vedervi da vicino ho capito cos'è un matrimonio, questa misteriosa
alleanza che fra luci ed ombre sostiene, fa nascere, crea. La
possibilità che il mondo vada avanti poggia su questo fragile
punto, e chi l 'ha creato ha
scommesso davvero tutto sulla nostra libertà. Dalia, ora lo sai anche
tu.
Ma adesso con chi parleremo ancora di tutto questo?
Chi ci chiederà con passione del
mondo, della vita, chi ci ruberà i nostri dubbi e le nostre certezze
trasfigurandoli in spettacolo e arte?
Di questo vorremmo arrabbiarci con Dio, Dio che ci
toglie un altro dei pochi (come Pierpaolo Pasolini, come Giovanni
Testori)
che avevano la libertà e la spietatezza di dirci dove
stiamo andando.
E in più ci toglie un maestro, una voce emozionante, ci toglie la tua
capacità di farci ridere e piangere, ci toglie la bellezza di tante
serate in teatro.
Ma litighiamo con Dio per noi per quello che da oggi
ci ha tolto.
Non per te Giorgio, che adesso sei dentro il più umano degli abbracci,
anzi di più, quello senza misura, senza condizioni.
Restiamo qui e da oggi è come se ci mancasse un braccio, una gamba, un
pezzo della nostra testa e della nostra vita. Ed è un mistero che non
riusciamo a capire. Però possiamo ricorrere alle tue parole, Giorgio:
"lo non so niente, ma mi sembra
che ogni cosa, nell'aria e nella luce, debba essere felice".
Ciao Giorgio.
Massimo Bernardini
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"Dov'è la destra, dov'è la sinistra": dove volevi colpire?
La polemica è su questo apparente fortissimo antagonismo delle due
parti.
Io sono convinto che in questo momento la politica
ha poche possibilità di risolvere i nostri problemi e che esasperare
questi contrasti fa bene solo alla politica e non al Paese.
Quindi la canzone nasce per smontare questo dualismo così violento e
riportare tutto alle cose che riguardano la gente e che interessano al
Paese.
http://www.vincenzomollica.rai.it/solotesto/vinile/gaber/
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Avvenire - 03/01/2003
Intervista a Gaber 1998 - riedita il 3/1/2003
di Massimo Bernardini
L'INTERVISTA A Sat 2000 il suo
«no» alla
massificazione e al caos delle opinioni proposte come merce:
«Ci vorrebbe un
po' più di silenzio»
Giorgio Gaber, arrivati a fine secolo, lei ridiventa
un difensore della cultura elitaria, mandando al macero tutte le idee
della sinistra del '68?
«In questa specie di corsa alla divulgazione a
qualsiasi prezzo, alla definizione di cultura che non sappiamo bene che
cosa sia, alle speculazioni di qualsiasi tipo, qualsiasi idea che esca
in questo momento, grazie alla fortissima influenza di un mercato anche
delle idee, rischia di essere rovinata dall'origine da cui è partita.
Per cui grande prudenza mi sembra necessaria, nel senso proprio di
precisione della comunicazione ed essenzialità, senza il chiacchiericcio
portato a livello di massa, che diventa in genere dequalificante».
Ma questo non contraddice l'inizio del mitico 68?
«Io devo dire la mia affezione a quel periodo,
soprattutto alle intenzioni di quel periodo. Perché, poi, il
periodo subito dopo ha avuto da parte mia delle piccole correzioni. Io
scrissi proprio nel 72 "Chiedo scusa se parlo di Maria", e già in quel
pezzo cercavo di sostenere l'importanza dell'individuo rispetto a questo
delirio ideologico. Quindi in qualche modo mi sentivo parte perché
sentivo che la vita era di lì, l'energia era di lì, in contrapposizione
a un vecchio conservatorismo che andava comunque superato. Il vecchio
conservatorismo si è trasformato in neoliberismo, è cambiata
assolutamente la storia, e quindi sono cambiati anche il modo di
rapportarsi fra la gente, che secondo il mio punto di vista è anche
degradato nella qualità, fino a raggiungere appunto l'idiozia».
Ma allora ci vuole ancora l'élite?
«No, il problema dell'élite è un problema che non condivido».
Ma lei è ancora per la cultura di massa?
«No, mi parli della "cultura degli individui". Io non ho simpatia per la
parola "massa". Sarà perché ha qualcosa a che vedere non solo con una
vecchia sinistra, abbastanza ideologica, ma anche col concetto di
massificazione, che è tutt'altro dalla sinistra, ed è un concetto della
scuola di Francoforte a cui io sono affezionato. Cioè la massificazione
è la reificazione, l'oggetto delle persone, in qualche modo il togliere
l'anima alle persone.
E quindi ecco che di colpo, quando lei mi parla di
cultura di massa, mi parla di cultura senz'anima, di una diffusione di
cultura che evidentemente non ha in sé né il piacere né il bisogno di
essere incontrata, e neanche la funzione di crescita dell'individuo
Che cos'è la cultura?
Io credo sia una chiave per
capire meglio quello che siamo. Credo che questa sia una
definizione molto semplice, per carità, assolutamente insufficiente, ma
che in qualche modo corrisponde a quello che più o meno voglia dire
questa parola».
Perché lei dice che la cultura «dev'essere però circondata di silenzio»?
«Dev'essere circondata di silenzio per eliminare
proprio questo chiacchiericcio. È impossibile che su problemi di
qualsiasi tipo, di qualsiasi ordine, ognuno dica la sua impunemente, e
valgano le opinioni di tutti. Questa è una specie di grande
partecipazione della gente, chiamata ancora dalle radio libere, quando
partirono, "a microfono aperto". Ecco una di quelle cose che io non
sopportavo. Il microfono dev'essere chiuso, nel senso che a un certo
punto ci sono delle persone che hanno titoli e qualità per parlare. Non
è che dobbiamo parlare tutti: perché se no si fa una gran confusione.
Ecco, questo falso senso democratico mi infastidisce moltissimo».
http://www.giorgiogaber.org/index_2.htm
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Corriere della Sera - 02/01/2003
«E' un periodo di egoismo e cattiveria. E
noi siamo complici di tutto questo»
di Mario Luzzatto Fegiz
Ottobre 2001, a casa del cantautore a Milano «La
mia generazione ha perso? E' una constatazione doverosa, non politica».
«Che cosa resta da picconare? Prevedere il futuro non
è una difficoltà soltanto mia».
Ottobre 2001, nella sua casa vicino a piazzale Loreto, Giorgio Gaber
concede una delle sue rare interviste davanti a un registratore (non gli
era mai piaciuto). Ha appena pubblicato «La mia
generazione ha perso».
Perché un titolo così amaro?
«E' una constatazione doverosa.
Non tanto legata a un fatto politico quanto a un dato, oserei dire,
antropologico. Io ho interpretato in qualche modo, forse
presuntuosamente, i sentimenti di una generazione che ha visto in questi
anni succedere tante cose. E il bilancio non è confortante. Il mondo che
ci circonda mi piace sempre di meno, la gente anche, e quello che noi
abbiamo cercato di raggiungere non esiste e non ha più riscontro».
Concetto presente anche in un'altra canzone inedita,
«La razza in estinzione»... «Sì, ricorda "Io se fossi Dio" vent'anni
dopo. Vorrei insistere su questo mondo che non mi piace. In qualche modo
le generazioni che ci hanno preceduto, o che mi hanno preceduto, che
sarebbe più corretto, ci hanno lasciato un futuro
aperto.
Ecco, noi, ai nostri figli, che
cosa lasciamo? Mi pare che lasciamo un'incertezza del futuro molto
preoccupante e individui assolutamente più disgregati di quanto fossero
quelli delle generazioni precedenti. In qualche modo è proprio sui figli
che abbiamo fallito».
Però lasciamo anche un progresso tecnologico, servizi
sociali di base..., lasciamo comunque un'idea della protezione e
dell'attenzione verso i deboli... «Questo è molto
vero. Io sto dicendo che certi ideali, certe resistenze a un mercato e a
uno sviluppo insensato non sono state fatte. In fondo, i nostri ideali
sono stati travolti dal mercato. Assodato tutto ciò, quando si arriva a
una certa età non si può far finta di niente, dire che non c'entriamo.
In fondo , siamo stati tutti
complici di questa situazione»......................
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da
Interlinea :
BABILONIA
STRALCIO
"Forse, al di là di tutto, il problema più grande è
essenzialmente quello di trovare parole e concetti che possano dar forma
leggibile ed esaustiva a quello che magari sentiamo già dentro di noi:
vuoi in modo oscuro, o embrionale, ma di cui ne abbiamo sufficiente o
larvata coscienza, o ancora che, per lunga e approfondita esperienza, ne
crediamo di possedere lucidamente tutti i segreti e addirittura
l'essenza.
E, nel nostro specifico, come questa definizione ci
possa portare nell'itinerario archeologico alla chiave semantica dell'"arte
quale linguaggio primo"."
"Il linguaggio dell'arte puo'
essere pensato come una metafora complessa di vocazioni che si addensano
storicamente , nello spazio e nel tempo, per confluire in un "unicuum"
che e' il "corpo singolare e irripetibile" della lingua di ciascun
artista. E gli artisti - coloro che sanno " dare forma" alle proprie
vocazioni- sono medium di aspetti piu' o meno complessi della realtà che
essi hanno la necessita', a volte l'urgenza, di comunicare.
Da che cosa e' data questa
"urgenza"?
L'urgenza del comunicare e'
sempre una risposta a qualcuno a qualcosa."
" DIALOGO:
a) Secondo me quella sedia lì va
spostata.
b) Anche secondo me quella sedia
lì va spostata.
a) Facile dirlo quando l'han
detto gli altri.
b)Se è per questo sono anni che
lo dico e nessuno mi ascolta.
a) Da una approfondita analisi
storica e sociologica viene fuori che quella sedia pesa dai nove ai
dieci chili.
b) Non sono d'accordo. Dai
sondaggi il 2% degli intervistati dice che pesa dai cinque ai sei chili,
il 3% dai sei ai sette chili, il 95% non lo so e non me ne frega niente.
Basta che la spostiate.
a) Secondo me per spostarla ci
vorrebbe qualcuno che la prendesse delicatamente per la spalliera e la
mettesse da un'altra parte.
b) Eccesso di garantismo. Al
punto in cui siamo è assolutamente necessario prenderla in qualsiasi
modo. Anche a calci.
a) A calci? Ma questo è
profondamente antidemocratico e anticostituzionale.
b) Se è così cambiamo la
Costituzione
a) Non è una cosa che si può
fare da un giorno all'altro. Nel frattempo propongo di indire un
referendum.
b) Non si troveranno mai 500.000
firme per spostare una sedia.
a) E allora non c'è scelta:
elezioni anticipate.
b) No, le elezioni oggi no.
Sarebbe troppo grave per il Paese. Forse domani.
a) Rimane il problema urgente
della sedia da spostare.
b) Su questo sono d'accordo. Può
essere un punto di incontro.
a) Parliamone.
b) Parliamone. "
"Quando guardiamo i volti dei
Moai dell'isola di Pasqua percepiamo chiaramente l'anelito sublime di
chi vuole raggiungere e superare l'orizzonte; l'ostacolo infinitamente
limitante dell'Infinito perché, e qui apriamo una doverosa parentesi,
c'è abissale differenza tra l'Eterno e l'Infinito.
L'Infinito?
Sarà bene parlarne un attimo."
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"Solo sulle salde
fondamenta di un'inflessibile disperazione si può d'ora innanzi
costruire l'edificio dell'anima"