Giovanni
e Paolo, 57 giorni....
23 maggio ,
19 luglio 1992
“Isolato nella sua città"
dal libro “Storia di Giovanni
Falcone", di F. La Licata, Rizzoli, Milano 1993.
Faceva
paura, in quegli anni, la macchina da guerra che si muoveva attorno a
Falcone. Quattro auto di scorta, gli agenti coi giubbetti antiproiettili
e le mitragliette, le sirene e i lampeggiatori, le «sgommate» sulle
corsie preferenziali. E l'elicottero, assordante, quasi poggiato sui
tetti dei palazzi di via Notarbartolo, avanscoperta, di un piccolo
esercito agguerrito. Falcone in ascensore con i tre agenti, mentre altri
due salivano a piedi e lo precedevano al piano. Se, si andava a trovarlo
ci si doveva sottoporre a controlli accuratissimi. I palermitani
guardavano attoniti alla nascita di quel «fenomeno». La città malignava,
le invidie prendevano corpo, i commenti acidi cominciavano ad essere lo
sport preferito dei garantisti dell'ultima ora. No, non era amore quello
di Palermo per Falcone. Al punto che, quasi vergognandosi per «tanto
fastidio arrecato alla comunità», il giudice non poté fare a meno di
ridimensionare ulteriormente i suoi spazi di libertà.
Ne risentì ancora di più la sua privacy:
la notte si decise, a far montare la guardia dietro alla porta di casa,
una sorveglianza che ormai abbracciava l'intera durata delle
ventiquattro ore. E lui rinunciò al mare. Addio irruzioni a sorpresa
allo stabilimento La Torre, a Mondello, l'unico posto che, dal punto
divista della sicurezza, garantiva qualche spiraglio di tranquillità. Il
nuoto era rimasta praticamente l'unica «trasgressione» alle regole della
vita blindata. Scelse di ripiegare sulla piscina comunale, con
difficoltà perché doveva aver cura di andare in ore non di punta. E
allora si presentava praticamente all'alba o a sera tardissima. E
sempre in momenti diversi. Smise anche di andare al cinema. Decisione
obbligata, visto che ogni volta dovevano «liberare» quattro file di
poltrone per fargli attorno una specie di cordone sanitario. Apprezzò
l'utilità dell'invenzione di videoregistratori e «cassette». Non
parliamo, poi, dei ristoranti. Ci fu un periodo che la gente si alzava e
cambiava tavolo.
http://www.fondazionefalcone.it/falconestoria80.htm
Il 23 maggio 1992,Giovanni
Falcone, direttore degli affari penali del ministero di Grazia e
Giustizia e candidato alla carica di Superprocuratore Antimafia, è
appena atterrato
all'aeroporto di Punta Raisi con la moglie Francesca Morvillo,
magistrato.
Alle ore 17:58,sull'autostrada Trapani-Palermo,
nei pressi di Capaci, una
tremenda deflagrazione li uccide,insieme agli uomini della scorta,
Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco di Cillo.
+ + + + +
ore 17.56'48"
.....
Circa 500 kg
di esplosivo sistemato dentro un canale di scolo che attraversa
l'asfalto esplodono sull'autostrada A29 Trapani-Palermo, sulla corsia
tra Punta Raisi e lo svincolo per Capaci. In quel momento, al km. 5,
stanno transitando le Croma di scorta al giudice Giovanni Falcone, e,
sulla carreggiata opposta, una Fiat Uno e una Opel Corsa. Nella violenta
deflagrazione, la prima 'blindata' - con a bordo Antonio Montinaro, Vito
Schifani e Rocco Di Cillo - viene scaraventata oltre la carreggiata
opposta di marcia, su un pianoro di alberi. La seconda Croma del corteo,
guidata da Falcone, si infrange contro il muro di detriti - asfalto,
terra e pietre - creato da una profonda voragine. La Croma che chiude la
scorta - con a bordo Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo -
sia pure seriamente danneggiata, resiste alle conseguenze dello scoppio.
Diradatasi la polvere, i primi soccorritori - automobilisti in transito
e abitanti di alcune villette circostanti - si rendono conto che
l'esplosione ha sventrato un centinaio di metri di autostrada. Al 113 e
112 giungono le prime segnalazioni dello scoppio, anche se non è ancora
chiaro cosa sia realmente accaduto: forse l'esplosione di una palazzina
o un incidente al vicino impianto delle Cementerie Siciliane. Con
l'arrivo delle prime 'volanti' e 'gazzelle' tutto diventa chiaro.
Nelle comunicazioni radio, Falcone è indicato con l'iniziale 'Foxtrot',
con la sigla 'Monza 500' o con la qualifica di 'nota personalità'.
da
http://www.ricordarecapaci.it/voci.html
57 giorni
I giorni di
Giuda
da
Con
questo commosso e polemico discorso pronunciato a Palermo il 25
giugno 1992 nel corso di una manifestazione promossa da Micromega
Borsellino denunciò con forza e senza nessun ricorso alla diplomazia la
costante opposizione al lavoro e al metodo di Giovanni Falcone di parti
consistenti delle istituzioni, che hanno agito per isolare il fondatore
del pool antimafia e per rendere impossibile il suo impegno: in
questo senso, “Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988” quando il
CSM gli preferì Antonino Meli per la carica di procuratore capo di
Palermo.
Quest'intervento
è stato pubblicato nel marzo 1993 sulla rivista Micromega.
Io
sono venuto questa sera soprattutto per ascoltare.
Purtroppo ragioni di lavoro mi hanno costretto ad arrivare in ritardo e
forse mi costringeranno ad allontanarmi prima che questa riunione
finisca. Sono venuto soprattutto per ascoltare perché ritengo che
mai come in questo momento sia necessario che io ricordi a me stesso e
ricordi a voi che sono un magistrato. E poiché sono un magistrato devo
essere anche cosciente che il mio primo dovere non è quello di
utilizzare le mie opinioni e le mie conoscenze partecipando a convegni e
dibattiti ma quello di utilizzare le mie opinioni e le mie
conoscenze nel mio lavoro.
In questo momento inoltre, oltre che magistrato, io sono testimone.
Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di
lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto, non voglio dire più
di ogni altro, perché non voglio imbarcarmi in questa gara che
purtroppo vedo fare in questi giorni per ristabilire chi era più
amico di Giovanni Falcone, ma avendo raccolto comunque più o meno di
altri, come amico di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di
parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io
mi sono fatte raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto
dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all'autorità
giudiziaria, che è l'unica in grado di valutare quanto queste cose
che io so possono essere utili alla ricostruzione dell'evento che ha
posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto,
nell'immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non
soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita.
Quindi io questa sera debbo astenermi rigidamente - e mi dispiace, se
deluderò qualcuno di voi - dal riferire circostanze che probabilmente
molti di voi si aspettano che io riferisca, a cominciare da quelle che
in questi giorni sono arrivate sui giornali e che riguardano i
cosiddetti diari di Giovanni Falcone.
Per prima cosa ne parlerò all'autorità giudiziaria, poi - se è il caso -
ne parlerò in pubblico. Posso dire soltanto, e qui mi fermo affrontando
l'argomento, e per evitare che si possano anche su questo punto
innestare speculazioni fuorvianti, che questi appunti che sono stati
pubblicati dalla stampa, sul "Sole 24 Ore" dalla giornalista - in questo
momento non mi ricordo come si chiama... - Milella, li avevo letti in
vita di Giovanni Falcone. Sono proprio appunti di Giovanni Falcone,
perché non vorrei che su questo un giorno potessero essere avanzati dei
dubbi.
Ho letto giorni fa, ho ascoltato alla televisione
- in questo momento i miei ricordi non sono precisi - un'affermazione
di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire
nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione di Caponnetto.
Con questo non intendo dire che so il perché dell'evento criminoso
avvenuto a fine maggio, per quanto io possa sapere qualche elemento
che possa aiutare a ricostruirlo, e come ho detto ne riferirò
all'autorità giudiziaria; non voglio dire che cominciò a morire nel
gennaio del 1988 e che questo, questa strage del 1992, sia il naturale
epilogo di questo processo di morte.
Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che
tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest'uomo,
ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo
come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più
colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del
1988, se non forse l'anno prima, in quella data che ha or ora
ricordato Leoluca Orlando: cioè quell'articolo di Leonardo Sciascia sul
"Corriere della Sera" che bollava me come un professionista
dell'antimafia, l'amico Orlando come professionista della politica,
dell'antimafia nella politica. Ma nel gennaio del 1988, quando
Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della
magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere
Antonino Meli. C'eravamo tutti resi conto che c'era questo pericolo e
a lungo sperammo che Antonino Caponnetto potesse restare ancora a
passare gli ultimi due anni della sua vita professionale a Palermo. Ma
quest'uomo, Caponnetto, il quale rischiava, perché anziano, perché
conduceva una vita sicuramente non sopportabile da nessuno già da anni,
il quale rischiava di morire a Palermo, temevamo che non avrebbe
superato lo stress fisico cui da anni si sottoponeva. E a un certo punto
fummo noi stessi, Falcone in testa, pure estremamente convinti del
pericolo che si correva così convincendolo, lo convincemmo riottoso,
molto riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Si aprì la corsa alla
successione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone
concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e
il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura
ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli.
Giovanni Falcone, dimostrando l'altissimo senso delle istituzioni che
egli aveva e la sua volontà di continuare comunque a fare il lavoro
che aveva inventato e nel quale ci aveva tutti trascinato, cominciò
a lavorare con Antonino Meli nella convinzione che, nonostante lo
schiaffo datogli dal Consiglio superiore della magistratura, egli
avrebbe potuto continuare il suo lavoro. E continuò a crederlo
nonostante io, che ormai mi trovavo in un osservatorio abbastanza
privilegiato, perché ero stato trasferito a Marsala e quindi guardavo
abbastanza dall'esterno questa situazione, mi fossi reso conto subito
che nel volgere di pochi mesi Giovanni Falcone sarebbe stato distrutto.
E ciò che più mi addolorava era il fatto che Giovanni Falcone sarebbe
allora morto professionalmente nel silenzio e senza che nessuno se ne
accorgesse.
Questa fu la ragione per cui io, nel corso della presentazione del libro
La mafia d'Agrigento, denunciai quello che stava accadendo a Palermo con
un intervento che venne subito commentato da Leoluca Orlando, allora
presente, dicendo che quella sera l'aria ci stava pesando addosso per
quello che era stato detto. Leoluca Orlando ha ricordato cosa avvenne
subito dopo: per aver denunciato questa verità io rischiai
conseguenze professionali gravissime, ma quel che è peggio il
Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero
obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato,
doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo
io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero
eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l'opinione
pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve
morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio.
L'opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima
estate dell'agosto 1988, l'opinione pubblica si mobilitò e costrinse
il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua
precedente decisione dei primi di agosto, tant'è che il 15 settembre, se
pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. La protervia
del consigliere istruttore, l'intervento nefasto della Cassazione
cominciato allora e continuato fino a ieri (perché, nonostante quello
che è successo in Sicilia, la Corte di cassazione continua
sostanzialmente ad affermare che la mafia non esiste) continuarono a
fare morire Giovanni Falcone. E Giovanni Falcone, uomo che sentì sempre
di essere uomo delle istituzioni, con un profondissimo senso dello
Stato, nonostante questo, continuò incessantemente a lavorare.
Approdò alla procura della Repubblica di Palermo dove, a un certo punto
ritenne, e le motivazioni le riservo a quella parte di espressione delle
mie convinzioni che deve in questo momento essere indirizzata
verso altri ascoltatori, ritenne a un certo momento di non poter più
continuare ad operare al meglio.
Giovanni Falcone è andato al ministero di Grazia e Giustizia, e
questo lo posso dire sì prima di essere ascoltato dal giudice, non
perché aspirasse a trovarsi a Roma in un posto privilegiato, non
perché si era innamorato dei socialisti, non perché si era
innamorato di Claudio Martelli, ma perché a un certo punto della
sua vita ritenne, da uomo delle istituzioni, di poter continuare a
svolgere a Roma un ruolo importante e nelle sue convinzioni decisivo,
con riferimento alla lotta alla criminalità mafiosa. Dopo aver appreso
dalla radio della sua nomina a Roma (in quei tempi ci vedevamo un po'
più raramente perché io ero molto impegnato professionalmente a Marsala
e venivo raramente a Palermo), una volta Giovanni Falcone alla presenza
del collega Leonardo Guarnotta e di Ayala tirò fuori, non so come si
chiama, l'ordinamento interno del ministero di Grazia e Giustizia, e
scorrendo i singoli punti di non so quale articolo di questo ordinamento
cominciò fin da allora, fin dal primo giorno, cominciò ad illustrare
quel che lì egli poteva fare e che riteneva di poter fare per la lotta
alla criminalità mafiosa.
Certo anch'io talvolta ho assistito con un certo disagio a quella che è
la vita, o alcune manifestazioni della vita e dell'attività di un
magistrato improvvisamente sbalzato in una struttura gerarchica diversa
da quelle che sono le strutture, anch'esse gerarchiche ma in altro
senso, previste dall'ordinamento giudiziario. Si trattava di un lavoro
nuovo, di una situazione nuova, di vicinanze nuove, ma Giovanni
Falcone è andato lì solo per questo. Con la mente a Palermo, perché sin
dal primo momento mi illustrò quello che riteneva di poter e di voler
fare lui per Palermo. E in fin dei conti, se vogliamo fare un
bilancio di questa sua permanenza al ministero di Grazia e Giustizia, il
bilancio anche se contestato, anche se criticato, è un bilancio che
riguarda soprattutto la creazione di strutture che, a torto o a ragione,
lui pensava che potessero funzionare specialmente con riferimento alla
lotta alla criminalità organizzata e al lavoro che aveva fatto a
Palermo.
Cercò di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato quelle
esperienze del pool antimafia che erano nate artigianalmente senza che
la legge le prevedesse e senza che la legge, anche nei momenti di
maggiore successo, le sostenesse. Questo, a torto o a ragione, ma
comunque sicuramente nei suoi intenti, era la superprocura, sulla quale
anch'io ho espresso nell'immediatezza delle perplessità, firmando la
lettera sostanzialmente critica sulla superprocura predisposta dal
collega Marcello Maddalena, ma mai neanche un istante ho dubitato che
questo strumento sulla cui creazione Giovanni Falcone aveva lavorato
servisse nei suoi intenti, nelle sue idee, a torto o a ragione, per
ritornare, soprattutto, per consentirgli di ritornare a fare il
magistrato, come egli voleva. Il suo intento era questo e
l'organizzazione mafiosa - non voglio esprimere opinioni circa il fatto
se si è trattato di mafia e soltanto di mafia, ma di mafia si è trattato
comunque - e l'organizzazione mafiosa, quando ha preparato ed attuato
l'attentato del 23 maggio, l'ha preparato ed attuato proprio nel momento
in cui, a mio parere, si erano concretizzate tutte le condizioni perché
Giovanni Falcone, nonostante la violenta opposizione di buona parte del
Consiglio superiore della magistratura, era ormai a un passo, secondo le
notizie che io conoscevo, che gli avevo comunicato e che egli sapeva e
che ritengo fossero conosciute anche al di fuori del Consiglio, al di
fuori del Palazzo, dico, era ormai a un passo dal diventare il direttore
nazionale antimafia.
Ecco perché, forse, ripensandoci, quando Caponnetto dice cominciò a
morire nel gennaio del 1988 aveva proprio ragione anche con riferimento
all'esito di questa lotta che egli fece soprattutto per potere
continuare a lavorare. Poi possono essere avanzate tutte le critiche, se
avanzate in buona fede e se avanzate riconoscendo questo intento di
Giovanni Falcone, si può anche dire che si prestò alla creazione
di uno strumento che poteva mettere in pericolo l'indipendenza della
magistratura, si può anche dire che per creare questo strumento
egli si avvicinò troppo al potere politico, ma quello che non si può
contestare è che Giovanni Falcone in questa sua breve, brevissima
esperienza ministeriale lavorò soprattutto per potere al più presto
tornare a fare il magistrato. Ed è questo che gli è stato impedito,
perché è questo che faceva paura.
+ + + + +
L’ultima
intervista televisiva Paolo Borsellino la concesse a Lamberto
Sposini, per il tg5, venti giorni prima di morire nella strage di
via D’Amelio (19/7/1992) insieme con i cinque poliziotti della sua
scorta. "Terra", settimanale di approfondimento del tg5, la ha
riproposta il 24 marzo 2001. Ne ho trascritto le due risposte
finali, particolarmente significative. |
|
Dopo la morte
di Falcone come è cambiata la vita di Borsellino?
(lungo
sospiro) La mia vita è cambiata innanzitutto perché....dalla
morte....di questo mio vecchio amico e compagno di lavoro è chiaro che
io sono rimasto particolarmente scosso e sono ancora impegnato, ad un
mese di distanza, a recuperare e...., vorrei dire, tutte le mie
possibilità operative sulle quali il dolore ha inciso in modo enorme.
E' cambiata
anche perché sia per la morte di Falcone, sia per taluni altri fatti, mi
riferisco alle dichiarazioni ormai pubbliche di quel collaboratore che
ha parlato e ha detto di essere stato incaricato di uccidermi e la
notizia è arrivata alla stampa in concomitanza con la notizia della
strage di Capaci.
Le mie
condizioni...., sono state estremamente appesantite le misure di
protezione nei miei confronti e nei confronti dei miei familiari. E'
chiaro che in questo momento io ho visto comple...., quasi del tutto,
anzi, vorrei dire del tutto, pressoché abolita la mia vita privata.
Ho temuto
nell'immediatezza della morte di Falcone una drastica perdita di
entusiasmo nel lavoro che faccio. Fortunatamente, se non dico di averlo
ritrovato, ho almeno ritrovato la rabbia per continuarlo a fare.
Posso
chiederle se lei si sente un sopravvissuto?
Guardi, io
ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà allorché ci stavamo recando
assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del
luglio del 1985, credo.
Mi disse:
"Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano".
La....
l'espressione di Ninnì Cassarà io potrei anche ripeterla ora, ma vorrei
poterla ripetere in un modo più ottimistico.
Io accetto la....ho
sempre accettato il....più che il rischio, la....condizione, quali sono
le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei
dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo
punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio
che dovevo correre questi pericoli.
Il....la
sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene
ritenuto, in....in estremo pericolo, è una sensazione che non si
disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che
faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo
facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che
tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci
condizionare e....dalla sensazione che o financo, vorrei dire, dalla
certezza che tutto questo può costarci caro.
http://digilander.libero.it/inmemoria/borsellino_ultima_intervista.htm
+ + + + +
A Paolo Borsellino rimasero
altri 57 giorni di vita.
E li visse tutti come se ognuno dovesse essere
l'ultimo.
Anche lui, come Giovanni Falcone, aveva intuito quale passaggio epocale
fosse stato segnato dall'omicidio di Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo di
quell'anno: un sistema di equilibri di potere, durato decenni, si era
infranto.
"Dal 23 maggio in poi ci sono
una serie di evidenti segnali", raccontail
magistrato Antonio Ingroia al primo processo per la strage di via
d'Amelio: "Paolo Borsellino cominciò ad essere perfettamente consapevole
della particolare sovraesposizione in cui si trovava. E ripeteva:
Giovanni Falcone era il mio scudo, dietro il quale potevo proteggermi.
Morto lui, mi sento esposto e adesso sono io che devo fare da scudo nei
vostri confronti".
I 57 giorni cominciarono a
scorrere inesorabili. Nei tre processi che si sono celebrati, i pubblici
ministeri Nino Di Matteo, Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, li
ripercorrono tutti. Borsellino aveva un "chiodo fisso", così lo
chiamava. Scoprire gli autori dell'eccidio di Capaci. "Quando avrò le
idee più chiare sul contesto e la pista giusta - confidò ad Ingroia -
consacrerò le mie dichiarazioni alla Procura di Caltanissetta: non
voglio legarmi le mani oggi, con una verbalizzazione, quando ancora devo
verificare una serie di cose che potrebbero essere importanti per lo
sviluppo delle indagini".
Iniziò a rileggere alcuni
appunti dell'amico Giovanni, alla ricerca di episodi, paure e
presentimenti che potessero aprire uno spiraglio di verità. Sfogliò
quelle pagine per giorni. "Era assolutamente convinto di trovarsi di
fronte a una strage di Cosa nostra - spiega Ingroia ai giudici della
Corte d'assise - ma il punto era cercare episodi, particolari filoni
investigativi che potessero aver costituito una causa determinante o
scatenante del fatto stragista. Ricordo che diceva: Giovanni non aveva
l'abitudine di tenere un diario. Se però ha deciso di appuntare frasi e
riferimenti ad alcuni episodi, vuol dire che dietro questi fatti c'è
molto di più di quanto non appaia".
Ma in quella ricerca,
sembrava solo. Paolo Borsellino stava già ripercorrendo la stessa amara
sorte di Giovanni Falcone. I primi ostacoli li incontrò proprio al
palazzo di giustizia.
Ebbe comunque il tempo di riprendere alcune delle intuizioni di Giovanni
Falcone, curò l'inizio della collaborazione di due pentiti, Leonardo
Messina e Gaspare Mutolo. Comprese che dietro la spartizione degli
appalti si nascondevano i nuovi segreti dei rapporti fra mafia e
politica.
http://www.falconeborsellino.net/docs/indagini.htm
+ + + +
+
19
luglio 1992
Domenica
19 luglio 1992.
Una domenica d’estate a Palermo. Dopo aver pranzato a casa di
amici, Paolo Borsellino - 51 anni, da 28 anni in
magistratura, procuratore aggiunto nel capoluogo siciliano dopo
aver diretto la procura di Marsala, già componente del primo
pool antimafia dell’ufficio istruzione – si reca a trovare
l’anziana madre che abita in via D’Amelio, in una zona a ridosso
del centro della città.
Non fa in tempo a scendere dalla sua auto blindata, assieme ai
quattro uomini e alla donna della sua scorta, che una violenta
esplosione investe l’intero gruppo. E’ la strage. Oltre al
magistrato l’autobomba uccide Emanuela Loi, 24 anni, la
prima donna poliziotto entrata a far parte di una squadra di
agenti addetta alle scorte; Agostino Catalano, 42 anni;
Vincenzo Li Muli, 22 anni; Walter Eddie Cusina, 31
anni e Claudio Traina, 27 anni. Unico superstite l’agente
Antonino Vullo.
La strage di via D’Amelio avviene esattamente 57 giorni
dopo la strage di Capaci in cui avevano perso la vita il
giudice Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca
Morvillo e tre uomini della sua scorta, gli agenti
Antonio Montinaro; Vito Schifani e Rocco Di Cillo. |
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PAOLO BORSELLINO
di Luciano Costantini
Sost. Proc. Rep. Pistoia
stralcio
Molte persone, non appena vengono a sapere
dell'esperienza di lavoro che ho vissuto con Paolo, mi chiedono un
giudizio personale su di lui. lo rispondo sempre: "Paolo era un uomo
buono" e tale affermazione mi pare che deluda i miei interlocutori, i
quali mi sembra che la intendano come riduttiva della figura di questo
straordinario magistrato. lo, invece, ancora oggi ritengo che nessun'altra
definizione meglio si attagli a ciò che Paolo è stato. Con questo non
voglio sottacere le straordinarie doti professionali di Paolo,
magistrato insigne, dotato di grande carisma, in grado di individuare
subito il punto fondamentale di ogni questione che gli si poneva di
fronte e capace di risolverla sempre nel modo più equo e conforme a
giustizia. ...
http://www.giustiziacarita.it/archmag/notiz/paolo_borsellino.htm
NAVIGAZIONE
http://www.fondazionefalcone.it/index.html
http://www.retedigreen.com/index-37.html
http://www.infantiae.org/falconeuomohp.htm
http://digilander.libero.it/inmemoria/borsellino_biografia.htm
http://193.70.8.44/borsellino.htm
http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,143760,00.html
http://www.osservatoriomonopoli.it/Prospettiva/Prospettiva_040802_ricordare_paolo_borsellino_e_la.htm
http://www.giustiziacarita.it/professioni/loi.htm
http://www.retedigreen.com/index-37.html
https://www.edscuola.it/archivio/interlinea/falcone.html
...................
Le voci e le immagini
dal cratere di Capaci
http://www.repubblica.it/online/politica/falconeuno/audiovideo/audiovideo.html
....
http://www.bibliomilanoest.it/Link/giovanni_falcone_e_paolo_borsell.htm.
Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino in Internet
· Societacivile.it
http://www.societacivile.it/
Giovanni Falcone. Dieci
anni dopo, le domande ancora aperte
Le stragi del 1992 e 93
hanno mandanti esterni a Cosa nostra. Chi sono? Dopo dieci anni di
indagini, ecco le risposte che sono state trovate e le domande rimaste
invece ancora aperte. Domande inquietanti.
·
La Repubblica.it
www.repubblica.it/online/politica/falconeuno/audiovideo/audiovideo.html
Le voci e le immagini del
cratere di Capaci
Le comunicazioni tra gli
uomini che intervennero subito dopo l'esplosione. Le richieste di
notizie sulla "nota personalità".
·
RicordareCapaci di Ernesto Oliva
http://www.ricordarecapaci.it/
Ci sono eventi nella
cronaca giornalistica che diventano storia
Il primo filmato realizzato
da una troupe giornalistica sul luogo dell'attentato, quella
dell'emittente palermitana TRM.
·
L’Italia Democratica leggere, dire, fare… in movimento
http://www.italiademocratica.it/
Palermo. Più di duemila
all'albero Falcone. L'appello di Grasso: "Tifate per noi, ne abbiamo
bisogno" di Antonella Romano
Quando diceva: «Mi stanno
seviziando...» di Nando dalla Chiesa
·
Osservatorio Europeo sulla legalità e la questione morale
www.osservatoriosullalegalita.org/bollettino.htm
Anniversario della strage
di Capaci: commemorazioni e polemiche.
Gli avvenimenti. Il
comunicato di Libera Palermo. Un ricordi di Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino.
·
http://www.falconeborsellino.net/
http://www.falconeborsellino.net/
Sito della pubblicazione
Falcone Borsellino Mistero di Stato di Enrico Bellavia e Salvo Palazzolo.
·
Antimafia Duemila
http://www.antimafiaduemila.com/
Sito della rivista fondata
da Giorgio Bongiovanni.
Informazioni su Cosa Nostra
e organizzazioni criminali connesse.
·
Fondazione Giovanni e Francesca Falcone
http://www.fondazionefalcone.it/
Sito ufficiale della
Fondazione Giovanni e Francesca Falcone costituita a Palermo il 10
dicembre 1992 per volontà dei familiari delle vittime della strage di
Capaci
http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,134000,00.html
.............................
A cura di
nadia scardeoni
per Educazione
alla legalità
di Interlinea |