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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
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«LA FIDANZATA AUTOMATICA»
Pagina critica sul saggio di MAURIZIO FERRARIS : «LA FIDANZATA AUTOMATICA»

di Gian Luigi Verzellesi

 

A dieci anni dalla pubblicazione della sua Estetica razionale (edita da Raffaello Cortina), a sei dall'Estetica sperimentale (edita da Einaudi), esce ora un illuminante saggio di Maurizio Ferraris con un titolo strambo, La fidanzata automatica (edito da Bompiani). Si spera che questa curiosa stranezza, o sorridente stravaganza, giovi ad attrarre l'attenzione dei lettori inducendoli a dedicarla a questo libretto magistrale, scritto da un giovane estetologo sapiente con l'intento di convincere ad uscire dall'estetismo di moda e a soppesare le argomentazioni della sua estetica definita normale .

La normalità prende le distanze sia dall'estetica di Heidegger, sia da quella di Croce, Nietzsche, Adorno; sia dalle poetiche del modernismo che si rifanno a Duchamp, «maresciallo dell'antiarte» (Rosenberg), sostenendo che qualsiasi cosa, anche uno scolabottiglie, può diventare «un'opera d'arte».

La ricerca di Ferraris mira infatti a stabilire che l'arte è fatta di opere, ossia di «cose» che sono oggetti fisici, non «puri atti psicologici sprovvisti di espressione esterna» e insieme «oggetti sociali», che provocano «sentimenti» proprio come se fossero persone vive. Secondo questa prospettiva, l'ermeneutica, con la sua capacità interpretativa, «va integrata da un'ontologia che spieghi quali sono i caratteri intrinseci delle opere» ossia sappia scorgere quel «nocciolo invariante» che costituisce la loro qualità artistica. «Se le opere ci interessano - precisa l'estetologo che insegna all'università di Torino - è per proprietà che possiedono loro, e non per il gran parlare del mondo dell'arte». Purtroppo, oggi nel mondo dell'arte, o Artworld, predomina la convinzione che spetti alla cosidetta «critica creativa» il compito di dar voce a innumerevoli prodotti dell'area postmoderna, che non sono opere, ma oggetti muti, disanimati, come l'orinatoio o lo scolabottigle di stravecchia matrice dadaista. Così come i «tagli» di Fontana, anche le famigerate, costosissime «scatolette» di Piero Manzoni non sono prodotti artistici, ma, come Ferraris dice con ironia, «oggetti che appartengono alla sfera delle reliquie», ridotte a prove di feticismo stercorario.

Nel terzo capitolo, che è la chiave di volta del saggio, è messa a fuoco la nozione di «espressione», intesa come impronta, o iscrizione durativa di un contenuto sentimentale che l'opera manifesta in termini di stile. Il contenuto sfugge,se non consegue le condizioni della comunicazione e resta incomprensibile come un discorso svolto in una lingua sconosciuta. «La difesa enfatica dell'arte per l'arte», scrive Ferraris, «finisce per annientare proprio il suo oggetto,ossia la specificità di qualcosa come arte».

Basterebbe questa conclusione, lucida e convincente, a motivare l'augurio che questo saggio di Ferraris, così leggibile e ricco di spirito critico, circoli, come utilissimo vademecum, negli istituti d'arte e nelle accademie, dove la tendenza a considerare l'arte, come inebriante «evasione dionisiaca», rischia di risolversi in un rito piattamente conformistico, salvaguardato da propagandisti e avvocati del postmoderno, che fomentano consensi ambigui su argomenti da sottoporre alla discussione e alla verifica. Come fa Ferraris, che esplora un vastissimo territorio culturale, aldilà dei consueti itinerari, dialogando con una cerchia di studiosi, come Goodman, Kobau, Searle, Dickie, Gaut....E con argomentazioni d'una nitidezza rara ,schietta e sorridente.

 

Da L’Arena di Verona

Sabato 5 Gennaio 2008

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A cura di VRRC – http://vrrc1.splinder.com

LINK http://www.labont.it/ferraris/BOOKS/033_Fidanzata_Automatica.asp

 


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