La magica finzione della parola parlata
Intervista a Lella Costa

a cura di
Nadia Scardeoni


Incontriamo Lella Costa in una pausa fra un dibattito della "Città delle donne" e le prove per: "Pierina e il lupo" e giocoforza, ci immergiamo dentro tutte le vibrazioni che il mondo del teatro ci evoca. Siamo soprattutto felici che ci sia stato un Protocollo di intesa fra il Ministro della Pubblica Istruzione ( Lombardi ) e l'Ente Teatrale Italiano che mira ad estendere l'esperienza teatrale dentro le mura scolastiche. Laddove spesso regna il silenzio della soggettività, il silenzio relazionale, il silenzio della parola donata, l'esperienza teatrale, condotta secondo le modalità che ne tutelano la grande valenza psicopedagogica, apre alla creatività, alla comunicazione di sé, all'intersezione dei linguaggi dell'arte per fondare un tessuto comunicativo di cui tutta l'azione educativa e formativa può giovarsi fertilmente.

Lella Costa, per te che scrivi e fai teatro, quali orizzonti formativi intravedi in questa possibilità che la scuola si è data, a partire dalle tue esperienze?

Proprio in questi giorni ho visto che la scuola di mia figlia propone fra i vari corsi extra curriculari un corso di teatro; credo che ciò sia importantissimo e non solo per educare alla recitazione ma soprattutto per un lavoro propedeutico al teatro stesso, che è, ad esempio, l'analisi del testo. Oggi mentre osserviamo che i giovani leggono poco e selezionano esperienze di comunicazione più immediate, più facili e in fondo più passive, l'analisi del testo è utile per soffermarsi, per decodificare, per sentire un altro pensiero, o un'altra parola, rifrangersi nel nostro pensiero.

Inoltre c'è l'aspetto più affascinante del "fare fisicamente teatro" che é progettare gli impianti scenografici, ideare il testo, pensare i costumi, le musiche. E' questa globalità di approccio che mi sembra molto importante perché dà la possibilità di fare anche il teatro che non c'è e quindi non solo di proporsi come interpreti del teatro con la "T" maiuscola. Ciò è fondamentale per scoprire i propri talenti, le proprie vocazioni.

Il teatro è inoltre fantastico perché è trasportabile e non ha bisogno di tecnologie avanzate. Come diceva il mio maestro: "il teatro è una relazione fra uno spettacolo vivente e un pubblico vivente" e credo sia una delle più belle definizioni del teatro. Non importa che cosa ci sta attorno, il teatro è "quella cosa li" che sta accadendo in quel momento.

Io credo che per i giovani, proprio quando stanno attraversando una fase di crescita e di formazione, possa essere come l'apertura di un "mondo" perché riguarda la psicologia comportamentale, riguarda le relazioni con il prossimo, con i genitori, con gli insegnanti, con gli amici e, fondamentalmente, con sé stessi. Ci si rende conto, ad esempio, di quanto ci sia di veramente vero in quello che si fa, quanto di finto ma non di falso. Il teatro é finzione ma non falsità.

Come qualsiasi forma artistica é difficile da descrivere teoricamente: bisogna provare. La sua dimensione più bella é forse questa: "la prova", ciò che si tenta, ciò che si rischia, ciò che si fa.

Sono quindi entusiasta di questo protocollo di intesa perché penso che darà la possibilità a tantissimi bravi professionisti che hanno dato la vita all'insegnamento dell'arte teatrale piuttosto che essere essi stessi interpreti, la possibilità di estendere la loro esperienza ad una utenza più vasta.

Potrà essere anche un mezzo privilegiato per rivisitare le proprie radici culturali attraverso le forme particolari del teatro e del folclore dei luoghi in cui si vive. Tu hai detto una cosa importante quando hai accennato al fatto che in questa esperienza si possono scoprire le proprie vocazioni. Non tanto la vocazione al teatro, il che sarebbe normale ma la vocazione che può essere colta comunque, con un mezzo che mette in viaggio all'interno di se stessi attraverso la molteplicità e soprattutto la libertà dei linguaggi, di cui "la parola" é, paradossalmente, la sintesi.

Io credo che ci sia, nella parola parlata una forza indicibile. L'ultimo spettacolo che ho fatto si intitola: "STANCA DI GUERRA". Racconta delle storie, anche sui conflitti banali e divertenti del quotidiano, per arrivare a toccare alcuni grandi temi come: l'indicibilità della guerra, il "fascino" della guerra, lo scandalo della guerra.

Il vero scandalo della guerra è che la guerra, con le sue regole, con gli eserciti che vanno da qualche parte a combattere, non si può più fare.

Oggi sappiamo che nelle guerre contemporanee le vittime sono per il 10% militari e tutto il resto: civili. Allora c'è lo scandalo del dover dire: "gli innocenti, i bambini, non devono essere vittime della guerra" e per dire questo, abbiamo usato le parole di Ecuba sul cadavere di Astianatte, parole di straordinaria intensità e commozione: "Avete avuto paura di un bambino ?".

In uno spettacolo per i bambini, nella scuola di mia figlia, senza una scenografia, senza nulla, ho verificato il grande impatto davanti a queste parole. I bambini, infatti, sono in grado di capire che, in qualsiasi epoca, qualsiasi persona può dire qualche cosa che ci identifica come sentimenti, pensieri, emozioni e lo dice in una forma così perfetta che altrimenti non può essere detta. E' nostro compito allora, è nostro piacere conservare e riportare "la parola", esserne testimoni e custodi, al di là della sua riproducibilità "tecnica".

Vivere e comunicare direttamente "la parola", o la propria parola aiuta inoltre, a darci gli antidoti, gli anticorpi verso lo strapotere della telematica; un mondo bello ed affascinante che non deve, tuttavia, diventare l'unico canale di comunicazione possibile.

Non è vero che l'elettronica ci permette di entrare, in tempo reale, in contatto con il mondo. Il mondo è accanto a noi, fuori di casa, sul nostro pianerottolo.

Sono due mondi complementari, sono due modalità di comunicazione sostanzialmente opposte. Essere soggetti di comunicazione significa poter interagire con il destinatario, essere in relazione, accettarne la prossimità, la ricchezza e la reciprocità, significa soprattutto coltivare il senso di felicità che solo il comunicare se stessi all'altro, procura......

E non solo, c'è anche una grande differenza fra la parola che nasce per essere letta e la parola che nasce per essere detta e ascoltata. Un testo teatrale, ad esempio, letto, può essere interessante ma non c'è paragone coll'essere agito, interpretato. Far risuonare le parole, viverle, ci arricchisce; arricchisce il nostro linguaggio, i nostri sentimenti, ci apre a nuove dimensioni.

Il tuo entusiasmo mi obbliga ad una domanda ."Come è nata la tua vocazione al teatro?".

In un modo assolutamente bizzarro ed inconsueto. Non sono stata divorata dal sacro fuoco del teatro, stavo facendo altre cose, l'università . Ci sono arrivata per altri percorsi, quasi con la sensazione di essere una clandestina a bordo, ma rendendomi conto, per esempio, che il mestiere dell'attore è un mestiere in cui si può vivere, al minimo, la schizofrenia fra "il mestiere" che si deve fare per campare e il mestiere che si vorrebbe fare nella vita. E' stato un percorso che, inoltre, mi ha consentito di coniugare un mio iter culturale con il teatro che già c'era, facendomi approdare, quasi naturalmente alla scrittura del testo. La mia é una scrittura immediata, scritta per essere detta e non per essere letta. Ciò che mi piace di più di questo mio mestiere è la libertà di poter scegliere che cosa dire, di dirlo in prima persona ed assumere, quindi, la responsabilità di ciò che dico.

Oggi, Lella Costa, ha un pubblico che si fida di ciò che lei sa dire.

E fu così che da un corso per addetti ai consultori popolari, negli anni settanta, sperimentando tecniche psicoterapeutiche con i "giochi di ruolo", interpretando magistralmente la storia di una ragazza schizofrenica, Lella Costa venne caldamente incitata a fare teatro.

E noi, come nelle più belle fiabe, ne siamo felici e contenti.

Siamo felici e contenti perché la sua esperienza così singolare ci consente di fruire del dono intatto e sorgivo della sua eloquente "PAROLA PARLATA".

Verona, 16 novembre 1996


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