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Anamorfosi od ologramma?
" Il
simbolo esposto così come è all' irresistibile
tentazione di interpretazioni razionalistiche ;
corre il
rischio di trasformarsi in mera allegoria, dunque,reso
sterile e incapace di trasmetterne la completezza esperita.
C.G.Jung"
Anamorfosi ovvero... un un
mistero buffo.
Che cosa è l'anamorfosi. da http://www.anamorphosis.it/chisiamo/anamorfosi.pdf Il verbo "anamorphòo" esiste, già in Filostrato,
filosofo sofista del II sec. d.c. e precisamente nel suo "Eikònes", col
senso di trasformazione riferito ad immagini criptiche. http://www.provincia.venezia.it/medea/infoperla/info96/azzar.htm Anamorfosi, l'arte dello spiazzamento ......Viviamo quindi in un mondo ricco di immagini anamorfiche. Cioè di immagini che viste frontalmente appaiono come una mescolanza di forme e i segni senza senso. Ma appena ci si mette di sbieco, al lato, in una posizione eccentrica, queste assumono una più netta fisionomia. A noi la responsabilità di scegliere dove stare.
Ologramma ovvero ....un mistero
aperto
Un "modello olografico di coscienza" rende i
processi del cervello come la memoria, la percezione e l'immaginazione
chiaramente spiegabili.
Nella coscienza, una cornice è tutte le
cornici.
Ogni memoria e ogni pezzetto d'informazione
immagazzinata nella nostra mente si muove tra infiniti segni di
richiamo, assieme ad ogni altro
pezzetto d'informazione, in un 'modello creativo
di pura e perfetta ambiguità...
Lo "schermo" di coscienza può essere considerato
come una forma organica di una placca olografica che trasforma
percezioni tridimensionali
e ricostruisce immagini con ugual facilità...
Keith Floyd
Raccontarsi Nel 1991 mi recai ad un seminario di dieci
giorni sulle montagne dell' Umbria , il trainer ; uno sciamano
columbiano guaritore ,teneva un corso su Guarigione e Purificazione
attraverso gli Elementi, Aria, Acqua Fuoco, Aria ; e il digiuno.
Non era la prima volta che lavoravo con degli sciamani ; unica
differenza in quel periodo ,il mio equilibrio psico-energetico era
perfetto e quel cambiamento anche se finalizzato al ripristino
dell'equilibrio energetico fu per me suscettibile di
disequilibrio.
L'esperienza fu straordinaria ma in quell'occasione il fuoco
della mia Kundalini si attivò; l'impatto con il quotidiano del mio
contesto socio-culturale fu disastroso .le convinzioni
filosofico-religiose-culturali che avevo accettato come unica realtà ,e
che fino a quel momento avevo messo in discussione solo
perchè le avevo confrontate teoricamente con altre meno
distruttive e più creative della nostra ; si sciolsero come neve al sole
del disgelo primaverile.
http://mondodomani.org/dialegesthai/gs01.htm
L'uomo singolo, considerato in sé stesso, non racchiude l'essenza dell'uomo in sé, né in quanto essere morale, né in quanto essere pensante. L'essenza dell'uomo è contenuta soltanto nella comunione, nell'unità dell'uomo con l'uomo: ed è tale unità che si appoggia sulla realtà della differenza tra l'io e il tu (Princìpi, § 59). http://www.psychomedia.it/pm-cong/2001/spi-ott.htm%7F "Martin Buber.Al pensiero di Heidegger ed al pensiero di Freud, fanno seguito in questo difficile, non concordante eppure comune itinerario filosofico-psicoanalitico, le filosofie del dialogo da Buber a Lévinas e alcune nuove proposizioni della psicoanalisi contemporanea anch'essa aperta alla dimensione dialogica. Il dialogo nasce in un rapporto basato sulla comunicazione fra soggetti che si aprono alla conoscenza fatta divenire esperienza di apertura all'altro e che costituisce la consapevolezza della struttura dialogante fondamento originario del soggetto riscattato dalla malattia narcisistica. Per Martin Buber senza il dialogo l'esistenza sarebbe impossibile, soltanto nell'Io-Tu si ha, dice Buber, autentica relazione, soltanto in una dimensione di reciprocità l'Io si educa, si costituisce come esistenza autentica. Con il suo scritto "Il principio dialogico" (1923 Ich und Du), Buber è stato il primo filosofo a sottolineare la necessità del dialogo come l'unica via in cui possiamo trovare l'autenticità con noi stessi e con l'altro. Non possiamo però dimenticare che il Novecento si era aperto proprio con la rivoluzione proposta dalla prassi freudiana che poneva la categoria dell'ascolto nell'incontro medico-paziente, l'ascolto al posto della oggettivante descrizione della psichiatria organicistica. La proposta di Buber di rimettere l'uomo, che l'era della tecnica ha disumanizzato, al centro del pensiero filosofico, non tanto come uomo che si ritrova nel "cogito ergo sum", non come uomo singolo, ma come Io-Tu, come essere insieme, come Noità, si ritrova nella prassi freudiana e diventa centrale nel nuovo paradigma della psicoanalisi dell'intersoggettività. Per questo la filosofia del dialogo costituisce un'inevitabile confronto con la psicoanalisi e con il pensiero contemporaneo in generale e Buber e Lévinas ne sono un punto di riferimento centrale, con la proposta levinassiana di far coincidere la filosofia con l'etica e con l'etica della responsabilità. Ma per operare questo cambiamento, quasi una rivoluzione copernicana nell'area dell'antropologia filosofica è stato necessario un ribaltamento di pensiero intorno all'incontro Io-altro. In Heidegger ed in Freud il presupposto era che la conoscenza dell'altro nasce nella conoscenza di noi stessi, l'altro era già in noi, il rimosso che ritorna. La base da cui parte il ribaltamento di questo modo di pensare è nel capovolgere la concezione che per percepire ciò che è fuori di sé, l'Io debba fissarsi nella dimensione egocentrica per riconoscere ciò che ancora non ha conosciuto di sé stesso. E' nel capovolgere il primato della dimensione egocentrica per la quale l'Io non riceve nulla dall'esterno, ma solo ciò che è in sé, come se da sempre possedesse ciò che viene dal di fuori. La concezione dialogica dell'essere umano ritiene invece che il soggetto si istituisce insieme all'altro negli atti del loro esprimersi e manifestarsi reciprocamente. Ciò che l'Io conosce di sé stesso può manifestarsi soltanto nell'ambito della relazione con l'altro Io. Pertanto non ha significato una antropologia filosofica che ponga il singolo al centro del discorso sulla costituzione del soggetto. L'Io si istituisce in un dialogo con un Tu, reciprocamente manifestandosi e rispecchiandosi". ..... ------- http://www.provvstudi.vi.it/intercultura/archive.htm L'approfondimento in prospettiva dialogica dell'interculturalità apre percorsi educativi che rinviano ad alcuni presupposti teorici con solide radici. Martin Buber, ad esempio, con la sua opera del 1923 intitolata Io e Tu, sostiene la tesi che l'uomo è relazione: non esiste un Io solitario, ma sempre e soltanto un Io legato al Tu, un Io-Tu, in cui il Tu non è da confondersi con un oggetto, con il suo valore d'uso. Nella dinamica costituiva dell'incontro Io-Tu accade sempre qualcosa e l'uomo non ne esce mai come prima (possa essere stato l'incontro superficiale e leggero come un soffio o una dura lotta). --------------- 1. La narrazione nell'esperienza umana In questo capitolo entriamo dentro il mondo del racconto, della narrazione per scrutarne i segreti e per intuirvi delle nuove prospettive. Ci affacciamo così dentro la realtà che diventa metafora: vediamo una cosa e nello stesso tempo possiamo vederne un'altra. Tutto si trasforma in simbolo che ci rimanda a scenari diversi e sempre interessanti. Ogni essere umano passa parte della propria vita a narrarsi e mentre si narra si accorge che diventa più consapevole di chi è, cosa desidera, cosa lo addolora, cosa lo rende felice. Quando raccontiamo, infatti, diamo un senso, non solo all'evento specifico, ma ad una intera classe di eventi. E' quindi il "significato" inteso come «principio strutturante dei processi e delle vicissitudini umane»6, che viene trasmesso ogni volta che qualcuno narra ad altri fatti o eventi vissuti. Un significato che non ha la presunzione di essere immutabile nel tempo, ma che è consapevole che ogni fase della maturazione psico-emotiva modifica quello della fase precedente o lo cambia radicalmente. E' in questi periodi di crisi e di confusione, momenti critici ma creativi, che la persona evolve nella visione della vita, nella comprensione di se stessa e degli altri. Proprio perché il significato di un esperienza è legato al mondo dell'emozione e comunque dell'interiorità che è possibile maturare, crescere. Il primo (il significato) permea il secondo (il mondo interiore) e lo amplia dentro un orizzonte più ampio. Che cosa è un racconto Il racconto appartiene al vasto dominio della comunicazione orale che si tramanda, nelle culture dei popoli, in una serie notevole di generi: dal mito alla favola, dalla novella al romanzo. Dice A. Marchese che il racconto «è una galassia di segni in irreversibile, mostruosa espansione dal giorno lontanissimo, nei primordi dell'avventura umana, in cui qualcuno cercò di fermare nelle parole o in altre forme un evento memorabile, degno di essere sottratto alla crudele entropia del transeunte. Da allora quell'indefinito e indefinibile mare di informazioni costituisce, probabilmente, la metafora più adeguata della civiltà, il luogo delle tradizioni, degli archetipi e dell'incoscio simbolico»7 Con il racconto, quindi, tentiamo, attraverso le parole, di afferrare questi segni per dare un senso al cammino terreno dell'uomo. Attraverso l'arte della metafora ci affacciamo in un mondo "altro" che parla della realtà e la orienta verso un futuro migliore o comunque diverso. 1.1.1. Il racconto per Martin Buber e la sapienza ebraica Per Martin Buber il racconto non si può limitare ad una semplice immagine riflessa della realtà, egli arriva a dire che addirittura la stessa essenza sacra di cui dà testimonianza continua a vivere in esso. Il miracolo che si racconta riacquista potere8. La forza che un giorno operava si trasmette alla parola vivente e opera ancora dopo generazioni. A tal proposito racconta G. Sholem: « Quando Ball-schem doveva assolvere un qualche compito difficile, qualcosa si segreto per il bene delle creature, andava allora in un posto nei boschi, accendeva un fuoco, e diceva preghiere, assorto nella meditazione: e tutto si realizzava secondo il suo proposito. Quando, una generazione dopo, il Magghhid di Meseritz si ritrovava di fronte allo stesso compito, riandava in quel posto nel bosco e diceva: "Non possiamo più fare il fuoco, ma possiamo dire le preghiere" e tutto andava secondo il suo desiderio. Ancora una generazione dopo, rabbì Moshè Leib di Sassow doveva assolvere lo stesso compito. Anch'egli andava nel bosco, e diceva: " Non possiamo più accender il fuoco, e non conosciamo più le segrete meditazioni che vivificano la preghiera; ma conosciamo il posto nel bosco dove tutto ciò accadeva, e questo deve bastare". E infatti ciò era sufficiente. Ma quando di nuovo, un'altra generazione dopo, rabbi Yisrael di Rischin doveva anch'egli affrontare lo stesso compito, se ne stava seduto in una sedia d'oro, nel suo castello, e diceva: "Non possiamo fare il fuoco, non possiamo dire le preghiere, e non conosciamo più il luogo nel bosco: ma di tutto questo possiamo raccontare la storia. E il suo racconto da solo aveva la stessa efficacia delle azioni degli altri tre».9 Questo racconto testimonia come la parola che narra è più che semplice parola, essa trasmette effettivamente l'accaduto alle generazioni future, anzi il narrarlo è accadimento esso stesso, ha la sacralità di un rito. «Par quasi di sentire le voci che raccontano, vedere le orecchie che ascoltano e sentire nella testa il brusio dei ricordi. Un mondo scomparso riprende forma e colore come la pellicola nella soluzione che fissa l'immagine» da STUDIO TEOLOGICO INTERDIOCESANO DI CAMAIORE
'Messaggi esoterici' nelle pitture anamorfiche ? E' infatti abbastanza probabile che il dipinto di Holbein fosse collocato da Jean de Dinterville, nel suo castello di Polisy, in una grande sala, con un ingresso principale e una porta secondaria: proprio accanto ad essa, alla sua destra, il quadro potrebbe essere stato appeso, quasi a filo del pavimento, quasi fosse una sua continuazione, in una sorta di strano trompe-l'oleil. Immaginiamo ora un visitatore che entrasse dalla porta principale: dapprima avrebbe visto i due Ambasciatori, nei loro sontuosi abiti, come se avessero voluto accoglierlo e rendergli omaggio; poi sarebbe rimasto turbato dallo strano oggetto, dall'inquietante 'macchia' ai loro piedi. Egli, quindi, sarebbe avanzato per osservarla più da vicino, ma essa avrebbe mantenuto il suo 'segreto'. Sconcertato e irritato dal non poter avere individuato in cosa consistesse l'oggetto deforme che sembrava sfidare la sua ragione, egli si sarebbe accinto ad uscire dalla porta secondaria, non prima, però, di aver dato un fugace sguardo di sfida al 'mistero' racchiuso nel dipinto. Ed ecco, all'improvviso, egli avrebbe 'visto' la figura nascosta, mentre quasi sarebbe scomparsa la scena principale, i due Ambasciatori, la sontuosità dei loro vestiti, tutti i vari oggetti palesemente dipinti dall'artista. All'opulenza del mondo materiale si sarebbe sostituito in un attimo - soltanto per chi avesse saputo 'vedere' - un simbolo nato dal 'nulla' e del 'nulla' simbolo: il Teschio! La scena che abbiamo immaginata - del tutto probabile - avrebbe così potuto avere una precisa valenza simbolica, un 'messaggio' sulla caducità delle cose terrene. Ma, forse, non solo... Non riterrei del tutto improbabile, infatti, che in altri dipinti - soprattutto se eseguiti da artisti in qualche modo legati al mondo dell'esoterismo, della ricerca 'sapienziale', della ricerca alchemica - siano nascosti messaggi 'anamorfici', individuabili solo se consapevoli dell'appartenenza dell'artista ad una cerchia iniziatica, ma soprattutto solo nel caso si riesca ad individuare l'esatto punto di osservazione. Punto da cui potrebbe 'emergere', come dal nulla, un altro criptico ma preciso 'messaggio'. .......
ologramma
L'universo non può esser considerato come una raccolta di parti indipendenti, come le pennellate in un quadro impressionista.. È un ologramma, una rete dinamica di eventi in correlazione, in cui ogni parte della rete determina la struttura della totalità. -Charles Eliot Nel cielo di Indra, si dice che esista una rete di perle, raccolte in modo che se tu guardi una di esse tutte le altre vi si riflettono. Allo stesso modo ogni oggetto nel mondo non è solo se stesso, ma implica ogni altro oggetto e di fatti è ogni altra cosa.Upanishad Nella teoria bootstrap degli adroni tutte le particelle sono composte dinamicamente le une dalle altre in modo intimamente coerente e in questo senso si può dire che esse si contengono reciprocamente. Erwin Schrödinger Un "modello olografico di coscienza" rende i processi del cervello come la memoria, la percezione e l'immaginazione chiaramente spiegabili. Nella coscienza, una cornice è tutte le cornici. Ogni memoria e ogni pezzetto d'informazione immagazzinata nella nostra mente si muove tra infiniti segni di richiamo, assieme ad ogni altro pezzetto d'informazione, in un 'modello creativo di pura e perfetta ambiguità... Lo "schermo" di coscienza può essere considerato come una forma organica di una placca olografica che trasforma percezioni tridimensionali e ricostruisce immagini con ugual facilità... Keith Floyd Il sistema nervoso è organizzato (si organizza da sé) così da computare una realtà stabile... Se dovessimo all'improvviso scoprire che la massa dell'intero spazio-tempo dell'universo è finemente tenuta in equilibrio nelle nostri menti, potremmo probabilmente diventar pazzi. E' il sistema nervoso che struttura la realtà. Le vibrazioni che noi percepiamo come materia... sono tutte creazioni della mente... Sri Aurobindo afferma: l'apparenza della stabilità è data da una costante ripetizione e ricorrenza delle stesse vibrazioni e formazioni... tutte le nostre leggi sono solo "abitudini". Michael Talbot La coscienza è un singolare, il plurale della quale ci è ignoto; c'è una sola cosa e ciò che sembra essere una pluralità è semplicemente una serie di differenti aspetti di questa sola cosa prodotta da un'illusione (mâyâ) ; la stessa illusione si produce in una galleria di specchi e nello stesso modo Gaurisankar e il monte Everest risultano essere la stessa montagna vista da valli diverse. http://www.adhikara.com/pagine/risveglio_capitolo_23.htm
.......finché si è consci, ci sarà
piacere e dolore a livello della coscienza.
Per andar oltre questi, devi andar
oltre la coscienza, il che è possibile solo se guardi la coscienza
come qualcosa che capita a te e non in te, come qualcosa di
sovrapposto ed esterno... A quel punto improvvisamente sei libero
dalla coscienza... e quello è il tuo vero stato. La coscienza è
un'eruzione cutanea pruriginosa. Non puoi voler saltar fuori dalla
coscienza, perché l'idea stessa è all'interno della coscienza. Ma se
impari a guardare alla coscienza come a una febbre, che ti è propria e
in cui ti chiudi come un pulcino nel guscio, è da quest'atteggiamento
che verrà la crisi che ti farà rompere il guscio.
Nisargadatta Maharaj
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