I titoli per insegnare.

A giugno, 520 alunni del Liceo Classico Maffei, hanno firmato un documento per reclamare la "continuità didattica" dell’insegnamento della Religione da parte del loro professore Luis Marsiglia.

Una bella pagella per Luis: 30 e lode.

A settembre la" burocrazia" - madre di quei mostri che chiamiamo "paradossi" – disattende l’attesa di tutti questi giovani.

Poi qualcuno pensa di "perfezionare" il suo allontanamento, con un’aggressione fisica .

Luis Marsiglia e’ sommerso dalla solidarietà della nazione intera: centinaia e centinaia di lettere.

I suoi alunni organizzano una marcia silenziosa: sei-settemila persone sfilano per le vie di Verona.

Ma nei giorni a seguire fra articoli, conferenze stampa, rettifiche, querele si configura oltre i margini di un titolo incompleto una enorme, opprimente, intricata matassa …

"Era lecito chiedersi, se la vera causa del trasferimento fosse unicamente quel titolo d’insegnamento "non perfezionato"?

Si, era lecito.

Oggi , dopo che la maschera burocratica si e’ infranta dietro la viltà di tre teste cave, gli stessi massmedia che ieri facevano grancassa dell’ "Atto gravissimo" gli mandano a dire che e’ un BUGIARDO perché ha mentito sui titoli.

…………….

Sul filo di queste riflessioni ho chiamato Luis al telefono per sentire come sta.

Sto meglio di ieri…. ho solo una grande necessita’ … quella di dire a tutti i miei alunni di stare sereni e di andare avanti.

Vorrei dire loro quale grande energia spirituale noi possiamo trarre dalla comunione con i profeti…..

In questi giorni mi sorreggono gli esempi, le buone letture.

Ti posso affidare un messaggio? Ho una cosa urgente da dire ai miei alunni:

"Fratelli di tutte le fedi ascoltate le parole del Cardinale Carlo Maria Martini, Specchio della Misericordia e della sapienza che viene dall’Altissimo.

Un fratello santo e Profeta, emarginato dai potenti e dalla stessa chiesa.

La sua voce è Luce in questa notte oscura. Seguite le sue tracce perché Lui è un Uomo di Dio."

 

a cura di Nadia Scardeoni
Verona 7 ottobre 2000

 

ALLEGATO

http://www.we-are-church.org/it/index.html

Il testo integrale dell'intervento del Card. Martini al Sinodo

Leggere la Bibbia ,rivitalizzare le parrocchie, discutere dei veri problemi della Chiesa in modo collegiale

 

"Ho ascoltato con vivo interesse tutti gli interventi fatti fin qui, cercando di capire in che modo rispondessero alla domanda: "come Gesù Cristo vivente nella Chiesa è oggi sorgente di speranza per l' Europa ?'

Ma prima di esprimere qualche mio parere, vorrei fare memoria di una persona che parecchi di noi ricordano presente in questa aula e che il Signore ha chiamato a sè il 17 giugno scorso: è il cardinale Basil Hume, arcivescovo di Westminster. Più di un intervento fatto da lui in Sinodo cominciò con le parole: "I had a dream", "Ho fatto un sogno".

Anch' io in questi giorni, ascoltando gli interventi, ho avuto un sogno, anzi parecchi sogni. Ne richiamo tre.

1. Anzitutto il sogno che, attraverso una familiarità sempre più grande degli uomini e delle donne europee con la Sacra Scrittura, letta e pregata da soli, nei gruppi e nelle comunità, si riviva quella esperienza del fuoco nel cuore che fecero i due discepoli sulla strada di Emmaus (Instrumentum Laboris 27). Rimando per questo a quanto già detto da mons. Egger, vescovo di Bolzano-Bressanone.
Anche per la mia esperienza, la Bibbia, letta e pregata, in particolare dai giovani, è il libro del futuro del continente europeo.

2. In secondo luogo, il sogno che la parrocchia continui ad attualizzare, col suo servizio profetico, sacerdotale e diaconale, quella presenza del Risorto nei nostri territori che i discepoli di Emmaus poterono sperimentare nella frazione del pane (IL 34,47). In questo Sinodo sono già state spese parecchie parole per evidenziare il ruolo dei movimenti ecclesiali in ordine alla vivificazione spirituale dell'Europa. Ma è necessario che i membri dei movimenti e delle nuove comunità si inseriscano vitalmente nella comunione della pastorale parrocchiale e diocesana, per mettere a disposizione di tutti i doni particolari ricevuti dal Signore e per sottoporli al vaglio dell'intero popolo di Dio (IL 47). Dove questo non avviene, ne soffre la vita intera della Chiesa, tanto quella delle comunità parrocchiali quanto quella degli stessi movimenti. Dove invece si realizza una efficace esperienza di comunione e di corresponsabilità la Chiesa si offre più facilmente come segno di speranza e proposta credibile alternativa alla disgregazione sociale ed etica da tanti qui lamentata.

3. Un terzo sogno è che il ritorno festoso dei discepoli di Emmaus a Gerusalemme per incontrare gli apostoli divenga stimolo per ripetere ogni tanto, nel corso del secolo che si apre, una esperienza di confronto universale tra i Vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che forse sono stati evocati poco in questi giorni, ma che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee.

Penso in generale agli approfondimenti e agli sviluppi dell'ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Penso alla carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d'anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del vangelo e dell'eucarestia (IL 14). Penso ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa (IL 48), la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali (IL 49), la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell'Ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica (IL 60-61), penso al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale.

Non pochi di questi temi sono già emersi in Sinodi precedenti, sia generali che speciali, ed è importante trovare luoghi e strumenti adatti per un loro attento esame. Non sono certamente strumenti validi per questo le indagini sociologiche, né le raccolte di firme, né i gruppi di pressione. Ma forse neppure un Sinodo potrebbe essere sufficiente. Alcuni di questi nodi necessitano probabilmente di uno strumento collegiale più universale e autorevole, dove essi possano essere affrontati con libertà nel pieno esercizio della collegialità episcopale, in ascolto dello Spirito e guardando al bene comune della Chiesa e dell'umanità intera.

Siamo cioè indotti ad interrogarci se, quaranta anni dopo l'indizione del Vaticano II, non stia a poco a poco maturando, per il prossimo decennio, la coscienza dell'utilità e quasi della necessità di un confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi su alcuni dei temi nodali emersi in questo quarantennio. V'è in più la sensazione di quanto sarebbe bello e utile per i Vescovi di oggi e di domani, in una Chiesa ormai sempre più diversificata nei suoi linguaggi, ripetere quella esperienza di comunione, di collegialità e di Spirito Santo che i loro predecessori hanno compiuto nel Vaticano II e che ormai non è più memoria viva se non per pochi testimoni. Preghiamo il Signore, per intercessione di Maria che era con gli apostoli nel Cenacolo, perché ci illumini per discernere se, come e quando i nostri sogni possono diventare realtà. "

Roma 7 ottobre 1999

sito

http://www.diocesi.milano.it/800/

http://www.diocesi.milano.it/vescovo/

I. Quale bellezza salverà il mondo?

La salita al Tabor e le domande dei discepoli

Gli apostoli che Gesù invita a salire con sé sul monte, sei giorni dopo l’annuncio di una prossima misteriosa manifestazione del Figlio dell’uomo (cf. Mt 17,1), portavano con sé le domande sempre più gravi che venivano emergendo nel loro cuore. Stando con Gesù e imparando a confrontare la loro precedente visione della vita e della storia con quanto egli veniva operando e insegnando, si chiedevano: in che modo questo Maestro, che esercita un così grande fascino, corrisponde alle promesse di Dio per la salvezza del suo popolo? come può un uomo così buono e mite mettere ordine in un mondo così cattivo? e che cosa significa il destino di sconfitta e di morte di cui ci sta parlando? (cf. Mt 16,21-23).

Sono le domande che noi cristiani sentiamo riemergere alla fine di questo secolo e di questo millennio: come può la mite bellezza del Crocifisso risorto portare salvezza a questa umanità cinica e crudele?

E’ l’interrogativo che Dostoevskij metteva in bocca a Ippolit un secolo fa e che riecheggia oggi almeno in diverse forme, a esempio: nel grande scenario della storia, dove la guerra dei Balcani ha riaperto ferite che almeno in Europa si pensavano rimarginate per sempre; nella fatica e nella stanchezza che spesso si avverte anche fra i credenti a rendere ragione, con entusiasmo e convinzione, della speranza che è in loro davanti al male del mondo; nello scoraggiamento che tenta un po’ tutti di fronte alla banalità del quotidiano, alle tante forme di bruttezza del vivere, con l’incapacità a leggervi un richiamo a qualcosa di più grande, per cui valga la pena spendersi.

a) Lo scenario del tempo: il secolo non più breve

Gli eventi del 1999 nei Balcani hanno come cancellato il giudizio diffuso che il ’900 fosse il "secolo breve" (Eric Hobsbawm), concluso col fatidico 1989. Ciò che sembrava irripetibile delle atrocità del Novecento ricompare: guerra, genocidi, distruzioni e morte. Il secolo che sembrava chiudersi con la crisi delle ideologie si ritrova attraversato da steccati e contrapposizioni ideologiche analoghe a quelle delle due guerre mondiali o dei lunghi decenni della guerra fredda: in questo senso si potrebbe dire che il nostro è "il secolo non più breve", il secolo cioè in cui le ideologie che si credevano finite continuano in realtà a influenzare, con la loro logica di contrapposizioni, le scelte dei singoli e dei popoli, producendo nuove e terribili violenze. Noi sappiamo infatti che quanto è avvenuto nei Balcani non è che una delle tragedie che segnano tanti altri paesi, soprattutto nell’Africa.

Alle soglie dell’anno giubilare - che siamo invitati a vivere come una contemplazione dello svolgersi del tempo nel seno della Trinità - sembrano dunque tornare le drammatiche domande di sempre, radicate nel dolore umano: che senso ha la storia? come Dio si rivela nella tragedia? perché il Padre delle misericordie sembra tacere davanti alla sofferenza delle sue creature? perché permette che fra di esse vi sia tanto odio e tanta violenza?

b) Lo scenario del cuore: la fatica di coniugare salvezza e storia

Ciò che sembra imporsi alla meditazione della nostra fede è lo sforzo di coniugare l’oggi del dolore umano all’oggi di Dio Salvatore, di cui il giubileo celebra i 2000 anni dalla nascita nel tempo. Una lettura sintetica di questi venti secoli, il cui potenziale tragico sembra riassunto nei recenti eventi di guerra, cerca luce nella rivelazione dell’amore trinitario compiutasi nella Pasqua di resurrezione del Crocifisso. La Pasqua rivela il senso della storia: una storia orientata alla finale vittoria di Dio, di cui la resurrezione del Crocifisso è anticipazione e promessa. Eppure sembra che nel cuore dei credenti ci sia tanta fatica a render ragione della speranza che è in loro (cf. 1Pt 3,15).

E’ quindi urgente ascoltare la parola della vicinanza e della consolazione di Dio, rivelata a Pasqua: è lì che Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito (cf. Gv 3,16); è lì che il Padre si rivela come amore nel gesto supremo del sacrificio di Gesù (cf. 1Gv 4,8ss). E’ davanti a questo amore che ognuno di noi può far sue le parole di Pietro sul monte dinanzi alla rivelazione della Trinità: "E’ bello per noi stare qui". E’ in questo amore rivelato sulla Croce che è possibile riconoscere e indicare a tutti - credenti e non credenti in ricerca - la bellezza che salva e che si offre come luce e forza anche nel frammento frastornante e dolorante del nostro presente.

E’ nella "contemplazione" del mistero pasquale che intravedo come una "cifra", una chiave di lettura del mio cammino episcopale durante questi venti anni. Abbiamo voluto esercitarci a contemplare la storia alla luce della Trinità e la Trinità nella trama degli eventi di questo mondo.

c) Le negazioni della bellezza e la domanda sul senso della vita e della storia

Ciò che ci spinge a cercare tanto intensamente la bellezza di Dio rivelata a Pasqua è anche il suo contrario, cioè la negazione della bellezza. La vera bellezza è negata dovunque il male sembra trionfare, dovunque la violenza e l’odio prendono il posto dell’amore e la sopraffazione quello della giustizia. Ma la vera bellezza è negata anche dove non c’è più gioia, specialmente là dove il cuore dei credenti sembra essersi arreso all’evidenza del male, dove manca l’entusiasmo della vita di fede e non si irradia più il fervore di chi crede e segue il Signore della storia.

E’ vero che qualche lettore di buona volontà potrebbe dire a questo punto: ma io, che pur vorrei amare il Signore, sono certo di irradiarlo? Vi sono talora sofferenze fisiche, psichiche e spirituali che appesantiscono la vita e danno l’impressione di non saper comunicare la gioia del vangelo. Tuttavia chi legge nel cuore vi scopre una pace di fondo, che è silenziosa testimonianza del senso di una vita donata a Cristo.

Io parlo qui, invece, di quella negazione della bellezza che è spesso sottile e pervasiva e abita la vita di credenti e non credenti: è la mediocrità che avanza, il calcolo egoistico che prende il posto della generosità, l’abitudine ripetitiva e vuota che sostituisce la fedeltà vissuta come continua novità del cuore e della vita. Come credenti, dovremmo chiederci se la Chiesa che costruiamo ogni giorno è bella e capace di irradiare la bellezza di Dio. Coloro che si sono impegnati a una mutua fedeltà nell’amore sponsale si domandino se, al di là degli inevitabili pesi della vita, traspare qualcosa della bellezza della reciproca donazione. Anche i presbiteri e i consacrati si interroghino se a volte l’abitudine o le immancabili disillusioni non abbiano spento l’entusiasmo degli inizi. Nessuna negazione della bellezza è così triste come quella che proviene da chi con la sua intera vita è stato chiamato a essere il testimone dell’amore crocifisso, e quindi l’apostolo della bellezza che salva.

Prima di concludere questa prima parte sento che un altro interrogativo emerge nel mio cuore. In quali condizioni i nostri ragazzi e adolescenti sono chiamati oggi a cogliere la bellezza di Dio e della vita secondo il vangelo? come possono, in un mondo consumistico, in cui sembra che sia possibile comprare tutto col denaro, non lasciarsi illudere dall’effimero e decidersi invece per ciò che vale e costa sacrificio? come far comprendere loro che la vocazione alla bellezza passa per una coraggiosa ascesi della mente e del cuore? Sono convinto che la "bella testimonianza" (cf. 1Tim 6,13) di Colui che ha dato la vita per amore di ciascuno di noi, riflessa nelle pagine della Scrittura, assimilata nella lectio divina e incarnata nella vita di tanti testimoni del nostro tempo (da Padre Kolbe a Gianna Beretta Molla a Madre Teresa di Calcutta...) è tutt’oggi capace di vincere i condizionamenti del nostro tempo e di entusiasmare per la vera bellezza di Dio.

II. La rivelazione della Bellezza che salva: la Trasfigurazione, la Trinità e il mistero pasquale Siamo dunque saliti sul monte in compagnia dei tre discepoli accanto a Gesù, portando con noi le loro e le nostre domande. Che cosa ci risponderà ora il Signore?

In realtà, sul monte Gesù non ci parla: si trasfigura! "Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: ‘Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!’" (Mc 9,2-5). Il racconto di Luca dice che anche i due personaggi partecipano della bellezza di Gesù: "apparsi nella loro gloria" (Lc 9,31).

Il monte è nella Bibbia il luogo della rivelazione, novello Sinai dove Dio parla al Suo popolo. Gesù è la Legge in persona, la Torah fatta carne, che si manifesta nello splendore della luce divina: è la Verità vivente, attestata dai due testimoni per eccellenza, Mosè ed Elia, figure della Legge e dei Profeti. Questa esperienza appare ai discepoli non solo vera e buona, ma anche bella: è il fascino della Verità e del Bene, è la bellezza di Dio che si offre a loro. Tale Bellezza è collegata nel racconto alla misteriosa rivelazione della Trinità: "Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: ‘Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!’" (v. 7).

La nube e l’ombra sono figura dello Spirito di Dio. La voce è quella del Padre e Gesù è indicato come il Figlio, l’Amato: è dunque la Trinità che si sta comunicando ai discepoli. La Bellezza a cui fa riferimento l’esclamazione di Pietro è dunque quella della Trinità divina.

Nel racconto di Luca viene indicato espressamente dove la piena rivelazione della Trinità si compirà: nell’evento pasquale. "Parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a compimento in Gerusalemme" (Lc 9,31). Negli altri sinottici l’allusione a tale evento avviene al momento della discesa: "Mentre scendevano dal monte, (Gesù) ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti. E lo interrogarono: ‘Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?’. Egli rispose loro: ‘Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato’" (Mt 17, 9-12).

La morte e resurrezione del Figlio dell’uomo sono dunque il luogo in cui la Trinità si rivela definitivamente al mondo come amore che salva: "In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Gv 4,10).

La Trasfigurazione ci consente allora di riconoscere nella rivelazione della Trinità la rivelazione della "gloria", e rinvia al pieno compimento di tale rivelazione nella suprema consegna dell’amore che si realizza sulla Croce. E’ lì che "il più bello tra i figli dell’uomo" (Sal 44,3) si offre - nel segno paradossale del contrario - come "uomo dei dolori... davanti al quale ci si copre la faccia" (Is 53,3). La Bellezza è l’Amore crocifisso, rivelazione del cuore divino che ama: del Padre, sorgente di ogni dono, del Figlio, consegnato alla morte per amore nostro, dello Spirito che unisce Padre e Figlio e viene effuso sugli uomini per condurre i lontani da Dio negli abissi della carità divina.

Accompagniamo allora i discepoli nel cammino che Gesù sul monte ha loro mostrato: contempliamo con loro la gloria di Dio, la divina bellezza nella Croce e Resurrezione del Figlio dell’Uomo, dal Venerdì santo - ora delle tenebre in cui la Bellezza è crocifissa - fino allo splendore del giorno di Pasqua. Vorrei che questo cammino non si limitasse a una successione di richiami biblici, ma rappresentasse come un percorso di fuoco, in cui inoltrarsi con decisione personale e insieme con timore e tremore, lasciandosi bruciare dalla fiamma di Dio.

a) La Bellezza crocifissa: il Venerdì santo e l’oggi del dolore dell’uomo

La Croce è rivelazione della Trinità nell’ora della "consegna" e dell’abbandono: il Padre è Colui che consegna alla morte il Figlio per noi; il Figlio è colui che si consegna per amore nostro; lo Spirito è il Consolatore nell’abbandono, consegnato dal Figlio al Padre nell’ora della Croce ("E chinato il capo, diede lo Spirito": Gv 19,30; cf. Eb 9,14) e dal Padre al Figlio nella resurrezione (cf. Rm 1,4). Sulla Croce il dolore e la morte entrano in Dio per amore dei senza Dio: la sofferenza divina, la morte in Dio, la debolezza dell’Onnipotente sono altrettante rivelazioni del Suo amore per gli uomini. E’ questo amore incredibile e insieme mite, attraente che ci coinvolge e ci affascina, quello che esprime la vera bellezza che salva. Questo amore è fuoco divorante, a esso non si resiste se non con una ostinata incredulità o con un persistente rifiuto a mettersi in silenzio davanti al suo mistero, cioè col rifiuto della "dimensione contemplativa della vita".

Certo, il Dio cristiano non dà in questo modo una risposta teorica alla domanda sul perché del dolore del mondo. Egli semplicemente si offre come la "custodia", il "grembo" di questo dolore, il Dio che non lascia andare perduta nessuna lacrima dei Suoi figli, perché le fa Sue. E’ un Dio vicino, che proprio nella vicinanza rivela il Suo amore di misericordia e la Sua tenerezza fedele. Ci invita a entrare nel cuore del Figlio che si abbandona al Padre e a sentirci così dentro il mistero stesso della Trinità.

Il Figlio è il grande compagno della sofferenza umana, colui che ci è dato riconoscere in tutte le sofferenze, soprattutto quelle che chiamiamo "innocenti": si pensi a quanto è stato forte questo motivo del "dolore innocente" nell’opera instancabile di un don Carlo Gnocchi per i suoi "mutilatini". Il volto "davanti al quale ci si copre la faccia" (Is 53,3) ci appare come un volto bello, quello che Madre Teresa di Calcutta contemplava con tenerezza nei suoi poveri e nei morenti.

b) Lo splendore della Bellezza: Pasqua e la salvezza del mondo

A Pasqua risplende la Bellezza che salva, la carità divina si effonde nel mondo. Nel Risorto, colmato dal Padre dello Spirito di vita, non solo si compie la vittoria sul silenzio della morte ed è offerta la forma dell’Uomo nuovo, che è tale in pienezza secondo il progetto di Dio, ma si compie anche il supremo "esodo" da Dio verso l’uomo e dall’uomo verso Dio, si attua quell’apertura all’oltre da sé, cui aspira il cuore umano. Se facciamo nostro nella fede l’evento di Pasqua, siamo noi pure trascinati in questo vortice che ci invita a uscire da sé, a dimenticare noi stessi, a gustare la bellezza del dono gratuito di sé

c) L’incontro con la Bellezza che salva: i racconti delle apparizioni

La rivelazione della Trinità come bellezza divina che salva raggiunge la vita dei discepoli negli incontri testimoniati dai racconti delle apparizioni: nella varietà cronologica e geografica di queste scene, emerge una struttura ricorrente. È il Risorto che prende l’iniziativa e si mostra vivente (cf. At 1,3). L’incontro viene a noi dall’esterno, attraverso un gesto e una parola che ci raggiungono e che sono oggi il gesto e la parola della Chiesa che annuncia il Risorto. Gesti e parole che suscitano sorpresa gioiosa, esultanza per la gloria del Risorto, consolazione nel sentirsi tanto amati, voglia di donarsi a colui che ci chiama a partecipare alla sua pienezza di vita, desiderio di gridare la lieta confessione di fede: "è il Signore!" (Gv 21,7); "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28).

Chi ha incontrato il Risorto è inviato da lui a essere suo testimone: l’incontro pasquale cambia la vita di chi lo sperimenta. I pavidi fuggiaschi del Venerdì santo diventano i testimoni coraggiosi di Pasqua fino a dare la vita per la confessione del loro Signore. Il suo splendore ha veramente rapito il loro cuore e ha fatto di loro gli annunciatori del dono di Dio, quelli che avendo fatto esperienza della salvezza e gustandone la bellezza e la gioia, avvertono il bisogno incontenibile di portare ad altri il dono ricevuto.

Trasfigurati dall’amore che salva, i discepoli diventano i testimoni di questa trasfigurazione: la bellezza che li ha rapiti a se stessi, diventa la molla che li spinge a dare a tutti gratuitamente quanto gratuitamente è stato loro donato.

d) Il "Pastore bello" e la Chiesa dell’amore

Essere testimoni della Bellezza che salva nasce dal farne continua e sempre nuova esperienza: ce lo fa capire lo stesso Gesù quando, nel vangelo di Giovanni, si presenta come il "Pastore bello" (così è nell’originale greco, anche se la traduzione normalmente preferita è quella di "buon Pastore"): "Io sono il pastore bello. Il bel pastore offre la vita per le pecore... Io sono il bel pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore" (Gv 10,11. 14s). La bellezza del Pastore sta nell’amore con cui consegna se stesso alla morte per ciascuna delle sue pecore e stabilisce con ognuna di esse una relazione diretta e personale di intensissimo amore. Questo significa che l’esperienza della sua bellezza si fa lasciandosi amare da lui, consegnandogli il proprio cuore perché lo inondi della sua presenza, e corrispondendo all’amore così ricevuto con l’amore che Gesù stesso ci rende capaci di avere.

Il luogo in cui questo incontro di amore bello e vivificante con il Pastore è possibile, è la Chiesa: è in essa che il bel Pastore parla al cuore di ciascuna delle sue pecore e rende presente nei sacramenti il dono della sua vita per noi; è in essa che i discepoli possono attingere dalla Parola, dagli eventi sacramentali e dalla carità vissuta nella comunità la gioia di sapersi amati da Dio, custoditi con Cristo nel cuore del Padre. La Chiesa è in tal senso la Chiesa dell’Amore, la comunità della Bellezza che salva: farne parte con adesione piena del cuore che crede e che ama è esperienza di gioia e di bellezza, quale nulla e nessuno al mondo può dare allo stesso modo. Essere chiamati a servire questa Chiesa con la totalità della propria esistenza, nel sacerdozio e nella vita consacrata, è un dono bello e prezioso, che fa esclamare: "Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità" (Salmo 16,6).

La conferma di questo ci viene dalla vita dei Santi: essi non solo hanno creduto nel "bel Pastore" e lo hanno amato, ma soprattutto si sono lasciati amare e plasmare da lui. La sua carità è diventata la loro; la sua bellezza si è effusa nei loro cuori e si è irradiata dai loro gesti.

Quando la Chiesa dell’amore attua in pieno la sua identità di comunità raccolta dal "bel Pastore" nella carità divina, si offre come "icona" vivente della Trinità e annuncia al mondo la bellezza che salva. E’ questa la Chiesa che ci ha generato alla fede e continuamente ha reso bello il nostro cuore con la luce della Parola, il perdono di Dio e la forza del pane di vita. E’ questa la Chiesa che vorremmo essere, aprendoci allo splendore che irradia dall’alto affinché esso - dimorando nelle nostre comunità - attiri il "pellegrinaggio dei popoli" secondo la stupenda visione che i Profeti hanno della salvezza finale: "Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri" (Is 2,1-3; cf. Mi 4,1-3; Zc 8,20s.;14,16; Is 56,6-8;60,11-14). Attraverso il popolo del "bel Pastore" la luce della salvezza potrà raggiungere tanti attirandoli a Lui e la Sua bellezza salverà il mondo.

III. Testimoni della Bellezza che salva: la discesa dal monte e l’invito "Alzatevi e non temete" (Mt 17,7)

La reazione dei discepoli al dono della trasfigurazione è quella di fermare la bellezza di cui hanno fatto esperienza: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Lc 9,33). La bellezza però non è possesso, è dono e come tale va donata, non trattenuta: ai discepoli prostrati in adorazione e presi da grande timore Gesù, avvicinandosi e toccandoli, dice: "Alzatevi e non temete" (Mt 17,7). È l’invito a riprendere il cammino senza paura, a scendere dal monte verso la vita ordinaria e a intraprendere il grande viaggio che porterà il Figlio dell’uomo a Gerusalemme per compiere il proprio destino.

E’ l’invito rivolto anche a noi a proseguire il nostro pellegrinaggio verso la Gerusalemme del cielo senza paura, sapendo che egli è con noi e che perciò la vita è bella ed è bello impegnarsi per il Regno. È l’invito ad accogliere, annunciare e condividere con tutti la Bellezza che salva. Attualizzando per il nostro oggi questa riflessione, potremmo dire che riscoprire la bellezza di Dio significa riscoprire le ragioni della nostra fede davanti al male che devasta la terra e le motivazioni profonde del nostro impegno a servizio di tutti, per la gloria di Dio. Chi fa esperienza della Bellezza apparsa sul Tabor e riconosciuta nel mistero pasquale, chi crede all’annuncio della Parola della fede e si lascia riconciliare col Padre nella comunione della Chiesa, scopre la bellezza d’esistere, a un livello che nulla e nessuno al mondo potrebbe dargli.

Di questa Bellezza, che viene dall’alto, il discepolo di Gesù deve nutrirsi e sempre di nuovo farsi annunciatore, per condividerla con chi non la conosce e con chi in forme diverse ne è alla ricerca. È l’invito che ci raggiunge tutti particolarmente in questo anno di grazia e di rinnovamento che è l’anno giubilare del 2000. Perciò, a nome di Gesù Crocifisso e Risorto, vorrei dire a tutti voi la parola che risuona dal Tabor: "Alzatevi e non temete!", invitandovi a fare esperienza del dono di Dio, vera bellezza che salva, ad annunciarlo con la parola e la vita per condividere con tutti lo splendore del vero e del bene, che è la luce della Bellezza divina.

Confortato dall’icona della Trasfigurazione, che mi ha condotto a contemplare con voi la rivelazione della Trinità e della Sua bellezza nel triduo santo, mi piacerebbe esclamare con voi: "Signore, è bello per noi stare con Te", nel desiderio di trovare incitamento in questa esperienza di grazia a vivere la nostra vocazione e missione con gioia sempre più grande. In particolare, ai miei fratelli nel ministero ordinato vorrei ricordare le parole con cui l’apostolo Paolo traccia il compito a noi affidato: "Siamo i collaboratori della vostra gioia" (2 Cor 1,24). E a tutti i consacrati richiamo quanto dice loro Giovanni Paolo II, partendo proprio dall’episodio della Trasfigurazione: "La persona che dalla potenza dello Spirito santo è condotta progressivamente alla piena configurazione a Cristo, riflette in sé un raggio della luce inacessibile e nel suo peregrinare terreno cammina fino alla fonte inesauribile della luce. In tal modo la vita consacrata diventa una espressione particolarmente profonda della Chiesa Sposa, la quale, condotta dallo Spirito a riprodurre in sé i lineamenti dello Sposo Gli compare davanti ‘tutta gloriosa senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata’ (Ef 5,27)" (Vita consecrata, n. 19).

a) Fare esperienza della Bellezza che salva: conversione e riconciliazione

Fare esperienza della Bellezza che salva significa anzitutto vivere il cammino della fede, specialmente nella preghiera personale e liturgica vissuta come preghiera in Dio, nello Spirito, per il Figlio andando al Padre e tutto da Lui ricevendo nella pace. È l’esperienza del riconoscersi amati e salvati, perdutamente affidati al Dio vivo, nascosti con Cristo nelle relazioni d’amore della Trinità. A tale esperienza si arriva attraverso la conversione del cuore e la riconciliazione con Dio e con la comunità.

La Bellezza della carità divina - una volta sperimentata nel profondo del cuore - non può non condurre al superamento dell’individualismo, purtroppo così diffuso anche fra i cristiani. Veniamo condotti a riscoprire il valore del "noi" nella nostra vita, tanto a livello di comunità ecclesiale quanto nelle singole comunità familiari e in tutte le forme in cui, come credenti, ci troviamo a vivere la relazione con gli altri. In particolare, la bellezza della comunione dovrà risplendere nelle comunità dei consacrati e delle consacrate che per vocazione sono chiamati a essere icona della comunione di tutta la Chiesa, fondata nella comunione della Trinità divina.

Essa dovrà risplendere anche nella liturgia. Quanto è importante una celebrazione liturgica che nei tempi, nei gesti, nelle parole e negli arredi riflette qualcosa della bellezza del mistero di Dio!

Ogni volta, nel cuore della celebrazione eucaristica, l’esclamazione "mistero della fede" scaturisce dallo stupore consapevole dell’orante, quando lo splendore della verità gli si manifesta in pienezza. Dopo aver compiuto ciò che il Signore Gesù ha comandato agli Apostoli di ripetere "in memoria di Lui", gli occhi della fede si aprono, come quelli dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,30-31) e confessiamo con stupore e gratitudine il "mistero della pietà" (cf. 1Tim 3,16). La Bellezza si svela nel mistero di Cristo culminante nella Pasqua: la celebrazione eucaristica ne costituisce il memoriale. L’esigenza del celebrare bene si radica in queste convinzioni. I ritmi di parola, silenzio, canto, musica, azione nello svolgersi del rito liturgico contribuiscono a questa esperienza spirituale.

b) Annunciare la Bellezza che salva

In questa fine di secolo e di millennio l’incontro con la Bellezza dà nuovo impulso alla passione missionaria in tutte le sue forme: proclamare la bellezza della Trinità divina, educare a farne esperienza, testimoniare la carità che ne deriva e l’impegno per la giustizia, formare i giovani a questi valori, sono altrettanti compiti che esige la "discesa dal monte"

L’itinerario giubilare si presta in modo particolare a vivere questo annuncio della Bellezza che salva con i suoi cinque momenti: spirituale, ecclesiale, caritativo, penitenziale e mariano.

Ma anche l’arte è un annuncio della Bellezza che salva. "Ogni autentica ispirazione racchiude in sé qualche fremito di quel ‘soffio’ con cui lo Spirito creatore pervadeva fin dall’inizio l’opera della creazione. Presiedendo alle misteriose leggi che governano l’universo, il divino soffio dello Spirito creatore si incontra con il genio dell’uomo e ne stimola la capacità creativa. Lo raggiunge con una sorta di illuminazione interiore che unisce insieme l’indicazione del bene e del bello e risveglia in lui le energie della mente e del cuore rendendolo atto a concepire l’idea e a darle forma nell’opera d’arte. Si parla allora giustamente, se pure analogicamente, di ‘momenti di grazia’, perché l’essere umano ha la possibilità di fare una qualche esperienza dell’Assoluto che lo trascende (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, n. 15).

Sottolineo in particolare il significato delle architetture e delle iconografie sacre. Desiderare che nascano con l’impronta della bellezza è rispettare la loro primaria funzione di testimoniare l’irruzione della grazia divina nella nostra quotidianità. Architetture e iconografie sacre desuete, ripetitive, che non si sforzano di rispettare il dettato del nostro Sinodo 47° (cf. Cost. 540), non sono in grado di suscitare l’emozione propria del mistero cui alludono, non commuovono e non portano alla lode: dovrebbero invece essere una freccia lanciata all’interiorità attraverso il linguaggio della bellezza, un sostegno alla contemplazione.

c) Condividere con tutti la ricerca e il dono della Bellezza

Mettersi in ascolto delle domande vere del cuore umano vuol dire cogliere ogni nostalgia di bellezza, dovunque essa sia presente, per camminare insieme con tutti nella ricerca della Bellezza che salva. Vivere l’impegno ecumenico, il dialogo interconfessionale e interreligioso, è compito urgente per rispettare e promuovere insieme con tutti la Bellezza come giustizia, pace e salvaguardia del creato. Si potrà qui valorizzare l’esperienza del dialogo con i non credenti quale forma di comune ricerca della Bellezza che salva.

Condividere il dono della Bellezza significa inoltre vivere la gratuità dell’amore: la carità è la Bellezza che si irradia e trasforma chi raggiunge. Nella carità non c’è rapporto di dipendenza fra chi dà e chi riceve, ma scambio nella comune partecipazione al dono della Bellezza crocifissa e risorta, dell’Amore divino che salva. Va allora riscoperto il valore dell’altro e del diverso, inteso sul modello delle relazioni vicendevoli delle tre Persone divine: non l’altro come concorrente o dipendente, ma come ricchezza e grazia nella diversità.

d) Vivere l’anno giubilare nell’unità delle tre dimensioni: sacramentale, profetica e caritativa

L’unità delle tre dimensioni indicate - quella dell’esperienza sacramentale della Bellezza che salva, quella dell’ascolto della Parola che l’annuncia e della proclamazione di essa e quella della condivisione nella carità - va sempre cercata, ma è urgenza propria e particolare dell’anno giubilare. Non sarà vissuto se non abbraccerà una rinnovata lettura della vita e della storia alla luce della Trinità, alla scuola della Parola di Dio proclamata e accolta, se non si nutrirà dei sacramenti della vita riscoperti in tutta la loro ricchezza di luoghi di incontro con la Bellezza che salva, e se non si vivrà lo sforzo di condividere con tutti il dono di questa stessa Bellezza. Liturgia e vita spirituale, catechesi ed evangelizzazione, dialogo e servizio della carità dovranno conoscere nell’anno giubilare un nuovo slancio, motivato dal rinnovato incontro con la bellezza di Dio, sperimentato in questa sorta di Tabor del cammino del tempo che è l’anno 2000.

Conclusione.

Meditare nel cuore l’opera di Dio: l’icona dell’Annunciazione