|
|
Non si sa più da che parte partire di Maria Vezzoli Abstract Tutto quel mondo di spiegazioni, di concezioni delle cose e degli eventi che ciascuno di noi, fin dai primissimi tempi di vita, costruisce e porta dentro di sé, influenza e dirige ogni successivo processo di apprendimento. Costituisce una sorta di realtà interiore a cui ciascuno piega ogni realtà incontrata. Di solito si tratta di spiegazioni solo parzialmente corrette e accettabili, spiegazioni che di frequente, anzi, contengono clamorosi strafalcioni. Hanno comunque una loro ragion d’essere e sono tenacemente persistenti. Gli insegnanti si trovano quotidianamente di fronte a queste "rappresentazioni mentali", e spesso cercano inutilmente di cancellarle: inutilmente perché di solito, prima o poi, riemergono. Più vantaggioso risulta invece utilizzarle come combustibile per costruire nuovo sapere. Il Gruppo Scienze dell’ OPPI ha una più che decennale (1989-2002) esperienza di didattica basata sulla lettura e sull’utilizzo delle rappresentazioni mentali per costruire percorsi di apprendimento/insegnamento. Intorno a ciò si riferisce in questo articolo, riportando esempi autentici e proposte emersi dalle ricerche del Gruppo.
Non si sa più da che parte partire narrazione di un’esperienza di Maria Vezzoli Prologo "Comincia dall’inizio", disse il Re con tono grave,
"Va avanti finché arrivi alla fine e lì fermati!" "Il mio modo di pensare è tipico di un adolescente: penso molto al mio futuro, ai progetti, ai miei sogni e quindi il mio pensiero è molto confusionario, tipo un gomitolo di lana. Non so da che parte inizia la mia mente e da che parte finisce, è un intreccio di strade, di ponti, incroci" . Mauro D. , studente di II ragioneria , 1998/99 La frase che dà il titolo a questo articolo è di un insegnante, detta non molto tempo fa durante un corso di formazione. Nella sua essenzialità esprime molto bene lo stato di disagio e di incertezza in cui versano oggi non pochi insegnanti di fronte a una scuola che ondeggia tra desideri di cambiamento e timore dell’innovazione, tra istanze di autonomia (su cui si è già da tempo legiferato) e il bisogno di adagiarsi su direttive più rigide e certe, anche se frustranti. Gli insegnanti tuttavia continuano a lavorare per far fronte alla crescente complessità della loro professione. Complessità legata a uno scibile in crescita esplosiva, a istanze sempre più varie e diversificate che le famiglie e la società pongono alla scuola. Complessità legata alla consapevolezza che a scuola non si può "fare tutto", quindi bisogna scegliere. E ogni scelta comporta rinunce, addirittura sacrifici: come "saltare" quell’argomento in cui eravamo tanto ferrati, che ci appassionava, che abbiamo trattato per anni e adesso…che peccato! A tutto ciò si aggiunge la sensazione frustrante che ai ragazzi non importa granché quello che si fa a scuola, che sono demotivati, che i loro interessi sono altrove. Che fare? Alla domanda implicita nel titolo si potrebbe davvero rispondere con le parole di Lewis Carrol, oppure con quelle di Mauro D… Infatti non si può che partire da dove si è , dal proprio pensiero, dal pensiero dei ragazzi, prestando la più accurata attenzione a quel pensiero-mappa, intreccio di strade, di ponti, incroci, superando la logica del cercare a tutti i costi "le lacune da colmare" e "i prerequisiti minimali", per utilizzare invece pensieri e conoscenze così come sono. Ciò comporta un vero capovolgimento di logica: dall’attenzione a quello che manca all’attenzione a quello che c’è. "Ho sempre fatto attenzione ai ragazzi" dicono molti insegnanti, e pensano ai test d’ingresso con la loro eterna conclusione: i ragazzi non hanno le basi, mancano dei prerequisiti…E via con la sequela del "non si può andare avanti - bisogna fare i corsi di recupero - i corsi di recupero non servono – la colpa è di quelli (gli insegnanti) delle medie, delle elementari, della materna che non fanno niente e ce li mandano …." . Chi non ha sentito o pensato o detto qualcosa di simile alzi la mano. Le "basi" e i "prerequisiti" sono fantasmi che si aggirano pervasivi per la scuola, nessuno sa bene chi li debba far rinascere. E se restano sempre fantasmi la colpa è comunque di "altri".
Esperienze costruttiviste ovvero… Gli allievi non sono una tabula rasa, su cui la scuola deve scrivere, né un vaso vuoto da riempire. Tutto quello che hanno già imparato in precedenza rappresenta, per così dire, il combustibile da usare per il nuovo apprendimento. Sia gli insegnanti sia gli studenti hanno bisogno di riconoscere il valore delle conoscenze preesistenti per acquisire nuove conoscenze" Novak e Gowin, Imparando a imparare La citazione viene da un testo assai noto, oserei dire storico. L’idea base è: non si costruisce apprendimento se non si "parte da dove si è", dai pensieri che si hanno, dalle cosiddette "rappresentazioni mentali". Il Gruppo Scienze dell’ OPPI ha una più che decennale (1989-2002) esperienza di ricerca didattica basata sulla lettura e sull’utilizzo delle rappresentazioni mentali per costruire percorsi di apprendimento/insegnamento. Un’esperienza iniziata alla fine degli anni ’80 sotto la guida di Raoul Gagliardi, e continuata sia con lavori autonomi sia con la frequentazione di seminari cha hanno visto la presenza, tra gli altri, di Humberto Maturana e Heinz von Foerster. Questa esperienza conferma che si ha una buona possibilità di successo formativo se si accetta di far partire ogni ragazzo da dove è, predisponendo percorsi flessibili e variati, che permettano, là dove è possibile, il recupero di prerequisiti indispensabili, e che prevedano di far comunque toccare a ogni allievo le tappe ritenute fondanti (contenuti, procedure..) Non sarà sempre possibile "fare tutto": e quando mai lo è stato? Chi conosce la scuola sa che gli insegnanti che a marzo avevano "finito tutto il programma" di solito lo avevano finito (cioè raccontato…)in beata solitudine, o in compagnia di due o tre allievi particolarmente brillanti. Gli altri allievi erano chi a metà, chi all’inizio…e qualcuno non aveva neanche cominciato. Ancora: nulla può risolvere del tutto i problemi di demotivazione degli studenti, né sovvertire la diffusa indifferenza alle informazioni che la scuola propone, ritenute spesso inutili, avulse dalla realtà. Un’indifferenza che a molti ragazzi fa sentire la scuola come vita sospesa, un pacchetto di tempo che devono obbligatoriamente devolvere alle esigenze sociali e delle famiglie, ma che non li riguarda più di tanto. La vita vera, quella che si vive, è altrove. Se però si cerca di agganciarsi al loro pensiero, si riesce, con una certa frequenza, a risvegliare motivazione e persino interesse. Al pensiero, sottolineo, non solo ai saperi. Il punto debole dell’insegnare spesso è proprio qui, non si cerca di sapere come/che cosa gli allievi pensano, ma solo che cosa gli allievi già sanno/non sanno, di cercare (e non trovare…) i già citati prerequisiti: " non sa niente di analisi logica, non sa fare le divisioni con due cifre, non sa cos’è un elettrone, non sa niente del legame chimico…." Si rischia davvero di perdersi nel labirinto dei "non sanno". Eppure a volte…sanno! A volte infatti ci sembra che i ragazzi "sappiano" perché, a domande su determinati contenuti, danno risposte apparentemente corrette. Se poi però si cerca di capire se e come usano quei contenuti, proponendo loro situazioni da affrontare facendovi ricorso , dimostrano sovente di non saperne fare uso alcuno. Vi sono liceali assai ben informati sui batteri patogeni e sui virus, e incapaci di prefigurare, nella quotidianità, comportamenti corretti dal punto di vista igienico sanitario. Studenti che ripetono accuratamente nozioni di diritto, ma sono mille miglia lontani dal cogliere il senso delle "norme", della "legittimità". La conoscenza esibita spesso non va d’accordo con il pensiero che c’è dietro. Ecco perché è importante e vantaggioso conoscere le risorse di pensiero dei ragazzi. Spesso hanno risorse insospettate e insospettabili per molti insegnanti. Solo così si potrà ottenere l’integrazione del nuovo sapere con la struttura mentale preesistente, promuovendo apprendimento vero, capace di durare nel tempo e di orientare azioni e scelte, e non soltanto una memorizzazione a tempo breve di nozioni utili per conquistare la promozione, ma, come si dice in gergo scolastico, appiccicate, da pappagallo…e da dimenticare al più presto, perché tanto "non servono a niente"…. …ovvero delle rappresentazioni mentali Ogni nuova conoscenza ed esperienza viene interpretata e orientata da una sorta di enciclopedia personale che ci guida nel conoscere, decidere, prevedere, comportarci… è un’enciclopedia costruita dalle esperienze fatte, dalle conoscenze precedenti , dalle strutture biologiche (da Schank, Teoria della memoria dinamica) Le rappresentazioni mentali sono tutto quel mondo si spiegazioni, di concezioni delle cose e degli eventi che ciascuno di noi, fin dai primissimi tempi di vita, costruisce e porta dentro di sé Esse influenzano e dirigono ogni successivo processo di apprendimento. Sono una sorta di "realtà" interiore a cui ciascuno di noi piega ogni "realtà" incontrata. Possono essere più o meno corrette/scorrette rispetto ai saperi accreditati, ma comunque hanno una loro ragion d’essere e sono tenacemente persistenti. Non poche ricerche sul campo, anche del gruppo Scienze dell’ OPPI, mostrano come gli allievi a volte apparentemente le abbandonino, perché ripetono una formula scientificamente corretta, per poi farle comunque riemergere quando si devono servire di un modello risolutivo. Vanno pertanto conosciute, perché ci permettono di organizzare la nostra proposta didattica in modo da interagire con esse. Nella quotidianità scolastica fare appello a quello che gli allievi davvero pensano non solo aiuta gli allievi stessi nella ricostruzione di saperi, ma , riconoscendo e, in un certo senso, legittimando il loro pensiero, ingenera una sorta di fiducia che ancor più favorisce l’apprendimento. La parola "rappresentazioni" non induca equivoci. Non vuole infatti proporre un’ idea di conoscenza intesa come "immagine a specchio" della realtà esterna, ma si rifà al paradigma costruttivista: operando in un determinato ambiente, mossi da necessità, interessi o scopi, noi selezioniamo, tra la moltitudine di cose che ci stanno attorno, quelle che rispondono ai nostri obiettivi, costruiamo le nostre rappresentazioni della situazione, costruiamo il nostro mondo; ciò che percepiamo dell'esterno è il risultato delle nostre azioni. Come indagare Il problema didattico è far sì che i ragazzi mostrino le loro idee relativamente agli argomenti di cui dovremo occuparci. Chi ha esperienza di scuola, sa che di fronte a un diretto "Tu che cosa ne pensi?" i ragazzi spesso restano disorientati, e annaspano cercando nella memoria quella frase del libro, o degli appunti, che potrebbe andar bene come risposta…perciò è importante scegliere modalità che non li condizionino troppo, che non mettano loro in bocca risposte che essi percepiscono come desiderate dall’insegnante. Proprio per questo un colloquio diretto, oltre che richiedere tempi lunghi, può permettere a un ragazzo di cogliere da chi ha di fronte segnali che limitano la sua libertà di espressione. L’uso del mezzo scritto limita il condizionamento e permette un notevole risparmio di tempo. Bisogna formulare domande poco dotte, semplici, spiazzanti, che non evochino subito saperi scolastici. Si possono anche richiedere disegni e schemi. L’anonimato è pressoché indispensabile. La lettura delle risposte richiede pazienza e disponibilità per cercare di capire che cosa ha in mente il ragazzo che ha scritto. Solo così si può parlare di costruttivismo, se si salva il pensiero autentico di ognuno senza pretendere di costringerlo dentro una categorizzazione. E’ importante non essere soli, nell’interpretazione. Almeno due o tre colleghi devono confrontarsi, perché i punti di vista sono diversi, e solo dal confronto dei punti di vista possono scaturire utili indicazioni per costruire il successivo percorso di insegnamento/apprendimento. Questo tipo di lettura richiede quindi un po’ di allenamento: non si tratta infatti di test che si prestino a un conteggio statistico. La statistica qui è confinata ai margini: risposte insolite, statisticamente irrilevanti, rivelano sovente un pensiero che fatica ad emergere, ma profondamente radicato. Sono allora una spia importante, una sorta di punta dell’iceberg, e come tali vanno prese in considerazione. E dopo? …e dopo si costruisce. Si predispone una sorta di mappa, una rete di percorsi possibili: i nodi saranno non solo contenuti imprescindibili, ma anche concetti forti da costruire, esperienze fondanti, attività formative…proposti per portare i ragazzi a conquistare o ampliare competenze. E i ragazzi diventeranno esploratori che si muovono in un territorio rappresentato dalla mappa, un territorio di saperi e competenze, da conoscere e conquistare ciascuno secondo le proprie risorse, che verranno valorizzate dalle diverse alternative di percorso. Se, per esempio, un pensiero presente nel gruppo classe è quello negativo delle leggi-proibizione, nella mappa sarà previsto, oltre alla riflessione sul perché questo pensiero sia tanto diffuso, anche uno studio-ricerca sulla necessità storica di determinate proibizioni , e di come le leggi siano anche e soprattutto risorsa per un vivere civile sociale… Se l’immagine dei Greci è quella di pacifici scultori, si potrà agevolmente partire dall’arte per risalire ad altri aspetti della vita e della storia greca, per scoprire… E i pre-concetti sul computer? Quante riflessioni importanti e quanti saperi partendo dal non facile rapporto uomo-macchina: si potrebbe persino prevedere un ingresso, o una tappa del percorso, con la visione di "Tempi moderni" di Chaplin… La mappa quindi sarà predisposta prevedendo contenuti e attività in relazione alle diverse rappresentazioni presenti tra gli allievi, perché ciascuno trovi l’approccio che più gli si adatta. Non più un percorso lineare e sequenziale, uguale per tutti, ma una rete di percorsi in cui muoversi con flessibilità. Certo, non è facile, ma quanto lavoro creativo per un insegnante! Un insegnante non più considerato alla stregua di enciclopedia disciplinare parlante (quanta preoccupazione sui "saperi" manifestano spesso i docenti!), ma una sorta di direttore di percorso, che sa indirizzare, consigliare, aiutare, sostenere…i ragazzi nella costruzione del sapere. Non più un sapere "travasato" e accolto passivamente, ma un sapere costruito attivamente da ogni allievo, con l’aiuto dell’insegnante. Un sapere che ciascuno possa dire "mio". Ecco allora l’opportunità di usare le rappresentazioni mentali come combustibile per una dinamica e continua costruzione/ricostruzione di sapere. Metabolizzare invece che demolire. Il nostro meta-messaggio metodologico sarà pressappoco così: "rispetto il tuo modo di pensare e mi sforzo di conoscerlo e di aiutarti a conoscerlo; se pensi cose che la scienza accreditata ritiene scorrette, o anche del tutto errate, ci sarà un buon motivo: capirlo ci aiuterà a costruire insieme un sapere più ricco e valido" . In pratica: esempi nell’ambito delle Scienze Naturali Il primo esempio sarà trattato più estesamente. Altri esempi saranno più sintetici La domanda dell’acqua Descrivi, oppure disegna, il percorso che l’acqua compie attraverso il tuo corpo, da quando vi entra a quando ne esce Dalle risposte a questa domanda emerge la rappresentazione che i ragazzi hanno del proprio corpo, e la vasta messe di difficoltà a capirne la struttura e le funzioni. Già nella ricerca degli anni ’90 fu utilizzata, su un campione di 327 studenti. Alcuni esempi e la lettura si trovano nella pubblicazione OPPI già citata precedentemente in nota. Nel box sono riportati alcuni stralci della raccolta/lettura del 1994.
E’ interessante confrontarli con una nuova raccolta/lettura, effettuata nel 2000/2001 su un campione di 362 allievi, tutti del biennio della Scuola Secondaria Superiore, di due provincie geograficamente lontane: Foggia e Milano. Che cosa abbiamo trovato nel 2000/2001?
La rappresentazione che ne esce è ancora quella dell’organismo tubo. A volte un tubo "isolato", a volte un tubo inserito in una figura umana. Ancora si fanno affermazioni paradossali (l’acqua espulsa dall’intestino retto), ancora l’antica confusione tra apparato genitale (spesso enfatizzato dai disegni) e apparato urinario. L’uso della terminologia è improprio. Gli organi non sono collegati tra loro: l’organismo è un insieme meccanico di parti… Aggiungiamo che diffusissima è la dizione che l’urina "esce dai genitali", "esce dalla vagina". ….eppure tutti questi "strafalcioni" sono punti di partenza importanti, e altrettanto valide mattonelle di combustibile da utilizzare nei percorsi di apprendimento/insegnamento. Alcune indicazioni di percorso L’idea semplicistica del "tubo" aiuta a capire come nasce, evolutivamente, l’animale pluricellulare: prima un sacco, come i coralli e le meduse (Celenterati), poi ecco la necessità di spostarsi in una direzione, alla ricerca del cibo, e quindi la simmetria bilaterale e, davvero, un organismo-tubo (es. Nemertini e Aschelminti), che diventa via via più complesso portando fino alla struttura dei Mammiferi e quindi degli esseri umani. Perché dire che l’acqua esce attraverso il retto? Non è poi del tutto sbagliato dire così… La spirale, curiosamente disegnata da una ragazza della provincia di Milano e da un ragazzo della provincia di Foggia…così lontani geograficamente e vicini nel pensare. Pensare che cosa? Chiediamolo a loro, in classe. Interessante questa spirale. A noi trasmette un’immagine di difficoltà, è certo difficile capire il passaggio dall’apparato digerente ai reni: ecco forse perché il nodo, perché il groviglio. Sarà necessario prendere in considerazione un sistema di comunicazione importante, l’apparato circolatorio. E , ancora, attraverso la storia evolutiva del glomerulo renale, semplificata al massimo, si può arrivare a far capire che davvero è un aggrovigliarsi che porta alla struttura filtrante del rene. L’acqua che si diffonde a tutto il corpo…tranne che nella testa, scrive un ragazzo! Perché questa diffusione capillare? Quale la funzione? E perché non nella testa? E tutte quelle freccette che indicano la traspirazione? L’allieva ha l’idea che tutta la superficie corporea è interessata al fenomeno, e di qui si possono ricavare utili considerazioni sui problemi della disidratazione, o anche sull’adattamento all’ambiente (i Tutsi alti e magri, gli Eschimesi più tarchiati…) La confusione tra apparato genitale e urinario è un classico: anche molte persone adulte e acculturate non hanno ben chiara la cosa. E come la mettiamo con le galline, e le uova sporche di feci… Ancora quindi riflessioni interessanti sulla contiguità dei due apparati, sulla loro recente separazione evolutiva, nonché un bell’aggancio per l’educazione sessuale e vari campi della prevenzione igienico -sanitaria. Gli organi disgiunti, separati tra loro: certo, è difficile capirne i collegamenti, però sappiamo che ci sono, che l’organismo non è semplicemente la somma delle parti che lo formano, ma il risultato di una straordinaria integrazione, un sistema complesso. E allora andiamo a caccia di questa complessa integrazione utilizzando i disegni "a pezzi" per costruire i legami, le relazioni tra le parti. Riflettiamo sui disegni e sulle descrizioni: ci aiutano a capire il nostro stesso pensiero, le nostre stesse difficoltà. Attraverso i disegni e le descrizioni noi descriviamo "modelli". La scienza non descrive la realtà, ma modelli interpretativi che si costruiscono per capire. E poi ancora una riflessione "formativa": che cosa sappiamo su quello che sappiamo? Sappiamo di sapere/non sapere…? A cosa serve conoscere termini scientifici? Che uso ne facciamo… I vermi della sorellina A volte si dice che un bambino, un adulto, o il cane o il gatto di casa "hanno i vermi". Che significa? Questa domanda è stata proposta tra il 1997 e il 1999 a 6 prime classi di Istituto Tecnico e a 4 prime classi di Liceo Scientifico (Lombardia), per un totale di 207 allievi. Riporto fedelmente alcune risposte: Non significa niente, i vermi non esistono, era un’idea della generazione spontanea. (Lic.Sc.) E’ vero che si prendono i vermi. Anche mia sorella ha preso i vermi, perché si è spaventata, perché quando si prende uno spavento forte si prendono i vermi. (Lic.Sc.) Significa che ci sono i vermi nell’intestino. Per esempio il cane da caccia di mio padre prende i vermi quando va a lepre e si stanca. Così gli sanguinano anche i piedi. (ITC) Significa che all’asilo c’erano gli ossiuri, che sono vermi. I bambini li prendono all’asilo perché si scambiano gli asciugamani. (ITC) I vermi si formano se uno mangia il salame fresco. (ITC) …………………………….. Alcune indicazioni di percorso Queste risposte sono una vera e propria miniera: la diffusissima, antica e persistente idea dei vermi che nascono per generazione spontanea in seguito a uno spavento (la più frequente) o anche a sovraffaticamento, si contrappone a un’osservazione scettica: i vermi non esistono! Certo è importante una riflessione storica: che cosa è la teoria della generazione spontanea? Attraverso quali passi è stata smantellata? E l’ipotesi abiogenetica dell’origine della vita e… I vermi esistono, eccome, ma il termine indica un’accozzaglia di organismi diversi. Facciamo un po’ di sistematica: la sistematica non serve a opprimere gli allievi, se ben gestita serve a dare un nome alle cose, per conoscere, per capire, per agire. Gli spaventi fanno nascere i vermi o…viceversa? Quale è la causa e quale l’effetto? Le infestazioni da vermi provocano infatti disturbi svariati: per esempio gli ascaridi di notte risalgono il tubo digerente, arrivano nei pressi della faringe, provocano tossi violente, accessi convulsivi, incubi. Ecco quindi che lo "spavento" può essere un sintomo di infestazione. Si può raccontare anche la storia dei vampiri che, secondo antiche credenze, scappavano davanti a una collana di spicchi d’aglio: l’aglio contiene provate sostanze vermifughe. In passato lo si dava da succhiare ai bambini, assai spesso infestati da questi sgradevoli parassiti. Ecco allora attenuarsi gli spaventi notturni, le convulsioni, perché ascaridi e ossiuri venivano considerevolmente ridotti… o era il vampiro che se la filava alla chetichella? A questo proposito: scivolando nel fantastico non si svaluta un corretto sapere scientifico, ma si aiuta semmai a riconoscere il fiabesco, divertendocisi un po’. Il che aiuta a memorizzare. Heinz von Foerster non ci insegna forse che l’insegnamento è come la magia, e bisogna "dare agli allievi il tempo di costruire una storia intorno a ciò di cui si parla"? Non possiamo tuttavia fare un’equazione vermi = spaventi . Né d’altra parte il coesistere di fenomeni ne dichiara il legame causale: si veda l’esempio del cane da caccia con i piedi che sanguinano. Ecco il via per una corposa riflessione formativa sulla causalità non lineare in tutti i fenomeni biologici. Non c’è corrispondenza biunivoca tra causa ed effetto: nel mondo della natura a più cause conseguono più effetti, e ogni effetto può avere molte cause. Abbiamo trovato un bel trampolino di lancio per un tuffo nella complessità. L’affermazione che "i vermi non esistono" ci porta ad un’altra riflessione: le teorie vecchie, soppiantate da nuove teorie, sono da rigettare del tutto? Non possono forse insegnarci ancora qualche cosa? Non dimentichiamo un accurato percorso di apprendimento igienico-sanitario, per prevenire le infestazioni (e anche le infezioni: se ne impari la differenza!). Il problema dell’asciugamano alla scuola materna è reale. Poi c’è di mezzo anche l’educazione alimentare: è vero che il salame fresco può essere un cibo a rischio e allora… L’isola deserta Immagina di naufragare su un’isola disabitata. Che caratteristiche dovrebbe avere quest’isola per permetterti di sopravvivere? Questa domanda è stata proposta nel 1998 a 2 prime classi di Istituto Tecnico Commerciale, a 2 prime classi di Liceo Scientifico e a 2 prime classi ITIS (Lombardia), per un totale di 142 allievi. Le risposte mettono in primo piano la necessità di acqua potabile. Frequentissima la citazione di frutta e radici. Si auspica un clima mite, legname per costruire le capanne, grotte come ripari, animali commestibili. Alcuni addirittura citano il suolo in cui seminare. Qualcuno teme la presenza di animali pericolosi, di una natura nemica. Anche qui c’è buon combustibile: il concetto di "risorsa" è forte, va solo sviluppato. Si possono prendere le singole voci citate e costruirvi veri e propri percorsi di approfondimento. Cito due risposte, curiose e rivelatrici: Acqua potabile, alberi da frutto e da legname, clima mite. Un animale domestico con cui vivere Acqua potabile, ripari, frutta, animali commestibili e una donna che li cucini e mi soddisfi Nel primo un animale da compagnia rappresenta il bisogno di affetto e tenerezza. Il secondo: non condanniamolo per la sua immagine maschilista. Sappiamo che è largamente presente nei nostri giovani allievi, che spesso non hanno il coraggio di riconoscerla e tanto meno di manifestarla. Riconosciamo positivamente la sincerità del ragazzo che la esprime. Non sottovalutiamone la forza, l’impatto: discutiamone con serenità, accettandola come un dato fisiologico, per promuoverne il superamento attraverso il processo di maturazione. Piante e animali Questa domanda, molto semplice e immediata, è stata ripetutamente utilizzata dagli anni ’90 al 2001 (oltre un migliaio di risposte, di studenti di ogni ordine di scuola, dalle elementari alle superiori). In una sola quarta elementare di pochi anni fa provammo a elencare le espressioni che i ragazzini avevano utilizzato: per gli animali: corrono, fanno versi, possono essere feroci, camminano, volano, vanno in letargo, abbaiano, miagolano, ruggiscono, parlano, giocano, possono sentire, ridono, hanno la faccia, sono pelosi, hanno occhi, sono più adattabili, mangiano tutto, mangiano attraverso la bocca, mangiano tutto quello che trovano, muoiono prima, hanno la pancia, respirano dal naso, hanno il cuore, hanno la testa, hanno la milza, hanno il busto orizzontale, respirano l’ossigeno per le piante: stanno ferme, hanno le foglie che sono come i polmoni, non hanno gli occhi, respirano l’anidride carbonica, trasformano ossigeno sporco in ossigeno pulito, producono ossigeno per farci vivere Alcune indicazioni di percorso Dalle risposte emerge la percezione forte dell’animale come qualche cosa che si muove, che mangia, che è addirittura vorace, che assomma reazioni che denotano vivacità. E di qui si può agevolmente partire. Trascriviamo per esteso una delle risposte, emblematica: "Quando un cane si rompe un braccio si mette a cainare e gli esce il sangue, ma l’albero quando si spacca un braccio non gli esce il sangue" (maschio, IV elementare) L’animale è un "divoratore" : il suo nutrirsi di sostanze organiche già costruite da altri (piante e altri organismi autotrofi) ne determina la struttura. Così come la struttura delle piante è legata al loro modo di alimentarsi, costruendo cibo con l’acqua e il biossido di carbonio. Nei viventi forma e funzione si corrispondono in maniera mirabile e spesso evidente. L’animale deve muoversi per cercare il cibo. Che cosa è "la faccia" , se non un qualche cosa legato al concentrarsi, nella zona anteriore del corpo, degli organi di senso, il che facilita il movimento in una specifica direzione? Eppure…tutti gli animali hanno "la faccia"? Com’è questa storia della respirazione? A che serve respirare? E se respirare serve a rendere disponibile energia, è possibile che piante e animali respirino le une al contrario degli altri? Quanto tenacemente è radicata l’idea che la fotosintesi sia un modo di respirare! Bisognerà lavorarci sopra, e non poco. Troppo spesso questa informazione scorretta nasce proprio da un’istruzione scolastica poco attenta. A che cosa serve emettere suoni (abbaiare, miagolare, cainare…)? Occupiamoci un po’ di etologia.. E il sangue? Perché qualcuno pensa che le piante non si riproducano? Forse confonde il termine "riprodursi" con il termine "accoppiarsi"? La piante si accoppiano?… Sarà bene concludere.. …altrimenti si rischia di farla troppo lunga: gli esempi sono tanti, vien voglia di tirarli fuori tutti come dal cappello del prestigiatore. Vorrei concludere ribadendo che è importante costruire storie con i ragazzi. Le condizioni perché ciò avvenga sono sostanzialmente di due ordini: è necessario conoscere e legittimare il loro pensiero, anche se è "sbagliato", per riconoscere i motivi dell’errore, per costruire insieme sapere. le strategie utilizzate dagli insegnanti dovranno essere varie e finalizzate a far esprimere, rivelare. Strategie semplici, praticabili anche nelle scuole meno ricche di attrezzature: tabelloni per brain storming, foglietti colorati con frasi da commentare o domande, da pescare a caso; post-it con cui costruire grandi mappe sempre modificabili… E’ come se ogni volta l’insegnante predisponesse un cesto in cui ciascuno può buttare il suo pezzo di sapere. Un sapere innanzitutto da accogliere e rispettare, poi da ritoccare, riformulare, correggere dove necessario e infine da riorganizzare e arricchire insieme continuamente, per farlo diventare sempre nuovo, con l’apporto delle diverse individualità. Così si costruisce. E per chiudere davvero, un pensiero di Blaise Pascal: "L’errore non è il contrario della verità, ma la dimenticanza della verità contraria" Ringrazio tutti i colleghi che hanno partecipato alle ricerche degli anni compresi tra il 1995 e il 2002, i proff.: Martino Bellani, Fulvia Ceccarelli, Marco de Giacinto, Giuliana Nesso, Marina Porta, Maria Vittoria Primavera, Marinella Torri, Giovanna Scaglione, Anna Zucca Bibliografia
Maria Vezzoli Pinetti mariavez@tin.itLaureata in Scienze Naturali, dopo un’esperienza redazionale ha insegnato per 28 anni nella Scuola Secondaria Superiore, rivestendo anche incarichi dirigenziali. Dagli anni ’80 si occupa di ricerca didattica e di formazione degli insegnanti per conto dell’OPPI. Ha svolto ricerche nel campo delle rappresentazioni mentali e delle strategie autobiografiche. Le tematiche di cui si occupa sono in particolare: la comunicazione nella relazione di insegnamento/apprendimento e nell’organizzazione scolastica; l’orientamento; la documentazione; la didattica modulare; la costruzione di percorsi didattici attraverso l’utilizzo di strategie autobiografiche e delle rappresentazioni mentali; epistemologia e didattica delle Scienze . Ha pubblicato articoli su riviste del settore didattico. Coordina il gruppo Scienze dell’OPPI. |
La pagina
- Educazione&Scuola©