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RICCARDO ORIOLES a cura di Nadia Scardeoni "Nei brevissimi momenti in cui abbiamo avuto una minima possibilita' d'azione "......... In questi giorni un po' grigi così come è grigio l'orizzonte di chi vede avanzare nubi plumbee e cirrose su teneri germogli ai quali guarda con trepidazione , mi sono detta più volte quanto io sia privilegiata a desiderare più cose per gli altri che non per me stessa. E' un vero privilegio potersi occupare degli "altri" ...più che di noi stessi ; infatti quanto più le ambizioni personali - più o meno soddisfatte - dotano di una energia fasulla , soggetta alle intemperie del caso, tanto più la tensione di essere utili ad altri dà un'energia costante , libera e forte. Avevo visto nascere un piccolo germoglio.. - in una terra bellissima e sciatta - un piccolo ma intenso rigurgito di "democrazia di base"....... nel "Coordinamento Docenti" - https://www.edscuola.it/archivio/interlinea/interlinea12.html - che si apprestava a dire le sue opinioni così ...semplicemente senza dover ricorrere alle passerelle politiche. Orrore! è successo di tutto. Fastidi classici: un pò .......come dire....."trasversali". Non abbondiamo nei particolari sono miserie dell'animo umano. Mi è sembrato giusto cercare di capire . Ho scritto a Riccardo Orioles stupefatta della velocità con la quale sia stato rimosso il comportamento quantomeno stravagante del Prof Centorrino che un giorno si lava le mani di una tesi "che scotta" e domani parte per la crociata sulle " questioni di etica pubblica e per i temi della legalità"............... Gli ho chiesto un commento. Eccolo: " Cara Nadia, sotto il profilo politico, la risposta purtroppo e' semplice: la societa' siciliana si e' ormai tanto provincializzata che e' pronta a prender per buono qualsiasi bidone, lasciandosi condurre nel suo solito pendolo fra apatie vigliacche e momentanei entusiasmi. Unica eccezione, negli ultimi vent'anni, il movimento antimafia e la Rete (quella dei primi mesi): l'uno e l'altra penalizzati dall'inadeguatezza (o, in alcuni casi,dal vero e proprio tradimento) del gruppo dirigente. Questo per la "politica"; che pero', come sai, e' solo l'aspetto piu' immediatamente evidente di condizioni umane piu' profonde. Da questo punto di vista, il fatto che io debba scrivere di un Centorrino e' un momento esemplare. Di due intellettuali di sinistra siciliani uno - Centorrino - ha fatto il gattopardo, l'altro - io - ha fatto il garibaldino. Il primo ha accumulato un potere baronale, e l'ha difeso insieme a tutti gli altri baroni. Il secondo e' dovuto emigrare. Il primo, benvisto sui giornali collusi come La Sicilia e dunque letto da migliaia di lettori; il secondo, disoccupato e in lista nera, costretto a inventarsi strumenti sempre diversi per esercitare il suo mestiere di giornalista (gratis, naturalmente, e facendo la fame). Il primo, applaudito dalla sinistra ufficiale; il secondo, appoggiato dai ragazzi senzapotere, ma per il resto solo). Ecco. Per anni, la sinistra siciliana - senza eccezioni: compresi, tanto per capirci, anche i "rinnovatori" - ha messo la propia firma su questa situazione. Ala fine, quando questa situazione (il caso mio e' solo uno fra moltissimi altri: lo do' come caso esemplare) ha portato alla catastrofe, s'e' messa a gridare: "Accidenti! E' tutta colpa di Orioles! Dovevamo sostenere ancora di piu' Centorrino!". Ecco. Tutto cio' ha a che vedere con la divisione delle societa' in classi sociali, divisione che in Sicilia e' ancora ottocentesca e caricaturale. Liberali e borbonici, di sinistra e di destra -- ma, prima di tutti, o galantuomini o viddani. Io mi sono schierato coi "viddani", e dunque - quando i galantuomini si "rinnovano" - non ho diritto di parola. Vedremo cosa saranno capaci di fare, sbolliti i primi entusiasmi, lor signori.Io penso che continueranno a collezionare sconfitte. Saremo noi garibaldini e "viddani", alla fine - se riusciremo a restar vitali fino allora - a salvare la sinistra e a riportarla vincente, come siamo riusciti a fare ogni volta nei brevissimi momenti in cui abbiamo avuto una minima possibilita' d'azione. RICCARDO ORIOLES in rete "A che serve vivere, se non c'è il coraggio di lottare?" (Giuseppe Fava) Prefazione di Carlo Gubitosa Meglio un giorno da Orioles che cento da Vespa ... prima di tutto, un messaggio ai giornalisti inglesi di sinistra e agli intellettuali in genere: ricordate che disonestà e viltà si pagano sempre. Non pensate di potervi comportare per anni da propagandisti leccapiedi del regime sovietico, o di qualsiasi altro regime, e di ritornare improvvisamente alla dignità intellettuale. Chi si prostituisce una volta, si prostituisce per sempre. George Orwell - 1o settembre 1944 Il mio primo e unico incontro personale con Riccardo Orioles risale ad un'estate romana del 1996, durante una breve e fortuita visita alla redazione romana di "Avvenimenti". Ancora prima di sentirlo parlare, il suo aspetto aveva suscitato in me curiosità e rispetto al tempo stesso. Minuto, serio, sempre concentrato, con una folta barba in cui affondare la pipa, Riccardo mi ha colpito per il suo aspetto austero, per la grande dignità del suo modo di vestire e per la capacità di indossare una giacca con disinvoltura senza nasconderne le maniche logorate dal lungo utilizzo. La nostra breve conversazione è diventata "a senso unico" nel giroi di pochi secondi: quasi come se in lui si fosse improvvisamente acceso un misterioso interruttore, Riccardo è uscito dalla sua riservatezza iniziale per travolgerci con un fiume di parole, descrivendoci con grande passione e con un "fuoco interiore" quasi tangibile i suoi progetti per il futuro e la sua analisi della situazione politica di allora. "Ecco, ho incontrato un vero giornalista", è stato il mio pensiero in quella circostanza, e dopo di allora non ho ancora pensato la stessa cosa di nessun'altra persona. A quell'epoca conoscevo "telematicamente" Riccardo già da diversi mesi, grazie all'attività di controinformazione elettronica che lui e la redazione della rivista "I Siciliani" avevano realizzato in collaborazione con quella che allora non era ancora un'associazione, ma semplicemente la "Rete telematica PeaceLink", una rete di persone e di idee costruita con vecchi computer e nuove speranze, un manipolo di utopisti e sognatori, con la passione per la libertà dell'informazione, che ogni notte mettevano in rete i loro computer per i pochi minuti necessari a distribuire in tutta italia i preziosi messaggi antimafia de "I Siciliani". Una rete fatta di sogni, utopie, idee e passioni che abbiamo condiviso con Riccardo e con la sua redazione di "giornalisti ragazzini", che già nel 1993, raccogliendo l'eredità morale di Giuseppe Fava, cominciavano a scardinare i vecchi e arrugginiti meccanismi dell'informazione a colpi di computer e modem, quando in tempi non sospetti la telematica non era ancora diventata il nuovo giocattolo dei mercati finanziari, ma era al contrario uno dei pochi canali a disposizione per la diffusione di informazioni libere, non censurate e non soggette a logiche commerciali. Un'informazione popolare e nata dal basso, che riusciva a farsi strada con la forza delle idee anche al di fuori di interessi politici o corporativi, spesso in aperto contrasto con i "poteri forti" dei grandi gruppi editoriali e mediatici. La formica contro l'elefante, Lilliput contro Gulliver. E durante una lunga, bellissima stagione, l'elefante e Gulliver hanno davvero tremato. La telematica dei primi anni '90 aveva saputo unire lo spessore politico del volantino "ciclostilato in proprio" alla potenza tecnologica della posta elettronica, sviluppando delle nuove forme di comunicazione, delle nuove regole (la pubblicità era bandita), e una forma di gestione decentrata, partecipata e diffusa del potere dell'informazione. Pensavamo che questo fosse solo l'inizio, e che di lì a poco la società civile avrebbe sviluppato delle forme di gestione collettiva dei mezzi di informazione, la rilettura in chiave telematica dell'altra grande sfida del secolo: la gestione collettiva dei mezzi di produzione. In quella grande stagione di partecipazione politica e culturale, la "rivoluzione copernicana" rappresentata dal modem ha dato la possibilità a centinaia di persone di entrare "dietro le quinte" del mondo dell'informazione, diventando protagonisti e redattori dei loro bollettini telematici anziché semplici "navigatori" passivi. Tutto questo non più di sei anni fa. Oggi la potenza tecnologica aumenta sempre di più, ma forse abbiamo perso per strada i contenuti e la passione necessaria per dare all'informazione che circola sulle nostre reti telematiche la stessa forza e la stessa capacità di cambiamento che aveva quando la nostra "vita in rete" si svolgeva sulle "bacheche elettroniche" dei volontari dell'informazione anziché sull'internet, una rete tra tante ormai diventata "la" rete per antonomasia, talmente unica e unificante da aver perso l'articolo determinativo, riservato ad artefatti più primitivi ("il" fax, "il" telefono, "il" computer). Invece l'internet, "The internet" in inglese, in italia è ormai definitivamente diventata internet e basta, e anche scrivere il suo nome con la "i" minuscola incute ormai una certa soggezione. All'intensa stagione della partecipazione ha fatto seguito quella del disimpegno, e nella seconda metà del decennio la "rivoluzione telematica" ha conosciuto il suo riflusso. L'internet commerciale "regalata" dai grandi gruppi di telecomunicazioni si è fatta strada scaraventando in rete quasi a forza migliaia di utenti. La "cultura informatica" è uscita dal circolo ristretto degli addetti ai lavori per diventare una delle nuove parole d'ordine del pensiero unico globalizzato. Nel frattempo autorevoli esponenti del cosiddetto "underground digitale" e fondatori di collane editoriali "cyberpunk" a diffusione militante si sono riciclati come valletti Rai o come consulenti di prestigiose case editrici a livello nazionale, i volontari delle bacheche elettroniche hanno appeso al chiodo i modem, dopo l'ondata di sequestri che ha travolto nel 1994 le reti telematiche autogestite, e chi marciava in prima fila nei cortei pacifisti firmando gli appelli per la libertà di informazione ha raggiunto i luoghi del potere, mettendo l'eskimo in soffitta per passare al doppio petto grigio. I giornalisti de "I Siciliani", e con loro l'agenzia "Aspe" del Gruppo Abele, il "Sial" (Servizio Informazioni America Latina), le piccole case editrici, le riviste del volontariato e gli operatori dell'informazione sociale, oltre ad essere imbavagliati dalle leggi di mercato hanno dovuto fare i conti con una sinistra di apparato che ha considerato il loro lavoro poco più di una ragazzata, a cui sorridere con compiacimento senza mai mettere in discussione neanche una virgola della propria azione politica e delle proprie derive antidemocratiche. "Il vostro impegno è sicuramente lodevole, però adesso lasciateci lavorare ragazzi, la politica e l'informazione sono cose da grandi, ci pensiamo noi qui a Palazzo Chigi". Cosa ha fatto in questi anni Riccardo Orioles ? Dei suoi bellissimi articoli non rimane traccia neppure sulle pagine delle numerose riviste che ha contribuito a fondare. Chi lo ha cercato tra le "grandi firme" del giornalismo, nei luoghi di potere, tra i velinari di palazzo, nei "salotti buoni", nei congressi di partito o nelle redazioni dei "grandi" quotidani ha fatto davvero male i suoi conti. Dopo il nostro incontro a Roma, ho seguito le attività di Riccardo da lontano, con sprazzi di notizie fornite da amici comuni che mi raccontavano le sue esperienze sulla strada, le sue difficoltà a sbarcare il lunario, il suo impegno all'interno del carcere per la realizzazione di un giornale fatto da detenuti. In questi anni forse abbiamo tutti sottovalutato il suo bisogno di aiuto, o forse pensavamo di non essere abbastanza in confidenza con lui per sentire il bisogno di cercarlo o di chiederlgli semplicemente "come stai?". Forse abbiamo vissuto troppo in fretta per accorgerci che lui non seguiva più il ritmo frenetico della nostra posta elettronica. Quello che conta tuttavia è che lui sia finalmente e improvvisamente riapparso sugli schermi dei nostri computer per scuotere ancora una volta le nostre comode coscienze. Lo ha fatto con un bollettino telematico, che ha battezzato "Catena di San Libero", dal nome di uno dei "santi protettori" che negli ultimi mesi hanno "miracolato" gli italiani con il dono di un accesso all'internet, gratuito solo in apparenza. Ho letto avidamente le varie edizioni di questo bollettino, con il piacere di aver ritrovato un'oasi di giornalismo vero in un mare di spazzatura cellofanata, un giornalismo che non si limita alla superficie dei problemi, che sa dare ampio respiro ai fatti del giorno inquadrandoli nel contesto di tutta la storia del nostro tempo, che sa mischiare la profondità della cultura alla leggerezza dell'ironia, una sana boccata d'aria in un mondo fatto di informazione fredda e costruita a tavolino senza passione. Leggere la "catena di San Libero" mi ha ridato fiducia. Anche dopo la stagione del riflusso telematico e nonostante i tentativi di trasformare il web in una televendita planetaria, c'è ancora speranza di incontrare persone che in rete mantengono vivo l'utilizzo del pensiero critico, la controinformazione di base, la passione giornalistica e la libertà della parola scritta. Ho deciso di raccogliere gli articoli di Riccardo in una pubblicazione autoprodotta, perché sono convinto che le idee espresse in questi bollettini abbiano una forza propria per uscire dalla rete e diventare uno strumento fatto di carta per la lettura, il dibattito e la riflessione collettiva. In uno dei suoi messaggi, Riccardo ha scritto una frase che mi ha colpito molto: " ... non so su che mezzo stai leggendo, in questo momento, queste righe. Al momento in cui scrivo, non so se esse verranno pubblicate da un giornale, e da quale, o se le diffonderò tramite Internet, o se mi stai leggendo grazie a una stampante laser a 300 dpi - o su un volantino. Faccio il giornalista antimafia da vent'anni, e al ventunesimo anno non sono affatto sicuro di potermi far leggere da te con mezzi 'regolari'... ". Questo libro è, appunto, un "mezzo non regolare" di diffusione delle idee. Dietro la pubblicazione degli scritti di Riccardo non c'è nessun gruppo editoriale, nessuna campagna pubblicitaria, nessun interesse economico. Non abbiamo alle spalle una grossa catena di librerie o un distributore che faccia arrivare questi fogli anche nei supermercati e negli autogrill, ma dobbiamo affidarci unicamente alla buona volontà di chi scoprirà in rete questo lavoro e vorrà consigliarlo ad amici e conoscenti. La nostra catena di distribuzione sarà il passaparola, e il nostro "prezzo di copertina" sarà unicamente il libero contributo di chi vorrà coprire le spese necessarie per le fotocopie e i francobolli, anziché fare tutto a mano prelevando il testo dalla rete in formato elettronico. Se questo progetto vi piace, se vi piace la libertà dell'informazione e se vi piace l'idea di restituire all'editoria la sua dimensione sociale e popolare, aiutateci a diffondere questa pubblicazione e condividete con noi questa avventura. Costruite assieme a noi una rete fatta di uomini e di pensieri liberi per sostenere e promuovere questa ed altre iniziative di editoria a diffusione militante, basate sull'utilizzo della telematica come "vettore di idee" popolare e accessibile, orizzontale e partecipativo. Dopo aver coperto le spese di stampa e di spedizione, destineremo quello che avanza all'acquisto di un computer per Riccardo, in modo che continui ad avere la possibilità di esprimersi e di far sentire la sua voce in rete senza la necessità di chiedere permesso, come ha fatto finora, per ritagliarsi uno spazio nel computer di altre persone. Come premessa a questo libro trovate una "lettera ai DS" trovata per caso nelle pieghe del sito www.pds.it. E' una lettera su cui riflettere molto, per interrogarsi sul percorso della sinistra italiana e sul destino che Riccardo condivide con tutti i pezzi di società civile italiana che ormai sono orfani di qualunque rappresentanza politica. "Voi dareste cento Orioles per un Bruno Vespa, e sareste anche convinti di fare un affare...", sono le amare parole indirizzate da Riccardo ai Democratici di Sinistra. Se la misura del valore di un giornalista è una mera questione di audience, Riccardo è senza dubbio un perdente. Se il metro di paragone invece è la qualità della vita e lo spessore delle scelte, lui è una delle poche voci da salvare nel panorama italiano dei media. Adesso è ritornato in rete, e per il bene di tutti mi auguro che continui a rimanerci a lungo. Uno solo dei suoi messaggi di posta elettronica continua a valere molto di più di tutti gli effetti speciali e i lustrini multimediali con cui i colossi dell'informazione cercano di riproporre anche in rete gli stessi meccanismi di potere che danno a quattro grandi agenzie di stampa mondiali il monopolio delle notizie che circolano sul pianeta. Carlo Gubitosa c.gubitosa@peacelink.it ****** Riccardo Orioles Il "Commento" di Riccardo Orioles A me, come a tutti quanti, fa paura la parola guerra. In Inghilterra nel Trentotto, per esempio, anch'io avrei manifestato contro la guerra, come tutti i giovani migliori. Ma avrei sbagliato. Alcune guerre, per quanto raccapricci dirlo, sono da fare. Questa del terrorismo, secondo me, è una di quelle: perché il terrorismo è pericolosissimo (la prossima volta useranno testate nucleari) e perché è la punta di lancia di un sistema di potere che parallelamente si muove sul piano finanziario. Responsabilmente, e sapendo che prima o poi si dovrà intervenire, sarebbe stato meglio farlo tutti insieme, e farlo ora. Ma guerra è una parola seria, la più seria di tutte; non è propaganda per i sondaggi. Guerra significa risolvere il problema terrorismo radicalmente, non solo in televisione. Pagare i prezzi necessari per questo, che sono altissimi sul piano militare (forse quasi un Vietnam), su quello politico (alleanza coi russi, sostegno ai palestinesi, sostegno ai movimenti del Terzo Mondo) e su quello economico-sociale (togliere i denti alle multinazionali, cancellare ogni potere che non sia democratico e statale). Questo non può farlo nessuno stato da solo, nemmeno il più potente; non può farlo la Nato, non può farlo l'occidente. Non possono farlo intanto per una questione pratica - in realtà non ne hanno le risorse militari - e poi per una questione storica, profonda: l'assetto dopo il secolo dei massacri, il destino del pianeta per i prossimi anni, si decide qui. Nessuno può deciderlo da solo. Non può esserci un impero americano (o occidentale) come c'è stato quello britannico o quello romano, perché gli imperi possono esistere in un mondo di alcune centinaia di abitanti, non in un pianeta di dieci miliardi. Questa decisione - di far da sé, di immaginarsi come impero - è quella che Bush sta prendendo in questi giorni, e costerà carissima al suo Paese e a tutti noi. Ma in realtà era stata già presa dieci anni fa da suo padre, quando si trattò di decidere rapidamente che cosa fare dell'Urss: sostenere Gorbaciov e darle il tempo di sopravvivere - e avere un interlocutore nel pianeta - o accelerare la sua scomparsa e rinunciare a dividere qualsiasi cosa con chiunque. E là è cominciato il diluvio: la lunga serie di guerre locali, libere finalmente da qualunque controllo bipolare, il sistematico smantellamento dell'Onu, le "operazioni di polizia" sempre più unilaterali e sanguinose e destinate a suscitare sempre peggiori reazioni. Non so cosa gli americani faranno adesso (dubito che lo sappia Bush) in Afganistan e altrove. La guerra no: della guerra, serviva solo la parola, ad uso del fronte interno. Ma le loro "operazioni di polizia" mi fanno molto più paura delle loro guerre. Queste ultime prevedono alleanze, strategie, calcolo di equilibri. Le "operazioni di polizia" non prevedono niente, e procedono giorno per giorno. Questa delle Due Torri sarà dunque un'altra "operazione di polizia", non una guerra; da sola, l'America non può fare di più, e ha scelto di essere sola. Non sposterà minimamente la situazione del terrorismo, che continuerà ad essere finanziato; sarà sempre più frequente il caso della multinazionale che si trasforma in yakuza, ed esercita poteri statali (prima di quella di Laden, io ricordo la United Fruit in America Centrale). Ci saranno altri attentati, più gravi di questi, e altre reazioni egualmente cieche. Non ci sarà - a meno di un diretto intervento degli dei, e dovranno essere dei molto benevoli - alcuna alleanza planetaria contro il terrorismo o per qualunque altra cosa, non ci sarà alcuna istituzione mondiale come l'Onu con l'autorità di mediare nei momenti di orrore. Quando risorgerà la Russia (un sesto del pianeta) dovremo inventarci da zero un qualsiasi rapporto con lei, e non è detto che vada bene. Se qualche paese del Terzo Mondo riuscirà a venir fuori dal sottosviluppo (l'India ha già oggi la quarta comunità mondiale di programmatori elettronici: ce la stiamo vendendo in cambio del sostegno dei generali pakistani) lo farà senza di noi, e spesso contro di noi. ***** http://www.temporis.org/notizie_casini_orioles.htm Notizie Casini non bastava, e ora Berlusconi vuole proprio i casini "Ripulire le strade", "basta con questo sconcio", "riaprire le case chiuse" di Riccardo Orioles Lo sconcio, di per sé, sarebbe facilmente eliminabile applicando le leggi: poiché in Italia la violenza carnale e la tratta di minorenni sono ancora reato, basterebbe acchiappare i clienti che, nell'esercizio dei loro diritti patriarcali, concorrono nel reato di violenza carnale contro le persone, spesso minorenni, che vengono condotte a prostituirsi in condizioni di sostanziale non-libertà. "Ma io non lo sapevo", "Ma io ho pagato": benissimo, può ripeterlo al processo; intanto ci segua al commissariato. Ma né a Berlusconi né agli altri in realtà interessa minimamente la vita delle persone prostituite. La loro unica preoccupazione, profondamente ipocrita e profondamente italiana, è quella dello "sconcio" e del "che dirà la gente". "Fatelo, ma non vi fate vedere". Così, casini di Stato. Avevamo già il governo operaio, il governo imprenditore, il governo avvocato; adesso avremo anche il governo magnaccia. Io trovo molto più "sconcio" (anche, tecnicamente, in termini di legge Merlin) il fatto che uno, andandosene per i fatti propri per la via, possa improvvisamente imbattersi in un Vespa o un Sgarbi, addirittura (e se ci sono bambini?) a viso nudo. Questo paese è un casino, signori miei. Riccardo Orioles 7 gennaio 2002 *** Magistrati siciliani di Riccardo Orioles Nessun popolo d'Europa ha avuto magistrati devoti quanto il popolo siciliano. Quando i siciliani - una parte dei siciliani - hanno deciso che era il momento di farla finita con la mafia, i magistrati siciliani non si sono tirati indietro. Hanno fatto quel che dovevano fare, magari con la strizza dentro per la paura, ma l'hanno fatto. Io non so se sono stato il primo a intervistare Falcone, vent'anni fa, ma so che quando sono andato a intervistarlo ho suonato alla porta e ha aperto un magistrato. C'erano due carabinieri, se ricordo bene, di guardia fuori, per tutto il palazzo di Giustizia. Lo stesso a Trento, con Carlo Palermo, nel'84: un vecchio finanziere, seduto fuori, era tutta la scorta. Il giudice Costa - il primo che ammazzarono, nell'estate dell'80, per la strada - non aveva neanche quella. Bene, i giudici siciliani (ci metto anche Carlo Palermo, perché quando uno lascia il sangue in Sicilia è siciliano) hanno servito fedelmente, come meglio non si poteva. Ne ammazzavano uno, e subito l'altro veniva avanti a prendere il posto del primo. (Ci fanno vedere i rambi e i folgorini, alla televisione, i top-gun che non rischiano un cazzo e poi vogliono essere chiamati eroi. Ma io ho conosciuto gli uomini della scorta di Falcone). Basta, tutto questo per dire che mi vergogno profondamente del fatto che in Sicilia non ci sia stato uno sciopero, una manifestazione, una sommossa per difendere i magistrati che ora vengono - non c'è altra parola - perseguitati. Quando noi abbiamo avuto bisogno di loro, loro c'erano. Adesso, sono loro ad aver bisogno di noi. Nessuno, né il mondo dei politici né Ciampi, li difende più. E noi siciliani che facciamo? Facciamo finta di niente pure noi? Non c'entra la politica, in tutto questo. È solo una faccenda di dignità. **** TANTO PER ABBAIARE di Riccardo Orioles n° 32 (06 agosto 2001) Genova. La cosa più preoccupante è l'atteggiamento della base. La base della polizia, intendo. Sono molto incazzati coi giornali e gli ispettori, si sentono - in buona fede - vittime di chi ce l'ha con loro, non percepiscono assolutamente il fatto che è successo qualcosa di non normale. Questo, non a livello di vertice (il vertice è più marpione) ma proprio di agenti semplici e di sindacato di polizia. E' un fatto preoccupantissimo. Una delle cose importanti che erano successe in Italia in questi vent'anni era la civilizzazione della polizia. La polizia, in Italia, ha sparato moltissimo nelle piazze, più che nel resto d'Europa. Ancora ai miei tempi, nel '68 ad Avola, un blocco stradale di braccianti era stato preso a fucilate (l'Italia aveva un fondo molto spagnolo, da questo punto di vista, molto franchista e molto non-europeo). Poi, tutti siamo cresciuti. Noi compagni abbiamo imparato che quelli che lavorano per lo Stato (carabinieri, magistrati...) non sono necessariamente degli sbirri stronzi, ed anzi sempre più spesso ce li siamo trovati accanto contro i mafiosi. Borsellino, Falcone, il capitano Ultimo, sono eroi nostri come Pertini o Che Guevara. I poliziotti, dall'altro lato, sempre più spesso si sono sentiti soldati al servizio delle persone, non più (Coi Baffi, Senza Baffi: li ricordate) sorveglianti pagati per fare stare tutti zitti e buoni. Questa evoluzione, da una parte e dall'altra, si è verificato in modo maturo e completo fra i magistrati (una volta il magistrato modello era Vitalone; ora è Gherardo Colombo); in modo abbastanza consistente (anche se poco leggibile all'esterno) fra gli ufficiali dei carabinieri e della finanza; e in maniera diffusa (di più fra i professionisti, di meno fra i complementi) nella polizia. Di quest'ultima, personalmente, ho un ricordo molto particolare. Ero a Palermo, e conoscevo un sacco di gente alla squadra Mobile, quando i poliziotti palermitani, contemporaneamente, lottavano contro la mafia e per i loro diritti sindacali; diversi volantini del Siulp, a quei tempi, li ho scritti anch'io. Ora, che c'è un governo di destra che massacra i ragazzi e poi vuole detto anche bravo, niente di strano; passerà anche questo. La novità, invece, quella che mi fa paura, è che la base della polizia s'imbarbarisce; almeno a giudicare da Genova. Stavolta non è la barbarie pasoliniana delle uniformi di panno, dei figli dei contadini; è la barbarie tutta moderna e "dal basso" di chi, esercitando una funzione, ritiene in assoluta buona fede che questa non abbia limiti, e che chiunque parli di limiti remi contro. E' una barbarie, e credo di avere il dovere di dirlo in nome di quei volantini del Siulp e di quegli amici poliiziotti. Non ammetto che quello che ha preso a calci in testa un ragazzino per terra debba essere chiamato carabiniere o poliziotto come il capitano Ultimo o Carmine Mancuso. Non ammetto neanche che le stronzate di ora ci facciano dimenticare - a noi compagni, intendo - che carabiniere e poliziotto, a partire da Palermo, sono parole nostre come studente o ferroviere. *** Giornalisti/3. Antonello Mangano, che adesso dovrebbe avere più o meno una trentina d'anni, quattro anni fa denunciò documentatamente, dopo uno studio durato oltre un anno, le collusioni fra organizzazioni criminali, strutture massoniche e parte del baronato universitario a Messina. E' stata forse la più grande inchiesta mai realizzata in quella città (il cui quotidiano locale, del tutto vergine di simili argomenti, appartiene anch'esso a Mario Ciancio); ha provocato diversi mesi di attenzione della stampa nazionale sul "caso Messina", nonché diversi e fruttuosi interventi della magistratura; l'abbozzo dell'inchiesta, mi pare di ricordare, prese forma sul tavolo di cucina di Fabio a Catania, poiché anche Antonello apparteneva più o meno all'area dei "Siciliani". Non essendo mai riuscito a diventare giornalista professionista, Antonello oggi non è nemmeno formalmente disoccupato e vive, a quanto mi dicono, riparando occasionalmente computer. La sua inchiesta, originariamente, era nata come tesi di laurea; il relatore tuttavia, professor Mario Centorrino, alle prime avvisaglie di "scandalo" si rifiutò di dare ulteriormente copertura al ragazzo e ritirò senz'altro la firma da una tesi così extravagante. Il professor Centorrino ha appena finito di partecipare a un pensoso convegno su come risolvere i mali della Sicilia, regolamentarmente indetto dalla sinistra isolana. Riccardo Orioles http://www.clarence.com/contents/societa/tantoperabbaiare/000724.html Antonello Mangano è nato a Messina ed attualmente vive tra la sua città natale e Catania. Ha militato nel movimento antimafia ed antirazzista, ha scritto svariati articoli, inchieste e saggi su temi quali immigrazione, impatto delle multinazionali nelle società del sud, rapporti tra criminalità organizzata, economia e politica. http://www.sosed.it/Cdsole/LugAgo98/e9-798.htm UNIVERSITA' DI MESSINA: *** |
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