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Egregio Direttore Giornale L'Arena All'articolo allegato : "Ragazza si spara e finge un agguato "mancano notizie ritenute irrilevanti o.... che non illuminano sufficientemente la verità dei fatti: Un ragazzo ( minorenne )è stato fermato alle ore 8- 8,10 circa, nei pressi del fortino di S.Giorgio e "accompagnato in questura" per accertamenti perchè corrispondeva esattamente ai connotati forniti dalla ragazza ai soccorritori: " mi ha sparato un extracomunitario , alto 1,80, con pizzetto e giacca nera"Il ragazzo si trovava per caso nel punto dove è stato avvistato dalla polizia, per un appuntamento con una compagna di scuola: dovevano prendersi un caffè , nell'ora buca. Per questo ragazzo, minorenne, non si è ritenuto di fare avvertire i genitori o chi per essi.....Avvertiti dalla compagna di scuola i "genitori italiani" ( così come sono denominati dai responsabili dell'associazione culturale che lo ha sotto tutela ) e la compagna , si sono recati in questura ma nessuno ha voluto sentire la loro testimonianza che comprovava orari di uscita, tragitto e appuntamento. Nelle prime due ore è stato tenuto all'oscuro del motivo per cui era stato fermato. Per due ore gli sono state protette le mani per poter procedere alla prova della polvere da sparo. E fino alle ore 13 circa si è insistito per sottoporlo alla prova.....quando dall'articolo si evince che già a metà mattinata si era identificata l'arma... Domande : sono state ottemperate le giuste norme di tutela di un minore? Nelle stesse ore era convocata una conferenza stampa.... Domanda : Da chi e per quali sviluppi???? grazie nadia scardeoni interlinea https://www.edscuola.it/interlinea.html &&& allegato: da l'arena
Ragazza si spara e finge un agguato Gesto disperato di una diciottenne, salva per miracolo. Ha usato la pistola del padre di Roberto Vacchini «Mi sono sparata da sola. Perdonatemi». Sono da poco passate le 16 e si conclude a lieto fine una vicenda che per tutto il giorno aveva tenuto in allarme le forze dell’ordine e fatto piombare mezza città nel terrore. Silvia Zenari, 18 anni, di Moruri, studentessa di quinta liceo ha appena confessato ai poliziotti di aver fatto fuoco non per uccidersi, ma per una sorta di punizione. Non c’è nessun maniaco in circolazione, non ci sono rapinatori dal grilletto facile ma soltanto una giovane in lotta con i problemi tipici dell’età, ingigantiti da una sofferenza interiore ancora tutta da capire. Dopo otto ore il giallo di piazza Isolo è risolto. Sono le 7.40 quando al centralino della questura arriva una telefonata che fa innalzare pericolosamente il già elevato livello di tensione degli operatori del 113, abituati ogni giorno a ricevere telefonate di ogni tipo. «Mi hanno sparato, aiutatemi», dice una voce di donna. Neppure il tempo di riattaccare che già una volante si dirige a sirene spiegate verso il parcheggio, mentre contemporaneamente viene allertata Verona Emergenza. I due agenti che per primi scendono dall’auto si trovano di fronte una ragazzina, poco più che adolescente, non molto alta, rotondetta, piegata in due davanti a uno degli ingressi che portano ai piani inferiori, proprio accanto alla filiale dell’Unicredito, in via Seghe San Tomaso. Con una voce che diventa piano piano un sussurro racconta che stava andando a scuola, al vicino istituto Campostrini, dove frequenta la quinta liceo, quando è stata trascinata lungo le scale e rapinata dello zainetto da un tizio che poi le ha sparato alle spalle prima di fuggire. Il proiettile le è entrato in un fianco. Appena il tempo di finire il racconto e viene affidata alle cure dei sanitari, che la portano d’urgenza a Borgo Trento. Il racconto è verosimile. La ragazza è indubbiamente ferita, per i poliziotti delle volanti scatta la procedura d’emergenza. Arrivano altre auto, la zona viene transennata per tenere lontano i curiosi. Arrivano anche il dirigente delle volanti, Massimo Scannicchio, gli investigatori della squadra mobile con il dirigente Marco Odorisio, i tecnici della polizia scientifica. Tutti agenti con anni di esperienza alle spalle che in breve «fotografano» la scena di quello che fino a quel momento appare come un tentato omicidio. I poliziotti scoprono prima un buco nel muro, nel pianerottolo che divide il primo dal secondo piano interrato, con sotto un’ogiva e poco lontano il bossolo di una semiautomatica: il proiettile ha trapassato il fianco della ragazza e ha colpito il muro. Venti minuti dopo, si comincia a perlustrare palmo a palmo tutta l’area. E subito spunta la pistola: è una 7.65 semiautomatica e giace su un letto di rifiuti nel primo dei cinque cassonetti che fiancheggiano vicolo Seghe San Tomaso. L’arma viene recuperata con attenzione perché ha il proiettile ancora in canna: particolare non secondario, questo, perché vuol dire che l’aggressore l’ha gettata via subito, senza preoccuparsi di metterla in sicurezza; oppure che la stessa persona che ha fatto fuoco non aveva una gran dimestichezza con le armi. Con la pistola, nascono i primi dubbi. I poliziotti di vecchia scuola li fiutano subito. Perché tutta quella fretta nel disfarsi dell’arma? Perché nessuno ha visto il giovane fuggire? E soprattutto, perché tanta ferocia per uno zainetto? La prima buona notizia arriva quando gli agenti scoprono che la pistola ha la matricola ben leggibile. Il numero viene inviato all’archivio della polizia. Continuano le ricerche e un agente delle volanti fa la seconda, importante scoperta: nel quarto cassonetto c’è lo zainetto della studentessa, con tutti i libri a posto. Entrambi gli oggetti vengono sequestrati. I dubbi si fanno pesanti. Passi per la pistola, ma perché gettare i libri nel cassonetto? Domande. E intanto arrivano le prime risposte. I poliziotti trovano anche il cellulare: è per terra, al primo piano interrato. E scoprono perché la ragazza era nel parcheggio. Doveva incontrare un’amica, con la quale aveva avuto una discussione. L’amica viene rintracciata a scuola e accompagnata al parcheggio, nella speranza che possa far luce sull’accaduto. Intanto Silvia è in sala operatoria: è entrata poco prima delle 9, uscirà alle 11. Le ricerche si estendono a tutta la città. Sono ore di tensione: in giro per Verona potrebbe esserci un tizio che non esita a sparare alle ragazze. La prospettiva non può essere sottovalutata. Ma dove cercarlo? La prima svolta arriva a metà mattina. Il numero stampato sul calcio della pistola non corrisponde a quello di un’arma rubata. E il proprietario si chiama anche lui Zenari: è il papà di Silvia. Uno squarcio si apre sull’indagine, coordinata dal sostituto procuratore di turno Giovanni Benelli. E nuovi interrogativi si fanno strada tra gli investigatori. Risposte certe potranno arrivare solo dopo diverse ore, quando arriveranno i risultati dello stub, l’esame che accerta se sulle mani della ragazza vi sono tracce di polvere da sparo. Prima di portarla in sala operatoria, infatti, gli agenti hanno passato un apposito tampone sulla mani della studentessa e poi lo hanno inviato al laboratorio della polizia scientifica. Ma non si può aspettare così a lungo. L’intervento finisce. Il professor Claudio Cordiano, primario di chirurgia clinicizzata che ha operato personalmente la giovane, dice che ha avuto una bella fortuna. Il proiettile ha sfiorato aorta e rene e danneggiato un tratto di intestino, che viene tolto. Un mezzo miracolo: se fosse stata recisa l’aorta, Silvia avrebbe cessato di vivere in un paio di minuti. Dal parcheggio i poliziotti si spostano a scuola e a casa della ragazza. Sentono tutti: amici, parenti, genitori. Scoprono che la ragazza ha preso la pistola da una mensola in cui il padre, ex carabiniere, la teneva, regolarmente denunciata, con altre armi, tra cui dei fucili da caccia. Piano piano il giallo di prima mattina diventa sempre più sbiadito. Troppe cose non quadrano. In attesa dei riscontri tecnici, però, solo la giovane può fare piena luce sull’accaduto. Alle 16 gli investigatori vengono autorizzati a entrare nel reparto di terapia intensiva dove Silvia si sta riprendendo dagli effetti dell’anestesia. Non ci vuole molto per convincerla a parlare: un discorso a metà tra la ramanzina e un sostegno psicologico hanno l’effetto desiderato. «Sono stata io», dice Silvia. E ricostruisce tutti quei tragici momenti: l’uscita di casa con la pistola in tasca, il viaggio in pullman, poi in autobus e l’arrivo in piazza Isolo. Poi la decisione di spararsi. Racconta di aver imparato guardando la televisione: per far fuoco con una semiautomatica, infatti, occorre prima mettere il colpo in canna, tirando indietro il meccanismo. La tensione si stempera definitivamente. La confessione viene riportata al sostituto procuratore Benelli. Si decide di non procedere penalmente nei confronti di Silvia. Il caso è chiuso da -----Messaggio originale----- Da: nadia scardeoni Inviato: venerdì 7 marzo 2003 11.38 A: lettere@larena.it Cc: osservatorio giustizia Oggetto: al Direttore Priorità: Alta >>>> Il messaggio A: lettere@larena.it Cc: osservatorio giustizia Oggetto: al Direttore Inviato: 07/03/03 11.37 è stato letto 07/03/03 12.22. |
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