Il Bilancio Partecipativo nel mondo
La trasformazione politica sperimentata a Porto Alegre porta in sé
germi potenzialmente rivoluzionari
Giovanni Allegretti, Carta
Un acceso dibattito ha accompagnato la scelta della città che
ospiterà il secondo Forum sociale mondiale. Creare un luogo di
dibattito itinerante dove confrontare alternative credibili ai dogmi
neoliberisti è certo auspicabile, perché contribuisce al benefico
rinnovamento della discussione [a contatto con contesti locali
diversi] e porta vantaggi diretti e indiretti ai luoghi che tocca: sia
per le enormi masse che mobilita, sia perché - come osservavano i
militanti brasiliani mesi dopo il primo Forum - quando mai si era
vista prima un'estate sulle spiagge monopolizzata dagli strascichi dei
dibattiti sulla mondializzazione, invece che dal calciomercato?
Per altri versi, c'è ancora bisogno di consolidare e render visibile
questo progetto di dibattito democratico; e la temporanea riconferma
di un luogo simbolico come Porto Alegre può aiutare lo sforzo
costruttivo di movimenti e cittadini che sognano e lottano per
"un'altra globalizzazione". E mai momento fu più adatto per
una tale scelta, per tre ragioni:
1] Il consolidarsi dei benefici visibili prodotti sulla città e sugli
abitanti dai metodi di gestione democratica che l'amministrazione di
Porto Alegre ha scelto per rifondare la politica cittadina;
2] Il momento di revisione critica che da qualche mese la nuova giunta
porta coraggiosamente avanti, per migliorare il funzionamento
democratico e la rappresentatività di tali strumenti;
3] La crisi nazionale che da un mese attraversa il Partito dos
Trabalhadores [Pt= Partito dei lavoratori] che amministra Porto
Alegre e lo stato del Rio Grande do Sul di cui è capitale. Una crisi
di uomini, legata allo scandalo di presunti favoritismi nei confronti
di finanziatori proprietari di bische clandestine, che ha messo in
subbuglio l'intero Brasile, ma paradossalmente ha sottolineato come
esista una distanza fondamentale tra uomini, principi e progetti
politici. Ovvero che questi ultimi possono restar validi anche dove
fallisce la debolezza umana, continuando a stimolare autonomi percorsi
di sperimentazione.
Con il suo ormai notissimo 'Bilancio Partecipativo' [processo
di democrazia diretta attraverso cui i cittadini scelgono
autonomamente ogni anno come e dove investire le risorse del
municipio] Porto Alegre pare il luogo ideale per contrapporre un'idea
di politica prossima al cittadino a quella politica ormai asservita
alla "dittatura dei mercati".
Come ha scritto Bernard Cassen, di Attac Francia, mettere l'accento
solo sulla governabilità è ormai "assimilare l'azione politica
alla gestione di un'azienda il cui unico azionista è la
globalizzazione", e ridurre la partecipazione popolare sulle
scelte di trasformazione del territorio a mero strumento di
pacificazione sociale e di crescita dell'efficienza gestionale, è
farne strumento ideologico per una "politica dello stato
minimale". Il paradosso della "governance" è che,
mentre propone di allargare la democrazia decisionale alla società
civile, riduce gli individui da cittadini a meri vettori d'interessi
privati, compiendo un "colpo di stato a piccoli passi".
L'amministrazione che da tredici anni governa Porto Alegre non ha
messo in piedi un mero processo di controllo sociale, di governo delle
contraddizioni cittadine o di de-responsabilizzazione istituzionale
con contestuale costruzione di consenso, come si dedurrebbe dalle
critiche disinformate o malevole che, purtroppo, di recente non
mancano anche dentro componenti del movimento italiano.
Tutto il contrario. La trasformazione politica sperimentata a Porto
Alegre porta in sé germi potenzialmente rivoluzionari: la rinuncia
della classe politica a vaste fette dei privilegi insiti nel suo
potere decisionale, l'attenzione ai più deboli e alle minoranze
economiche/etniche/sessuali/culturali, lo stimolo a far sviluppare ai
cittadini una forte coscienza critica verso l'operato dei propri
eletti, l'aggravio contributivo ai più ricchi, la lotta alla
speculazione, parallela ad una valorizzazione in senso antropocentrico
dello spirito imprenditoriale, la costruzione della trasparenza
decisionale, la socializzazione di ogni occasione di guadagno offerta
ai privati [come l'apertura di centri commerciali], la
de-privatizzazione dei servizi pubblici, la costruzione della
sostenibilità ambientale come principio condiviso, lo sfruttamento
delle tensioni palesi e delle "energie da contraddizione"
per creare progetto.
Solo con il forte impegno su questi punti, la partecipazione dei
cittadini ai processi decisionali si è estesa orizzontalmente e
verticalmente nel tempo, cambiando aspetto a molte politiche di
settore del Comune e "contagiando" positivamente altri enti
pubblici. Il bilancio partecipativo ha cercato di costruire giustizia
distributiva e democraticità decisionale, e come effetti
collaterali ha raggiunto alti livelli di efficacia delle
trasformazioni ed elevata efficienza gestionale. Questo spiega perché
il sistema di governo portoalegrense sia ammirato e diffuso non solo
nei movimenti della società civile, ma anche da istituzioni
internazionali come l'Onu o la Banca mondiale. Lo scetticismo
istintivo che questi ultimi "ammiratori" potrebbero
suscitare va mitigato riflettendo sul percorso e sugli obiettivi -
quelli perseguiti e quelli più ampi conseguiti, talora quasi
spontaneamente - che hanno caratterizzato l'esperienza.
Elemento di attenta riflessione deve essere anche l'attenzione critica
tributata da Comune e cittadini alla loro "creatura portatrice
di democrazia" per far sì che nel tempo evolvesse
arricchendosi di significato, costituendosi come nodo in un processo
di riforma vasto e articolato, che parte dalla proposta audace di coinvolgere
i cittadini nelle scelte di natura economico-finanziaria che
riguardano il loro territorio non in virtù dell'essere elettori con
diritti formali, ma in forza della loro condizione di
"abitanti", che costruiscono e trasformano quotidianamente
senso, economia, cultura, vivibilità e convivialità del loro
quartiere, della loro città, del loro stato.
Così è accaduto. Il nuovo "patto sociale" tra istituzioni
locali e settori diversi della cittadinanza è cresciuto nel tempo,
grazie all'impegno del Comune a dar concretezza, visibilità e
risposte efficaci a proposte e indicazioni dei cittadini. Solo così,
dalla discussione di obiettivi localizzati nel tempo e nello spazio,
si è passati alla costruzione di scelte strategiche per il
territorio, fino alla redazione condivisa del Piano Regolatore
Ambientale e di quello di Sviluppo Economico, passando [come emerso
nel recente Forum mondiale dell'educazione, tenutosi in ottobre a
Porto Alegre] per l'affollata Costituente Scolastica, che ha
riorganizzato l'intero sistema educativo incentrandolo sul riscatto
del senso di cittadinanza e stabilendo direttrici pedagogiche di
non-esclusione, con lo scopo di rispettare i ritmi, i tempi e le
differenti esperienze di apprendimento degli alunni di ogni fascia
sociale, età e condizione culturale di partenza.
Lo scorso aprile è stata coraggiosamente creata una Commissione di
Autocritica, per studiare limiti e ostacoli al perfezionarsi dei
processi di apertura democratica delle istituzioni. Il risultato
concreto dell'auto-analisi [visibile dal marzo 2002] è una
riforma radicale dell'organizzazione dei processi di democrazia
diretta e un'apertura all'ascolto dei tanti studiosi e visitatori che
in questi anni sono venuti da ogni parte del mondo a esaminare
principi e conquiste del complesso sistema di partecipazione
popolare della città brasiliana, chiamati a muovere osservazioni
e critiche in un Convegno svoltosi nel maggio 2001.
Dall'autarchia all'ascolto. Così, dopo alcuni anni di chiusura
"autarchica" al mondo, Porto Alegre ha deciso che la sua
esperienza era abbastanza matura e rodata per aprirsi al di fuori, non
solo ad offrir soluzioni, ma ad accogliere risposte e insegnamenti
provenienti dalle pratiche iniziate in tutte le città interessate a
emulare e adattare ai loro territori le sperimentazioni democratiche
del Rio Grande do Sul. Le reti di città cooperanti e dialoganti,
di cui da anni Porto Alegre è anima attiva, testimoniano i risultati
che un simile processo di scambio a doppio senso può generare.
Da molti anni, infatti, Porto Alegre non è più sola nella
sperimentazione di avanzati processi di democratizzazione decisionale.
Oltre 140 città in Brasile [tra esse Recife, San Paolo, Belo
Horizonte e Belém] e altre in America Latina [Montevideo, Rosario,
Buenos Aires], da tempo hanno, infatti, iniziato a sperimentare
strumenti di partecipazione modellati sul Bilancio partecipativo,
adattandoli a territori, storie e culture differenti, con risultati
diversi e spesso interessanti. Ma non sono state le sole.
L'emulazione virtuosa di Porto Alegre è esplosa come una bomba
ad orologeria anche in occidente. Prima in Francia [Saint
Denis, Bobigny, Morsang sur Orge], poi in Inghilterra [Manchester] e
in Spagna [San Feliu de Llobregat, Rubi e alcune sperimentazioni alla
Diputació di Barcellona] vari comuni hanno intessuto rapporti diretti
con città brasiliane governate attraverso forme di partecipazione
allargata, sperimentando graduali riforme concrete sui propri
territori e in certi casi [come dal '98 nelle città tedesche di
Moenchweiler e Blumberg e in altre nel Land Nordreno-Westfalia]
mescolando i riferimenti brasiliani con quelli di autonome
sperimentazioni occidentali [come la neozelandese Christchurch o
alcune città Usa] molto centrate su obiettivi di efficienza
gestionale/finanziaria dei municipi, ma con il tempo mostratesi in
grado di attrarre anche un forte interesse sociale diretto alla
democratizzazione della gestione territoriale.
Ovviamente, le prime esperienze di emulazione europea hanno
evidenziato le difficoltà di trasporre conquiste e specifiche formule
organizzative in contesti tanto diversi, specie per la lunga
tradizione municipale, che ha generato nei cittadini salde abitudini
alla delega delle scelte.
Organizzazioni coinvolte in questi primi esperimenti europei, ma anche
ricercatori, professionisti e amministratori hanno trovato luoghi per
lo scambio di opinioni ed esperienze in forum di varia natura, come
quelli coordinati dalla Rete "Democratiser radicalement la
democratie", nata in Francia due anni or sono proprio per
esaminare e riproporre i principi-base dell'esperienza di Porto Alegre,
facendo pressioni sui governi locali, elaborando proposte, e
organizzando occasioni transnazionali di incontro che mettessero a
confronto esperienze nel nord del mondo come nel sud, dove vanno
emergendo pratiche interessanti e diversificate, come quelle
camerunesi o senegalesi [al centro di un numero speciale di marzo 2001
della rivista "Territoires", dell'Associazione nazionale dei
comuni francesi] o quelle di Petit Bourg a Guadalupa, di Poto Poto in
Congo o della regione indiana del Kerala, nata dalla costruzione della
People's Planning Campaign [interessante il libro "Kérala: la
force de l'ambition", Orcades, 2001].
E l'Italia? L'asse di apprendimento dal sud al nord del
pianeta, ha dato nell'ultimo anno una scossa anche al nostro paese,
assopito sulla crisi di legittimità della sua democrazia
rappresentativa. In Italia, la scoperta recente del Bilancio
Partecipativo è quasi rimbalzata dopo il Forum sociale mondiale
2001. Non è un caso che negli ultimi sei mesi si sia moltiplicata a
dismisura la presenza di rappresentanti di Porto Alegre in Italia, con
oltre 65 assemblee, corsi di formazione, convegni e lezioni
dedicate ai Bilanci partecipativi, organizzate da università,
amministrazioni locali e gruppi facenti capo ai Forum sociali.
Non stupisce così che ottanta sindaci del cremonese, stretti
attorno all'Associazione Cattaneo, o trenta amministratori
progressisti della provincia di Napoli si siano uniti per proporre un
dialogo approfondito al Comune di Porto Alegre o partecipare insieme
al prossimo Fsm; ed è comprensibile che Regione, Provincia e comune
di Trento sostengano le Ong Unimondo e Fondazione Fontana
nell'organizzazione di corsi di formazione per amministratori locali,
che nei prossimi mesi cercheranno di pensare al tema attuale del
Bilancio Partecipativo, nella prospettiva delle difficoltà e
opportunità che pongono i nostri contesti locali e la legislazione
italiana.
Sotto il profilo degli avvii di sperimentazione, in comuni
medio-grandi [Roma, Venezia o Napoli] la recente nomina di assessori o
delegati dei sindaci alla sperimentazione di processi-pilota di
Bilancio Partecipativo è frutto di una battaglia combattuta accanto
da movimenti urbani e partiti politici, primi tra tutti Rifondazione e
Verdi. I primi restano i soggetti-chiave del concretizzarsi delle
esperienze: i partiti [non sempre entusiasti né coesi] corrono
infatti il rischio che la troppa pubblicità fatta all'avvio di
ipotesi di Bilancio Partecipativo si ritorca contro di loro. Che,
cioè, i loro alleati possano metterli all'angolo qualora non siano in
grado di attivare rapidamente e con successo sperimentazioni
"concesse" loro in forma di fiducia a tempo.
Per loro natura, invece, i processi di partecipazione sono lenti e
richiedono costanza e pazienza, specie se si vuole trasformare
strumenti di gestione ordinaria e "razionalizzazione
scientifica" come i bilanci - ormai carichi di un
mistificatorio valore quasi politicamente neutro e puramente tecnico -
per recuperarne il visibile contenuto politico di luoghi in cui si
tratta di decidere dei fini del governo urbano, prima che
dell'ottimizzazione dei mezzi.
Un obiettivo concreto è superare la mitologia del modello-Porto
Alegre, per coglierne la filosofia di base da adattare ai
nostri "patrimoni locali", sostituendo alla pigra
imitazione l'emulazione creativa, e coscienti che non sarà la
scorciatoia delle consulenze di gran nome a portare ventate di
democratizzazione istituzionale, ma semmai la capacità di costruire
gruppi di lavoro di professionalità specifiche sorrette da una comune
volontà politica di rinnovamento e da un forte sostegno popolare.
Fondamentale sarà anche la capacità di radicamento locale dei nuovi
processi, che significa non solo recupero e valorizzazione di
esperienze di partecipazione già tentate in ambito nazionale [pochi
sanno che da otto anni a Grottammare, nelle Marche, esiste
un'esperienza non dissimile dal Bilancio Partecipativo] ma soprattutto
armonia con i diversi contesti socio-territoriali locali e i loro
"spazi di democratizzazione" più raggiungibili.
Così, se a Roma si lavora sul Bilancio Partecipativo in alcune
circoscrizioni [Municipi X e XI], a Napoli si pensa piuttosto a
settori tematici del Bilancio, come gli investimenti legati ai servizi
sociali, dove sono immaginabili risultati più rapidi e visibili utili
a stimolare interesse per il nascituro processo, a cui magari
affiancare esperienze di progettazione partecipata in singoli
quartieri, magari con Fondi Urban o per Contratti di Quartiere.
Basilare sarà procedere a riformare i tavoli di concertazione già
esistenti, perché essi non riflettano, ma semmai riequilibrino,
le disparità di potere decisionale già insite nella società di
mercato.
Ci si deve chiedere: perché associazioni di categoria e ordini
professionali, già detentori di reali poteri di indirizzo, devono
sedervi in numero maggiore dei rappresentanti del terzo settore? La
formula di rappresentanza di un terzo per tutti [istituzioni, poteri
economici, cittadinanza solidale] non dovrebbe essere imposta come
garanzia di equità delle scelte? E perché i rappresentanti della
società civile sono scelti dal mondo politico, e non indicati
direttamente dalla popolazione in forum cittadini autogestiti? Come a
Porto Alegre, una simile riforma agirebbe su consessi decisionali già
esistenti, riformandoli in senso democratico; tutt'al più dovrebbe
toglier loro il valore meramente consultivo, per attribuire alla
partecipazione un peso realmente decisionale. Spesso, piuttosto che
battere strade del tutto nuove di rottura con la tradizione, può
esser utile cercare di "riempire progressivamente" di senso
e contenuti democratici istituzioni partecipative di governo urbano e
controllo politico che formalmente già esistono ma sono rimaste
finora scatole vuote. |