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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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[Educazione&Scuola] R: INUTILI PROFEZIE ?



nadia**scardeoni
via*dei*mille**6/a
37126*****verona
n.alice@intesys.it


Carissimi vi allego un mio intevento di qualche tempo fa.
Mi farebbe piacere sentire cosa ne pensate
Ciao
Nadia

La creatività quale risorsa fondamentale nell'economia dell'esistenza.

E'bello incontrarci all'insegna della progettualità solidale intorno ad una
necessità fortemente condivisa: quella di ritrovare il senso, come é già
accaduto in queste ore, di un "circolo virtuoso", dentro l'economia
dell'esistenza perché, ci piace ribadirlo, l'elemento di costruzione
apparentemente meno citato e in realtà presente é l'uomo con le sue risorse
davanti al suo percorso esistenziale.
Allora nel vocabolario che andiamo pazientemente tessendo in questi giorni
io scelgo di fare alcune riflessioni sui fattori di degrado che mettono a
rischio una risorsa fondamentale dell'uomo: la creatività. E poiché una
scheda didattica impone un contributo che provenga dall'esperienza, il mio
pensiero va immediatamente, verso tutti quegli alunni che, nella pratica
quotidiana di una relazione pedagogica tesa all'ascolto delle loro
necessità esistenziali prima che specificatamente culturali, hanno
contribuito a rendere urgente ciò che mi sforzerò di dire.
Proprio vivendo con loro una lunga esperienza di ricerca e di promozione di
quella risorsa fondamentale per l'apprendimento che é il pensiero creativo,
ho incontrato puntualmente e in dimensioni sempre più estese un
disattivatore potente dell'integrità e dell'armonia della persona nella
violazione e disgregazione della relazione affettiva prodotta da un sistema
sociale che ha consentito che processi sempre più arroganti di
mercificazione di ogni tipo di bene trovassero alloggio dentro una
mistificante idea di progresso.
Il mondo della comunicazione interpersonale degli affetti, del pensiero,
delle emozioni porta i segni ormai indelebili della violenza relazionale e
comunicativa soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione di massa che
hanno costruito nelle forme più sottili e insidiose il condizionamento
mentale e nelle forme più perverse, la violazione e la profanazione dei
sentimenti e delle coscienze stesse.
Ed é se non altro singolare che la scuola, l'istituto formativo per
eccellenza, e tutta la comunità educativa, chiamate a promuovere processi
formativi, idonei a sollecitare la crescita e l'autonomia della persona,
siano state così a lungo insensibili verso "agenti diseducativi" così forti
e deprivanti.
Eppure già vent'anni fa, Carl Rogers snidava la cellula più viva e
palpitante dell'apprendimento creativo chiedendo soprattutto alla scuola di
rispondere, non solo con i contenuti, ma, prioritariamente con i metodi,
agli inquietanti interrogativi che si affacciavano sul panorama
dell'esistenza.
Interrogativi validi allora come ora e che qui riportiamo:
La scuola é in grado di preparare individui o gruppi a vivere in modo
caratterizzato da cambiamenti rapidissimi?
E' in grado di preparare a vivere in modo responsabile e socialmente
aperto, in un mondo di crescenti tensioni fra i popoli?
E' in grado di aggredire i problemi reali della vita contemporaneamente o
si limita a trasmettere una cultura immobile, asfittica, inoperante?
Karl Rogers tratteggiava il "vademecum" di un apprendimento, non solo dal
collo in su, che coinvolge solo la mente e trascura l'intera personalità
dell'alunno, ponendo fatti e situazioni così lontani dal suo mondo da
divenire insignificanti; bensì un apprendimento basato sull'esperienza,
capace di destare interessi vitali, attraverso la partecipazione globale
del soggetto, coinvolgendolo sul piano affettivo e atto a stimolare il
fascino della ricerca, della scoperta autonoma; il solo capace di una reale
e profonda incidenza nella modificazione del comportamento perché 
nutrimento idoneo alla crescita globale della personalità.
L'apprendimento creativo dunque, integrato all'esperienza e agli interessi
vitali reali, aperto ai valori di cui ciascuno é portatore.
Solo così si potenzia la sicurezza di sé, la volontà di scoprire sé stessi
e gli altri e di organizzarsi in forme nuove ed originali. 
Solo così si conoscono le proprie inclinazioni e potenzialità, si affinano
le capacità di costruire relazioni profonde, si coltiva la libertà di
espressione, ci si apre al gioco delle percezioni, di concetti, dei
significati.
E' questa la creatività.
Ora sappiamo quanto gli interrogativi posti allora fossero profetici e
indicatori di una progettualità pedagogica che doveva  identificare nella
prevenzione la sua strada maestra.
Oggi il quadro che si offre ai nostri occhi é esattamente quello temuto da
questo grande poeta e tecnico della relazione umana ed é così danneggiato
da richiedere tutte le nostre energie in analisi, diagnosi, terapie, che si
assumano la grave responsabilità di rimuovere tutti quei danni che le
statistiche e le tavole rotonde dichiarano in maniera "frammentaria" giunti
ormai alla soglia della irreversibilità. 
Allora bisogna innanzitutto ritornare al "vocabolo" della violenza
mercificatrice e se é vero che EDUCARE è sostanzialmente "ritirasi per far
crescere l'altro" quale peso ha la violenza comunicativa quando é
condizionamento del pensiero? Chi sono i cattivi maestri se non coloro che
esercitano la pregnanza di sé, della propria volontà, delle proprie idee
fino alla strumentalizzazione deliberata della libertà del pensiero altrui?
Quanti dibattiti sono stati attivati in questo ultimo decennio
sull'influenza dei mass-media, dalla televisione alla pornografia, alla
pubblicità, senza che la coscienza collettiva avvertisse il pericolo
allarmante che era nell'aria?
Il filosofo Karl Popper, poco prima di morire ha lanciato un appello
accorato nel suo saggio "televisione cattiva maestra". Popper imputa alla
televisione di essere il principale veicolo di violenza nella società
paragonandola alla guerra per i suoi effetti devastanti.
La chiama fattore di perdita dei sentimenti normali del vivere. 
Ma il suo guasto più grave é di essere diventata, per incuria e insipienza
politica, un potere incontrollato e quindi un potenziale distruttore dei
principi della democrazia poiché il principio democratico, per il quale si
tende ad elevare il livello di partecipazione consapevole, é offeso nella
sua sostanza quando "violenza, sensazionalismo, divismi diventano le spezie
quotidiane per pasti sempre più mediocri che, abbassando la soglia del
gusto, abbassano la tutela di sé".
Quanti e quali i danni sociali, dentro l'economia delle risorse umane, in
termini di passività, di competizione comunicativa con la famiglia, di
distorsione della discussione pubblica, di crescita abnorme di miti in un
quadro sociale già di per sé degradato e deprivato di riferimenti valoriali
forti?
Nelle fasce di età più deboli e quindi più esposte, la "cattiva maestra" si
sostituisce alla "cura materna", all'interrelazione, al dialogo, sottraendo
all'infanzia i tempi preziosi del gioco.
E' un allarme troppo enfatizzato?
Vogliamo provare a mettere insieme i dati, le cifre dell'emarginazione
giovanile, delle tossicodipendenze, della microcriminalità, dell'evasione
scolastica, del disagio scolastico diffuso, delle fughe, delle violenze
fisiche, sessuali, dei suicidi, affinché questi fattori di strapotente
negatività ci interpellino con più urgenza?
E quanto ritardo in una scuola sempre più inadeguata a dare risposte
significative e soluzione alle difficoltà che la classe degli utenti
incontra nel costituirsi come soggetti pensanti, autonomi, creativi, capaci
di liberare le proprie risorse affinché il già difficile inserimento nel
mondo del lavoro non sia l'ultima tappa dell'alienazione di sé, ma luogo
dell'autorealizzazione, dell'esercizio dell'intelligenza e della volontà di
cooperazione, luogo dell'uomo totale e non dell'uomo decapitato e reso
"funzione" dentro la disarticolazione della frammentazione esistenziale?
Allora io voglio fare un sogno per chi oggi ha meno titoli per sognare e
per guardare al futuro. Per i giovani. Per questi "giovani" osservati nelle
tavole rotonde solo quando il loro disagio é così grande da bucare la
cronaca, io sogno oltre che una scuola diversa, una cittadinanza diversa
che si estenda oltre i margini del possesso e dell'utilità dove, come
l'arte ci insegna, la relazione si faccia comunicazione e la fruizione dei
beni sia più seduttiva del possesso.
Dove gli spazi abitativi possano assumere quella straordinaria proprietà di
essere, oltre che il luogo funzionale alla vita quotidiana, struttura
esistenziale; luoghi di crescita, di incontro, di relazione solidale
stretta intorno alla tutela di un patrimonio comune. Dove la casa,
rivendicando il diritto di ciascun uomo di nascere in una "dimora amica",
sia un luogo protetto, posto a tutela della relazione. 
La casa dell'abitare" dell'uomo, luogo di integrazione di pensieri,
memorie, sogni. L'angolo del mondo da cui si parte ma a cui si ritorna,
almeno nei desideri, per non essere "dispersi".
Ma, "il fondamento dell'avere" coniugato all'urgenza di provvedere agli
inurbamenti incontrollati, alla produzione, al consumo, ha creato un abisso
fra la città e la casa dell'uomo quando, invece, "il rapporto dell'abitare
e dell'edificare vincola in un unico destino la città sociale e la casa
familiare".
Per questi abitatori delle città morenti, sotto il carico di una
schizofrenica idea di progresso, sarà bene cercare "terapie" che consentano
di coniugare tecnica e valori, affinché lo spazio geometrico lasci il posto
allo spazio dell'uomo, affinché la città sia il luogo dove si rende
possibile l'esplicazione delle vocazioni più diverse, attraverso la
collaborazione e la comunicazione. "Un sistema di simboli affettivi
piuttosto che funzionali, estetici piuttosto che matematici, etici
piuttosto che solo tecnici."
Credo che disattenendo, come ancora accade, la soluzione di queste gravi
problematiche sociali sia oggi quantomeno teorico guardare alla formazione,
al lavoro, all'economia come a fattori di crescita, di progresso dell'uomo
se non si interrompe il circolo vizioso che sta stringendo in una stretta
mortale la maggiore risorsa umana: la libertà e la duttilità del pensiero.

Dice B.Pascal:
 "L'homme c'est un roseau pensant", l'uomo non é che un giunco, il più
debole della natura, ma é un giunco che pensa. Non é necessario che
l'universo intero si armi per distruggerlo, un vapore una goccia d'acqua
basta per ucciderlo. Ma anche quando l'universo lo distrugge egli é ancora
più nobile di chi lo uccide perché é consapevole di morire. L'universo non
sa niente".

Il nostro compito?: offrire intelligenza e servizio per creare strumenti e
percorsi che siano idonei a colmare di consapevolezza la fragilità
dell'uomo, per restituirgli la nobiltà di cui é capace.

Filaga, 30 agosto 1995    

QUESTA RELAZIONE E' STATA TENUTA DA :
NADIA SCARDEONI PALUMBO 
NELL'AGOSTO DEL 95  A FILAGA
NEL CORSO DEL SEMINARIO ESTIVO DELLA 
LIBERA UNIVERSITA' DELLA POLITICA


Carsissima/o
Gradirei avere un tuo commento relativo a questo mio "sofferto" intervento
che sto per pubblicare.
Grazie 
Nadia

"Nadia Scardeoni" <n.alice@intesys.it>




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