Referendum: Scheda Informativa
a cura di Nadia Scardeoni
http://www.peacelink.it/webgate/lavoro/msg00302.html
da repubblica di giovedì 27 gennaio 2000 (stralcio)
Il governo spenga la bomba referendum
di MASSIMO RIVA
COME dice Giorgio Fossa, che pure ha deciso di cavalcarli, quello dei
referendum è uno strumento "rozzo". E tanto più lo è quando la
domanda non pone all'elettore un dilemma chiaro (del tipo divorzio sì o
divorzio no), ma ritaglia un frammento normativo all'interno di una legislazione
ampia e complessa senza curarsi delle conseguenze sistemiche sull'ordinamento.
Il referendum, in tali casi, si rivela un intervento chirurgico eseguito con
l'accetta anziché con il bisturi e che per questo finisce per creare problemi
legislativi post-operatori spesso più complicati di quelli che vorrebbe
risolvere.
Nella vicenda specifica dei quesiti cosiddetti sociali questo limite appare
così evidente da essere segnalato perfino in un documento ufficiale della
Confindustria, nel quale si riconosce che per almeno quattro dei cinque nodi in
questione l'eventuale vittoria del sì abrogativo renderà indispensabile un
intervento, diciamo così, ricostruttivo del Parlamento sulla legislazione. (...)
REFERENDUM 2000
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http://www.repubblica.it/online/politica/refe/spiegazione/spiegazione.html
ROMA - Ecco una scheda sui quesiti degli otto referendum cosiddetti "sociali".
MONOPOLIO INAIL (numero 4): si vuole abolire l'obbligo di stipulare l'assicurazione contro gli infortuni con l’Inail, lasciando la possibilità di scegliere un'assicurazione privata.
COLLOCAMENTO (numero 7): vuole liberalizzare il collocamento privato, per facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Al momento è possibile la mediazione di privati nel mercato del lavoroma solo a titolo gratuito nei confronti dei lavoratori, e dietro n'autorizzazione del ministero del Lavoro.
TEMPO DETERMINATO (numero 9): si vogliono liberalizzare i contratti a termine, eliminando gli attuali vincoli (che riguardano la natura dell'attività, la sostituzione lavoratori assenti, l'esecuzione di un'opera definita, eccetera).
PATRONATI (numero 10): il quesito vuole abolire il finanziamento pubblico dei patronati.
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE (numero 11): vuole lasciare ai cittadini, fermo restando l'obbligo di assicurazione, libertà di scelta tra un'assicurazione privata e il servizio sanitario nazionale.
PART TIME (numero 13): vuole liberalizzare i contratti di lavoro a tempo parziale, abolendo gli ostacoli alla diffusione di questo tipo di rapporti di lavoro.
DISCIPLINA LICENZIAMENTI: prevede l'abrogazione della riassunzione obbligatoria nei licenziamenti individuali senza giusta causa. Con l'abrogazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si rende più semplice il licenziamento nelle imprese con più di 15 dipendenti (adesso il giudice può decidere la reintegrazione nel posto di lavoro).
LAVORO A DOMICILIO (numero 18): vuole liberalizzare i contratti di lavoro a domicilio. Secondo i Radicali infatti la legislazione vigente è superata rispetto ad un'organizzazione del lavoro più flessibile ed efficiente.
(12 gennaio 2000)
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http://www.admin.ch/ch/i/gg/ref_sus_index.html
Atti legislativi sottostanti al referendum
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http://www.malcolmx.it/riforme/referendum/
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http://www.centroservizi.it/cislpisa/referendum/disciplina_dei_licenziamenti_-_testo.htm
Il testo del quesito referendario sulla disciplina dei licenziamenti
"Volete voi che sia abrogata la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all'articolo 18 ?".
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nota bene:
Quesito referendario sulla disciplina dei licenziamenti - Approfondimento
1. Con la proposta referendaria n. 14, i radicali chiedono ai cittadini
italiani di abrogare "la legge 20 maggio 1970, n. 300 [….] e successive
modificazioni, limitatamente all’art. 18". Dietro questa domanda,
apparentemente semplice e, invece, assolutamente incomprensibile alla maggior
parte dei cittadini, si nasconde l’intento di abrogare il meccanismo della
"reintegrazione" nel posto di lavoro dei lavoratori ingiustamente
licenziati e, quindi, di eliminare dal nostro ordinamento giuridico il principio
della "stabilità reale" del rapporto di lavoro.
L'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (cioè la legge 300/1970) prevede,
infatti, in estrema sintesi, che un licenziamento ingiustificato non possa
risolvere il rapporto di lavoro e che, pertanto, il giudice che accerti l’illegittimità
del licenziamento stesso possa e debba ordinare al datore di lavoro di
reintegrare il lavoratore nel suo posto. Questo diritto alla reintegrazione nel
posto di lavoro, comunemente definito stabilità "reale", trova
applicazione nelle unità produttive con più di 15 dipendenti. Esso è
considerato un principio basilare nel sistema complessivo dei diritti di cui
sono titolari i lavoratori privati (e i dipendenti di enti pubblici), poiché ha
mutato radicalmente il rapporto di forza tra datore di lavoro e lavoratore. Il
quesito, inoltre, è formulato male dal punto di vista tecnico: un risultato
positivo del referendum renderebbe di difficile applicazione anche norme
connesse all’art. 18 dello Statuto, con effetti ulteriori rispetto a quelli
"annunciati".
2. Perché i radicali vogliono abrogare l’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori e le sue "successive modificazioni"? La spiegazione data
dai proponenti è che, eliminando il sistema detto della "stabilità
reale", i datori di lavoro (con più di quindici dipendenti) sarebbero più
disposti ad assumere nuovo personale perché non sarebbero costretti a
"tenersi" lavoratori non più graditi. Il che, detto "in soldoni",significa
che essi assumerebbero più volentieri se potessero tenere i dipendenti sotto la
costante minaccia di licenziare chi osasse far valere i suoi diritti.
Il messaggio, come si vede, è superficiale e privo di validi fondamenti
economici, statistici e giuridici: in ogni caso esso si fonda su un
"ricatto occupazionale" che è incompatibile con i più elementari
principi di dignità del lavoro e che non trova analogie in nessun altro
ordinamento giuridico all’interno dell’Unione europea. Benché scorretto e
basato su "luoghi comuni", questo messaggio trova terreno fertile
nella volgarizzazione del dibattito sulla flessibilità intesa come "un
lavoro qualsiasi a qualsiasi salario, senza alcuna protezione, individuale e
collettiva".
L’aspetto da ultimo evidenziato, cioè la relazione tra tutela individuale e
tutela collettiva, è quello meno evidente ma egualmente importante nelle
intenzioni dei proponenti. L’effetto abrogativo, infatti, solo apparentemente
riguarda il diritto del singolo lavoratore licenziato a recuperare il posto di
lavoro, perché la portata della norma che i radicali vogliono abrogare non è
solo di tipo repressivo, ma anche di natura prevenzionistica e con una
"valenza" collettiva e sindacale.
3. Ugualmente debole è l’obiezione che, in caso di esito positivo del
referendum (e, quindi, di abrogazione del sistema di "stabilità
reale" nelle aziende con più di quindici dipendenti) resterebbe pur sempre
in piedi il sistema di "stabilità obbligatoria" e cioè l’obbligo
del datore di lavoro che abbia licenziato senza giusta causa o giustificato
motivo un lavoratore di risarcire a quest’ultimo il danno procuratogli con il
licenziamento ingiustificato.
E’ di tutta evidenza, infatti, la sproporzione tra il diritto di tornare nel
proprio posto di lavoro e il diritto al risarcimento del danno, che la legge
quantifica in poche mensilità.
Altrettanto evidente è, inoltre, che la vittoria dei SI, riportando il nostro
sistema al regime della legge n. 604 del 1966 ( che introdusse una prima
limitazione alla libertà di licenziamento, concedendo al lavoratore solo un
indennizzo economico peraltro modesto) ci trascinerebbe indietro di trentacinque
anni. Un monosillabo (un SI) alla proposta referendaria cancellerebbe tutte le
ragioni che,trentacinque anni fa, indussero il legislatore a cambiare quel
sistema, ritenendolo inadatto a tutelare la dignità del lavoratore, e a
introdurre il principio della stabilità reale (ovvero l’obbligo di
reintegrare il lavoratore licenziato ingiustamente) che, oltretutto, si
traduceva in un rafforzamento della sindacalizzazione nelle aziende.
4. Chi propone il quesito referendario qui in esame, sostiene che esso
favorisce "la libertà del lavoro e dell’impresa", che l’eliminazione
delle tutele connesse al licenziamento favorirebbe un maggior numero di
assunzioni, e che, in tal modo, l’Italia si conformerebbe agli standard degli
altri Paesi dell’Unione Europea. Queste tre affermazioni non sono vere, In
primo luogo, questo referendum (e gli altri in materia sociale) non
"liberano" il lavoro e l’impresa, ma solo quest’ultima. In secondo
luogo, non c’è un rapporto di "causa/effetto" tra libertà di
licenziamento e propensione alle assunzioni (per lavori veri). In terzo luogo, l’abrogazione
renderebbe l’Italia il Paese dell’Unione europea con minori garanzie per i
lavoratori in caso di licenziamento.
Come dimostra uno studio recente della Commissione europea (Direzione Generale
V, Impiego e Affari Sociali), l’obbligo alla reintegrazione" in quanto
tale" è previsto per legge in Grecia e in Portogallo, e in Danimarca in
base ad un accordo interconfederale.Un obbligo alla reintegrazione è invece
previsto, in caso di violazione di diritti fondamentali e di "libertà
pubbliche", in Francia; in caso di licenziamento nullo in Irlanda; in caso
di licenziamento manifestamente ingiustificato, in Olanda. Un effetto
sostanzialmente equivalente alla reintegrazione è, invece, previsto in Austria,
in Germania e in Svezia, ed è quello che produce la sentenza del tribunale che
ordina il mantenimento del rapporto di lavoro in caso di licenziamento nullo, o
finchè la controversia sia definitivamente risolta in giudizio.
In altri paesi (Finlandia e Lussemburgo) il giudice può ordinare la
reintegrazione che però ha effetto solo con il consenso del datore di lavoro.
Soltanto la Spagna non conosce il sistema della reintegrazione, che opera,
invece, in Belgio solo per i rappresentanti dei lavoratori.
Si noti, per inciso, che proprio la Spagna, che consente ai datori di lavoro la
maggiore libertà, nei licenziamenti e nelle assunzioni, è il Paese più
affitto dalla disoccupazione. Sulla base del citato studio, e constatando l’esistenza
di diversità normative fra gli Stati membri, la Commissione ha presentato nel
1999 al legislatore comunitario (cioè al Consiglio dell’Unione europea) una
proposta di direttiva volta ad armonizzare le legislazioni nazionali sulla
tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti individuali.
Caratteristica della suddetta proposta è la procedimentalizzazione del potere
di licenziamento del datore di lavoro: oltre a riaffermare le ipotesi di
nullità ed inefficacia dello stesso come previsto dalle legislazioni nazionali
(mantenendo quindi le sanzioni di reintegrazione ove previste) la proposta di
direttiva prevede, infatti, che il licenziamento è efficace solo a condizione
che in merito ad esso siano preventivamente informati e consultati i
rappresentanti dei lavoratori. La consultazione ha per oggetto le forme e i
mezzi atti ad evitare il licenziamento o, almeno, ad attenuarne le conseguenze.
5. Le esperienze dei Paesi europei più avanzati (socialmente ed
economicamente) stanno a testimoniare che la tutela dei lavoratori in caso di
licenziamento (soprattutto quando si tratti di casi odiosi di discriminazione)
non è considerata un freno alla "libertà di lavoro e d’impresa".
Il problema centrale, che non può risolvere un referendum abrogativo, è quello
di rendere compatibile la tutela e la dignità del lavoro con la tutela e la
promozione del lavoro e dell’impresa, adattando a questo fine le norme di
legge e le politiche attive del lavoro. Questo è un campo privilegiato della
cooperazione tra Parti Sociali e istituzioni. Pensare di risolvere questi grandi
problemi con un piccolo tratto di penna su una scheda referendaria è solo un
atto di presunzione e non una prova di democrazia..
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http://www.mclink.it/assoc/malcolm/riforme/referendum/giustizia.htm
Riforme istituzionali: Schede informative sui referendum
Referendum sulla giustizia
Magistratura: tre quesiti per un giudice miserabile
di Domenico Gallo
Dei sei quesiti referendari proposti dai Radicali per realizzare una
"giustizia giusta", la Corte Costituzionale ne ha dichiarati
ammissibili soltanto tre: il primo relativo sulle modalità di elezione dei
componenti togati del CSM, il secondo relativo alla separazione delle carriere
ed il terzo relativo agli incarichi extragiudiziali.
I radicali non sono riusciti a conseguire l’obiettivo massimo di demolire la
giurisdizione, però si sono assicurati l’obiettivo minimo (se i referendum
saranno approvati) di indebolire, burocratizzare e immiserire il corpo dei
magistrati.
Per quanto riguarda il Consiglio superiore della magistratura, questo
attualmente viene eletto con un sistema proporzionale a liste concorrenti, in
cinque collegi territoriali, più un collegio nazionale per l'elezione dei
rappresentanti della Corte di Cassazione. La proposta abrogatrice mira ad
eliminare la competizione per le liste contrapposte, con la conseguenza che
all'interno di ogni collegio esisterebbero solo candidati singoli e verrebbero
eletti coloro che riportano più voti. Lo scopo di questo referendum è quello
di colpire l’associazionismo giudiziario e la sua articolazione in gruppi
culturalmente differenziati (le correnti). I proponenti rimpiangono il vecchio
sistema elettorale maggioritario quando nel Consiglio entravano soltanto
magistrati che condividevano lo stesso indirizzo politico-culturale, omogeneo a
quello delle forze politiche di governo, di modo che non si verificavano
frizioni fra politica e magistratura. Il fatto che, col passare del tempo, il
Consiglio Superiore della Magistratura sia diventato un organo più forte nel
tutelare l’esercizio indipendente della funzione giudiziaria, in conformità
con la sua funzione costituzionale, è stato – giustamente – imputato al
ruolo delle correnti, cioè alla crescita culturale della magistratura nel suo
complesso determinata dalla dialettica politico-culturale (e quindi non
meramente corporativa) sviluppatasi in senso all’Associazione Nazionale dei
Magistrati. Colpire l’associazionismo è conseguentemente un passaggio
obbligato per ridimensionare il ruolo politico di garanzia dell’indipendenza
che la Costituzione ha affidato al Consiglio Superiore della Magistratura.
In tema di separazione delle carriere, il quesito referendario si propone
l'abrogazione delle norme dell'ordinamento giudiziario che consentono ai
magistrati di passare dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa.
In linea di principio non vi sono argomenti da cui si possa desumere che il
sistema della carriera unica sia preferibile a quello della separazione delle
carriere o viceversa. Di fatto ciò dipende dall’esperienza storica concreta.
Nel sistema giudiziario italiano, specialmente dopo l’entrata in vigore del
nuovo codice di procedura penale, che ha notevolmente rafforzato il ruolo del
Pubblico Ministero nel processo penale, la separazione delle carriere avrebbe
proprio l’effetto opposto a quello invocato dai proponenti: renderebbe il
Pubblico Ministero più corporativo e lo allontanerebbe dalla cultura della
giurisdizione. Ciò renderebbe più scadente la funzione giurisdizionale nel suo
complesso. In questo modo coloro che invocano più garanzie si darebbero la
zappa sui piedi. In realtà l’unico motivo – rigorosamente taciuto – che
giustifica questo referendum è che la separazione delle carriere è lo snodo
tecnico indispensabile per separare le sorti del Pubblico Ministero da quelle
del giudice e consentire quel controllo politico del Pubblico Ministero a cui
aspirano molte più forze politiche di quante lo dichiarino.
Il terzo referendum si propone, di abolire le norme che consentono ai
magistrati, previa autorizzazione del Csm, di assumere incarichi che comportano
lo svolgimento di attività diverse da questa giudiziaria. In realtà la
polemica contro gli incarichi extragiudiziari, specialmente sotto il profilo
degli arbitrati, è stata da sempre uno dei cavalli di battaglia di Magistratura
democratica che ne ha denunziato il pericolo di condizionamento dell’indipendente
esercizio della funzione giurisdizionale. Questa battaglia ha fatto breccia in
un CSM "politicizzato" per la presenza delle correnti, con la
conseguenza che, per effetto di atti di normazione interna (le famose circolari
del CSM), attualmente, salvo gli arbitrati obbligatori previsti dalla legge,
tutti gli incarichi lucrosi (ma non solo quelli) sono vietati ai magistrati. Il
problema pertanto non esiste più. La pretesa di vietare per legge, attraverso
il referendum, la possibilità per i magistrati di assumere incarichi
extragiudiziari non è un atto che va nella direzione di assicurare una maggiore
indipendenza reale dei magistrati, al contrario, essa non può avere alcun altro
scopo e nessun altro effetto che non sia quello di concorrere all’impoverimento
culturale del corpo dei magistrati nel suo complesso. A questo corpo di
funzionari pubblici verrebbero vietate anche attività che hanno una forte
ricaduta in termini di formazione culturale e professionale come l’insegnamento,
l’assistenza ai Giudici presso la Corte costituzionale, gli incarichi presso
il Ministero della Giustizia e presso gli organi di Giurisdizione
internazionale.
I referendum sulla "giustizia giusta" in realtà cavalcano il diffuso
malumore popolare per il malfunzionamento della giustizia e si propongono di
indirizzarlo verso un obiettivo politico che nulla a che vedere con il
miglioramento del servizio giustizia. Si propongono di colpire i magistrati ed
il loro organo di autogoverno non per spirito punitivo contro i giudici, ma per
ridimensionare la giurisdizione nel suo complesso, riducendo la giurisprudenza
ad una meccanica esercitazione di codice da parte di un corpo di ragionieri
delle leggi, isolati dalle dinamiche politico-culturali della società in cui
vivono e indifferenti ai valori della giurisdizione. Tre quesiti, ma un unico
scopo: costruire un giudice miserabile.
da televideo
7 COMITATI E UN MOVIMENTO PRO O CONTRO I REFERENDUM
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ELIMINARE IL RIMBORSO SPESE PER ELEZIONI E REFERENDUM
SCHEDA CELESTE
Questo referendum si propone d'abrogarele norme che consentono ai partiti di avere il rimborso delle spese sostenute per le elezioni o i referendum.
VOTA SI' per togliere ai partiti il rimborso delle spese fatte per elezioni o referendum
VOTA NO per lasciare tutto come ora
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CHIEDONO SI Democratici,AN,Radicali, Verdi
NO DS,PPI,PDCI,SDI
ASTENSIONE Lega,F.I,Rifondazione,CDU
LIBERTA' DI VOTO CCD, UDEUR, RI
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ELEZIONE DEPUTATI:ABROGARE LA QUOTA PROPORZIONALE:25%
SCHEDA ROSSA
Questo referendum si propone di abolire la quota proporzionale,del 25 % dei seggi (sono 155 su 630), nell'elezione dei membri della Camera dei deputati.
VOTA SI' per non far eleggere più i 155 deputati con il sistema elettorale proporzionale
VOTA NO per lasciare tutto come ora
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SI' DS, Democratici, AN, Radicali, RI, Verdi
NO PPI, PDCI, SDI, Udeur
ASTENSIONE Lega,Forza Italia,CDU, Rifondazione
LIBERTA' DI VOTO CCD
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SCHEDA VERDE
Il referendum si propone di abolire il sistema di elezione,con metodo proporzionale e liste contrapposte,dei compo- nenti magistrati del Consiglio superiore della magistratura
VOTA SI' per non far eleggere nel CSM i componenti magistrati con il sistema proporzionale
VOTA NO per lasciare tutto come ora
++++
CHIEDONO
SI' Democratici,SDI,Radicali
NO PDCI,PPI
ASTENSIONE Lega,Forza Italia Rifondazione
LIBERTA' DI VOTO Udeur,RI, Verdi
RIFORMA IN PARLAMENTO DS e AN
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SCHEDA GRIGIA
Il referendum si propone di abrogare le norme che consentono ai magistrati di passare dalle funzioni giudicanti a quelle inquirenti e viceversa:da giudice a pubblico ministero e viceversa
VOTA SI' per obbligare i magistrati a scegliere tra la funzioni giudicanti e inquirenti
VOTA NO per lasciare tutto come ora
++++
SI SDI,RADICALI,SEGNI
NO DS,DEMOCRATICI,PDCI
LIBERTA' DI VOTO Udeur,CCD,AN,FI,RI ,Verdi
ASTENSIONE LEGA
RIFORMA IN PARLAMENTO PPI
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SCHEDA AZZURRA
Il referendum si propone di togliere ai magistrati la possibilità di assumere incarichi extragiudiziali o di svolgere funzioni di arbitro
VOTA SI' per non far assumere ai magistrati incarichi extragiudiziali o arbitrati
VOTA NO per lasciare tutto come ora
++++
CHIEDONO
SI Democratici,PDCI,SDI, Radicali
NO - - -
ASTENSIONE Lega,F.I,Rifondazione,CDU
RIFORMA IN PARLAMENTO DS,PPI
LIBERTA' DI VOTO UDEUR,RI,CCD,AN,F.I,
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per ABROGARE LE NORME SU REINTEGRA POSTO DI LAVORO
SCHEDA ARANCIONE
Il referendum si propone di abolire le norme che prevedono che il giudice,in un'azienda con oltre 15 dipendenti,pos sa,con la sentenza con cui annulla il licenziamento senza giusta causa,ordinare la reintegra nel posto di lavoro.
VOTA SI' non sussisterà più l'obbligo di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
VOTA NO per lasciare tutto come ora
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SI RADICALI
NO DS,PPI,VERDI,PDCI,DEMOCRATICI, SDI
ASTENSIONE LEGA,RIFONDAZIONE
DEVE DECIDERE DEMOCRATICI,FI,AN
LIBERTA'DI VOTO CCD,RI,UDEUR
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EVITARE CHE ENTI PREVIDENZA TRATTENGANO QUOTE SINDACALI
SCHEDA GIALLA
Il referendum si propone di abolire le norme che consentono all'Inail e all' nps di trattenere le quote dei lavora tori autonomi per le loro associazioni
VOTA SI' e gli enti previdenziali non tratterranno più le quote dei lavoratori per le loro associazioni
VOTA NO e tutto resta come adesso
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SI RADICALI,VERDI,DEMOCRATICI
NO DS,PPI,UDEUR,PDCI,SDI
ASTENSIONE RIFONDAZIONE,LEGA
LIBERTA' DI VOTO AN,RI,CCD,FI,UDEUR
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IL REFERENDUM E' VALIDO SOLO SE VOTA OLTRE IL 50 %
Possono votare tutti coloro che hanno diritto a eleggere i componenti della Camera dei deputati.
L'elettore può decidere anche di non votare per tutti i referendum, ma solo per alcuni di essi, chiedendo una o più schede: esempio,sui sette referendum si possono chiedere da una a sette schede e il voto incide sul quorum solo per i referendum per cui si vota.Per quelli per cui non si chiede la scheda è come se l'elettore non fosse andato a votare
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speciale referendum
http://it.fc.yahoo.com/r/referendum.html