A proposito di "Uno sviluppo capace di
futuro"
a cura di Osvaldo Pieroni
"Se benessere e giustizia dovessero significare dare a tutti gli abitanti della Terra un’automobile ed a quelli dei Paesi più industrializzati un’automobile sempre più grande, non ci sarebbero né benessere, né giustizia per tutti" (pag.235). Ma non ci sarebbero – in ogni caso – sufficiente spazio fisico sulla terra per ospitare tante autovetture in movimento, aria di qualità adeguata alla nostra vita, temperatura e clima che la consentano.
Il cosiddetto progresso sociale, "ridotto ad inseguimento del consumo di oggetti", non è sostenibile ecologicamente, non è sostenibile socialmente, non porta a benessere ed a giustizia. Il progresso sociale, in questo senso, si fonda su una cultura e su modelli sociali insostenibili. Esso è, nemmeno paradossalmente, la negazione di se stesso dal momento che – non riconoscendo limiti e responsabilità – nega la possibilità di futuro.
Il libro di Edo Ronchi (Uno sviluppo capace di futuro, Il Mulino, Bologna, 2000; pagg.260) è, in primo luogo, un’ampia documentazione – ricca di dati certi ed aggiornati – che mostra la insostenibilità, a livello globale, del modello di progresso che si è affermato negli ultimi secoli ed in particolare nel periodo a noi più vicino. E’ un buon libro, che andrebbe diffuso – oltre che tra addetti ai lavori ed amministratori – nelle scuole.
Come l’autore afferma, proprio in apertura, questa riflessione "non può essere disgiunta da quella sulle politiche ambientali necessarie" (pag.9) a superare gli ostacoli che la insostenibilità pone e riproduce. Il libro dunque, delinea gli strumenti e i contenuti delle nuove politiche ambientali necessarie per imprimere una svolta "capace di futuro".
Le politiche globali, le politiche europee e quelle nazionali non possono che essere strettamente collegate. E tuttavia il primo livello, che sarebbe il più importante nei confronti di una globalizzazione, che è in primo luogo mutamento e crisi ambientale globale, appare il più debole. Trattati internazionali ed accordi "sembrano navicelle in balia delle forze di una grande tempesta" (pag.10). Da questo punto di vista l’Unione Europea può svolgere – e per alcuni aspetti sta svolgendo – un ruolo di leader nelle politiche ambientali, contrastando quella che di fatto è l’egemonia del modello di sviluppo statunitense da un lato e producendo effetti decisivi sulla evoluzione delle politiche nazionali, come appunto quella italiana.
Il "caso Italia" – che Ronchi analizza nel dettaglio e del quale egli è stato ed è tuttora uno degli attori principali per ciò che concerne le politiche ambientali – è senza dubbio un caso critico, che spicca per il suo "deficit ambientale". Nel corso degli anni ’90 sono state prese molte ed importanti iniziative, ma la strada da intraprendere è ancora lunga. Quando a Ronchi venne attribuita la responsabilità di Ministro per l’Ambiente, l’Italia era considerata nel consesso europeo un paese anti-ambientalista.
I temi ambientali prioritari individuati dal Quinto Programma europeo (i cui risultati paiono peraltro inefficienti) e ripresi e precisati dal Sesto per il prossimo decennio, come ricorda l’autore, sono sette:
cambiamenti climatici
qualità dell’aria
tutela della natura e della biodiversità
tutela delle acque
zone costiere
gestione dei rifiuti
ambiente urbano.
Questi punti sono integrati da un approfondimento delle politiche che sottolineano l’importanza del principio di precauzione, della attivazione di responsabilità per danni all’ambiente e della tutela dei beni comuni.
A partire da questi temi Ronchi fa il punto sullo stato dell’ambiente in Italia, misura il cammino percorso ed il lungo tragitto che sarebbe non solo auspicabile, ma necessario. Ciascun tema ha una sua specificità, ma come si converrà nell’insieme essi sono interconnessi e, ricorsivamente, ciascuno rimanda agli altri tanto come effetto che come causa.
Nel complesso questi temi, a loro volta, mettono in luce cause che riguardano l’intero assetto sociale, nelle sue dimensioni riproduttive, cognitive, culturali, politiche, relative alla stessa struttura della personalità di ciascuno di noi e non soltanto economiche.
Non entro nel merito dei problemi sollevati, anche perché essi sono ogni giorno drammaticamente sottolineati dalle continue emergenze catastrofiche e dai rischi che accompagnano ormai ogni istante della nostra vita individuale ed associata. Inquinamento dell’aria e dell’acqua, elettrosmog, alluvioni e dissesto idrogeologico, mucca pazza, carni alla diossina e pesci al mercurio, vegetali avvelenati, rischi biotecnologici, effetti radioattivi – mortali e teratogeni - conseguenti all’uso dell’uranio, sparizione della biodiversità, degrado del paesaggio e dell’ambiente urbano, proliferare di non-luoghi, impossibilità di far fronte ad una mobilità sostenibile.. Impossibile tenere una lista aggiornata.
Il suggerimento fondamentale che emerge dal libro mi sembra risieda nella indicazione della necessità di una integrazione delle politiche ambientali nel governo della cosa pubblica e nella governance dei processi socio-economici.
"La priorità individuata in questo lavoro – scrive Ronchi – è rappresentata dalla integrazione delle politiche ambientali in quelle di tutti i principali settori economici" (pag.237). Certamente è importante che l’ambiente sia "internalizzato" dall’ambito economico e che alla sua salvaguardia e protezione venga attribuito il ruolo di investimento produttivo, fonte di nuova occupazione pulita e di benessere.
Ma a questa notazione aggiungerei la raccomandazione (o meglio la necessità) che le politiche ambientali vadano integrate in tutti gli ambiti delle politiche: istruzione, cultura, salute, sicurezza e difesa, ecc. e non soltanto nei "principali settori economici".
E d’altra parte Ronchi sostiene che "l’attuale sviluppo è fondato su una cultura e su modelli sociali insostenibili.." (235). Compito delle politiche ambientali, dunque, non è soltanto quello di integrare le altre politiche, ma – con più ambizione – di ribaltare una cultura che ha, al contrario, integrato l’economia in ogni ambito. La considerazione economica del mondo che ci circonda, ed in particolare l’ottica della economia di mercato autoregolata, è divenuta dominante ed attraversa ogni ambito, con esiti catastrofici tanto dal punto di vista ambientale che dal punto di vista sociale.
La distruzione dell’ambiente – ridotto a merce – è parallela alla distruzione del senso del vivere sociale, del legame sociale, della stessa identità personale.
Se non siamo più in grado di riconoscere il mondo intorno a noi come significativo in sé ed in relazione ad un agire rispettoso delle sue basi naturali e biologiche, ciò vuol dire che abbiamo perso il senso del vivere in coesistenza con l’ambiente e con tutto quanto fa da sfondo alle nostre relazioni comunicative, che non sono soltanto linguaggio, ma sono corporeità, luoghi, materia vivente ed organica. Il fondamento organico dei nostri mondi vitali, mutuando qui una espressione di Habermas.
Il senso del limite e della responsabilità – principi fondamentali della convivenza e della coesistenza – sono alla base del pensiero ambientalista ed a partire da essi si articolano quelle politiche ambientali, che non mirano soltanto ad una modernizzazione ecologica (che comunque sarebbe di breve respiro), ma bensì puntano a ribaltare quella che Ronchi chiama "l’etica del pioniere". Una etica immorale che sposta continuamente i confini, per la quale non esiste nulla che non si possa fare, che – analizzata da un serio psichiatra – potrebbe essere definita come sindrome da "delirio di onnipotenza e regressione al pensiero magico infantile" (senza nulla qui togliere alla dignità del pensiero magico ed alla spontanea saggezza dell’infanzia).
Se c’è un aspetto che ha mio avviso il libro di Ronchi apparentemente sottovaluta, esso riguarda lo spessore etico e cognitivo delle politiche ambientali. Non che questo non sia presente nella sua trattazione, ma questi aspetti restano ancora impliciti. Essi, ancora a mio avviso, dovrebbero emergere anche per rispondere ad una domanda – che anch’essa, pur diffusa, sembra restare implicita – che è domanda di senso, richiesta di qualità del tutto estranea a riduzioni mercificate e reificate, richiesta di ben-essere che concerne il senso esistenziale del nostro essere al mondo. La domanda cui le politiche ambientali, integrate in ogni altro ambito, possono rispondere è in sintesi la seguente: in che modo ed in che mondo vogliamo vivere? La risposta a questo quesito non possono darcela gli esperti, non possono darcela economisti ed ingegneri, non possono darcela tecnici e tecnocrati e non può essere certo tracciata con un pennarello su di una lavagna che raffigura il nostro paese come mera espressione geografica, sfondo di operazioni speculative e di mercato…
Vorrei concludere questo intervento richiamando all’attenzione di tutti una vicenda che a mio avviso sintetizza e concretizza opposte visioni del mondo e che richiama appunto una concezione dello sviluppo tracciata al pennarello su di una carta geografica: la questione del ponte sullo Stretto di Messina. La decisione in merito appare quasi esclusivamente dipendere da valutazioni tecniche ed economiche. Seppur queste sono insostenibili – come dimostrano gli advisors e gli esperti – io non credo che da esse possa dipendere una decisione seria. La decisione, al contrario, dovrebbe anteporre le ragioni e la ragionevolezza della bellezza dello Stretto, che andrebbe distrutta, la saggezza della conservazione dinamica di un patrimonio culturale e naturale, che andrebbe sperperato, i sensi dell’etica e della estetica dell’ambiente che dovrebbero integrare una etica ed una estetica del vivere associati ed in cooperazione.
29 gennaio 2001