Suite et fin, requiem per lo sviluppo
di Serge Latouche, Università di Paris XI
Mi ripugna un po parlare ancora una volta contro lo sviluppo; e ciò in virtù del principio etico secondo il quale non si dovrebbe sparare su di un'ambulanza... Lo sviluppo, come impresa paternalista e transitiva ("i paesi ricchi sviluppano i paesi meno avanzati ") non gode di buona salute.
Lo dimostra il fatto che gli aiuti allo sviluppo, fissati all'1% del PIL dei paesi dell'OCSE all'epoca del primo decennio dello sviluppo dell'ONU nel 1960, scesi allo 0,70% nel 1992 a Rio e nel 1995 a Copenaghen, non arrivano in realtà neanche allo 0,25% ! Lo dimostra anche il fatto che la maggioranza degli istituti di studio e dei centri di ricerca sullo sviluppohanno chiuso i battenti o sono prossimi ad esalare l'ultimo respiro. Un presidente dell'organo federale canadese responsabile della ricerca sullo sviluppo internazionale riassumeva così il crescente disincanto nei confronti del concetto: " La visione dello sviluppo che ha ispirato gli sforzi internazionali per quattro decenni si trova sull'orlo dell'estinzione. Non si tratta di un temporaneo declino della volontà politica, né della conseguenza di un momentaneo rallentamento economico nel Nord industrializzato. E' piuttosto l'idea stessa di sviluppo a scomparire dal paesaggio come conseguenza diretta dei cambiamenti e delle discontinuità enormi del nostro tempo. Essa fa parte del genio occidentale [cioè moderno], anch'esso in declino, secondo il quale il progresso scientifico e tecnologico comporterebbe necessariamente ed inevitabilmente un miglioramento del benessere dei popoli e della terra ". L'alto funzionario cita giustamente perfino Wolfgang Sachs, autore di quest'antologia che riunisce intellettuali di fama - " L'idea dello sviluppo si erge oggi come una rovina nel paesaggio intellettuale: la sua ombra oscura la nostra vista " -. La crisi della teoria economica dello sviluppo, annunciata negli anni 80 si è più che aggravata. Siamo in piena fase liquidatoria ! In un'economia mondializzata non c'è più posto per una teoria specifica per il Sud. Ad un mondo unificato corrisponde l'impero del pensiero unico. Lo sviluppo non va più di moda negli ambienti internazionali seri: FMI, OMC, etc. All'ultimo forum di Davos, il concetto non è stato nemmeno evocato. Non è più una rivendicazione del Sud, a parte certe sue vittime ed i loro buoni samaritani, le ONG che ne vivono. E neanche tanto! La nuova generazione delle ONG senza frontiere ha orientato il charity business più sull'intervento umanitario e di emergenza che sullo sviluppo. L'arte di arrangiarsi dei disoccupati laureati africani ("les maîtrisards"), che aveva trovato nel partenariato con le Ong di sviluppo del Nord una miniera da sfruttare, si ritrova sempre di più su un filone in esaurimento.
Se lo sviluppo sopravvive ancora alla propria morte, lo deve soprattutto alle critiche di cui è oggetto! Inaugurando l'era dello sviluppo "particellizzato" (umano, sociale, locale, ecc.), gli umanisti canalizzano le aspirazioni delle vittime dello sviluppo nudo e crudo, quello che io chiamo "lo sviluppo realmente esistente", del Nord e del Sud, strumentalizzandole. Lo sviluppo sostenibile è la più riuscita di queste operazioni di ringiovanimento di vecchie chimere: esso illustra perfettamente il procedimento denunciato da Viviane Forrester in "L'orrore economico": "l'immaginazione degli ambienti al potere è sconfinata quando si tratta di deviare l'attenzione del pubblico su pessimi bricolages, inefficaci o addirittura nefasti, fondati sul nulla".
Lo sviluppo sostenibile, durevole, vivibile, sopportabile, ecc., è uno di questi bricolages intellettuali, il quale cerca di cambiare le parole senza cambiare le cose: è una mostruosità verbale a causa della sua antinomia mistificatrice.
Un tale "riposizionamento", o (secondo il gergo militare) una simile ritirata strategica su posizioni preparate in precedenza, corrisponde allo spostamento generato dalla "globalizzazione", ed a ciò che si nasconde dietro quest'altro slogan mistificatore.
L'oggetto del passaggio dallo sviluppo alla globalizzazione non è altro che la scomparsa di ciò che dava una certa consistenza al mito sviluppista, ovvero il "trickle down effect". La distribuzione della crescita economica al Nord, e perfino quella delle sue briciole al Sud, assicurava una certa coesione nazionale.
Le tre D (deregolamentazione, dischiusura, disintermediazione) hanno mandato in frantumi il quadro statale delle regolazioni, permettendo così alle disuguaglianze di svilupparsi senza limiti. La polarizzazione della ricchezza tra le regioni e tra gli individui raggiunge livelli senza precedenti. Secondo l'ultimo rapporto del PNUD, se la ricchezza del pianeta è aumentata sei volte dal 1950, il reddito medio degli abitanti di 100 dei 174 paesi censiti è in piena regressione, e così pure la speranza di vita.
Le tre persone più ricche del mondo possiedono una fortuna superiore al PIL totale dei 48 paesi più poveri ! Il patrimonio dei 15 individui più ricchi supera il PIL di tutta l'Africa subsahariana. La fortuna delle 32 persone più ricche del mondo supera il PIL totale dell'Asia del Sud. Gli averi delle 84 persone più ricche supera il PIL della Cina, coi suoi 1,2 miliardi di abitanti! Ed infine, le 225 maggiori fortune rappresentano un totale di 1000 miliardi di dollari, cioè l'equivalente del reddito annuo del 47% più povero della popolazione mondiale, ovvero 2,5 miliardi di persone!
In queste condizioni, non è più di attualità lo sviluppo, ma solo gli aggiustamenti strutturali. Per la dimensione sociale si fa ampiamente appello a quello che Bernard Hours chiama gentilmente "un'ambulanza mondiale", di cui le Ong umanitarie, i soccorritori, costituiscono lo strumento principale. Il " sostenibile " è quindi semplicemente ciò che permette allo sviluppo di sopravvivere alla propria morte.
Allora, perché intitolare questo libro "dizionario dello sviluppo"? Certo, se la prima pubblicazione in inglese risale a 1992, la redazione primitiva risale a l989 e la prima idea a 1987. Non si parlava ancoro di globalizzazione e non era ancora successo la caduta del muro di Berlino. Il perfezionismo di Wolfgang Sachs spiega parzialmente la lunghezza della maturazione. Tuttavia, se le " forme " cambiano notevolmente (e non solo le forme), l'intero immaginario sociale resta ben solido. Più cambia e più è lo stesso, in un certo modo come lo diceva il nipote del principe nel romanzo di Lampedusa. Se lo sviluppo non è stato altro che il proseguimento della colonizzazione con altri mezzi, la nuova globalizzazione, a sua volta, non è altro che il proseguimento dello sviluppo con altri mezzi. Lo stato sparisce dietro il mercato. Gli stati nazionali che si erano già fatti più discreti nel passaggio del testimone dalla colonizzazione allo sviluppo, abbandonano del tutto la scena a vantaggio della dittatura dei mercati, col loro strumento di gestione, l'FMI, che impone i piani di aggiustamento strutturale. Tuttavia, si ritrova sempre l'occidentalizzazione del mondo con la colonizzazione dell'immaginario da parte del progresso, della scienza e della tecnica. L'economicizzazione e la tecnicizzazione del mondo sono spinti al loro limite estremo. Tenendo presente tutto questo, quella della demistificazione dello sviluppo, particellizzato e non, è una battaglia tutt'altro che retrograda, poiché anche l'occidentalizzazione e la globalizzazione si ritrovano demistificate. Dello sviluppo si può dire (come del suo omologo progresso) che si confonde il morbo con la cura.
In realtà, questo libro all'origine doveva chiamarsi "Il dizionario delle parole tossiche". Non è soltanto dello sviluppo e delle sue parole chiave che si tratta ma ancora di tutte le parole chiave della modernità o della ipermodernità.
Sono parole chiave della modernità economica come : bisogni, mercato, povertà, produzione, risorse, standard di vita. Sono parole chiave della socialità o della modernità sociale e politica come: aiuto, ambiente, partecipazione, pianificazione, popolazione, progresso, scienza, stato, tecnologia, uguaglianza, mondo.
La società moderna, come molti hanno messo in evidenza, non ha scacciato gli idoli, i miti, e i dogmi ; non fa che sostituirli con altri. C'è persino una pletora di candidati alla divinità: la Ragione, il Progresso, la Scienza, la Tecnica, per richiamare i più accreditati. Tuttavia, la devozione al Progresso, il dogma dello Sviluppo, il culto della Tecnica, la valorizzazione quasi sacra del Benessere materiale, fino ai sacrosanti Diritti del Uomo e all'intoccabile Democrazia, sono in fondo collegati direttamente o indirettamente all'economia, la religione del nostro tempo, via l'utilitarismo. Il calcolo dei piaceri e delle pene, dei doveri e dei diritti, dei costi e dei benefici, fa parte del nostro immaginario e incide sulle nostre azioni.
Il dibattito sulla parola "sviluppo" non è solo una questione di parole. Lo si voglia o no, non si può far sì che lo sviluppo sia diversa da quello che è stato. Lo sviluppo è stato ed è l'occidentalizzazione del mondo. Le parole si radicano in una storia; esse sono legate a rappresentazioni che sfuggono, il più delle volte, alla coscienza dei locutori, ma che hanno presa sulle nostre emozioni. Ci sono parole dolci, parole che spalmano balsamo sul cuore e parole che feriscono. Ci sono parole che mettono un popolo in agitazioni e sconvolgono il mondo. Libertà e democrazia sono state e sono ancora tra queste parole. E poi ci sono parole velenose, parole che penetrano nel sangue come una droga, pervertono il desiderio e ottenebrano il giudizio. Sviluppo è una di queste parole tossiche. In Africa, la parola è diventata sacra. É un feticcio dove cadono in trappola tutti i desideri. "Fare lo sviluppo" significa "conquistare dei progetti" o "conquistare un bianco", è il rimedio miracoloso a tutti i mali, compresa la stregoneria. "Ci si procurano feticci - osserva Pierre-Joseph Laurent - per proteggere il proprio capitale: è una sorta di stregoneria accumulativa". Egli osserva inoltre che lo sviluppo è un concetto, apparentemente strano, mediante il quale tutto diventa possibile tra fratelli maggiori e cadetti, tra chi aiuta e chi è aiutato. La fortuna dello sviluppo - voglio dire la sua longevità - consiste nella sua pluralità semantica. Essa porta, secondo la modalità del non detto o della non elucidazione, a compromessi talvolta sorprendenti. Cosi in suo nome i musulmani di Kulkinka (nel Burkina Faso) alleveranno maiali. Niente è proibito se porta lo sviluppo!
Certo, si può proclamare che ormai sviluppo designerà il contrario di quel che ha significato. Dichiarare "uno sviluppo buono vuol dire in primo luogo valorizzare quel che facevano i genitori, avere radici", significa definire una parola con il suo contrario. Lo sviluppo è stato, ed è, in primo luogo uno sradicamento.
Non posso chiudere questa presentazione senza segnalare che benché gli autori sono di oltre dieci nazionalità, sono legati da una forte complicità. Senza dubbio, la personalità di Ivan Illich è il legame segreto che unisce tutti. Credo che la prima idea di questo libro sia sua. Ma senza la tenacia e la competenza di Wolfgang Sachs, questo libro non sarebbe stato mai realizzato.