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Sul Morandi di Arcangeli

di Gian Luigi Verzellesi

 

Nell'ambito della vastissima letteratura critica sull'opera di Giorgio Morandi (1890-1964) spiccano gli interventi fondamentali di Cesare Brandi ( 1906-1988) e di Francesco Arcangeli (1915-1974).

Di quest'ultimo storico dell'arte di scuola longhiana, era uscita (nelle milanesi Edizioni del Milione, nel luglio del 1964), una quarantina di giorni dopo la morte di Morandi, una densa, appassionata, elaboratissima storia del pittore bolognese narrata in 343 pagine. Ma, incredibilmente, si trattava davvero di una redazione ridotta, riveduta e corretta, rispetto alle stesure precedenti ossia alle tre redazioni dattiloscritte del testo lentamente composto e ricomposto. Grazie al lavoro paziente di Luca Cesari, fervente curatore arcangeliano specialista nello studio di carteggi rari, esce ora, in un elegantissimo volume edito da Umberto Allemandi, la "stesura originaria" del Morandi di Arcangeli, così come risulta svolta nella seconda redazione, con tutte le varianti correttive.

Queste precisazioni bastano a far capire al lettore che l'opera ora pubblicata attesta una felice ripresa degli studi su Morandi. E ne sollecita ulteriori sviluppi in quanto mette in luce, sia lo strenuo impegno interpretativo di Arcangeli (ora interamente documentato), sia il complesso di motivazioni che spiegano perchè quel suo lavoro ermeneutico diramatissimo, talora provocatorio, indusse Morandi a non consentirne la pubblicazione. Le ragioni del contrasto irriducibile, tra l'artista e il suo interprete, sono accennate in una lettera di Arcangeli (datata 2 febbraio1969), in cui si legge che " pur concedendo a Morandi le correzioni che mi parvero giuste e giustificate, non potevo rinunciare alla mia libertà di critico". Di fatto, il rifiuto dell'artista, tutt'altro che lunatico o polemico (cresciuto durante la lettura attenta del testo critico) fu poi compreso, e condiviso, da una cerchia di studiosi autorevoli ( come Longhi, Brandi; Parronchi, Vitali). Le argomentazioni di questi competenti sono ora da soppesare e riesaminare in confronto con quelle d'altri interpreti (come Calvesi, Tassi, Barilli), molto propensi a condividere l'intento primario di Arcangeli, volto a riconsiderare l'opera morandiana secondo un'ottica "esistenziale" che guarda al di là dell'indagine sulla sua specifica struttura formale.

Il pericolo incombente in questa tendenza,  a spostare l'attenzione dalla qualità o specificità morandiana, risulta indicato da Roberto Longhi (vedi la lettera del 10 aprile 1962) precisando che lo studio del percorso morandiano fatto da Arcangeli "è troppo spesso soffocato dalla eccessiva ambientazione", ossia da una congerie di riferimenti disparati, talora pungenti e sconcertanti, "a dir poco aleatori" ( Parronchi).Spetta ora alle nuove leve degli addetti ai lavori interpretativi il compito di verificare la fondatezza di questa tesi valendosi del prezioso corredo iconografico, ordinato da Cesari, e incluso, come in uno scrigno, nel libro, bianco e azzurro, in cui sono riprodotte tutte le opere morandiane commentate da Arcangeli. Così, tornando sulla via della buona critica (che mira a conseguire esiti di reale incremento conoscitivo e non sovrainterpretazioni arbitrarie), si potranno distinguere gli esercizi di lettura più aderenti ( che svelano il felice talento interpretativo di Arcangeli) da quelli meno fruttuosi. Dove certi confronti sensazionali, tra la misura  morandiana e la dismisura torbida dei seguaci dell' "informe",  risultano svianti e mettono in luce la schietta e ferma reazione di Morandi: esempio indimenticabile di doverosa difesa dell'opera da certe letture deformanti.

Gian Luigi Verzellesi

 

Verona 6 novembre 2007

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