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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Paolo Sylos Labini  
"Salvare la democrazia"

«L'economista, non diversamente dal sociologo, studia la società della quale fa parte: egli non è estraneo all'oggetto del suo studio nel senso particolare in cui si può affermare che lo sia il cultore di scienze naturali. [...] Se lo studioso non può sperare di essere rigorosamente «obiettivo» (ciò che è impossibile), può e deve tuttavia sforzarsi di essere intellettualmente onesto, ossia può e deve cercare di vedere tutti gli aspetti di un determinato problema, anche gli aspetti per lui sgradevoli, e non solo quelli che sono conformi alla sua ideologia o utili per la sua parte politica»

Paolo Sylos Labini

dall' Introduzione al :  Saggio sulle classi sociali (1974).

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Un itinerario di resistenza possibile e' l'onestà intellettuale dell'intelligenza che non si piega al compromesso, e che attinge, per una schietta ed urgente esigenza di verità e di speranza ad analoghe istanze morali nell'affrontare il mondo e la vita .
La resistenza e' sempre il frutto di un percorso di ricerca e di speranza ,  nella consapevole certezza che il punto di riferimento ultimo rimane

il bene inalienabile della dignità della vita umana in tutte le sue forme.
La resistenza
e' anche espressione non violenta della volonta' di sussistenza di valori comuni ed è spesso un "dovere" delle
minoranze non elitarie.

nadia scardeoni


Abbiamo tutti il dovere di salvare la democrazia


MESSAGGIO DI PAOLO SYLOS LABINI

Motivi di salute mi impediscono di partecipare, quindi ho chiesto all'amico Elio Veltri di leggere questo mio breve messaggio, che vi rivolgo anche a nome di tutti gli amici di Opposizione Civile.

Primo punto. Il tema dominante è la legge Cirami, la più oscena tra quelle rivolte a rottamare la giustizia. E che va vista come simbolo della rosa degli interventi del governo Berlusconi in questo campo.

Punto secondo. Si continua a ripetere ossessivamente che Berlusconi è legittimato da una forte maggioranza. Ricordiamoci che ci troviamo di fronte a una maggioranza delle Camere ottenuta solo attraverso manovre astute, poiché nelle ultime elezioni politiche Forza Italia, che è il gruppo che propriamente fa capo al Cavaliere, ha ottenuto solo il 29% dei votanti, ossia il 22% degli italiani, tenendo conto dei non votanti. Domanda: <Come può uno che ha solo il 22% delle adesioni fare tutte le atroci prepotenze che sta combinando?>. Se fossi un angelo, risponderei: <Per l'arrendevolezza degli alleati>; ma siccome sono un "demonizzatore" rispondo: <Per la cupidigia di servilismo dei soci>. E poiché non pochi mi definiscono anche "apocalittico" dico: <Per la carenza di dignità>. C'è però una fiammella di speranza che qualcuno abbia un soprassalto di decenza e prima o poi rifiuti corresponsabilità così pesanti. Ci dicono: <Le critiche le fanno i politici, voi siete esterni, che diavolo volete fare?>. Risposta: <La democrazia non è fatta solo di voti, ma in primo luogo dall'opinione pubblica e i nostri sforzi mirano appunto a informarla e influenzarla>. La forza di oggi e delle altre manifestazioni simili dimostrano che non stiamo perdendo tempo.

Terzo punto. Più volte ho sentito il doloroso dovere di denunciare rapporti, indicati in documenti giudiziari, tra la mafia e Berlusconi, Dell'Utri e Previti. Pochi giorni fa è stato reso noto un documento del Sisde agghiacciante in materia. Gli interessati hanno protestato prendendosela con "Repubblica" e non con la mafia che li minacciava, né con i servizi segreti che hanno scritto quel testo. Questo è angoscioso. Tutti devono saperlo: va ripetuto e gridato.

Punto quarto. L'azione devastatrice del governo riguarda tutti i cardini della vita civile, nessuno escluso: scuola, ricerca scientifica, appalti, ecc. La devastazione si fonda sul monopolio dell'informazione, in primo luogo televisiva, che colpisce tutte le colonne portanti della società. Come economista debbo denunciare la condizione tremenda della situazione economica e dei conti pubblici, presentati fin dal luglio 2001 con cifre che io già allora giudicai truffaldine e che hanno impedito di porre i problemi nei giusti termini. Con le conseguenze che già soffriamo e che purtroppo soffriremo assai anche in futuro.

Punto cinque. Il principale motivo per cui sorgono spontanee manifestazioni come quella di oggi è la debolezza grave con cui nel passato è stata svolta l'opposizione. La nostra speranza è che tutti questi sforzi nostri, che sono politici in senso lato, comincino ad avere effetto sull'opposizione parlamentare, che non può trattare l'attuale maggioranza come se fosse un avversario normale e non invece un pericoloso gruppo di potere.

Quindi uniti, ma senza i gravi errori di sottovalutazione degli ultimi anni. Tutti devono prendere atto che i cittadini protestano con sempre maggior vigore perché si stanno rendendo conto dell'abisso in cui è caduta la nostra democrazia, che abbiamo tutti il dovere di salvare.

Intervento alla Festa di protesta del 14 settembre
http://www.igirotondi.it/syloslabini.htm

 

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L'Unità 07/05/2002
L'esodo o la pace tra arabi ed ebrei
PAOLO SYLOS LABINI

 Noi pochi ebrei e non pochi arabi, fra gli intellettuali, hanno più volte avanzato proposte di soluzioni pacifiche. In quanto intellettuali italiani cerchiamo di integrarle e migliorarle: ciò è possibile specialmente in Europa, grazie alla vicinanza geografica e, al tempo stesso, al distacco raggiungibile se si superano, con la ragion critica e con la conoscenza, quelle forme laiche di fanatismo. che di tanto in tanto si presentano, certe volte contro gli ebrei, altre volte contro gli arabi. Certo, anche il più distaccato degli osservatori resta sgomento di fronte all'odio e alla ferocia della due parti in causa\, l'odio è una passione travolgente e come tale sfugge ad un'analisi razionale, anche se si riconosce che tanto gli ebrei quanto i palestinesi hanno le loro ragioni - ogni tragedia consiste proprio in questo. Eppure, se escludiamo l'annientamento o l'esodo forzato degli uni o degli altri, l'unico sbocco è una soluzione pacifica. Per una stabile soluzione pacifica, si dovra nno affrontare il problema del diritto ad esistere d'Israele e quello dell'«intarsio» fra zone abitate, nello Stato d'Israele, da ebrei (cinque milioni in tutto) e zone abitate da palestinesi (un milione)\, fra le zone dell'intarsio troviamo gli insediamenti dei coloni ebrei. Si tratta di rendere compatti sia il territorio destinato agli ebrei sia quello dei palestinesi. Per rendere minimi gli interventi coercitivi bisognerà riflettere sugli scambi di aree, sugli indennizzi, sugli incentivi in danaro e in natura da offrire ai gruppi che dovranno spostarsi. Conviene riconsiderare l'ipotesi di un arbitrato internazionale promosso dai quattro grandi soggetti che si sono riuniti recentemente a Madrid e cioè Nazioni Unite, Unione europea, America e Russia, un arbitrato a sostegno di trattative condotte da una commissione composta da membri eletti dalle due parti per definire, in un trattato, i confini dei due Stati, su territori compatti, e con l'intesa di accettare poi una forza di ga ranzia dei confini costituita dagli stessi soggetti che hanno assicurato l'arbitrato. Più di una volta, nel passato, specialmente nel 1978 e nel 1996, la soluzione è apparsa vicina. Di recente, nonostante tutto, qualche passo avanti è stato fatto. Se daremo meno spazio alle emozioni e più spazio alla ragione, la prossima potrà essere la volta buona. Sul sito aperto da Repubblica, che fra breve sarà di nuovo in funzione, per il movimento «Opposizione civile», apriremo un sotto-sito sui problemi più gravi del nostro tempo, con una formula interattiva, volta a coinvolgere i lettori. Questa mia nota riassume un'analisi più ampia, che comparirà in quel sito\, un'altra nota riguarderà «La globalizzazione: proposte concrete per l'Africa sub-Sahariana».

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http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica22082002.html

 REPUBBLICA DATA: 22/08/2002
La crisi dell' economia e le colpe della politica
PAOLO SYLOS LABINI

SU REPUBBLICA del 4 agosto Eugenio Scalfari scrive: "La categoria più strapazzata più smentita dai fatti e più sfiduciata dalla pubblica opinione da due anni in qua risulta essere quella degli economisti, degli analisti finanziari, degli esperti. Peggio dei politici, che è tutto dire". Non intendo difendere la categoria degli economisti alla quale appartengo, ma mi propongo d' aiutare a discriminare, poiché d' ipotesi previsive in economia non si può fare a meno. In primo luogo suggerisco di non fidarsi degli economisti che sono al servizio o che s' attendono favori da qualche "principe". Occorre poi tenere ben presente - è umano - che di norma s' attribuisce più importanza a breve che a lungo periodo. Infine, anche gli economisti più onesti tendono a valorizzare il roseo rispetto al nero, perché il mestiere di profeta di sventure non è gradevole. Due esperienze personali. Nell' ottobre dell' 87 ci fu un tonfo alla Borsa di New York. Guido Carli, banchiere centrale ed economista di vaglia, scrisse un articolo pessimista su Repubblica; alcuni economisti avevano rievocato lo spettro della grande depressione, iniziata nel '29. A caldo inviai a Repubblica un articolo in cui criticavo Carli. Difatti la recessione restò confinata nell' ambito finanziario e durò pochi mesi: non sono un pessimista di professione. La seconda esperienza si ricollega agli studi compiuti molto tempo fa. Da almeno due anni son preoccupato sulle prospettive internazionali e ho espresso le mie preoccupazioni in un articolo (Repubblica, luglio 2001), in polemica con le previsioni "rosee" del primo Dpef di Tremonti; infine, in termini stringati ma non telegrafici nella relazione che ho presentato il 29 aprile 2002 al convegno della Cgil "Congiuntura internazionale e prospettive dell' economia italiana". Nella relazione illustravo i motivi delle mie preoccupazioni; non cercavo d' addolcire la pillola: "Un medico coscienzioso - scrivevo - se si rende conto che sussistono rischi anche gravi deve dirlo al paziente; non può tacerli per non spaventarlo". Donde veniva questa mia "lungimiranza" che come ho detto precede la mia relazione d' aprile? Da uno straordinario acume? No, dopo la seconda guerra avevo studiato, ad Harvard, con Joseph Schumpeter, autore di un' affascinante teoria sulle innovazioni e sullo sviluppo ciclico. Tuttavia la sua spiegazione della grande depressione del '29-' 39 da lui esposta nel suo "Trattato sui cicli" non mi sembrò soddisfacente e nell' 81 proposi, in inglese, un' interpretazione che diversi economisti giudicarono sconcertante, perché si poneva contro la tradizione che risale ai classici, secondo cui all' origine delle crisi troviamo il difetto e non l' eccesso dei profitti. Sostenevo infatti che i profitti erano divenuti eccessivi e che ciò andava visto nel quadro di un violento spostamento (5 o 6 punti) a danno dei redditi da lavoro dipendente e indipendente: ciò frenava la domanda di beni di consumo e, indirettamente, anche gli investimenti reali - la crescita degli investimenti finanziari era spinta soprattutto dai profitti. Attribuivo quello spostamento all' azione congiunta di grandi innovazioni, come l' elettricità, il petrolio e l' auto, che avevano portato molto in alto le aspettative di profitto, e a certi mutamenti nelle forme di mercato. Le mie riflessioni di oltre vent' anni fa e la constatazione che oggi negli Usa sono presenti alcune caratteristiche osservabili prima della grande depressione - specialmente il violento spostamento delle quote distributive, il peso dei debiti delle imprese e delle banche, la prolungata speculazione in Borsa. I debiti hanno assunto un peso che in un' economia non più in crescita è divenuto insopportabile. A quale livello debbono scendere per divenire sopportabili? è da esaminare il rapporto fra debiti e mezzi propri (la parola inglese è leverage). Come ben si comprende, sono i debiti a lungo termine - "immobilizzi" - quelli che creano le più gravi difficoltà. Nell' 87 prevalevano i debiti di breve durata delle imprese e degli operatori di Borsa verso le banche e per questo Greenspan ebbe buon gioco, con gigantesche iniezioni giornaliere di liquidità, a circoscrivere la crisi nell' ambito finanziario. Debiti: in primo luogo c' è quello estero, sul quale tornerò. C' è poi quello interno, delle famiglie, che addirittura ha nettamente superato il valore del reddito disponibile. C' è anche quello interno, delle imprese, che ha superato i livelli già alti del '90. In Europa e in particolare in Italia - come avverte Pierluigi Ciocca vicedirettore della Banca d' Italia - non è patologicamente alto, negli Usa invece lo è; ma l' economia americana è la locomotiva del mondo. Il peso diviene insopportabile quando la congiuntura diviene negativa: in queste condizioni famiglie e imprese trovano sempre più difficile pagare i debiti che vengono a scadenza e anzi spesso s' indebitano ulteriormente, non per far acquisti di beni di consumo o di macchinari, ma per evitare il fallimento. Di recente hanno avviato un' analisi di questo tipo economisti come Godley, Galbaraith, Krugman. Come mai i due pesanti fardelli dei debiti delle famiglie e delle imprese non hanno impedito la crescita fino al tempo recente dei consumi e degli investimenti? Si può rispondere richiamando la politica monetaria fin troppo liberale adottata da Greenspan, specialmente per case e auto, al fine di rinviare e attenuare la resa dei conti, che pur vedeva avvicinarsi; inoltre i falsi in bilancio e gli altri colossali imbrogli hanno a lungo sostenuto aspettative troppo ottimistiche sull' economia Usa. Per contrastare la recessione Bush ha già accresciuto la spesa pubblica, specialmente quella militare, dando un calcio alla sua ideologia liberista e antikeynesiana. In un' intervista all' Espresso Samuelson è convinto che Bush sarà costretto ad andare molto più avanti su questa linea. Samuelson dimentica però che una forte espansione della domanda farebbe crescere ulteriormente il già insopportabile disavanzo commerciale. Il governo americano non può far molto per provocare una svalutazione del dollaro capace di riequilibrare i conti con l' estero. Greenspan può favorirla, con un' adeguata politica della moneta e dell' interesse. Godley pensa che occorra, nella migliore delle ipotesi, una svalutazione minima del 25-30%. Ma il prezzo per le esportazioni europee, cominciando da quelle tedesche, sarebbe enorme. Resta un' azione concordata fra i paesi industrializzati per pilotare la svalutazione del dollaro, secondo il modello dell' Accordo del Plaza della metà degli Anni '80; in più occorre un' azione volta ad allargare reciprocamente i mercati dei paesi industrializzati attraverso una reflazione generalizzata che coinvolga governi e Banca centrale. Ma oggi è assai difficile realizzare un simile accordo. L' Italia, che pure potrebbe farsi promotrice d' una tale strategia, ha al vertice, purtroppo, Berlusconi, Tremonti e Bossi, da cui non c' è da aspettarsi nessuna iniziativa valida. A rigore la via d' uscita consiste in una vigorosa reflazione concordata fra Usa, Canada, Ue, Regno Unito e Giappone, raccomandata dall' amico Godley (è un bravo economista perché ama la musica); sembra l' unica via d' uscita, anche tenendo conto dell' inerzia giapponese e delle crisi nell' America Latina. La reflazione internazionale deve fondarsi su una catena di trattati commerciali complementari, reciprocamente vantaggiosi. Ma nelle condizioni attuali, con Bush preoccupato di non perdere la maggioranza al Congresso e quindi disposto a scatenare una guerra con l' Iraq, forse pensando anche agli effetti keynesiani di nuove cospicue spese militari, c' è poco da stare allegri: l' Iraq - a parte ogni valutazione politica - farebbe schizzare il prezzo del petrolio con effetti tremendi su una congiuntura già disastrosa. Deus amentat quos vult perdere. Bisogna riconoscere che oggi è in gioco molto di più che un miglior funzionamento del capitalismo. è in gioco la sua stessa immagine. E qui non bastano i tanto bistrattati economisti di cui parla Scalfari. Debbono riflettere intellettuali d' assai più ampie vedute.

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http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica14052002.html

Repubblica  14/05/2002
Gli anticorpi perduti della società italiana
SOMMARIO: Questo governo ha dato l' assalto allo Stato di diritto
Il tentativo consiste in sintesi, nel sopprimere la separazione tra potere esecutivo, giudiziario e legislativo
Il nostro Paese è ammalato e non ha i mezzi per curarsi
Solo così si spiega l' ascesa al potere di un gruppo politico in cui pullulano gli indagati e i condanna
 PAOLO SYLOS LABINI

TESTO: Spesso, anche se non sempre, gli uomini politici che raggiungono il vertice del potere hanno pochi scrupoli e molto cinismo. Le moderne democrazie parlamentari mirano appunto ad impedire che quella mancanza di scrupoli e quel cinismo procurino gravi danni alla collettività. Una metafora tratta dalla medicina può chiarire le idee: la democrazia, in tutte le sue componenti, fra cui la giustizia e la libertà d' informazione e di espressione, rappresenta un sistema di anticorpi. Se questi anticorpi non funzionano, compaiono i sintomi di quella terribile malattia chiamata Aids, l' immunodeficienza acquisita, contraendo la quale gli agenti patogeni hanno via libera e possono portare alla morte. Fuor di metafora: se in una società compare l' Aids i politici lestofanti hanno via libera e dilagano le prepotenze, la corruzione ed altri mali che trasformano la società in una mefitica palude o in una gigantesca fogna, dove la dignità delle persone va alla malora e dove è assai brutto vivere anche se ci vuole tempo per rendersene conto. L' idea consolatoria, oggi diffusa in Italia, secondo cui "tutto il mondo è paese", è sbagliata, non perché i politici degli altri paesi siano degli angioletti (spesso non lo sono), ma perché ignora la questione degli anticorpi. Nixon non era certo un modello di moralità, ma in America gli anticorpi hanno funzionato: la libera stampa lo ha messo sotto accusa e lui non ha neppure tentato di tacitarla i tentativi avrebbero aggravato la sua posizione; Nixon, è vero, cercò di mettere in condizioni di non nuocere il magistrato che portava avanti le accuse ma fallì clamorosamente, poiché il ministro della Giustizia, che era stato nominato da lui stesso, si dimise ed ebbe luogo una sollevazione nel Parlamento, che pure era a maggioranza repubblicana. Quello di Nixon, sia ben chiaro, è solo un esempio. Il punto è che il grado di civiltà di un paese, come lo stato di salute di una persona, dipende in primo luogo dagli anticorpi: quando diventano insufficienti, compare l' Aids. Nel nostro tempo la società italiana è affetta da questa terribile malattia: gli anticorpi non funzionano. Solo così si può spiegare l' ascesa al potere di un gruppo politico in cui pullulano gl' indagati e i condannati ed in cui il capo ha un curriculum giudiziario che culmina con l' accusa di corruzione di giudici e che è stato sintetizzato dall' Economist nella primavera del 2001 in un' agghiacciante tabella, aggiornata di recente; può consolarsi solo chi dà retta a Berlusconi, secondo il quale di quella rivista non c' è da fidarsi, poiché è influenzata dai comunisti, in armonia con un' antica tradizione la rivista fu fondata nel 1843, precedendo di ben cinque anni il "Manifesto" di Marx ed Engels. Di recente le principali accuse mosse al capo del governo ed ai suoi stretti collaboratori sono state reiterate, con linguaggio bizzarro e fiorito ma non equivoco, da uno che la sa molto lunga, Filippo Mancuso, ex Forza Italia. Non è vero che "tutto il mondo è paese", perché anche fra i leader politici privi di scrupoli c' è una graduatoria e nessuno ha un curriculum giudiziario minimamente paragonabile a quello di Berlusconi; i provvedimenti che sta prendendo e quelli che si appresta a prendere suscitano stupore e incredulità nel mondo civile. Per consentirli di giustificare le sue malefatte, gli eruditi consiglieri del Cavaliere gli hanno suggerito di scrivere, come già aveva fatto Mussolini, la prefazione del Principe di Machiavelli ristampato dalla "Silvio Berlusconi editore"; quei consiglieri, che amano impartire agli intellettuali "moralisti" l' originale lezione secondo cui morale e politica non vanno confuse, dovrebbero tener presente che Machiavelli scriveva quando ancora non esisteva né la democrazia parlamentare, che, dove funziona, ha anticorpi istituzionalizzati, né il capitalismo industriale moderno, avviato in Inghilterra da una borghesia che aveva fatto propria la morale "puritana". A differenza del capitalismo mercantile, quello industriale trae la sua forza propulsiva dalla ricerca e dalle innovazioni da un lato e dalla concorrenza dinamica dall' altro; a lungo andare lo sviluppo del capitalismo moderno è sostenibile solo nel rispetto di regole severe. Due esempi. Alla débacle argentina ha dato un forte contributo una corruzione sempre più diffusa, che comprendeva una gigantesca evasione fiscale; noi rischiano di far la fine dell' Argentina. La legge sul falso in bilancio va respinta per ragioni non solo "morali", ma anche economiche, giacché scoraggia gl' investimenti stranieri in Italia (i paesi civili hanno regole rigorose cui i manager si debbono attenere anche quando vanno fuori del loro paese) è crea disparità nella concorrenza fra le imprese europee, ciò che spiega perché in Europa si stanno preparando ricorsi presso le autorità competenti. Che tutto ciò sia economicamente grave sta diventando chiaro agli stessi industriali non affetti da provincialismo. In Italia gli anticorpi sono insufficienti per tante ragioni, fra cui la caduta verticale degli ideali e l' azione del governo Berlusconi, che sta facendo il possibile per ridurre ulteriormente gli anticorpi, compiendo opera di intimidazione e di corruttela nei riguardi di magistrati, di politici, di giornalisti, di intellettuali. In sintesi l' assalto allo stato di diritto consiste nel tentativo di sopprimere la separazione dei tre poteri, l' esecutivo, il giudiziario e il legislativo. Si è discusso molto dell' attacco all' indipendenza del potere giudiziario; si è invece discusso poco del tentativo portato avanti con le amplissime deleghe al governo ed ora con la progettata riforma della Corte costituzionale che cancellerebbe il sindacato delle leggi di subordinare istituzionalmente il potere legislativo a quello esecutivo che così diverrebbe l' unico potere, come nel fascismo. Casini e Pera, i garanti del potere legislativo, non reagiscono? Vogliono diventare i becchini della democrazia? L' Aids è una malattia grave ma curabile e ciò vale anche per l' Aids sociale. Potremo guarire solo se ci convinciamo che è in gioco la nostra stessa dignità: accettiamo di diventare sudditi o vogliamo restare persone libere? Noi stessi possiamo agire da anticorpi e con tenacia e determinazione possiamo avere successo: certi segnali sono incoraggianti. -

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http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica20101998.html

TESTATA: REPUBBLICA DATA: 20/10/1998
Non bastano le scuse di Cossiga a Ciampi
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
 
 HO avuto piu' volte occasione di discutere con Carlo Azeglio Ciampi le idee che gia' erano in gran parte comuni a economisti di diversi paesi e che sono state rielaborate e travasate nel "Manifesto contro la disoccupazione in Europa" promosso da Franco Modigliani. Il leitmotiv e' dato dalla tesi che la disoccupazione può esser vinta in tempi non lunghi e va combattuta attraverso uno stretto coordinamento delle politiche economiche dei governi europei. Fu Ciampi, in una riunione di settembre 1997 dei ministri economici europei, a far approvare il principio che un tale coordinamento doveva essere perseguito - i piu' ostili erano allora i tedeschi - cominciando ad avviare un monitoraggio sull' andamento dell' occupazione. Ciampi e' entrato nel governo Prodi proprio per perserguire l' obiettivo dell' unificazione europea, il cui primo passo era rappresentato dall' unificazione monetaria: a sua volta, questa presupponeva il riasanamento delle finanze pubbliche. L' obiettivo era dunque politico. Ma era indipensabile creare le premesse economiche per avviarsi verso una piena unificazione europea. Il costo, determinato da una dura politica restrittiva, e' stato molto alto - l' abbiamo messo in evidenza nel "Manifesto" - e fra l' altro si e' tradotto in un grave aumento della disoccupazione. Sotto l' aspetto economico, e' vero, abbiamo gia' ottenuto risultati decisamente positivi - avvio del risanamento delle finanze pubbliche, gravemente dissestate per effetto delle politiche seguite nella prima repubblica, quasi azzeramento dell' inflazione, forte riduzione dell' interesse. Recentemente, si e' aggiunto un vantaggio non previsto: la capacita' di resistenza alla crisi finanziaria mondiale ora in atto, una capacita' che le singole monete europee non avrebbe avuta, meno delle altre l' avrebbe avuta la lira. Ma in prospettiva i vantaggi istituzionali e politici da raccogliere sono ben piu' importanti: mi riferisco alle riforme istituzionali riguardanti il diritto societario, i sistemi fiscali e il sistema degli appalti (le direttive comunitarie gia' in atto non bastano a ridurre in misura significativa il tasso di corruzione) e la riorganizzazione della ricerca e dell' Universita' (da noi oggi solo uno studente su tre giunge alla laurea). In una prospettiva piu' lontana i vantaggi massimi si potranno ottenere dall' unificazione politica, che potra' rendere minimi i rischi di altre guerre europee. Nell' intervallo fra il suo governo e quello di Prodi, Ciampi aveva presieduto il Gruppo consultivo per la competitivita' presso il Consiglio europeo, costituito da ex- ministri, manager di grandi societa' europee, leader sindacali ed economisti; il Gruppo aveva elaborato tre ampie relazioni, poi pubblicate nel 1996 in un volume da Laterza. Le proposte erano in piena sintonia con quelle elaborate da diversi economisti e poi in parte incluse nel "Manifesto", come l' idea di rilanciare gli investimenti in infrastrutture specifiche, i distretti e i legami fra attivita' produttive e ricerca. I costi per entrare nell' Euro sono stati gravissimi non solo in termini finanziari, ma anche in termini di energie umane: chi concentra gli sforzi verso un grande obiettivo, non può far molto in altre direzioni, giacche' anche le energie intellettuali e umane sono limitate. Oggi finalmente si erano create le premesse per una politica volta a combattere la disoccupazione, specialmente nel Sud, e a rilanciare la ricerca, di base e applicata. e' intervenuta una crisi sciagurata, determinata da persone irresponsabili e settarie, che hanno rifiutato anche l' apertura fatta in extremis da Prodi per possibili emendamenti della legge finanziaria; la crisi e' stata resa piu' grave da personaggi che spesso straparlano. Alludo al presidente Cossiga, che, proprio in un' intervista a Repubblica, ha fatto affermazioni calunniose contro Ciampi. Se fossero state affermazioni insultanti ma generiche sarebbero bastate le scuse espresse pubblicamente da chi le ha pronunciate e che hanno consentito a Ciampi di ritornare sulla sua decisione di non partecipare a un governo in cui probabilmente entreranno persone che hanno in Cossiga il loro leader. MA quel che può esser sufficiente per la partecipazione di Ciampi al governo, non basta a persone come me, e come tanti altri, che non hanno responsabilita' riguardanti l' interesse pubblico e che hanno letto con attenzione l' intervista di Cossiga. Le sue erano affermazioni non genericamente insultanti, ma precisamente calunniose: "Piuttosto che Ciampi a palazzo Chigi preferirei vederci Gianni Agnelli, anzi Umberto Agnelli" perche' e' "meglio il referente diretto". E aggravava le affermazioni calunniose facendo chiaramente intendere che le stesse privatizzazioni sono state parziali e infelici proprio perche' condizionate da quei rapporti privilegiati con i due fratelli. Ora, di privatizzazioni ne sono state fatte in gran parte dei paesi industrializzati, seguendo modi e tempi molto diversi fra loro; essendo processi quanto mai complessi, sono del tutto normali e anche utili le divergenze tecniche. Ma le divergenze tecniche sono una cosa, le calunnie un' altra, che non vanno adoperate neppure quando, per ragioni politiche, si vuol bruciare una candidatura alla presidenza del Consiglio: non se ne può piu', nel nostro infelice paese, del machiavellismo. Per riguardo non solo a Ciampi, ma a tutti i cittadini che hanno il diritto di sapere se chi sta al Tesoro e al Bilancio e' o non e' un mascalzone, sia pure mascherato, il presidente Cossiga deve specificare su quali basi ha fatto quelle affermazioni calunniose. Se quelle basi non ci sono, ha il dovere di dirlo, uscendo dal generico, ammesso che tenga a una considerazione non negativa delle persone civili, che pure in Italia non mancano.


http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/unita2604002.html

L'Unità 26/04/2002
 Chi ha paura dei Giornalisti
 Paolo Sylos Labini
 
 I selvaggi attacchi di Berlusconi a Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi hanno turbato perfino alcuni sostenitori di Berlusconi come Cesare Romiti. Finora gli attacchi ai giornalisti non hanno avuto esito, ma gli esecutori del capo non demordono. Il prossimo obiettivo del presidente Baldassarre, ex comunista, ex socialista lombardino, ex altro, ma oggi notoriamente al di sopra delle parti, sarà Santoro, non perché dice certe cose (ohibò!) ma perché le dice in forme estremiste - un po' di educazione lo salverebbe (con espressione gentile e democratica il capo aveva definito «criminose» le trasmissioni di Santoro e degli altri due reprobi). È difficile definire maleducato Biagi, che per di più ha una «audience» enorme\, ma il suo contratto scade fra non molto: è malizioso pensare che il suo contratto non sarà rinnovato o sarà modificato in modo da metterlo in condizioni di non nuocere al capo - il quale, ha assicurato Baldassarre, nelle televisioni «pubbliche» ha il d iritt o di parlare come e quando vuole, se no che capo è?
 
 La libertà di stampa sotto attacco PAOLO SYLOS LABINI
Segue dalla prima L'amichevole rimbrotto a Santoro, però, andrebbe integrato da un bell'encomio a Vespa, per l'esemplare imparzialità. Anche negli anni 1922-'25 i giornalisti non allineati subivano attacchi: il fascismo era al potere, ma non era ancora regime, ossia non aveva ancora assunto pienamente i caratteri di uno stato autoritario. I nostri «liberali» preferiscono non parlare dei rischi che oggi corre la libertà di stampa (dovrebbero insorgere!), ma si affannano a dimostrare che non c'è un regime ed anzi non c'è nemmeno il pericolo. È bello avere questi liberali che ci fanno dormire tranquilli. È evidente: gli attacchi alle persone preludono all'attacco alla libertà di stampa. Non è una novità: già nel suo primo governo, nel novembre 1994, Berlusconi aveva dichiarato che era necessaria una «legge speciale sulla stampa» per porre fine alle «distorsioni» dei giornalisti. Poco dopo il Cavaliere fu disarcionato da Bossi e non ebbe modo di tentare di attuare quel progetto - che nel 1925 fu attuato da Mussolini insieme con altre leggi eccezionali. L'altro pilastro dello stato di diritto è l'autonomia della magistratura. Il fascismo, divenuto regime, dovette creare il Tribunale speciale perché non era riuscito a domare tutti i giudici e non aveva osato fracassare istituzionalmente l'autonomia della magistratura, come ha messo in evidenza l'ex Presidente Scalfaro. In quegli anni (1922-'25) erano ancora pochi gli intellettuali di spicco che denunciavano il pericolo di regime - troviamo il giovanissimo Piero Gobetti, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Giustino Fortunato e pochi altri\, perfino Croce aveva assunto una posizione filofascista, al punto da interrompere i rapporti con Fortunato e da votare a favore di Mussolini al Senato dopo l'assassinio di Matteotti\, è un richiamo triste, che tuttavia indica i danni che può fare un conservatorismo viscerale. Solo dopo le leggi eccezionali Croce si rese ben conto della situazione e fece onorevole ammenda pro moven do il manifesto degli intellettuali e diventando, d'allora in poi, il vessillifero culturale dell'antifascismo. Fra coloro che escludevano il rischio di autoritarismo c'era - non so se c'è ancora - Angelo Panebianco, che nel Corriere della sera del 6 aprile scriveva «Berlusconi ha vinto in libere elezioni» «perché ha costruito solide alleanze e perché una maggioranza relativa d'italiani, incurante del fatto che secondo Sylos Labini non ne aveva il diritto, ha giudicato negativamente i governi di centrosinistra». Non ho mai avuto dubbi: le maggioranze, sia pure relative, vanno rispettate\, ma il gioco democratico prevede diverse possibilità, che un'opposizione seria deve sfruttare. In primo luogo, si tratta di seguire attentamente le crepe che si delineano nella coalizione avversaria, la quale è tutt'altro che «solida»\, inoltre certe imposizioni ed alcune misure sono state così oscene da aver provocato il dissenso aperto di alcuni abitanti della «Casa» - c'è una soglia di dig nità per tutti. Si tratta poi d'influire sulle elezioni amministrative e di costituire gruppi di pressione per influire sull'opinione pubblica, di destra e di sinistra, come io ed altri stiamo facendo col movimento «Opposizione civile»\, sono gruppi che possono preparare il terreno per le future elezioni politiche e, nell'immediato, contrastare i disegni più pericolosi. Spiccano, fra questi, gli attentati al pluralismo dell'informazione e all'autonomia della magistratura. Ma l'elenco delle misure oscene, già attuate, è tremendo: rogatorie, falso in bilancio, rientro dei capitali illecitamente esportati, opposizione al mandato di cattura europeo\, circola poi il progetto di una legge truffaldina per i conflitti d'interesse, a cominciare da quello sulle televisioni. È un quadro angoscioso. Come mai, fra i Ds e nella Margherita, sono ancora diversi coloro che non danno segni di particolare preoccupazione ed anzi continuano a dire che i critici intransigenti di Berlusconi portano acqu a al suo mulino? Eppure è ben noto che secondo serie indagini sociologiche i «demonizzatori» hanno spostato milioni di voti a favore del centrosinistra nelle tre settimane prima delle elezioni. Perché dunque quella incredibile ostinazione? Le risposte sono molteplici. Forse la principale è che bisogna pur continuare a vivere in un paese in cui Berlusconi conta molto: vanno perciò censurati i «demonizzatori» ed assunti a modello coloro che moderano le critiche. È vero, spesso il capo si lascia andare - giudici fautori di guerra civile, trasmissioni «criminose», attacchi della stampa estera attuati da «comunisti» o da succubi di «comunisti» (non compare la stampa russa, grazie all'influenza di Putin, già capo dei servizi segreti dell'Unione Sovietica, ma oramai redento, grazie a Berlusconi). Bisogna però essere indulgenti con un grande capo che è oggetto di una spietata persecuzione e non ripagarlo con la stessa moneta: occorre usare toni pacati. I toni, va bene, ma che dire dei con tenut i: sono false o esagerate le accuse dei «demonizzatori»? Se non lo sono le responsabilità dei critici «equilibrati» alla lunga risulterebbero assai gravi, poiché avrebbero indotto a ritenere fisiologico e pressoché normale quel che non era in alcun modo né fisiologico né normale. C'è poi l'osservazione consolatoria: tutto il mondo è paese. È ovvio che in politica i lestofanti ci sono in tutti i paesi. Ma solo da noi cercano di sovvertire la Costituzione e d'inserire norme volte ad assicurare l'impunità di chi comanda. Solo da noi il capo è accusato di un reato orrendo, la corruzione dei giudici. Ancora trent'anni fa l'Italia aveva connotati meno incivili: i politici inquisiti si mettevano da parte. Il problema non è semplicemente politico: è un problema di decenza e d'immagine verso le nuove generazioni. Neppure Berlusconi si sentirebbe di definire comunisti i sei «moderati» che sull'Eco di Bergamo del 18 dicembre hanno scritto: «È necessario che l'opinione pubblica sia avver tita che il nostro Paese sta attraverso un periodo terribilmente delicato, dal quale potrebbe derivare un esito infausto, caratterizzato da forti tendenze autoritarie. È necessario che l'opposizione sia condotta nel Paese mobilitando la società civile ed ogni persona sensibile agli interessi generali e non solo al proprio particolare. È necessario utilizzare ogni strumento di lotta democratica per contrastare questa deriva, finché si è in tempo. Per non trovarci domani a non saper giustificare un comportamento inerte di fronte alle nuove generazioni, quando ci chiederanno come mai nessuno si fosse accorto di quanto stava accadendo».

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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 28/07/2001
Falso in bilancio e magistratura la strana fretta di Berlusconi
 
SOMMARIO: C' è da sperare in un sussulto d' orgoglio del centrosinistra E forse qualche parlamentare del Polo in un soprassalto di dignità dirà no al Cavaliere Il governo procede a grande velocità con progetti eversivi dello Stato di diritto Durante l' estate tutti abbassano la guardia e i colpi di mano sono più facili AUTORE: PAOLO SYLOS LABINI TESTO: Che nel nucleo essenziale il programma del Cavaliere - orpelli a parte - fosse cinicamente reazionario e spudoratamente ritagliato sugli interessi suoi e della famiglia, lo si sapeva. Almeno lo sapevano bene i «demonizzatori» come me: la quasi depenalizzazione del falso in bilancio, l' abolizione della tassa di successione e di donazione, le botte in testa ai sindacati e alla concertazione, l' attacco all' autonomia della magistratura. È vero, parecchi sono progetti e non è detto che andranno in porto. Ma i progetti ci sono e, nell' insieme, già costituiscono un insieme di misure eversive dello Stato di diritto, che fanno apparire inadeguate le fosche previsioni formulate, nel nostro appello, da Bobbio, da Galante Garrone, da Pizzorusso e da me. Il programma desta poca sorpresa; sorprende però la fretta e l' allargamento del menù, per ora, alle cooperative. Penso che la fretta vada spiegata con tre motivi. Uno: durante le vacanze estive tutti abbassano la guardia e i colpi di mano sono più facili, specialmente se inseriti in un comma aggiuntivo di qualche progetto già pronto. Due: il centrosinistra appare come un pugilatore intontito - groggy dicono gli americani - e conviene approfittare per assestare subito nuovi pugni al mento. Tre: non tutti i parlamentari della Casa delle libertà hanno rinunciato a qualsiasi dignità, alcuni cercano di difendere in qualche modo la loro immagine, come si è visto dopo il tentativo della quasi depenalizzazione del falso in bilancio: far presto significa ridurre i rischi di casi di coscienza. Qualche commento sulle due misure più oscene. L' attacco all' autonomia della magistratura viene condotto, per ora, su due linee: gravi limitazioni alle azioni antimafia e obbligo di trasmettere informazioni all' autorità politica; un comma, inserito in un progetto di legge, che dà la facoltà a un ministro di chiedere il «comando» di un magistrato presso il suo gabinetto, «anche senza il consenso del Consiglio superiore della magistratura»: l' aggiunta è piccola, ma geniale, poiché consente al potere politico di neutralizzare i magistrati indipendenti. Falso in bilancio. Il Cavaliere dispone di avvocati bravissimi come uomini di legge, pessimi come esperti di economia. Altrimenti non avrebbero avuto il coraggio di affermare che il falso in bilancio può danneggiare solo i soci che, per di più, per ottenere la condanna di chi li danneggia debbono fare querela. No, cari avvocati: il falso in bilancio danneggia in primo luogo i concorrenti che non lo praticano e allontana le imprese estere, che non si sentono di investire in un paese in cui il falso in bilancio è tollerato, con la conseguenza che vengono alterate le regole della concorrenza - a parte la vergogna di essere equiparati alla repubblica di Duvalier. Dal momento che sulla depenalizzazione del falso in bilancio c' era la piccola foglia di fico che ho ricordata, alcuni parlamentari della Cdl si sono risentiti quando è stata lanciata l' accusa che il progetto danneggia l' interesse pubblico e favorisce quello di Berlusconi e di alcuni suoi soci. Cari parlamentari, avete poco da risentirvi: è ovviamente così. Più volte il Cavaliere ha assicurato che in un modo o nell' altro avrebbe «risolto» il conflitto d' interessi; la prima volta lo promise a Scalfaro. Nel frattempo l' ha fortemente aggravato. Nella rete Sette c' è ora un suo fidato collaboratore in posizione di spicco. E le reti pubbliche sono letteralmente assediate. Il bravo Gasparri sta usando tutti i mezzi per subordinarle ai voleri del capo: canone, pubblicità, minacce - alternate con lusinghe. Il governo Berlusconi è cominciato malissimo, anche peggio di quanto i «demonizzatori» prevedessero. Alcuni membri del governo, che sono anche avvocati, non abbandonano la difesa di persone in odore di mafia, creando imbarazzo nelle stesse file della Cdl. Un ministro (Infrastrutture) si trova in una situazione di patente conflitto d' interessi. L' organizzazione dei G8 è stata, come quasi tutti riconoscono, balorda: bastava stabilire che i 1000 o i 1500 individui del «black bloc», noti a tutte le polizie, non dovevano entrare in Italia «per motivi di ordine pubblico». Occorreva del genio per prendere una tale decisione? O c' era l' idea delle prove d' orchestra? Il buco di Tremonti. Ha fatto lo slalom tra le cifre, giocando su ambiguità di vario genere; i commenti di importanti organi della stampa estera sono stati misurati, ma tremendi. Pochi hanno notato che l' intero Documento di programmazione economica e finanziaria si fonda sull' ipotesi che nel 2002 il reddito cresca del 3 per cento. E se dovesse crescere nettamente di meno? Non è un' ipotesi stravagante: da giugno il prezzo del petrolio è sceso del 20 per cento e diminuiscono i prezzi di diverse materie prime - sono segni che la congiuntura internazionale è divenuta debolissima: la locomotiva americana è ferma, quella giapponese retrocede. Anche senza fare ipotesi catastrofiche, ciò non potrà non avere effetti negativi sulla crescita del reddito e dell' entrata fiscale in Europa. L' attacco ai sindacati e alle cooperative desta gravi preoccupazioni: rappresentano gli stessi obiettivi che ebbe all' inizio il fascismo prima maniera. Sono istituzioni importanti per la democrazia liberale proprio perché hanno radici antiche e si distribuiscono sul territorio. Nonostante il mio pessimismo, farò due ipotesi ottimistiche. La prima: il centrosinistra, che tuttora sembra un pugile suonato, ha un soprassalto di orgoglio e reagisce con forza e, quel che più conta, con continuità alla spudorata prepotenza di Berlusconi per impedire che vadano in porto i progetti appena ricordati. Sappiano i leader che questo è solo l' antipasto: se non c' è subito una reazione adeguata il passo che seguirà sarà assai più ricco - e disgustoso. Seconda ipotesi ottimistica: un certo numero di parlamentari della Cdl per un soprassalto di dignità dirà al Cavaliere: no, queste misure sono contro l' interesse pubblico e anzi contro la decenza e noi non le votiamo. Esagero con l' ottimismo?

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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 09/07/2000
Il rischio palude per l' Italia del 2000
 
I 111 anni di Antonio il più vecchio del mondo Pastore per tutta la vita è stato festeggiato ieri nel suo paese in Barbagia, vicino Nuoro. Gli ultracentenari sono cinquemila SOMMARIO: L' annoso problema dei conflitti di interesse non risolti può falsare lo sviluppo democratico in un paese leader come il nostro AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI TESTO: AFFERMA Fedele Confalonieri in una intervista a "Repubblica" (25 giugno): per risolvere il conflitto d' interesse "l' unico sistema è quello di Sylos Labini, l' ineleggibilità". Ringrazio per l' apprezzamento, ma quello non è un sistema inventato da me: è una legge, semplice e chiara, del 1957, che ripropone una norma del 1949. E le leggi, in un paese civile, vanno rispettate, anche se non piacciono; quella norma è stata aggirata con un miserabile cavillo. L' Italia, continua Confalonieri, ha una storia diversa da quella inglese e americana; il conflitto d' interessi, che, è vero, in quei paesi è in vari modi efficacemente regolato, da noi non lo è e non deve esserlo: "è un pezzo della grande anomalia italiana". Sfugge a Confalonieri che il principale problema odierno è proprio quello di far diventare l' Italia un paese civile o, più modestamente, un paese normale. è stato osservato che i conflitti d' interessi sono tanti. è probabile. Ma gli altri - salvo dimostrazione contraria - sono incerti o sono modesti: quello che fa capo a Berlusconi è indubbiamente mostruoso: oltre l' impero televisivo, che non costituisce solo un gigantesco affare economico, ma anche uno strumento di efficacia inaudita per condizionare gli orientamenti politici; oltre quell' impero, troviamo banche, assicurazioni (Mediolanum), interessi immobiliari: il conflitto è mostruoso perché rende impossibile, perfino nei più limitati atti di governo, non incappare in qualche conflitto. Se riuscirà a diventare presidente del Consiglio, controllerà tutte le televisioni nazionali: il regime diventerà quello non del grande ma del grandissimo fratello. "Non faremo prigionieri": aveva detto pochi anni fa Previti; non occorre essere pessimisti per prevedere liste di proscrizione. Per affermarsi politicamente il Cavaliere ha usato tutti i mezzi e adottato tutte le possibili ideologie, esclusa quella comunista. L' ottimo Bossi dichiarò al Corriere della sera (22 luglio 1998) che aveva fatto il ribaltone per bloccare Berlusconi che gli stava comprando, uno dopo l' altro, i suoi parlamentari. Sempre al Corriere (26 luglio 1999) Mastella dichiarava: "Con Berlusconi, ora non ho niente in comune. I soldi stanno ammazzando la politica. Egli ci sta togliendo dal mercato, tutti. Se potesse, si comprerebbe anche D' Alema". Sul piano ideologico, Berlusconi si è presentato, di volta in volta, come liberale, erede di Croce e di Einaudi; come popolare, erede di Luigi Sturzo; ha accolto nella casa comune Bossi - l' amico di Haider - e, ma non bisogna dirlo ad alta voce, Rauti. Che io sappia non ha rivendicato, fra i suoi precursori, Cattaneo, Salvemini e Rossi. A osservatori frettolosi è apparso paradossale che un esponente dell' antica Democrazia cristiana, Oscar Luigi Scalfaro, abbia duramente sferzato il Centrosinistra, esortando tutti i partiti che lo compongono a non darsi per vinti (prima di combattere e a non comportarsi "come galline, di quelle che nemmeno fanno le uova" o, a scelta, "come un branco di pecore pascenti"; dopo le sferzate, concludeva: "ci vuole più unità, per vincere e per impedire che la patria finisca in mani non idonee a governare". Ben detto! Alcuni comprimari del Polo hanno obiettato che nei riguardi del Cavaliere Scalfaro è animato da pregiudizi ostili. Certo, i rapporti divennero subito difficili, giacché, nell' affidargli l' incarico di governo, Scalfaro chiese a Berlusconi di non nominare Previti, suo avvocato, ministro per la Giustizia; ma questa era una richiesta sacrosanta - forse, se l' avesse saputo, avrebbe avanzato una simile richiesta per la nomina di Tremonti, fiscalista del medesimo, a ministro per le Finanze. Ma c' è molto di più. C' informa Eugenio Scalfari ("Repubblica", 25 giugno) che Scalfaro conferì l' incarico a Berlusconi "vincolandolo per iscritto a sciogliere il nodo del conflitto d' interessi entro pochi giorni e ricevendone piena garanzia, tuttora inevasa". è vero: Berlusconi incaricò subito tre "saggi" per risolvere il problema; in seguito presentò, con altri parlamentari, un disegno di legge sul conflitto d' interessi. è vero: i partiti del Centrosinistra non lo hanno incalzato e lui ha tirato a campare. Ma gl' impegni d' onore debbono essere assolti da chi li prende, senza aspettare che altri lo incalzino. Se no, che impegni d' onore sono? O il mantenimento di tali impegni è lasciato alla discrezione degli interessati - essendo questo "un altro pezzo della grande anomalia italiana"? Scalfaro non ha fiducia in Berlusconi: ha perfettamente ragione. Scalfaro è un gran galantuomo. Posso testimoniare che ne era convinto anche Ernesto Rossi, ben noto anticlericale; si era formato quella convinzione dopo che Scalfaro, ministro dei Trasporti, aveva accolto la sua richiesta di porre fine ad una oscena ruberia, che avveniva in quel ministero. Ernesto, stupefatto, gli dette pubblico riconoscimento. Penso che quel riconoscimento, che fece impressione a tutti, abbia influito sul giudizio di Pannella, che si dette da fare per la nomina di Scalfaro alla Presidenza della Repubblica. Ernesto era nella tradizione del liberalsocialismo; dunque gli azionisti, questi "rovinosi moralisti", colpiscono ancora? Le frustrate di Scalfaro qualche effetto già lo hanno avuto. Io mi permetto di aggiungere, rivolgendomi ai Popolari: proponete la legge del 1957 con una norma "anticavillo" - una proposta in questo senso c' è già: è stata presentata alla Camera nel 1998 dall' on. Veltri. Mettete bene in chiaro che la legge così emendata deve valere per tutti, anche per Cecchi Gori: non è Berlusconi in quanto tale ad essere preso di mira, ma, com' è giusto, chiunque si trovi nelle sue condizioni. Quando anni fa, Vittorio Cimiotta ed io organizzammo un gruppo di pressione - con Alessandro Galante Garrone, Antonio Giolitti, Vito Laterza, Alessandro Pizzorusso - per far rispettare la legge del 1957, rivolgemmo un appello, anche attraverso contatti personali, ad alcuni leader dei Popolari per esortarli a lasciare perdere Cecchi Gori. Fummo considerati "moralisti" ai quali politici navigati non potevano prestare ascolto. Se loro, come i Ds, avessero riconosciuto che in un paese civile le leggi valgono per tutti, oggi politicamente non saremmo nell' assai infelice condizione in cui siamo. Non è troppo tardi. è del tutto possibile rimediare, approvando la legge emendata per poi farla rispettare da tutti, amici e avversari. Ma che diavolo vogliamo lasciare ai nostri figli, un paese largamente stimato all' estero e almeno tendenzialmente civile o una palude mefitica?


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TESTATA: AFFARI & FINANZA DATA: 12/06/2000
Quanti punti da chiarire sulla ricerca
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
 
Di recente si è molto discusso d' innovazioni. Ne ha parlato il governatore Fazio e c' è stato un botta e risposta fra D' Amato e Cofferati, fra Confindustria e Cgil. Ma non si è parlato quasi affatto di ricerca, che è dietro le innovazioni, e non si è neppure fatto cenno al Programma nazionale della ricerca presentato al Cipe dal ministro per l' Università e la ricerca ed approvato il 22 maggio. Negli ultimi anni l' Accademia dei Lincei ha organizzato ben quattro convegni sulla ricerca: è stato denunciato con parole di fuoco il grave ritardo del nostro paese, finora con risultati assai scarsi. L' approvazione del Programma è un fatto positivo, che in una certa misura corrisponde agli auspici dell' Accademia dei Lincei e di tanti studiosi. Quanto all' informazione ed ai confronti internazionali il documento è ben fatto, anche se incompleto. Ma le linee d' invertento, pur condivisibili, sono generiche. Si dà rilievo al rapporto tra le spese per ricerca e sviluppo sul Pil, che però, dopo sei anni, passerebbe dall' 1,1 all' 1,9%, ciò che comporterebbe addirittura un peggioramento nel divario con l' Europa: la quota europea, che oggi si aggira sul 2%, nel frattempo passerebbe al 3%, che è l' obiettivo approvato dal Parlamento europeo, in un periodo, però, assai più breve (tre anni). Le perplessità si aggravano considerando i problemi reali e organizzativi, che sono accennati, ma non specificati, come nel caso dell' idea, in sé giusta, di un "intervento organico che valorizzi i giovani ricercatori di talento" o dell' idea di incentivare il ritorno dall' estero di ricercatori e di docenti italiani. Anche il "quadro delle priorità" è interessante ma generico. Si vogliono inserire 25-30 mila nuovi ricercatori, ma non si dice quanti siano oggi - le cifre, è noto, variano secondo i criteri usati. S' intende stabilire un nesso stretto tra formazione e ricerca; ma non si dice come e si dice ben poco sui rapporti tra Università e ricerca. Il metodo prescelto per dare attuazione al programma consiste nella ricerca del consenso; forse si allude a sistematiche consultazioni, ma non è chiaro; eppure si tratta di un punto cruciale. Resta nell' ombra la composizione delle spese, specialmente: persone e attrezzature. In particolare, non si parla dei laboratori delle Università, del Cnr e di altri enti né dei metodi per rendere sistematiche le relazioni fra Università, enti di ricerca e imprese. Non si dice nulla sugli organismi per la diffusione delle nuove tecnologie fra le piccole imprese, che non sono in grado di creare laboratori nel loro interno, e sul sostegno ai consorzi fra imprese per la promozione della ricerca applicata in certi importanti rami industriali, come l' industria meccanica, eventualmente promuovendo centri di coordinamento; e non si chiarisce la strategia per la ricerca applicata, che pone il problema della localizzazione e quello della riforma organizzativa dei distretti. Nell' indicare come modello l' economia americana il governatore Fazio non ha ricordato che alla base della crescita del reddito e della produttività, oltre le caratteristiche del mercato del lavoro (che tuttavia generano non poche conseguenza negative), negli Stati Uniti sono importanti gli investimenti pubblici e privati per la ricerca. Tuttora hanno luogo gli effetti di massicci investimenti pubblici compiuti nel passato per ricerche d' interesse militare, i cui risultati sono stati messi quasi gratuitamente a disposizione delle imprese private. Ci sono poi le spese oggi in atto, che in termini percentuali sono circa il triplo delle nostre. Anche il presidente D' Amato ha parlato d' innovazioni, ma senza far riferimento alla ricerca, un campo in cui le imprese private italiane non hanno mai brillato, anzi. Paradossalmente, nel campo della ricerca sono più convincenti i sindacati, che nel 1993 firmarono con Ciampi, allora Primo ministro, un protocollo in cui, sia pure come affermazione di principio, si poneva nel massimo rilievo l' importanza della ricerca, anche per i nessi con la formazione. La quota delle spese R&S è scesa dall' 1,3% nel 1990 all' 1,1 nel 1999; la diminuzione ha riguardato tanto la quota pubblica quanto quella privata, che è trascinata da quella pubblica. In alcuni rami, come la chimica farmaceutica e i computer, negli ultimi decenni la nostra posizione è peggiorata; in altri - la robotica e certi sottosettori della meccanica - è migliorata; nel complesso in Europa la nostra posizione è, a dir poco, infelice. Ma la nostra debolezza competitiva non è solo preoccupante rispetto ai paesi avanzati: è grave anche riguardo ai paesi più dinamici del Terzo mondo, che stanno a poco a poco erodendo le quote di mercato delle nostre industrie tradizionali. Le innovazioni hanno origini diverse: importazione di brevetti e di nuove macchine e attrezzature, imitazione creativa, produzione interna mediante la ricerca. è evidente che la più importante per lo sviluppo economico e civile è la produzione interna, che arricchisce anche la vita culturale. Sotto l' aspetto economico, non è in gioco solo il volume, ma anche la composizione dell' occupazione: uno sforzo molto maggiore per la ricerca porta con sé un numero rapidamente crescente, sia di scienziati e di ricercatori, sia di specialisti e di tecnici. Il Fondo monetario internazionale ha stimato in via congetturale gli effetti delle spese R&S sullo sviluppo economico tanto nei paesi avanzati quanto in quelli arretrati. Usando criteri del tutto diversi ne ho stimato gli effetti sullo sviluppo economico italiano: sono visibili e rilevanti, anche se, beninteso, non immediati. Proprio perché gli effetti non sono immediati, una classe politica miope tende a trascurare quelle spese. Inoltre negli ultimi anni noi abbiamo avuto il macigno di Maastricht. Oggi, dopo tanti sacrifici, il suo peso si è ridotto e possiamo perciò, nella ricerca, avviarci a risalire la china. Se dalle parole passeranno ai fatti, Confindustria e Cgil potranno dimostrare quale contenuto intendono dare alla modernizzazione, un processo su cui in linea di massima tutti concordano. Per riorganizzare il sistema della ricerca sul territorio abbiamo molto da apprendere da vari altri paesi europei, soprattutto da quelli del Nord. Il ruolo del governo qui può essere decisivo. Il Programma della ricerca va nella giusta direzione, ma dev' essere decisamente rafforzato sotto l' aspetto finanziario e adeguatamente articolato, specialmente se resta la pretesa di farne un programma di sei anni. ------------------

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TESTATA Corsera REDAZIONE Cultura DATA 11/01/2000
 La riforma della scuola
 Ma gli intellettuali tacciono scoraggiati
 
AUTORE Sylos Labini Paolo GENERE elzeviro ARGOMENTO scuola, universita' NOTE terzapagina. commento alle considerazioni di Panebianco sulla riforma dei cicli scolastici del governo di centrosinistra. riforma Berlinguer LOCALITA' SOGGETTO Italia FULL PAGE S DISCUSSIONI La riforma della scuola Ma gli intellettuali tacciono scoraggiati L' economista Paolo Sylos Labini interviene nella discussione aperta dall' articolo di Angelo Panebianco sugli intellettuali di sinistra e la riforma della scuola e dell' universita' , pubblicato dal "Corriere" il 29 dicembre.In un breve arco di tempo Angelo Panebianco ha rivolto a me e ad altri un elogio (Corriere 13 dicembre) e poi una critica (29 dicembre). L' elogio riguardava il manifesto contro il progetto di trasformare senza concorso ventimila ricercatori in "professori di terza fascia". La critica riguardava il silenzio mio e di tanti altri intellettuali di sinistra per la scuola in generale e l' Universita' in particolare. La riforma della scuola non e' cosa da poco e l' impegno va misurato nel corso degli anni. Per quanto riguarda me, l' impegno per la scuola e l' Universita' e' di data non antica, ma antichissima. Il primo intervento pubblico lo feci in un convegno del "Mondo" nel 1957. Il numero degli articoli e' terribilmente lungo. C' e' anche un libro sulla riforma universitaria scritto nel 1970 in collaborazione con Gabriello Illuminati. Riassumero' alcune mie proposte sull' Universita' , limitandomi a quelle che forse possono essere tuttora rilevanti. 1. Concorsi. Circa due anni fa, con un mutamento di rotta del ministro Berlinguer di cui diedi atto, i concorsi vennero decentrati: fu attribuita un' ampia autonomia alle singole sedi e ora i concorsi si fanno col nuovo metodo. Sono state rivolte diverse critiche al nuovo metodo. Quelle piu' importanti riguardano l' eccessiva proliferazione dei concorsi e i "localismi". Sulla base di un esame dell' Osservatorio universitario del ministero non dovrebbe essere difficile trovare rimedi adeguati (per bloccare la proliferazione basterebbe un tetto nazionale di un concorso l' anno per area). 2. I tre livelli: diploma, laurea, dottorato. Non posso avversare questo progetto giacche' era contenuto nel libro del 1970. Il successo o l' insuccesso dipendera' dal modo di attuazione: l' autonomia avra' un ruolo decisivo, tenendo pero' presente che dobbiamo adottare standard europei. Il rischio che il dottorato rappresenti una prosecuzione quantitativa del secondo livello puo' essere evitato se ad esso si attribuisce un forte contenuto di ricerca. Ma per far questo occorre rilanciare l' intera attivita' di ricerca - oggi le finanze pubbliche lo consentono. Occorre rafforzare il ruolo dei tecnici, evitando di trasformarli ope legis in professori. 3. Gli studenti che si laureano. Lo sappiamo: solo un terzo degli studenti giunge alla laurea. Piu' volte ho suggerito la seguente via di uscita: un colloquio di orientamento all' ingresso, un tetto piu' basso per il numero di anni in cui uno studente puo' restare fuori corso e un robusto aumento delle tasse, accompagnato da un altrettanto robusto aumento nel numero e nell' ammontare delle borse. 4. La valutazione dell' attivita' dei docenti. I controllori non possono essere i presidi, ma solo i consumatori del servizio, ossia gli studenti. Il controllo puo' servire a tutti, a cominciare dai docenti che credono al loro mestiere: sono avvantaggiati se sono messi in grado di conoscere le critiche ai loro corsi, chiarezza e grado di aggiornamento inclusi. Bastano poche regole per rendere efficace il metodo e rendere minimi i rischi, per esempio, escludendo gli studenti che non hanno sostenuto esami. Le valutazioni debbono riguardare anche la disponibilita' dei docenti. Non e' una proposta stravagante: il criterio e' adottato da diverse universita' americane; in Italia e' adottato da anni, con successo, dalla Bocconi. Cartellini segnatempo e altri controlli simili significherebbero la burocratizzazione, ossia la morte, dell' Universita' . 5. Le attivita' professionali dei docenti. + un problema complesso e difficile. Riguarda soprattutto medici, avvocati, commercialisti e ingegneri. Per i medici il progetto del ministro Rosy Bindi vorrebbe porre rimedio. Per quanto ho potuto capire, non va bene; potrebbe anzi far danni. Non sempre i docenti di medicina sono mossi dall' esecrabile fame dell' oro: spesso sono motivati da ideali professionali e vanno ascoltati. Meno gravi ma non meno difficili sono i problemi posti dagli altri professori - professionisti. Una soluzione civile va preparata studiando quelle adottate da altri Paesi, specialmente Olanda, Inghilterra e Stati Uniti. Panebianco si lamenta anche del silenzio degli intellettuali di sinistra sulla riforma dell' intero sistema scolastico. Qui c' e' la questione preliminare del rapporto fra scuola pubblica e scuola privata. La norma costituzionale "senza oneri per lo Stato" va rispettata, non aggirata. Da anni pero' mi sono convinto che e' bene eliminare quella norma, che e' diventata fomite d' infezione e impedisce una piena parita' , non solo finanziaria, ma sotto l' aspetto della regolamentazione. Sono d' accordo con Galli della Loggia e con quel Vescovo che si e' espresso nello stesso senso. La piena parita' , abolita la norma, diverrebbe inevitabile e cio' sarebbe un passo avanti per tutti, laici e cattolici. Caro Panebianco, e' un po' buffo constatare che Lei attribuisce agli intellettuali di sinistra la capacita' d' "imporre" al governo di tener conto dei loro pareri. Ma dove vive? Penso che se non pochi intellettuali di sinsitra stanno zitti, e non solo sulla scuola, e' perche' sono scoraggiati. Se ho votato e votero' in quest' area e' solo perche' per me qui il male, pur grave, e' curabile, rispetto a un centrodestra che vedo come un male incurabile fino a quando sussiste quella disastrosa commistione fra pubblico e privato rappresentata dal conflitto d' interessi, che impedisce alla destra di svolgere il suo ruolo fisiologico. La sanatoria riguardante i ventimila ricercatori per ora e' stata bloccata (anche per merito di Panebianco): prova che qualche volta l' azione congiunta di temibili intellettuali di sinistra e di "biechi conservatori" puo' essere utile. Un' azione congiunta sara' necessaria, contro certi sindacati, anche di destra, e certi ordini professionali, quando verranno in discussione gli sbocchi legali dei tre titoli - l' ideale sarebbe far piazza pulita. La sanatoria non e' solo questione di nome e non puo' essere giustificata richiamando la didattica: la ricerca non e' meno importante. Il pericolo non e' superato, considerate le molteplici forze che oggi si muovono in questa direzione: certi sindacati, un buon numero di politici, di sinistra e di destra, e diversi alti burocrati. La cosa atroce e' che oggi, col nuovo sistema, incombe il pericolo della proliferazione dei concorsi. Forse gl' interessati e i loro sindacati non se ne sono resi ben conto. O forse, per comodita' , preferiscono continuare a fare affidamento sulla prece: ope legis, ora pro nobis. di PAOLO SYLOS LABINI

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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 17/08/1999
Il conflitto d' interessi incubo di quest' estate Il decreto sulla "par condicio" e' buono, ora va sciolto il contrasto pubblico-privato di Berlusconi
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
 
TESTO: CONCORDO con quanto ha scritto su "Repubblica" Claudio Rinaldi sul pericolo costituito per il nostro paese dal nuovo Berlusconi. Il pericolo c' era gia' quando il Cavaliere era sceso nel campo italiano; e' fortemente cresciuto da quando e' sceso nel campo europeo, dopo aver indossato la veste "buonista". Fra i motivi del pericolo Rinaldi include il conflitto d' interessi. Giusto. Debbo però esprimere due riserve. La prima: occorre mettere nel massimo rilievo che il conflitto d' interessi non e' solo e neppure principalmente una questione di regole democratiche. Il problema e' che quel conflitto ingigantisce la corruzione, gia' molto estesa nel nostro paese, e ciò indipendentemente da Berlusconi: ciò accadrebbe anche se a capo dell' impero televisivo ci fosse un seguace di San Francesco. La seconda riserva riguarda la sensazione di malinconia che si ricava dall' articolo di Rinaldi, che parla, con rammarico, della marcia trionfale del nuovo Cavaliere. Credo che occorra reagire; ci sono almeno due elementi positivi. 1) I leader dei Ds cominciano a rendersi conto che la politica di appeasement col Cavaliere non ha pagato e non può pagare. 2) i nostri partner europei hanno notato, molti con raccapriccio, che Berlusconi, che si sente appunto un trionfatore, ha proposto Dell' Utri come vice- presidente della Commissione Giustizia e Gargani come presidente della Commissione per i mass- media. La prima sfida e' stata bloccata, almeno per ora; la seconda ha avuto successo - il partito-azienda resta tale anche in Europa. La reazione e' stata fiacca, anche, io credo, per la sorpresa. Sta a noi rafforzare la reazione, mettendo nella massima evidenza che il Cavaliere e' un pericolo non solo per noi, ma per tutti i partner europei e che quindi il problema va affrontato a livello europeo. Come? I conflitti d' interessi possono essere i piu' diversi, per contenuto e per importanza. Non c' e' dubbio, però, che chi controlla, non singole imprese, per quanto importanti, ma un impero televisivo e' in grado di condizionare l' "homo videns" e quindi, piu' o meno sensibilmente, l' intera attivita' politica, se appunto e' un uomo politico e non solo un uomo d' affari. A negare questa osservazione ed a minimizzare l' enorme influenza della televisione troviamo solo Berlusconi ed i suoi soci: tutti i politologi di rilievo, italiani e stranieri, concordano nel ritenere valida quella osservazione. La negazione non e' attendibile giacché proviene da parte interessata. Con la televisione si mette in moto una spirale perversa, che abbiamo visto operare sotto i nostri occhi. Il potere d' influenzare la politica rafforza il potere economico, che a sua volta rafforza il potere politico, e così di seguito: Berlusconi e' sceso in campo con diverse migliaia di miliardi di debiti, ora ha un attivo superiore a 15 mila miliardi. *** Un anno fa Umberto Bossi dichiarò che lui aveva fatto il ribaltone non per motivi ideologici ma perché il Cavaliere "comprava i nostri parlamentari e io l' ho abbattuto". Questa dichiarazione procurò un disagio acuto a molti. Il disagio e' divenuto angoscia dopo le recenti dichiarazioni di Mastella: "Con Berlusconi adesso io non ho niente in comune. I soldi stanno ammazzando la politica, non c' e' piu' un' idea contro un' altra, c' e' l' idea unica, le altre non passano... Berlusconi ci sta togliendo dal mercato tutti. Se potesse si comprerebbe anche D' Alema". e' questo l' incubo di una notte di mezza estate. Se Mastella ha ragione, almeno nel futuro immediato le speranze sono poche. Quando i segretari dei vari partiti si renderanno conto che parecchi dei loro parlamentari sono nel libro-paga del grande finanziatore, capiranno che non dirigono piu' un accidente: a quel punto la "casa democratica" sara' diventata un teatrino. Il regime non sara' piu' democratico ma, a parte le apparenze, plutocratico anzi, a voler essere precisi, monoplutocratico. *** Come possiamo contrapporci a questo scempio o, diciamolo pure, alla fine della democrazia sostanziale? Il decreto sulla "par condicio" va bene ma, nonostante le violente proteste del partito-azienda, fatte per evidenti motivi tattici, e' cosa circoscritta e modesta. Il conflitto d' interessi. Qui il problema e' serio. Ma e' necessario riconoscere che questo problema può essere affrontato a due livelli. Il primo e' quello della legge avviata un anno fa. Anche se fosse ben fatta, sarebbe un gioco da ragazzi aggirarla; per il Cavaliere sarebbe solo un fastidio in piu', anche se oggi tuona contro il tentativo liberticida. Una tale legge potrebbe avere una qualche utilita' solo nei casi in cui gli interessi di un uomo politico vengono ad assumere un peso tale da far sorgere il sospetto di un possibile contrasto fra interessi personali e interesse pubblico. Ben diverso e' il problema che sorge quando l' attivita' si fonda fin da principio su una concessione pubblica di rilevante interesse economico, che rende strutturalmente inevitabile il conflitto d' interessi. Qui gli esempi che si possono fare non sono molti. Uno e' appunto quello della concessione pubblica di reti televisive. In questo caso qualsiasi tentativo di regolamentare il conflitto d' interessi e' destinato al fallimento, giacché il conflitto non sorge eventualmente in certe condizioni, ma e' nelle cose stesse. Qui il solo rimedio e' l' ineleggibilita' degli interessati e dei loro collaboratori stabili. Anche per una furbizia gravemente censurabile e di cui oggi paga le spese, la classe politica di destra e di sinistra - inclusa la così detta estrema sinistra - ha fatto finta di non saperlo, una legge sulla ineleggibilita' gia' esiste. Si tratta del decreto 30 marzo 1957 n. 361, le cui norme sono state aggirate con un penoso cavillo. OCCORRE dunque riproporre con forza la legge sulla ineleggibilita', con alcuni emendamenti anti-cavillo. Una tale legge - ecco il punto - dev' essere portata al livello europeo, come ha proposto Veltroni, che tuttavia si e' riferito in generale al conflitto d' interessi e non specificamente alla formula del decreto del 1957, che e' l' unica che può veramente risolvere il problema. Chi vuol fare l' uomo d' affari avvalendosi di concessioni pubbliche, faccia l' uomo d' affari. Chi vuol fare l' uomo politico, faccia il politico. I partner europei debbono rendersi ben conto che per molte importanti questioni siamo ormai nella stessa barca. Se domani Berlusconi, rafforzato dall' Europa, fara' un governo con Previti alla Giustizia interessera' anche loro. Ma Previti, che rassomiglia a Dell' Utri, e' il personaggio che prima delle precedenti edizioni aveva minacciato (e non scherzava): "Non faremo prigionieri". Personaggi di questo tipo giovano alla democrazia e all' Europa? *** Il conflitto d' interessi, osservavo, ingigantisce una corruzione gia' assai estesa. Da noi la diffusa indulgenza verso corrotti e corruttori dipende, io credo, dalla convinzione che per ragioni storiche oramai siamo fatti così e che le cose non possono cambiare. La storia può invece aiutarci a sperare. Nel ' 700 l' Inghilterra era un paese profondamente corrotto, tanto che il primo ministro Walpole poteva dichiarare che "ogni uomo ha un prezzo". Ci fu una reazione vigorosa, guidata dal grande Edmund Burke. In pochi anni ebbe luogo una mutazione genetica, avviata da William Pitt, l' "incorruttibile". La nuova tendenza poi si affermò. Perché una simile mutazione genetica non può avvenire anche da noi?

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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 21/01/1999
cattolici genuini meglio degli atei devoti
I raggiri intorno alle scuole private
 
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI TESTO: NELL' intervista pubblicata su Repubblica il 9 gennaio, Giulio Andreotti ha detto che in passato le difficolta' ai finanziamenti pubblici alla scuola privata non sono venute dai comunisti ne' oggi vengono dai democratici di sinistra; "il problema e' che sopravvive tuttora una tradizione politica, un sottofondo duro di laicismo difficile da superare e che si fonda su un pregiudizio risorgimentale contro la Chiesa". Il riferimento e' a coloro che hanno sottoscritto il "manifesto laico", pubblicato il 13 novembre da Repubblica. Poiche' io sono tra questi, mi sembra giusto mettere ancora una volta in chiaro la mia posizione. No, io non sono mosso da duro laicismo ne' da nostalgie per gli storici steccati. Sono mosso dalla speranza che un giorno l' Italia divenga un paese pienamente civile, nel quale vengano evitati come la peste i raggiri di carattere levantino, come quelli adottati per vanificare la norma costituzionale secondo la quale "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole o istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". L' elenco dei raggiri proposti e' impressionante; ne ho contati almeno sette, a cominciare da quello fondato sulla distinzione fra "istituire" e "gestire": nel primo caso gli oneri toccherebbero ai privati, nel secondo, allo Stato - sebbene nessuno abbia spiegato in che cosa consisterebbero gli oneri necessari per "istituire" le scuole. I raggiri e i sofismi sono assai diversi fra loro e ciò e' la prova della malizia levantina: quando una causa e' giusta non occorre affannarsi per dimostrare che il bianco e' bianco e non e' nero. Andreotti ricorda che era presente quando l' Assemblea costituente votò l' articolo 33 e può testimoniare - dice - quanta confusione si faccia su quella formula. Il liberale Corbino e l' ex azionista Codignola che la proposero dichiararono che non volevano un' esclusione assoluta: la norma mirava solo a stabilire che "nessun istituto privato potra' sorgere col diritto di avere aiuti dallo Stato"; si escludeva il diritto al finanziamento pubblico, non la possibilita'. Una schermaglia tra furbacchioni, dunque; alla fine, così può sembrare, i democristiani si sarebbero fatti mettere nel sacco, giacche' la formula e' inequivocabile e le dichiarazioni verbali non possono avere nessuna rilevanza. No, i democristiani non si fecero mettere nel sacco: c' era stato da poco lo scontro per il Concordato e volevano evitare nuovi scontri, visto che la principale forza di opposizione era, dal loro punto di vista, ragionevole e perciò preferirono accontentarsi. C' era poi la preoccupazione per le scuole di partito, specialmente del partito comunista. Ma oggi queste preoccupazioni sono superate. Come si spiega allora la riluttanza ad imboccare la via maestra, che e' quella della revisione costituzionale? Eppure, la revisione sarebbe semplice e, data la situazione politica, le probabilita' di successo sarebbero buone. Credo che i cattolici non siano favorevoli principalmente per timore di una regolamentazione rigorosa, alla francese - e' ben comprensibile che, in condizioni di piena parita', la regolamentazione sia molto rigorosa, dal momento che i privati possono essere i soggetti piu' diversi. E credo che i laici siano freddi perche' ritengono che una revisione costituzionale significherebbe ammainare una bandiera e privarsi di un freno agli appetiti dei vertici della Chiesa, che come abbiamo visto, non sono affatto moderati - hanno fatto anche i conti mercantili. Non sono sicuro che la freddezza o l' ostilita' dei laici e dei cattolici siano spiegabili nel senso appena indicato. Sono sicuro però che andando avanti coi raggiri e gli espedienti le prospettive resteranno cupe sia per noi, sia - e questo conta di piu' - per i nostri figli. Non si può fondare un' istituzione essenziale per l' educazione morale e civile come la scuola su qualche raggiro: e' ripugnante. In un paese normale una contesa fra sostenitori e avversari del finanziamento pubblico della scuola privata e', anch' essa del tutto normale - io mi auguro che abbia luogo; ma preliminarmente bisogna cancellare quella norma, non aggirarla. Ho riscontrato che non sono pochi i cattolici favorevoli alla via maestra, ossia alla revisione costituzionale - mi riferisco ai cattolici genuini, non alla schiera, enorme, degli "atei devoti", che si dichiarano cattolici per convenienza politica. I cattolici pubblicamente favorevoli alla via maestra non sono molti; fra questi c' e' il vescovo di Civitavecchia, che si e' espresso in tal senso in una lettera al Corriere della Sera del 12 dicembre, ammettendo però di rappresentare una posizione assolutamente minoritaria; io mi auguro che nel campo cattolico altri prendano posizione pubblica. E mi auguro che anche i laici abbandonino la loro freddezza riconoscendo che oggi abbiamo il danno e la beffa: il danno di copiosi fondi pubblici gia' dirottati, sottobanco, alle scuole private con vari espedienti e la beffa che ciò accade con regole pubbliche del tutto inadeguate. Laici, cattolici: le speranze che in un giorno non lontano diverremo un paese a civilta' piena, in cui il raggiro non sara' piu' la regola ed il bianco sara' riconosciuto come bianco senza arzigogoli, sono, almeno per ora, piuttosto poche.


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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 12/11/1998
Gli industriali privati non fanno la loro parte
TITOLO: Senza ricerca non c' e' futuro Un ostacolo alla crescita culturale
 
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: STIAMO vivendo un periodo quanto mai delicato: possiamo incamminarci verso un progressivo miglioramento della nostra societa', lasciando dietro di noi la fetida palude in cui ci siamo dibattuti per anni; oppure possiamo continuare a vivere in una palude perfino piu' fetida e piu' estesa - il peggio non e' mai morto. Molto dipende dal sistema della ricerca, il quale non e', come pensano molti politici, un settore importante, ma particolare: e' invece la base dello sviluppo economico e di quello civile dell' intera societa'. Se paragoniamo la societa' a un corpo umano, il sistema della ricerca va visto come il cervelletto. Cominciamo con le prospettive dello sviluppo economico. Un' ampia varieta' di indici - quota delle spese sul prodotto interno lordo, numero dei ricercatori, numero dei brevetti, quota delle esportazioni dei beni di alta tecnologia - mostrano che la posizione del nostro paese nella ricerca, gia' debole, e' diventata ancora piu' debole negli ultimi anni, soprattutto per effetto degli sforzi compiuti per Maastricht. e' un fatto gravemente negativo, giacche' a lungo andare la nostra economia diventa sempre piu' vulnerabile alla concorrenza dei paesi arretrati in molte industrie tradizionali, come quella tessile e quella dell' abbigliamento, sia sul piano commerciale sia sul piano degli investimenti e un numero crescente di imprese si trasferisce in quei paesi attratte dai bassi salari, che rappresentano una frazione dei nostri. Nel periodo breve e medio il design e la creativita' ci proteggono, ma nel lungo periodo la salvezza sta nelle tecnologie alte e medio-alte. Il nostro problema non sta solo nel progresso assai debole della ricerca: in certi rami - chimica, prodotti farmaceutici, acciaio - ha luogo addirittura un regresso. Si e' detto che la responsabilita' e' da attribuire a grandi societa' straniere - americane, tedesche, svedesi - che hanno acquistato le nostre imprese leader e che sviluppano la ricerca soprattutto nei paesi di origine. No: non giova scaricare sugli altri una responsabilita' che e' soprattutto nostra. Tuttavia, il danno piu' grave originato dall' insufficiente sviluppo della ricerca non sta nell' indebolimento dello sviluppo economico: riguarda lo sviluppo civile e consiste soprattutto nell' ostacolo alla crescita culturale e al miglioramento della qualita' del lavoro per le nuove generazioni: superata la soglia delle esigenze economiche elementari, il problema diventa sempre meno di quanto si ottiene come reddito ma di come lo si ottiene. LO SFORZO per far uscire l' universita' dalle infelici condizioni in cui oggi si dibatte, in buona misura coincide con lo sforzo per rimettere in moto la crescita della ricerca, pura e applicata; la riforma degli enti pubblici di ricerca rientra in questa strategia. Di recente sono circolate bozze di decreti di riforma di due importanti enti, il Cnr e l' Enea: c' e' da preoccuparsi, giacche' prevalgono gli elementi discrezionali e il ridimensionamento del ruolo della ricerca pubblica e mancano misure per stimolare le iniziative propriamente scientifiche. La ricerca pura e applicata ha problemi comuni, cosicche' va attribuita la massima importanza ai rapporti fra universita' ed enti di ricerca, un problema ignorato nel caso dell' Enea, mentre nel caso del Cnr si sopprimono, invece di migliorarli, i legami con l' universita': esattamente l' opposto di quel che occorre fare. Va inoltre affrontata in modo organico la questione degli incentivi volti a far tornare in universita' ed enti di ricerca del nostro paese scienziati italiani che oggi operano all' estero. Fra l' altro, occorre sollevare docenti e ricercatori dalle incombenze amministrative, che oltre tutto comportano rischi di contestazioni da parte della magistratura civile e penale. Lo Stato deve dunque compiere un grande sforzo finanziario e organizzativo per la ricerca. Oggi, superate le difficolta' piu' gravi per entrare nell' euro, un tale sforzo diviene possibile. Sorprende tuttavia che, a differenza dei paesi civili, nel nostro paese gli industriali privati non facciano la loro parte; i piu' ricchi preferiscono spendere somme enormi per i calciatori - "circenses" - piuttosto che per gli scienziati e nella ricerca spesso si mettono in fila per mungere quella stessa vacca pubblica che per altri versi maledicono. Trent' anni fa il quadro era diverso: in certe industrie, come la chimica e l' elettronica, la situazione era incoraggiante. Oggi e' il deserto e tocca allo Stato dare la sferzata, in diverse direzioni: riforma degli enti di ricerca, irrobustendo i legami con l' universita', dove la ricerca di base dev' essere rifinanziata, e introduzione di nuovi incentivi per l' industria privata, inclusa l' esenzione fiscale per le somme destinate alle attrezzature di ricerca e all' assunzione di ricercatori. Contemporaneamente va riformato il sistema pubblico e privato della formazione, in particolare il sistema degli istituti di formazione professionale. NELLA riforma della ricerca bisogna a ogni costo evitare passi falsi, che avrebbero conseguenze disastrose. Diversi colleghi e io pensiamo che sarebbe molto utile se l' Accademia dei Lincei, un' istituzione super partes, d' intesa con i ministri per la Ricerca e per l' Industria, promuovesse un dibattito approfondito, con fini operativi, invitando i membri della comunita' scientifica che hanno adeguate esperienze di ricerca in Italia e all' estero a esprimere in tempo utile giudizi e suggerimenti per la riforma del sistema. Per porre il dibattito su un piano preciso e concreto sarebbe auspicabile che i lavori venissero aperti dai due ministri, che potrebbero illustrare i loro progetti di riforma mettendo in evidenza i punti problematici. e' un periodo straordinariamente delicato e importante. Se non c' impegniamo a fondo per riorganizzare la ricerca, nel periodo medio la nostra sorte e' segnata: lo sviluppo economico e, quel che piu' importa, lo sviluppo culturale e civile, incluso il miglioramento della qualita' del lavoro, risulteranno compromessi. Saremo condannati a vivacchiare nella palude.


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Repubblica DATA: 13/2/1997
 
 Riforma necessaria per lo sviluppo scientifico e culturale, ma anche per l' occupazione
TITOLO: UNA SPINTA ALLA RICERCA
SOMMARIO: Il governo non puo' ignorare le proposte dei docenti
AUTORE: Paolo Sylos Labini
TESTO: E' IN discussione in Parlamento un disegno di legge che delega il governo ad emanare entro 12 mesi decreti intesi a riorganizzare l' intero sistema della ricerca. Attenzione: questa e' una riforma vitale per il futuro dell' Italia in quanto paese civile oltre che, beninteso, per il suo sviluppo economico. Per non restare ai margini in Europa dobbiamo accrescere il nostro peso nelle attivita' di ricerca, che oggi e' assai modesto. E per l' Europa rafforzare vigorosamente la ricerca e' essenziale per far fronte alla sfida proveniente dagli Stati Uniti e dal Giappone e, sempre piu', anche da paesi emergenti. Oggi e' diffusa l' idea che l' aumento della disoccupazione e' imputabile alle innovazioni. Non e' così: l' aumento dipende principalmente dall' indebolimento dello sviluppo. Se le innovazioni da un lato distruggono posti di lavoro, dall' altro li creano; nelle condizioni odierne le grandi imprese spesso si concentrano su innovazioni di processo, che accrescono la produttivita' ma non creano occupazione, mentre il sistema delle piccole e medie imprese e' adatto a introdurre innovazioni che accrescono sia la produzione sia l' occupazione. La riforma del sistema della ricerca e degli organismi che lo compongono, fra cui troviamo in primo luogo le Universita', deve essere congegnata in modo da favorire i rapporti fra tali organismi e le piccole imprese innovative; e deve essere attuata una politica volta a promuovere la creazione di nuove piccole imprese, anche attraverso la costituzione di agenzie simili a quelle operanti in altri paesi. Da noi e' stata costituita, per ora solo sulla carta, un' agenzia di questo tipo, l' Agitec. In vista dei decreti di riforma bisognerebbe rendere operativa la Conferenza degli enti pubblici di ricerca, prevista dalla legge 168, che dovrebbe operare in collegamento con la Conferenza dei Rettori e con il Ministro per la ricerca. La Conferenza dovrebbe promuovere incontri con docenti e ricercatori per raccogliere suggerimenti e proposte: troppe volte il governo ha attuato riforme senza sentire i suggerimenti di chi opera nella struttura coinvolta, anzi, non di rado, suscitando l' ostilita' degli interessati. Nell' intraprendere la riforma dobbiamo renderci conto che in tempi recenti nel nostro paese il livello della ricerca e' andato degradando, fino a precipitare. La crisi della ricerca e' andata di pari passo con la crisi dell' Universita', dove, del resto, si svolge gran parte della ricerca. Oggi sono in discussione progetti per riformare il reclutamento dei docenti, che certo rappresenta uno dei problemi piu' gravi. L' idea di due concorsi, il primo per arrivare ad una lista di idonei ed il secondo per le chiamate specifiche e' da scartare, se non altro perche' comporta tempi lunghi inaccettabili. Tutto sommato, l' unica via di uscita e' il ritorno, col massimo di garanzie, ai concorsi locali. Di recente sono emerse proposte di creare istituti di ricerca nazionali, con articolazioni regionali; e' stato preso a modello l' istituto di fisica nucleare. Sia negli istituti di ricerca, pubblici e privati, sia nell' Universita', in alternativa ai deleteri finanziamenti a pioggia, e' stato suggerito di istituzionalizzare la definizione di criteri obiettivi per valutare i progetti i cui proponenti chiedono fondi pubblici. Le stesse politiche di cooperazione allo sviluppo debbono puntare sulla ricerca scientifica; per evitare strutture burocratiche e rendere minimi i costi, conviene pensare ad un centro mondiale di coordinamento che utilizzi le eccezionali possibilita' aperte da meccanismi del tipo Internet. Le proposte appena ricordate sono state dibattute nel congresso internazionale sulla ricerca scientifica tenuto a Stresa nell' ottobre '96 presieduto da Carlo Azeglio Ciampi. Nella preparazione del congresso Ciampi fu molto attivo, anche se dopo la nomina a ministro si e' tenuto da parte; per il nostro congresso egli ha messo a frutto l' esperienza fatta a Bruxelles come presidente del gruppo consultivo per la competitivita', che aveva attribuito il massimo rilievo sia alla promozione di piccole imprese innovative sia alla collaborazione fra imprese, universita' e istituti di ricerca, da potenziare con l' istituzione di "centri di sviluppo delle conoscenze". Ormai fra i politici e gli intellettuali europei queste sono idee dibattute in termini sempre piu' articolati. Non si tratta di questioni riguardanti solo lo sviluppo scientifico e culturale; sono questioni essenziali per le stesse prospettive dello sviluppo economico e del riassorbimento della disoccupazione, che per gli strati giovanili ha assunto caratteri drammatici. ------------------


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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 1/9/1994
 COMMENTI TITOLO: LA MINI - RIFORMA DELL' UNIVERSITA'
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: LE DICHIARAZIONI e le notizie anticipate dal ministro Podesta' sul suo provvedimento che introduce alcune innovazioni nel sistema universitario m' inducono ad esprimere cinque brevi osservazioni. 1. Abolizione del ruolo dei professori associati. L' elemento a mio giudizio piu' importante nella divisione dei professori in due fasce non sta nel numero di greche sul cappello o nelle funzioni o nello stipendio: sta nel fatto che, per passare da associato a ordinario, occorre un concorso, ossia una verifica. Si può benissimo abolire la fascia degli associati purche' si preveda per tutti i professori, per la loro progressione di carriera e di stipendio, una verifica periodica - 3, 4 o 5 anni - basata sulla produzione scientifica; la verifica non può non essere affidata che a commissioni di professori piu' anziani, che sui titoli debbono scrivere una relazione da rendere pubblica in tempi brevissimi. Perfino nel nostro paese, dove il processo di mitridatizzazione alla corruzione ed al malaffare ha raggiunto proporzioni paurose, non sono pochi, soprattutto fra gl' intellettuali, coloro che temono la gogna. (Un meccanismo analogo dovrebbe essere introdotto per i magistrati; in questo caso, invece delle pubblicazioni, andrebbero esaminate e giudicate le sentenze, in relazioni scritte da rendere pubbliche). 2. Partecipazione di docenti stranieri alle commissioni di concorso. Non posso che approvare questa idea, dato che la sostengono da qualche anno. Ma non dev' essere il ministro a scegliere i commissari stranieri; lo stesso ministro, in un' intervista, si e' dichiarato pronto a modificare questa disposizione. Lo faccia subito; diciamo che si e' trattato di una svista dovuta alla fretta. 3. Doveri dei docenti. In Italia, soprattutto dopo la diffusione dei corsi intensivi (tre mesi e mezzo), l' onere didattico dei docenti di regola e' assai limitato - dalla meta' ad un terzo dell' onere riscontrabile nella maggior parte delle universita' americane. Occorrono almeno due norme: il professore deve tener lezioni durante l' intero anno accademico - i corsi annuali, non intensivi, consentono rapporti sistematici e diluiti nel tempo fra docenti e studenti; il professore deve potere essere utilizzato anche per altri corsi, a cominciare dai corsi della laurea breve; entro un certo numero di anni, ogni professore, come negli Stati Uniti, deve aver l' obbligo di tenere almeno due corsi. Per pungolare i docenti e indurli ad adempiere nel modo migliore ai loro doveri conviene attribuire agli studenti che abbiano superato un determinato numero di esami il compito di formulare valutazioni, firmate, sui corsi. In certe Universita' anche in Italia, questa e' gia' una prassi: si tratta di estenderla e di stabilire regole generali, semplici e chiare. 4. Ammissione degli studenti all' Universita'. Occorre un sistema di norme eguali per tutti, del genere delle norme raccomandate da Figa' Talamanca fare la parentesi in tondo (Repubblica, 18 agosto). 5. Tasse e borse di studio. Oggi le tasse pagate dagli studenti e dalle loro famiglie coprono non piu' del 5-6 per cento del costo totale per studente: il resto lo mette lo Stato. Ma lo Stato non e' fatto da marziani, lo Stato siamo noi. I soldi lo Stato li prende dai tributi pagati da tutti, anche dai meno abbienti, i cui figli raramente s' iscrivono all' Universita': i tributi pagati da tutti vanno per oltre il 94 per cento a beneficio di pochi - meno del 10 per cento delle fasce rilevanti di eta'. La quota pagata dagli studenti e dalle loro famiglie deve crescere, fino a rappresentare, diciamo, dal 15 al 20 per cento del costo. Una quota anche piu' alta dev' essere fornita da prestiti d' onore, la cui restituzione deve avvenire a rate proporzionali al reddito che l' interessato, dopo la fine degli studi, riesce a guadagnare. Un tale sistema di finanziamento ha il grande vantaggio di abituare gli studenti a contare su se stessi. Una quota robusta va coperta da borse di studio, alimentate da fondi pubblici e privati - borse per le sole tasse e borse anche per le spese di mantenimento. Le assegnazioni annuali dello Stato e degli enti locali debbono rappresentare una quota decrescente delle spese. L' autonomia effettiva delle Universita' potra' crescere con la crescita della loro autonomia finanziaria. E' vero: le norme sui doveri dei professori e sugli studenti non sono quelle che permettono ad un ministro di accrescere la sua popolarita'. Ma il ministro Podesta' non e' un politico di professione: e' un professore prestato alla politica. E allora perche' non affronta l' impopolarita'? ------------------


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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 28/10/1993
SOS UNIVERSITA'
AUTORE: PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: RECENTEMENTE Laterza ha pubblicato un libro di Raffaele Simone sull' Universita'. Sono poi usciti diversi articoli di Marcello Pera (Stampa), Nicola Tranfaglia (Repubblica), Alessandro Figa' Talamanca (Repubblica), Cesare Segre (Corriere della Sera). Vengono denunciate le condizioni disastrose dell' Universita'. Sono d' accordo con le denunce, ma diverse delle ipotesi prospettate per risalire dall' abisso non mi convincono. E' vero che l' istituzione del ministero dell' Universita' e della ricerca ha aperto "spazi d' intervento", alcuni dei quali sono stati sfruttati positivamente dal ministro Ruberti. Mi risulta che il ministro Colombo sta preparando misure che vanno sostenute. Dobbiamo però essere ben consapevoli che, dati i vizi acquisiti, risalire la china e' arduo. Abisso: non credo affatto di esagerare. Nella nostra Universita' esistono - sono sempre esistite - isole di eccellenza. Ma il quadro complessivo appare spaventoso. A mio giudizio, i problemi piu' gravi sono i seguenti. 1 Col dilagare dei "semestri intensivi" molti docenti si fanno vivi per tre o quattro mesi l' anno e poi scompaiono: in molte sedi periferiche scompaiono dalla citta' in cui e' ubicata l' Universita', cosicche' divengono inaccessibili agli studenti. Questa situazione, illegale e vergognosa, e' ormai considerata normale, press' a poco come, fino a poco tempo fa, erano considerate le tangenti: "così fan tutti". 2 Sono numerosi i professori che, giunti in cattedra, si dedicano ad attivita' professionali e smettono di compiere ricerche. 3 Solo uno studente su tre giunge alla laurea: gli altri due si perdono per strada - un fenomeno che non ha riscontro negli altri paesi europei. Porre rimedio a queste gravissime disfunzioni e' compito tremendo. Eppure bisogna affrontarlo in tempi brevi se vogliamo evitare che l' Italia entri in Europa come paese emarginato in partenza sia per l' Universita' che per la ricerca - i due aspetti in gran parte coincidono. Ecco le ipotesi su cui conviene riflettere. 1 E' opportuno reintrodurre la norma (un tempo c' era) secondo la quale i docenti hanno il dovere di tenere lezioni durante l' intero anno accademico: se scelgono corsi "semestrali", devono tenere due corsi in due distinti "semestri". Quale che sia la loro efficacia, le lezioni sono importanti perche' stabiliscono una continuita' di rapporti fra studenti e docenti. Ricordo che nelle Universita' americane ogni docente deve tenere due o tre corsi per "term"; ne segue che i docenti italiani sono sovrapagati e sono troppi. In effetti la diffusione dei corsi "semestrali" si e' accompagnata ad una proliferazione di materie e ha dato origine ad un grave eccesso di docenti; ciò ha reso piu' difficile l' ingresso delle nuove leve ed ha ridotto i fondi destinati ai laboratori ed alla ricerca. La situazione e' ulteriormente peggiorata negli ultimi due decenni per la proliferazione delle sedi, dovuta a miserabili motivi politici. Occorre sopprimere le sedi che non rispondono a certi requisiti, come il numero degli studenti, degli esami, delle lauree. 2 Ogni tre o quattro anni, per un periodo successivo all' attribuzione della cattedra (diciamo venti anni), il docente deve essere sottoposto a giudizio da parte di una commissione di docenti anziani, preferibilmente composta da una maggioranza di cittadini di altri paesi europei. Il giudizio deve riguardare l' attivita' di ricerca e quella didattica: se e' sfavorevole, il docente non ottiene l' avanzamento di carriera e di stipendio. D' altra parte, annualmente gli studenti che hanno superato un certo numero di esami esprimeranno valutazioni scritte sull' attivita' dei docenti. E' il metodo adottato, pare con successo, da parecchie Universita' americane e dall' Universita' Bocconi. Nelle Universita' americane il giudizio per l' avanzamento nella carriera e nello stipendio e' formulato dal consiglio di amministrazione, che di norma ha autonomia finanziaria; tale giudizio fa riferimento alla fama ed alla produttivita' scientifica dei docenti. 3 L' abnorme "mortalita'" degli studenti dipende da diversi fattori. In primo luogo dipende dal fatto che le tasse universitarie coprono una frazione assai modesta del costo, ciò che favorisce l' iscrizione di giovani che non hanno nessuna intenzione d' impegnarsi sul serio negli studi e che tuttavia fanno da sabbia nei meccanismi dell' Universita' (il costo medio per studente va da 10 a 20 milioni di lire l' anno). Le tasse vanno portate gradualmente a livelli tali da coprire i costi; al tempo stesso vanno istituite borse di studio adeguate per i non abbienti e i meritevoli, come vuole la Costituzione, e vanno introdotti i "prestiti d' onore". L' obiettivo, se pure non immediato, e' l' autofinanziamento quasi completo delle universita'. Solo a quel punto l' autonomia sara' piena. FRA LE DIVERSE cause dello scempio dell' Universita' ha avuto gran peso il frequente ricorso alla formula dell' ope legis (ora pro nobis): le promozioni attribuite, non sulla base delle pubblicazioni, ma per legge. Oggi si tratta di non aggravare la situazione e d' individuare i rimedi. In primo luogo, occorre rendere piu' puliti e piu' trasparenti i concorsi. Bisogna dire che le quote dei concorsi viziati da intrallazzi sono assai disegualmente distribuite fra i diversi gruppi di discipline: per esempio, le quote sono basse nelle discipline fisiche, mentre sono alte in quelle mediche. Forse la salvezza sta in Europa: le commissioni dovrebbero includere membri europei, da principio in minoranza, in seguito in maggioranza. In ogni modo occorre una tempestiva e piu' ampia pubblicita' dei risultati. Occorre poi vigilare per evitare colpi di mano dei fautori dell' ope legis. Sappiamo bene che non pochi sindacalisti sono sempre pronti a premere per far passare misure di questo tipo a favore di casi lagrimevoli: a volte si configurano come misure di poco conto, ma in Parlamento possono subire gravi estensioni: nelle Camere non mancano i cecchini, pronti a colpire dopo essersi procurati i necessari complici; un compito, pur troppo, non arduo, come dimostra la proroga del doppio stipendio ai professori parlamentari. Non so se le ipotesi appena considerate siano valide e praticabili; chi non le condivide, però, deve criticarle e presentare alternative, giacche' se non s' interviene vigorosamente, le prospettive dell' Universita' sono terribilmente oscure. ------------------



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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 24/7/1991
 UN' UNIVERSITA' TUTTA DA RIDERE (O DA PIANGERE)
SOMMARIO: A proposito di un articolo di Carlo Bernardini / Professori assenteisti, fannulloni vestiti da studenti, corsi semestrali che durano tre e mezzo: così funzionano i nostri atenei
 AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
 TESTO: L' articolo di Carlo Bernardini, apparso su Repubblica del 17 luglio, sulla scuola e l' Universita' può sembrare troppo pessimista. Fra l' altro Bernardini bolla con parole durissime la legge sul "Senato accademico allargato" una legge che prende a ceffoni il significato stesso delle parole e fa entrare nel Senato anche i rappresentanti dei non docenti: brutta e demagogica la legge, ma anche peggiore il modo con cui certe Universita' l' hanno interpretata. Sono completamente d' accordo con Bernardini. Se tuttavia allarghiamo il quadro, si deve essere anche piu' pessimisti: per l' universita' non e' esagerato parlare di disastro. Il numero dei laureati aumenta assai stentatamente, sebbene fra i laureati la disoccupazione sia relativamente bassa, tanto nel Nord quanto nel Sud, e sebbene il bisogno di laureati in discipline tecniche spesso resti insoddisfatto. Cresce il numero dei giovani che s' iscrivono all' Universita', ma coloro che arrivano alla laurea, non molti anni fa uno su due, sono oggi solo uno su tre (dico: uno su tre). Non sono fatti puramente statistici: sono un primo indice di disfunzioni gravissime. Quei giovani, infatti, affollano aule e laboratori, con danno per tutti, anche per coloro che hanno effettiva volonta' di studiare. Per di piu', quell' affollamento, grande soprattutto nel primo anno, da' l' impressione di grave inadeguatezza delle sedi universitarie esistenti e offre il destro per intensificare quella lottizzazione geografica che e' voluta dalle forze politiche anche quando non risponde a esigenze effettive. Le piccole sedi, quelle periferiche, antiche e nuove, sono in gran parte nodi ferroviari, frequentati discontinuamente da docenti pendolari: l' obbligo di residenza, sancito dalla legge, viene debitamente tenuto in non cale. Miserabile demagogia La tendenza alla pendolarita', antica assai nel caso delle sedi periferiche, ha avuto un nuovo poderoso slancio col dilagare dei "corsi semestrali" grazie ad una riforma del calendario universitario paragonabile, per importanza, alla riforma gregoriana, il "semestre" dura tre mesi e mezzo. I corsi "semestrali" si sono diffusi a macchia d' olio, circoscrivendo la pendolarita' a quei tre mesi e mezzo; per il resto dell' anno, salvo gli esami, fatti a scappa e fuggi, non c' e' neppure la pendolarita': c' e' pura e semplice assenza, come c' e' pura e semplice assenza nel caso dei docenti stanziali che svolgono altri mestieri. Eppure lo stipendio corre per un intero anno e in tutti i paesi, compresi quelli del Terzo mondo, nella scuola, Universita' compresa, le vacanze durano tre mesi. Sarebbe un errore ritenere che la maggioranza degli studenti che non giungono alla laurea siano giovani che per un motivo o per un altro ci ripensano e si scoraggiano. No: come risulta dall' indagine di Trivellato, De Francesco e Torri, sociologi dell' Universita' di Milano, molti s' iscrivono per ragioni assistenziali di vario genere: presalario (concesso, in pratica, senza obbligo di sostenere esami), rinvio del servizio militare, assegni familiari per il padre, assistenza sanitaria, mensa universitaria; bazzicare l' Universita' e' anche un modo per passare il tempo. Ma tutti questi pseudostudenti sono sabbia negli ingranaggi, gia' poco funzionanti, dell' Universita'. Il rimedio sarebbe semplice, se il paese non fosse ancora affetto da miserabile demagogia: far pagare tasse adeguate ai costi - cinque milioni l' anno per studente effettivo -, esonerando, come dice la Costituzione, i non abbienti e i meritevoli (all' ingresso varrebbe la media della licenza liceale): basterebbe richiedere, con larghezza, solo una media di 24 su 30 e il superamento di quattro esami l' anno. Regole di questo tipo sono stabilite alla Bocconi dove la "mortalita'" studentesca e' inferiore a 1 su 10. Eppure la razza e' sempre italica. E' vero: la Bocconi e' un' Universita' privata, anche se una quota non piccola dei finanziamenti sono pubblici. Ma che cosa impedisce allo Stato di fissare analoghe regole generali per le Universita' integralmente finanziate con fondi pubblici? Quando, alcuni anni fa, furono avviati i corsi intensivi "semestrali" le intenzioni di diversi politici e di numerosi docenti erano oneste. Tutte queste persone debbono ora riconoscere, altrettanto onestamente, che l' esperimento e' fallito, non solo perche' ha violentemente incentivato l' assenteismo dei docenti, ma anche perche' ha sacrificato le esercitazioni, che per certe materie sono anche piu' importanti delle lezioni, ed ha stimolato l' assenteismo degli stessi studenti i quali, quando le lezioni tacciono, ben di rado vanno a trovare il docente, pur se questo e' presente nel suo ufficio. Per controllori gli studenti Non si tratta di abolire i corsi intensivi; si tratta di stabilire la regola che ogni docente e' tenuto a insegnare per tutto l' anno accademico: poi, il tipo di corso, intensivo o non intensivo, quadrimestrale o annuale - viene scelto da lui liberamente. Tale obbligo potrebbe ristabilire quei rapporti, pressoche' continui, fra docenti e studenti nell' intero arco dell' anno accademico. Per di piu', verrebbe meno quella scarsezza di docenti che oggi dipende soprattutto dal modo, pessimo, con cui e' organizzata l' Universita'. Non pochi degli attuali docenti potrebbero essere utilizzati per i corsi di diploma; e si potrebbe accrescere il numero dei tecnici oggi penosamente inadeguato. Per combattere il deleterio assenteismo e per ottenere che tutti i docenti e tutti i tecnici facciano il loro dovere, dovrebbe essere introdotta una qualche forma di controllo da parte degli studenti, che sono i consumatori dei servizi universitari; così si fa in diverse universita' americane, così si fa alla Bocconi. Non tutti gli studenti, beninteso dovrebbero essere coinvolti, ma solo quelli che hanno superato una buona parte degli esami. Sono certamente numerosi i docenti che compiono per intero il loro dovere, spesso sopportando duri sacrifici. E non sono pochi i docenti di fama internazionale. Le isole sono importanti, ma se noi non cresciamo collettivamente, gl' isolani manterranno rapporti intensi coi colleghi di altri paesi, ma alcuni resteranno stranieri in patria, e, con universita' fondate sull' assenteismo di molti docenti e di molti studenti, non ci sara' quella ricaduta culturale, importante anche per la qualita' delle occupazioni. Forse e' tempo di riconoscere che non c' e' solo l' interesse al posto e alla carriera: in tutte le categorie, ma forse tra gl' intellettuali piu' che in altre, e' importante il desiderio di vivere in comunita' degne di rispetto, all' interno e all' estero. Oggi, a mio giudizio, così non e'. Ho parlato piu' volte di questi problemi col ministro Ruberti e con alcuni dei suoi piu' stretti collaboratori. Rivolgo a lui e ai suoi collaboratori un appello accorato: presentino due provvedimenti, uno per gli studenti (tasse e controllo), l' altro per i docenti (obbligo della didattica per l' intero anno accademico). Se vogliono, so che essi sono in grado di affrontare le tempeste di demagogia e di corporativismo che misure come quelle qui indicate inevitabilmente scatenerebbero. Ma ne vale la pena: sono in gioco il futuro dell' universita' e lo sviluppo civile del nostro paese. ------------------


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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 27/1/1990
 CONTESTATORI, PROVIAMO A DISCUTERE
SOMMARIO: Gli studenti che oggi protestano sembrano, sotto vari aspetti, piu' seri dei loro predecessori del 1968 e del 1977. Ma devono dimostrarlo
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
 TESTO: Di fronte alle nuove agitazioni studentesche, un anziano barone come me, che nelle precedenti ondate 1968 e 1977 si trovò fra coloro che contestavano attivamente e duramente i contestatori, deve domandarsi: sono piu' seri questi contestatori dei loro predecessori? Hanno ragione o hanno torto? Dico subito che una maggiore serieta' appare abbastanza visibile. Nel 1968 erano pressoche' introvabili gli studenti che avevano letto il progetto Gui per la riforma universitaria, sebbene l' attacco a quel progetto rappresentasse il segnale di avvio della contestazione. Oggi invece i giovani che hanno studiato il progetto Ruberti non sono pochi. E questo e' un fatto positivo; non mancano, tuttavia, aspetti decisamente negativi. I motivi di contestazione riguardano in particolare: 1) il fatto che al Senato studentesco il progetto attribuisce solo funzioni consultive e non anche deliberative; 2) l' introduzione del diploma universitario; 3) l' apertura dell' Universita' alle imprese private; 4) la grave carenza delle strutture per la didattica, per la ricerca e per accogliere gli studenti fuori sede. Pare a me che il terzo e il quarto punto abbiano fondamento, ma i primi due no. Il Senato studentesco diciamo meglio Consiglio, senato viene da senex, vecchio non può non avere funzioni consultive, giacche' gli studenti sono ospiti temporanei dell' Universita'. Dal punto di vista funzionale, la' dove e' stato tentato mi riferisco a certi paesi latinoamericani il cogobierno ha dato risultati disastrosi. E' giusto proporre che i pareri del Consiglio siano obbligatori, non che siano anche vincolanti. Ben piu' importante, per gli studenti e per il buon funzionamento dell' Universita', sarebbe il riconoscimento del diritto di critica, che potrebbe essere reso operativo inserendo nella legge un articolo così concepito: Agli studenti va riconosciuta la facolta' di criticare l' attivita' didattica e scientifica svolta dai docenti, risultante da relazioni pubblicate alla fine di ogni anno accademico sulla traccia di uno schema prefissato.Oltre le relazioni dei docenti, anche le critiche e le proposte di mutamento formulate dagli studenti vanno pubblicate nel Bollettino dell' Universita' (nel quale dovranno essere pubblicati anche gli estratti delle domande, delle delibere, dei consuntivi e delle convenzioni che comportano l' uso di attrezzature dell' Universita' o l' erogazione di danaro pubblico). L' attacco al diploma va considerato come un residuato bellico, uno slogan che risale al tempo in cui, in omaggio al feticcio di un demagogico egualitarismo, si sosteneva che non si dovevano creare titoli di serie A e titoli di serie B. Questa e' una sciocchezza. Impedire l' introduzione del diploma significa limitare arbitrariamente non solo la liberta' di scelta ma anche, per molti giovani, le opportunita' di trovare un impiego, giacche' in certi rami, come in ingegneria, gli studenti che aspirano al diploma dovrebbero faticare molto meno (3 anni invece di 6) e potrebbero poi trovare piu' facilmente lavoro. Diplomi, lauree e dottorati di ricerca sono titoli che si trovano in tutti i paesi progrediti, fra cui quelli europei. L' apertura dell' Universita' alle imprese private. Io sono d' accordo con le critiche se non s' introducono, nella legge, regole precise. Per promuovere attivita' di ricerca la legge deve non solo consentire e ciò gia' accade con le leggi vigenti ma favorire i consorzi e le convenzioni tra Universita', da un lato, ed enti pubblici e privati, dall' altro, alla condizione che si tratti di ricerche di preminente interesse scientifico ed alla condizione che le imprese non entrino nel consiglio di amministrazione. (Altra cosa sono le camere di commercio, che rappresentano privati ma che sono enti di diritto pubblico, e che in ogni modo sono gia' ammesse nei consigli di amministrazione dell' Universita'). Occorre infatti evitare il pericolo che le imprese usino strumentalmente l' Universita' per ricerche d' interesse prevalentemente aziendale, ciò che non solo sarebbe censurabile in se', ma avrebbe anche effetti deleteri, giacche' scoraggerebbe le imprese disposte a creare o ad ampliare propri laboratori di ricerca. Occorre, viceversa, incentivare, anche con forti sgravi fiscali, le imprese che intendono organizzare laboratori e istituzioni di ricerca un campo in cui i privati e specialmente gli industriali hanno fatto e fanno vergognosamente poco. Fra i motivi delle agitazioni studentesche in atto troviamo, in posizione preminente, la carenza delle strutture per la didattica, per la ricerca e per accogliere gli studenti fuori sede. Su questo punto gli studenti hanno pienamente ragione. Il problema e' particolarmente grave in tre grandi citta': Roma, Napoli, Milano. Il ministro Ruberti informa di aver avviato, col ministro per le Aree urbane, una commissione per ridisegnare quelle universita' che hanno assunto dimensioni mostruose. Per Roma, che e' la piu' mostruosa di tutte, le possibili soluzioni sono state studiate a fondo da anni: oltre all' uso di edifici sparsi nella citta', ci sono due aree, una gia' acquisita, l' altra da acquisire: l' area di Tor Vergata e un' area nella zona dell' Ostiense. E' possibile pensare ad almeno due nuove universita', oltre l' attuale citta' universitaria. Teniamo ben presente che Tor Vergata ha un' estensione enorme: circa 500 ettari, poco meno dell' area delimitata dalle mura aureliane l' attuale citta' universitaria, Policlinico compreso, non arriva a 30 ettari. Se la questione fosse lasciata ai normali meccanismi amministrativi, il tempo sarebbe molto lungo; esso potrebbe essere fortemente ridotto se i docenti di buona volonta' e gli studenti stessi si organizzassero usando magari le loro associazioni per far varare in tempi brevi una legge speciale per Roma. L' Universita' di Tor Vergata, che oggi, come edifici, copre una frazione minima dell' area totale, potrebbe diventare una universita' modello, paragonabile alle piu' efficienti citta' universitarie del mondo verde, aria pura, campi sportivi (piscine comprese), ampie strutture collaterali, oltre quelle per la didattica e la ricerca; alludo a case per lo studente, ristoranti, sale di soggiorno e di lettura, sale di riunione. Beninteso, Tor Vergata dovrebbe essere resa rapidamente accessibile dal centro di Roma prolungando la metropolitana. Tutte e tre le Universita' dovrebbero assegnare ampi spazi alle strutture per la ricerca e non solo a quelle appartenenti all' Universita', ma anche a quelle che fanno capo ad enti esterni, come il Cnr. Naturalmente, le strutture materiali rappresentano solo una condizione per risanare l' Universita'; ma si tratta di una condizione assolutamente necessaria. Nel complesso, il quadro attuale dell' Universita' e della ricerca scientifica e' assai oscuro: la presenza di isole luminose non lo modifica in misura significativa; per convincersene, basta pensare alla molto elevata mortalita' studentesca solo uno studente su tre giunge alla laurea ed alla crescita lentissima del numero annuale dei laureati. I confronti con gli altri paesi progrediti sono quanto mai preoccupanti. L' approssimarsi della completa unificazione europea può traformare le preoccupazioni in angoscia. Fra le vecchie contestazioni e quella in atto sussiste una differenza fondamentale: nel passato le richieste di riforma erano in gran parte pretestuose i leader piu' decisi e piu' attivi volevano non riforme, ma, nella loro atroce confusione mentale, la rivoluzione che, come tutti sanno, richiede l' uso della violenza. Pare che nelle assemblee non manchino alcuni nostalgici della rivoluzione, individui spostati e anzianotti, oramai incapaci di pensare ad altro. Pur ammettendo che questi personaggi ben difficilmente potranno far proseliti, sembra che non siano tanto pochi coloro che non hanno nessuna voglia di migliorare, anche radicalmente, il progetto di riforma, ma che usano le critiche in modo pretestuoso. Se queste tendenze dovessero prevalere, ci troveremmo in una situazione per certi aspetti simile a quella delle contestazioni del passato rumorose, tristi e, per lo sviluppo civile dell' Universita', non solo sterili ma dannose. E' lecito sperare che la situazione migliori: vedremo nei prossimi giorni. E' certo che, quanto piu' confuse, pretestuose e velleitarie sono le agitazioni, tanto piu' grave diventa il pericolo che alcuni gruppi, sindacali e non sindacali, approfittino della bagarre per collegarsi con gli studenti in agitazione e portare avanti pretese biecamente corporative, come accadde l' altra volta malauguratamente, con notevole successo e con conseguenze deleterie che tuttora pesano sull' Universita'. Non si fece la rivoluzione, naturalmente, ma non si fece neppure la riforma o meglio, si fece una riforma, ma per il peggio, con l' immissione massiccia e disordinata di docenti, soprattutto attraverso concorsi riservati, di stampo corporativo; all' enorme crescita nel numero dei docenti ha fatto riscontro in parte per contraccolpo un' insufficienza negli investimenti destinati alle strutture. Quell' enorme crescita si e' accompagnata a una pessima distribuzione dei docenti, cosicche' nei corsi del primo anno di certe facolta' ha pur sempre luogo una grave sproporzione fra docenti e studenti. E' vero: esiste un acuto malessere nell' Universita', non solo fra gli studenti, particolarmente nei primi anni, ma anche fra molti docenti e, ancora di piu', fra i ricercatori, i dottori e i dottorandi, a causa delle prospettive di carriera, che sono anguste principalmente per effetto di quelle misure che hanno determinato l' intasamento di molta parte dell' Universita'. Per il movimento degli studenti oggi il rischio di essere strumentalizzato da partiti politici esiste, ma e' modesto; e' grave invece il rischio di essere strumentalizzati da gruppi di ricercatori, dottorandi e docenti di livello intermedio in cerca di scorciatoie. Ma per queste persone la via non e' quella di cercare di strappare miserevoli concessioni ope legis. Per loro e per gli stessi studenti che pensano al loro futuro e che comunque intendono contribuire alla crescita civile del nostro paese e' quella di battersi per una riorganizzazione radicale del sistema della ricerca pubblica e privata, allo scopo di irrobustirne l' impalcatura, di allargare non artificialmente la sua capacita' di assorbimento e di adeguarla a quella dei piu' progrediti paesi europei. Si dovrebbe pensare a una legge di riforma della ricerca da varare subito dopo quella dell' Universita'. Probabilmente sarebbe di grande aiuto un rapporto che raccogliesse in modo critico e sistematico tutte le notizie del sistema della ricerca degli altri paesi europei, da usare come punto di riferimento per l' opera di riorganizzazione: l' Europa e' vicina. Su una tale via servono poco, o sono senz' altro contro-operanti, le occupazioni delle facolta' e l' interruzione dei corsi; e' essenziale, invece, una tenace azione riformistica in tutte le sedi possibili. La via e' molto difficile, ma e' anche l' unica che si addica a persone mature e civili. Ruberti ha dichiarato di essere disposto a introdurre modifiche anche radicali nel suo progetto. Se l' obiettivo riformistico degli studenti non e' pretestuoso, ma genuino, perche' non fargli credito? Possibile che la nuova generazione e la vecchia non riescano a collaborare, sia pure, com' e' giusto, dialetticamente? ------------------

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TESTATA: REPUBBLICA DATA: 5/3/1986
ARTELLI E IL TRUCCO DEL BUONO SCUOLA...
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
 TESTO: LA scena si svolge in un possibile futuro prossimo in una classe di una scuola elementare privata, dopo l' approvazione dei buoni scuola. Il ragazzino che fa le domande e' vivace e impertinente; anche troppo; se non cambia, avra' una vita difficile in questo paese. "Signor maestro, che cosa sono quei buoni che papa' porta ogni trimestre alla segreteria della scuola?". "Sono come dei soldi, che servono a pagare tutto quello che c' e' da pagare per mandare avanti la scuola". "Ma signor maestro, questa e' una scuola privata e le scuole private non debbono costare soldi allo Stato. Lo dice la Costituzione. A me lo ha detto papa'". "Dimmi, tuo papa' detesta i preti?" (La scuola in cui si svolge la scena e' una scuola cattolica). "No, ha anche un prete fra i suoi amici. Ma dice sempre che detesta i furbacchioni. Dice che l' Italia va male perche' ci sono troppi furbacchioni. Signor maestro, lei non ha risposto alla mia domanda. Se la scuola privata non deve costare soldi allo Stato, non e' un trucco quello dei buoni scuola? Non e' un imbroglio, come dice papa'?". "No, non e' un imbroglio, ma e' troppo difficile per spiegartelo". "Signor maestro, perche' non ci prova?". LA scena finisce qui, con grande imbarazzo del giovane maestro, che non sa che cosa rispondere. Gia' altri - Ferrara e Asor Rosa - hanno criticato su questo giornale la proposta, non nuova ma ripresa recentemente dall' on. Martelli, dei buoni scuola. Le loro critiche sono valide e serie; le mie possono apparire moralistiche. Ma nel nostro paese ci vuole ben poco per essere bollati come "moralisti". D' altra parte, la proposta dei buoni scuola originariamente proviene da un' organizzazione, Comunione e Liberazione, che fa della morale addirittura la sua bandiera politica. Ma non si tratta di considerazioni moralistiche - che sarebbero del tutto appropriate nel caso della scuola -, bensì di considerazioni giuridiche e di civilta': vogliamo o non vogliamo rispettare la Costituzione? O vogliamo farcene beffe? Vogliamo essere o diventare una repubblica civile o trasformarci in una repubblica di magliari? "Senza oneri per lo Stato", dice la Costituzione con riferimento alla scuola privata. Nelle proposte di chi vuole l' aiuto finanziario dello Stato per la scuola privata ho registrato ben sei cavilli tendenti a dimostrare che "senza" significa "con". Gli espedienti che, indipendentemente dalle intenzioni, tenderebbero ad aggirare quella norma sono invece, almeno finora, solo due: la gia' nota formula degli sgravi fiscali per le spese scolastiche e la piu' recente proposta dei buoni scuola. Se non ci fosse quella norma non sarebbero espedienti: sarebbero due rispettabili metodi di finanziamento, da considerare in alternativa al finanziamento diretto; e si potrebbe utilmente discutere sui vantaggi e sugli svantaggi dell' uno o dell' altro metodo in termini di efficienza e di pluralismo. Ma fino a quando c' e' quella norma la scelta non c' e': che si tratti di spese in bilancio, o di sgravi fiscali, o di buoni scuola non fa differenza, a meno che non vogliamo farci beffe della Costituzione. Chi e' convinto che sia piu' vantaggioso un finanziamento indiretto (sgravi o buoni), che, appunto perche' indiretto, andrebbe a vantaggio di ogni tipo di scuola; o chi ritiene che la scuola privata - che in Italia per nove decimi significa scuola cattolica - debba essere aiutata finanziariamente dallo Stato, non ha che una strada: quella di promuovere la revisione costituzionale. E' una strada difficile, ma e' l' unica degna di un paese civile. Gli storici steccati o la divisione fra guelfi e ghibellini non c' entrano affatto. Sostenere che in altri paesi occidentali la scuola privata e' finanziata dallo Stato e' fuori luogo, dato che gli altri paesi non hanno quella norma nella loro Costituzione; ed e' fuori luogo ricordare che il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione favorevole ad aiuti finanziari della scuola privata: la Costituzione del nostro paese non può essere modificata da una risoluzione del Parlamento europeo. Purtroppo sono gia' in atto non poche misure che possono configurarsi come furbeschi espedienti per aggirare la norma costituzionale: e' un problema che il Parlamento dovrebbe approfondire. Si tratta di piccoli espedienti: ora qualcuno pensa di fare le cose in grande, col rischio addizionale di creare le premesse per un ulteriore aumento del disavanzo, soprattutto per nuovi insegnanti. Personalmente - ma questa e' materia opinabile - non raccomando la revisione costituzionale, poiche' ritengo che sia dovere del governo e, in particolare, del ministro per la Pubblica istruzione sorvegliare che la scuola pubblica garantisca il massimo pluralismo delle idee e dei metodi didattici: qui sembra che ci sia molto da fare e molto da migliorare. Per ridurre il rilevantissimo onere di bilancio raccomanderei, per l' Universita', un forte aumento delle tasse accompagnato da un forte aumento delle borse di studio per i meritevoli. Ed esaminerei con grande attenzione la questione del numero e della distribuzione dei docenti. Dalle statistiche della Comunita' europea appare che noi abbiamo di gran lunga il carico relativo piu' alto d' insegnanti - e' il risultato delle assunzioni piu' che massicce degli ultimi anni. Un esperto della scuola mi dice: guarda che sono numerosi gli insegnanti "comandati" altrove, un numero rilevante presso sindacati e partiti. Si tratta di un vero e proprio abuso: e' un' altra questione su cui occorre indagare. Oltre il numero eccessivo c' e' la questione della cattiva distribuzione degli insegnanti: si debbono studiare mezzi adatti, non coercitivi, per redistribuirli. In ogni modo, alla scuola non occorrono nuovi insegnanti, ma attrezzature, soprattutto nel Mezzogiorno. C' e' il problema, essenziale, del grado di autonomia, oggi bassissimo; e c' e' il problema, in parte connesso con questo, dei programmi. Sono assai gravi i problemi della scuola primaria e secondaria; e sono non meno gravi quelli dell' Universita' e della ricerca scientifica, come risulta anche dal rapporto della Commissione istituita dal presidente del Consiglio. E' in gioco il futuro del nostro paese in quanto paese civile. Credo che sia giunto il momento d' istituire una Commissione parlamentare d' inchiesta, che studi a fondo questi problemi, anche interrogando coloro che nella scuola e negli istituti di ricerca spendono la loro vita. ------------------

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REPUBBLICA DATA: 13/1/1985
LA SCUOLA CHE VUOLE DE MITA
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI TESTO: IL 9 GENNAIO, intervenendo a "Tribuna politica" in un dibattito televisivo, l' onorevole Ciriaco De Mita mi ha tirato in ballo per la questione della scuola privata. Considerata la grande importanza della questione e considerate le inesattezze contenute in quell' intervento, mi sembra necessario replicare. De Mita, che fa riferimento ad un mio articolo apparso su Repubblica il 26 settembre scorso, mi accusa di "settarismo laico" e di "intolleranza" accuse per me abbastanza urtanti, dal momento che detesto settarismi, culturali e politici. Dice De Mita: "noi ci muoviamo per migliorare la scuola, non per dividere l' organizzazione della scuola tra vecchi guelfi e nuovi ghibellini". Scrivevo in quell' articolo: "Dev' essere ben chiaro: i clericali e gli anticlericali, i guelfi e i ghibellini, qui non c' entrano: e' solo una questione di onesta' civile. Mi risulta che non pochi democristiani la pensano così. Questi democristiani arrossirebbero di vergogna se uno dei cavilli dovesse prevalere". E' questa l' intolleranza che De Mita mi attribuisce? E' questo il "settarismo laico?". In effetti, solo un penoso cavillo può trasformare il "senza" di cui parla l' articolo 33 della Costituzione in un "con" ("Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato"). In quell' articolo indicavo solo due cavilli; nel frattempo ne ho raccolti non meno di sei. Quando una causa e' giusta, il difensore usa una sola argomentazione; piu' la causa e' traballante, piu' aumenta il numero delle argomentazioni: si spera che almeno una vada a segno! IN effetti, quella norma e' in armonia col dizionario: quel "senza" nella Costituzione vuol dire veramente "senza"; essa fu infatti il frutto, com' e' stato efficacemente detto, di un minicompromesso: da un lato i comunisti erano disposti a incorporare il vecchio concordato nella Costituzione e a votare l' articolo 7 e non pochi laici erano disposti ad evitare una guerra all' ultimo sangue su quell' articolo; da parte loro, i democristiani erano disposti a cedere su quella clausola di salvaguardia. Sono passati quarant' anni: oggi non c' e' piu' bisogno di compromessi o di minicompromessi e ci si accorge improvvisamente che occorre sostenere finanziariamente la scuola privata o, come dice De Mita, libera. No, onorevole De Mita, questo non va bene; e guelfi e ghibellini non c' entrano. E non sta nella "burocratizzazione dei servizi" il difetto principale della scuola italiana. Sono "burocratiche" le lezioni, che costituiscono gran parte dell' attivita' delle scuole dei diversi ordini? E' burocratica la ricerca? No: i difetti della nostra scuola sono ben diversi; fra i difetti, c' e' la scarsezza dei mezzi finanziari, soprattutto nel settore della ricerca; una scarsezza che si e' aggravata con le massicce assunzioni di docenti, spesso dettate da un calcolo di convenienza politica piuttosto che da esigenze obiettive; una scarsezza che verrebbe ad aggravarsi ulteriormente nel caso che fosse ammessa al finanziamento pubblico la scuola privata, che in gran parte ora si autofinanzia. Dico "in gran parte", poiche' sono stati messi in atto diversi espedienti (come le "convenzioni" ed altri) per aggirare l' articolo 33: espedienti di dubbia legittimita' e di ancora piu' dubbia moralita'. E non e' neppure esatto affermare che la scuola negli Stati Uniti sia "la scuola piu' efficiente del mondo"; in quel paese ci sono scuole private e scuole pubbliche a tutti i livelli, con un' incredibile varieta' di situazioni - si va dall' ottimo al pessimo - e se spesso le scuole private funzionano meglio di quelle pubbliche e' perche' dispongono di cospicui mezzi, ottenuti in primo luogo attraverso rette salatissime. All' Mit o a Harvard - per parlare di due grandi universita' - la retta annuale si aggira sui 10 milioni di lire; e sono istituzioni che godono di rilevanti fondi di dotazione e di contributi forniti, di nuovo, da privati: la burocrazia non c' entra. L' onorevole De Mita dice di avere un' alta considerazione per me "come economista". Nonostante la restrizione, mi dichiaro soddisfatto. Ma allora, come economista, affermo che l' onere previsto dal progetto di legge presentato da numerosi democristiani - un onere gia' in se' non trascurabile: 1500 miliardi - era gravemente sottostimato in tre volte e piu', sia perche' si prendeva come termine di riferimento una situazione del passato (e in un periodo d' inflazione ogni valutazione diventa obsoleta in tempi brevi), sia perche' non considerava l' onere del personale non docente (in organico o "comandato"), che la scuola privata potrebbe pagare con fondi pubblici se passasse quel progetto. Inoltre - ed e' l' aspetto piu' preoccupante - una volta caduta quella limitazione costituzionale, quell' onere potrebbe crescere ad una velocita' imprevedibile ma certamente elevata. L' obiezione fondamentale, tuttavia, non sta nell' onere finanziario. L' obiezione fondamentale sta nell' articolo 33; e' una norma da intendere con la strizzatina d' occhio, vorrei poter dire "all' italiana" della vecchia maniera? Se la risposta sia dei guelfi sia dei ghibellini e', come spero, negativa, chi non vuole quella norma ha una sola via: quella della revisione costituzionale. E' una via faticosa e difficile, non lo nego affatto. Ma e' l' unica via degna di un paese civile, il quale si e' dato una Costituzione che contiene quell' articolo. Il pericolo piu' grave e' che, non pochi uomini politici, democristiani e non democristiani, si convincano, in buona fede, che sia giusto accettare l' uno o l' altro dei cavilli sopra menzionati (fra cui spicca, per astuzia, quello che prevede detrazioni fiscali). Mi auguro che ciò non accada; me lo auguro non come ghibellino, nuovo o vecchio che sia, ma come cittadino di un paese che ha tutte le possibilita' di diventare veramente civile. ------------------

TESTATA: REPUBBLICA DATA: 28/9/1984
NEMMENO UNA LIRA ALLA SCUOLA PRIVATA
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
 
TESTO: "ENTI e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato": e' questa una norma contenuta nell' articolo 33 della Costituzione. Ora "senza" vuol dire "senza" e nessun cavillo, nessun sofisma e nessuna contorsione può trasformare quel "senza" in "con". Che una tale nozione, ovvia, debba essere ripetutamente ribadita, come per esempio ha fatto Giovanni Ferrara su NRepubblica il 17 settembre e come ora sono costretto a fare io, e' umiliante per tutti, laici e cattolici. Eppure, nel dibattito aperto dalla proposta di legge n. 1839 presentata da numerosi democristiani e' questo l' unico reale punto di divisione. L' elenco degli arzigogoli e' ampio. Ne ricordo solo due: 1) "senza oneri" vale solo per l' istituzione e non per la gestione; 2) "senza oneri" vale per le scuole private in generale, ma non per le scuole private "parificate"; e via così cavillando: la "madre del diritto" e' sempre prolifica. Si dice: guardate la Francia;N ma la Francia non ha quella norma nella Costituzione. Se ignoriamo le contorsioni, i cavilli e gli arzigogoli, quali sono le vie per finanziare le scuole cattoliche? Le vieN oneste sono tre: 1) far pagare per intero il servizio a chi lo richiede, cercando addirittura - ma senza oneri per lo Stato - di far concorrenza alla scuola pubblica quanto ad efficienza; 2) raccogliere fondi in Italia e all' estero per finanziare quelle scuole e renderle accessibili a tutti gratuitamente o a bassi costi; 3) promuovere la revisione dell' articolo 33. A parte una possibile combinazione delle prime due formule, non c' e' nessun' altra via onesta. Pare che sia stata suggerita, da parte laica, la via della detrazione fiscale delle spese sostenute dalle famiglie per le scuole private. Questa via e' piu' insidiosa, ma non meno inaccettabile della via del finanziamento a carico dello Stato: per il bilancio pubblico, come per qualsiasi bilancio, una maggiore spesa o una minore entrata sono del tutto equivalenti, con l' aggravante che la minore entrata e' incerta e indefinibile a priori, mentre la maggiore spesa e' visibile. Non per nulla il proponente numero uno si e' dichiarato possibilista sull' idea della detrazione fiscale: "Per noi e' importante la caduta della pregiudiziale a varare un provvedimento in questo campo" (NIl mondo, 17 settembre 1984); in altri termini, e' importante fare una breccia nel muro della norma costituzionale: aperta la breccia, gli avamposti possono entrare subito, le truppe potranno entrare in seguito. Bisogna dire che il calcolo e' fondato. DEV' ESSERE ben chiaro: i clericali e gli anticlericali, i guelfi e i ghibellini, qui non c' entrano: e' solo una questione di onesta' civile. Mi risulta che non pochi democristiani, che finora hanno taciuto, la pensano così. Questi democristiani arrossirebbero di vergogna se uno dei cavilli dovesse prevalere. E' stato molto giustamente affermato, da parte democristiana, che la scuola di Stato e' la scuola di tutti; si e' menato vanto, sempre da parte democristiana, della laicita' di De Gasperi. Parole al vento? Dichiarazioni di facciata? Se per ipotesi i promotori riuscissero a mobilitare in favore della proposta masse di persone, giocando sulla Francia e facendo leva sui sentimenti religiosi o sul portafoglio di queste persone (se mandano i loro figli in scuole private e pagano rette non piccole), o anche facendo leva sulla scarsa conoscenza delle norme costituzionali, ebbene, anche se per ipotesi avessero successo in tali mobilitazioni, non avrebbero motivo di compiacimento: avrebbero dato un notevole contributo alla maleducazione civica dei loro concittadini. Il costo principale che quella proposta di legge porta con se' e' dunque un costo morale e civile. L' approvazione di quella proposta rappresenterebbe il coronamento di un cinico calcolo di opportunita' politica, giacche' la complicita' di una parte dei partiti laici sarebbe indispensabile; e la scuola, l' istituzione educativa fondamentale, si troverebbe ad avere un pilastro poggiante su qualche cavillo di cui dovremmo tutti vergognarci. Ma anche il costo finanziario sarebbe molto oneroso. Uno dei proponenti ha valutato in 1500 miliardi l' onere annuale. La cifra, gia' in se' cospicua, e' nettamente inferiore alla realta'. Nel 1984 la spesa complessiva per gl' insegnanti si aggira sui 22 mila miliardi, cui bisogna aggiungere, in via congetturale, altri 10.000 miliardi per il personale non docente: 32 mila miliardi in tutto. Considerando che, oggi, gli studenti della scuola privata - cattolica e laica - rappresentano il 15% della popolazione scolastica, l' onere, in proporzione, sarebbe di 4800 miliardi. Se - aggiugendo un' ingiustizia alla violazione costituzionale - si concedesse il finanziamento alle sole scuole cattoliche, la cui popolazione studentesca rappresenta l' 8% del totale, l' onere sarebbe di circa 2500 miliardi. In prospettiva, però, il costo sarebbe nettamente maggiore, non solo per la lievitazione delle retribuzioni, ma anche perche', introducendo una concessione come quella ipotizzata, può determinarsi una forte spinta all' espansione della scuola privata, che non ha i vincoli della scuola pubblica: la competitivita' della scuola privata aumenterebbe, a spese dello Stato, e il degrado della scuola pubblica verrebbe accelerato, mentre occorrerebbe una vigorosa azione esattamente nella direzione opposta. In un tale processo tenderebbe a divenire sempre piu' grave il disavanzo pubblico, che a parole tutti dicono di voler contrastare. L' attuale quadro della scuola e della ricerca in Italia, nonostante la retorica convenzionale, e' desolante. Si varano 6000 posti per professori universitari, quando i corsi conN zero studenti sono gia' numerosi, mentre si programmano N zero posti per le nuove leve della ricerca scientifica, ossia per le borse relative ai dottorati. Si tagliano i fondi per la ricerca scientifica, ma la somma algebrica delle spese complessive per l' istruzione cresce in misura cospicua, per via delle retribuzioni e, ancora di piu', dei retribuiti, in un periodo, come ha giustamente osservato il ministro Altissimo, in cui la popolazione scolastica tende a flettere. Non contenti di ciò, si vuole addossare al pubblico erario un nuovo onere, gravoso oggi, certamente gravosissimo domani, facendo leva su qualche miserabile cavillo. Dobbiamo concludere che molti dei responsabili della pubblica istruzione rappresentano una variabile impazzita della classe politica italiana? ------------------
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Immagini del pensiero (3/10/1998)
Paolo Sylos Labini
Lo sviluppo economico moderno
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