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Paolo Sylos Labini
"Salvare la
democrazia"
«L'economista, non diversamente dal sociologo, studia la
società della quale fa parte: egli non è estraneo all'oggetto del
suo studio nel senso particolare in cui si può affermare che lo sia
il cultore di scienze naturali. [...] Se lo studioso non può sperare
di essere rigorosamente «obiettivo» (ciò che è impossibile), può
e deve tuttavia sforzarsi di essere intellettualmente
onesto, ossia può e
deve cercare di vedere tutti gli aspetti di un determinato problema,
anche gli aspetti per lui sgradevoli, e non solo quelli che sono
conformi alla sua ideologia o utili per la sua parte politica» dall' Introduzione al : Saggio sulle classi sociali (1974). ::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Un itinerario di resistenza possibile e' l'onestà intellettuale dell'intelligenza che non si piega al compromesso, e che attinge, per una schietta ed urgente esigenza di verità e di speranza ad analoghe istanze morali nell'affrontare il mondo e la vita .La resistenza e' sempre il frutto di un percorso di ricerca e di speranza , nella consapevole certezza che il punto di riferimento ultimo rimane il bene inalienabile della dignità della vita umana in tutte le sue forme. La resistenza e' anche espressione non violenta della volonta' di sussistenza di valori comuni ed è spesso un "dovere" delle minoranze non elitarie.
Intervento alla Festa di protesta del 14 settembre
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L'Unità 07/05/2002
L'esodo o la pace tra
arabi ed ebrei
PAOLO SYLOS LABINI Noi pochi ebrei e non pochi arabi, fra gli intellettuali, hanno più volte avanzato proposte di soluzioni pacifiche. In quanto intellettuali italiani cerchiamo di integrarle e migliorarle: ciò è possibile specialmente in Europa, grazie alla vicinanza geografica e, al tempo stesso, al distacco raggiungibile se si superano, con la ragion critica e con la conoscenza, quelle forme laiche di fanatismo. che di tanto in tanto si presentano, certe volte contro gli ebrei, altre volte contro gli arabi. Certo, anche il più distaccato degli osservatori resta sgomento di fronte all'odio e alla ferocia della due parti in causa\, l'odio è una passione travolgente e come tale sfugge ad un'analisi razionale, anche se si riconosce che tanto gli ebrei quanto i palestinesi hanno le loro ragioni - ogni tragedia consiste proprio in questo. Eppure, se escludiamo l'annientamento o l'esodo forzato degli uni o degli altri, l'unico sbocco è una soluzione pacifica. Per una stabile soluzione pacifica, si dovra nno affrontare il problema del diritto ad esistere d'Israele e quello dell'«intarsio» fra zone abitate, nello Stato d'Israele, da ebrei (cinque milioni in tutto) e zone abitate da palestinesi (un milione)\, fra le zone dell'intarsio troviamo gli insediamenti dei coloni ebrei. Si tratta di rendere compatti sia il territorio destinato agli ebrei sia quello dei palestinesi. Per rendere minimi gli interventi coercitivi bisognerà riflettere sugli scambi di aree, sugli indennizzi, sugli incentivi in danaro e in natura da offrire ai gruppi che dovranno spostarsi. Conviene riconsiderare l'ipotesi di un arbitrato internazionale promosso dai quattro grandi soggetti che si sono riuniti recentemente a Madrid e cioè Nazioni Unite, Unione europea, America e Russia, un arbitrato a sostegno di trattative condotte da una commissione composta da membri eletti dalle due parti per definire, in un trattato, i confini dei due Stati, su territori compatti, e con l'intesa di accettare poi una forza di ga ranzia dei confini costituita dagli stessi soggetti che hanno assicurato l'arbitrato. Più di una volta, nel passato, specialmente nel 1978 e nel 1996, la soluzione è apparsa vicina. Di recente, nonostante tutto, qualche passo avanti è stato fatto. Se daremo meno spazio alle emozioni e più spazio alla ragione, la prossima potrà essere la volta buona. Sul sito aperto da Repubblica, che fra breve sarà di nuovo in funzione, per il movimento «Opposizione civile», apriremo un sotto-sito sui problemi più gravi del nostro tempo, con una formula interattiva, volta a coinvolgere i lettori. Questa mia nota riassume un'analisi più ampia, che comparirà in quel sito\, un'altra nota riguarderà «La globalizzazione: proposte concrete per l'Africa sub-Sahariana». --------- http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica22082002.html REPUBBLICA DATA: 22/08/2002
La crisi dell' economia e le colpe
della politica
PAOLO SYLOS LABINI SU REPUBBLICA del 4 agosto Eugenio Scalfari scrive: "La categoria più strapazzata più smentita dai fatti e più sfiduciata dalla pubblica opinione da due anni in qua risulta essere quella degli economisti, degli analisti finanziari, degli esperti. Peggio dei politici, che è tutto dire". Non intendo difendere la categoria degli economisti alla quale appartengo, ma mi propongo d' aiutare a discriminare, poiché d' ipotesi previsive in economia non si può fare a meno. In primo luogo suggerisco di non fidarsi degli economisti che sono al servizio o che s' attendono favori da qualche "principe". Occorre poi tenere ben presente - è umano - che di norma s' attribuisce più importanza a breve che a lungo periodo. Infine, anche gli economisti più onesti tendono a valorizzare il roseo rispetto al nero, perché il mestiere di profeta di sventure non è gradevole. Due esperienze personali. Nell' ottobre dell' 87 ci fu un tonfo alla Borsa di New York. Guido Carli, banchiere centrale ed economista di vaglia, scrisse un articolo pessimista su Repubblica; alcuni economisti avevano rievocato lo spettro della grande depressione, iniziata nel '29. A caldo inviai a Repubblica un articolo in cui criticavo Carli. Difatti la recessione restò confinata nell' ambito finanziario e durò pochi mesi: non sono un pessimista di professione. La seconda esperienza si ricollega agli studi compiuti molto tempo fa. Da almeno due anni son preoccupato sulle prospettive internazionali e ho espresso le mie preoccupazioni in un articolo (Repubblica, luglio 2001), in polemica con le previsioni "rosee" del primo Dpef di Tremonti; infine, in termini stringati ma non telegrafici nella relazione che ho presentato il 29 aprile 2002 al convegno della Cgil "Congiuntura internazionale e prospettive dell' economia italiana". Nella relazione illustravo i motivi delle mie preoccupazioni; non cercavo d' addolcire la pillola: "Un medico coscienzioso - scrivevo - se si rende conto che sussistono rischi anche gravi deve dirlo al paziente; non può tacerli per non spaventarlo". Donde veniva questa mia "lungimiranza" che come ho detto precede la mia relazione d' aprile? Da uno straordinario acume? No, dopo la seconda guerra avevo studiato, ad Harvard, con Joseph Schumpeter, autore di un' affascinante teoria sulle innovazioni e sullo sviluppo ciclico. Tuttavia la sua spiegazione della grande depressione del '29-' 39 da lui esposta nel suo "Trattato sui cicli" non mi sembrò soddisfacente e nell' 81 proposi, in inglese, un' interpretazione che diversi economisti giudicarono sconcertante, perché si poneva contro la tradizione che risale ai classici, secondo cui all' origine delle crisi troviamo il difetto e non l' eccesso dei profitti. Sostenevo infatti che i profitti erano divenuti eccessivi e che ciò andava visto nel quadro di un violento spostamento (5 o 6 punti) a danno dei redditi da lavoro dipendente e indipendente: ciò frenava la domanda di beni di consumo e, indirettamente, anche gli investimenti reali - la crescita degli investimenti finanziari era spinta soprattutto dai profitti. Attribuivo quello spostamento all' azione congiunta di grandi innovazioni, come l' elettricità, il petrolio e l' auto, che avevano portato molto in alto le aspettative di profitto, e a certi mutamenti nelle forme di mercato. Le mie riflessioni di oltre vent' anni fa e la constatazione che oggi negli Usa sono presenti alcune caratteristiche osservabili prima della grande depressione - specialmente il violento spostamento delle quote distributive, il peso dei debiti delle imprese e delle banche, la prolungata speculazione in Borsa. I debiti hanno assunto un peso che in un' economia non più in crescita è divenuto insopportabile. A quale livello debbono scendere per divenire sopportabili? è da esaminare il rapporto fra debiti e mezzi propri (la parola inglese è leverage). Come ben si comprende, sono i debiti a lungo termine - "immobilizzi" - quelli che creano le più gravi difficoltà. Nell' 87 prevalevano i debiti di breve durata delle imprese e degli operatori di Borsa verso le banche e per questo Greenspan ebbe buon gioco, con gigantesche iniezioni giornaliere di liquidità, a circoscrivere la crisi nell' ambito finanziario. Debiti: in primo luogo c' è quello estero, sul quale tornerò. C' è poi quello interno, delle famiglie, che addirittura ha nettamente superato il valore del reddito disponibile. C' è anche quello interno, delle imprese, che ha superato i livelli già alti del '90. In Europa e in particolare in Italia - come avverte Pierluigi Ciocca vicedirettore della Banca d' Italia - non è patologicamente alto, negli Usa invece lo è; ma l' economia americana è la locomotiva del mondo. Il peso diviene insopportabile quando la congiuntura diviene negativa: in queste condizioni famiglie e imprese trovano sempre più difficile pagare i debiti che vengono a scadenza e anzi spesso s' indebitano ulteriormente, non per far acquisti di beni di consumo o di macchinari, ma per evitare il fallimento. Di recente hanno avviato un' analisi di questo tipo economisti come Godley, Galbaraith, Krugman. Come mai i due pesanti fardelli dei debiti delle famiglie e delle imprese non hanno impedito la crescita fino al tempo recente dei consumi e degli investimenti? Si può rispondere richiamando la politica monetaria fin troppo liberale adottata da Greenspan, specialmente per case e auto, al fine di rinviare e attenuare la resa dei conti, che pur vedeva avvicinarsi; inoltre i falsi in bilancio e gli altri colossali imbrogli hanno a lungo sostenuto aspettative troppo ottimistiche sull' economia Usa. Per contrastare la recessione Bush ha già accresciuto la spesa pubblica, specialmente quella militare, dando un calcio alla sua ideologia liberista e antikeynesiana. In un' intervista all' Espresso Samuelson è convinto che Bush sarà costretto ad andare molto più avanti su questa linea. Samuelson dimentica però che una forte espansione della domanda farebbe crescere ulteriormente il già insopportabile disavanzo commerciale. Il governo americano non può far molto per provocare una svalutazione del dollaro capace di riequilibrare i conti con l' estero. Greenspan può favorirla, con un' adeguata politica della moneta e dell' interesse. Godley pensa che occorra, nella migliore delle ipotesi, una svalutazione minima del 25-30%. Ma il prezzo per le esportazioni europee, cominciando da quelle tedesche, sarebbe enorme. Resta un' azione concordata fra i paesi industrializzati per pilotare la svalutazione del dollaro, secondo il modello dell' Accordo del Plaza della metà degli Anni '80; in più occorre un' azione volta ad allargare reciprocamente i mercati dei paesi industrializzati attraverso una reflazione generalizzata che coinvolga governi e Banca centrale. Ma oggi è assai difficile realizzare un simile accordo. L' Italia, che pure potrebbe farsi promotrice d' una tale strategia, ha al vertice, purtroppo, Berlusconi, Tremonti e Bossi, da cui non c' è da aspettarsi nessuna iniziativa valida. A rigore la via d' uscita consiste in una vigorosa reflazione concordata fra Usa, Canada, Ue, Regno Unito e Giappone, raccomandata dall' amico Godley (è un bravo economista perché ama la musica); sembra l' unica via d' uscita, anche tenendo conto dell' inerzia giapponese e delle crisi nell' America Latina. La reflazione internazionale deve fondarsi su una catena di trattati commerciali complementari, reciprocamente vantaggiosi. Ma nelle condizioni attuali, con Bush preoccupato di non perdere la maggioranza al Congresso e quindi disposto a scatenare una guerra con l' Iraq, forse pensando anche agli effetti keynesiani di nuove cospicue spese militari, c' è poco da stare allegri: l' Iraq - a parte ogni valutazione politica - farebbe schizzare il prezzo del petrolio con effetti tremendi su una congiuntura già disastrosa. Deus amentat quos vult perdere. Bisogna riconoscere che oggi è in gioco molto di più che un miglior funzionamento del capitalismo. è in gioco la sua stessa immagine. E qui non bastano i tanto bistrattati economisti di cui parla Scalfari. Debbono riflettere intellettuali d' assai più ampie vedute. ------ http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica14052002.html Repubblica 14/05/2002
Gli anticorpi perduti della società
italiana
SOMMARIO: Questo governo ha dato l' assalto allo Stato di diritto
Il tentativo consiste in sintesi, nel sopprimere la separazione tra
potere esecutivo, giudiziario e legislativo
Il nostro Paese è ammalato e non ha i mezzi per curarsi
Solo così si spiega l' ascesa al potere di un gruppo politico in
cui pullulano gli indagati e i condanna
PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: Spesso, anche se non sempre, gli uomini politici che raggiungono il vertice del potere hanno pochi scrupoli e molto cinismo. Le moderne democrazie parlamentari mirano appunto ad impedire che quella mancanza di scrupoli e quel cinismo procurino gravi danni alla collettività. Una metafora tratta dalla medicina può chiarire le idee: la democrazia, in tutte le sue componenti, fra cui la giustizia e la libertà d' informazione e di espressione, rappresenta un sistema di anticorpi. Se questi anticorpi non funzionano, compaiono i sintomi di quella terribile malattia chiamata Aids, l' immunodeficienza acquisita, contraendo la quale gli agenti patogeni hanno via libera e possono portare alla morte. Fuor di metafora: se in una società compare l' Aids i politici lestofanti hanno via libera e dilagano le prepotenze, la corruzione ed altri mali che trasformano la società in una mefitica palude o in una gigantesca fogna, dove la dignità delle persone va alla malora e dove è assai brutto vivere anche se ci vuole tempo per rendersene conto. L' idea consolatoria, oggi diffusa in Italia, secondo cui "tutto il mondo è paese", è sbagliata, non perché i politici degli altri paesi siano degli angioletti (spesso non lo sono), ma perché ignora la questione degli anticorpi. Nixon non era certo un modello di moralità, ma in America gli anticorpi hanno funzionato: la libera stampa lo ha messo sotto accusa e lui non ha neppure tentato di tacitarla i tentativi avrebbero aggravato la sua posizione; Nixon, è vero, cercò di mettere in condizioni di non nuocere il magistrato che portava avanti le accuse ma fallì clamorosamente, poiché il ministro della Giustizia, che era stato nominato da lui stesso, si dimise ed ebbe luogo una sollevazione nel Parlamento, che pure era a maggioranza repubblicana. Quello di Nixon, sia ben chiaro, è solo un esempio. Il punto è che il grado di civiltà di un paese, come lo stato di salute di una persona, dipende in primo luogo dagli anticorpi: quando diventano insufficienti, compare l' Aids. Nel nostro tempo la società italiana è affetta da questa terribile malattia: gli anticorpi non funzionano. Solo così si può spiegare l' ascesa al potere di un gruppo politico in cui pullulano gl' indagati e i condannati ed in cui il capo ha un curriculum giudiziario che culmina con l' accusa di corruzione di giudici e che è stato sintetizzato dall' Economist nella primavera del 2001 in un' agghiacciante tabella, aggiornata di recente; può consolarsi solo chi dà retta a Berlusconi, secondo il quale di quella rivista non c' è da fidarsi, poiché è influenzata dai comunisti, in armonia con un' antica tradizione la rivista fu fondata nel 1843, precedendo di ben cinque anni il "Manifesto" di Marx ed Engels. Di recente le principali accuse mosse al capo del governo ed ai suoi stretti collaboratori sono state reiterate, con linguaggio bizzarro e fiorito ma non equivoco, da uno che la sa molto lunga, Filippo Mancuso, ex Forza Italia. Non è vero che "tutto il mondo è paese", perché anche fra i leader politici privi di scrupoli c' è una graduatoria e nessuno ha un curriculum giudiziario minimamente paragonabile a quello di Berlusconi; i provvedimenti che sta prendendo e quelli che si appresta a prendere suscitano stupore e incredulità nel mondo civile. Per consentirli di giustificare le sue malefatte, gli eruditi consiglieri del Cavaliere gli hanno suggerito di scrivere, come già aveva fatto Mussolini, la prefazione del Principe di Machiavelli ristampato dalla "Silvio Berlusconi editore"; quei consiglieri, che amano impartire agli intellettuali "moralisti" l' originale lezione secondo cui morale e politica non vanno confuse, dovrebbero tener presente che Machiavelli scriveva quando ancora non esisteva né la democrazia parlamentare, che, dove funziona, ha anticorpi istituzionalizzati, né il capitalismo industriale moderno, avviato in Inghilterra da una borghesia che aveva fatto propria la morale "puritana". A differenza del capitalismo mercantile, quello industriale trae la sua forza propulsiva dalla ricerca e dalle innovazioni da un lato e dalla concorrenza dinamica dall' altro; a lungo andare lo sviluppo del capitalismo moderno è sostenibile solo nel rispetto di regole severe. Due esempi. Alla débacle argentina ha dato un forte contributo una corruzione sempre più diffusa, che comprendeva una gigantesca evasione fiscale; noi rischiano di far la fine dell' Argentina. La legge sul falso in bilancio va respinta per ragioni non solo "morali", ma anche economiche, giacché scoraggia gl' investimenti stranieri in Italia (i paesi civili hanno regole rigorose cui i manager si debbono attenere anche quando vanno fuori del loro paese) è crea disparità nella concorrenza fra le imprese europee, ciò che spiega perché in Europa si stanno preparando ricorsi presso le autorità competenti. Che tutto ciò sia economicamente grave sta diventando chiaro agli stessi industriali non affetti da provincialismo. In Italia gli anticorpi sono insufficienti per tante ragioni, fra cui la caduta verticale degli ideali e l' azione del governo Berlusconi, che sta facendo il possibile per ridurre ulteriormente gli anticorpi, compiendo opera di intimidazione e di corruttela nei riguardi di magistrati, di politici, di giornalisti, di intellettuali. In sintesi l' assalto allo stato di diritto consiste nel tentativo di sopprimere la separazione dei tre poteri, l' esecutivo, il giudiziario e il legislativo. Si è discusso molto dell' attacco all' indipendenza del potere giudiziario; si è invece discusso poco del tentativo portato avanti con le amplissime deleghe al governo ed ora con la progettata riforma della Corte costituzionale che cancellerebbe il sindacato delle leggi di subordinare istituzionalmente il potere legislativo a quello esecutivo che così diverrebbe l' unico potere, come nel fascismo. Casini e Pera, i garanti del potere legislativo, non reagiscono? Vogliono diventare i becchini della democrazia? L' Aids è una malattia grave ma curabile e ciò vale anche per l' Aids sociale. Potremo guarire solo se ci convinciamo che è in gioco la nostra stessa dignità: accettiamo di diventare sudditi o vogliamo restare persone libere? Noi stessi possiamo agire da anticorpi e con tenacia e determinazione possiamo avere successo: certi segnali sono incoraggianti. - ------- http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica20101998.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 20/10/1998
Non bastano le scuse di Cossiga a
Ciampi
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
HO avuto piu' volte occasione di discutere con Carlo Azeglio
Ciampi le idee che gia' erano in gran parte comuni a economisti di
diversi paesi e che sono state rielaborate e travasate nel
"Manifesto contro la disoccupazione in Europa" promosso da
Franco Modigliani. Il leitmotiv e' dato dalla tesi che la
disoccupazione può esser vinta in tempi non lunghi e va combattuta
attraverso uno stretto coordinamento delle politiche economiche dei
governi europei. Fu Ciampi, in una riunione di settembre 1997 dei
ministri economici europei, a far approvare il principio che un tale
coordinamento doveva essere perseguito - i piu' ostili erano allora
i tedeschi - cominciando ad avviare un monitoraggio sull' andamento
dell' occupazione. Ciampi e' entrato nel governo Prodi proprio per
perserguire l' obiettivo dell' unificazione europea, il cui primo
passo era rappresentato dall' unificazione monetaria: a sua volta,
questa presupponeva il riasanamento delle finanze pubbliche. L'
obiettivo era dunque politico. Ma era indipensabile creare le
premesse economiche per avviarsi verso una piena unificazione
europea. Il costo, determinato da una dura politica restrittiva, e'
stato molto alto - l' abbiamo messo in evidenza nel
"Manifesto" - e fra l' altro si e' tradotto in un grave
aumento della disoccupazione. Sotto l' aspetto economico, e' vero,
abbiamo gia' ottenuto risultati decisamente positivi - avvio del
risanamento delle finanze pubbliche, gravemente dissestate per
effetto delle politiche seguite nella prima repubblica, quasi
azzeramento dell' inflazione, forte riduzione dell' interesse.
Recentemente, si e' aggiunto un vantaggio non previsto: la capacita'
di resistenza alla crisi finanziaria mondiale ora in atto, una
capacita' che le singole monete europee non avrebbe avuta, meno
delle altre l' avrebbe avuta la lira. Ma in prospettiva i vantaggi
istituzionali e politici da raccogliere sono ben piu' importanti: mi
riferisco alle riforme istituzionali riguardanti il diritto
societario, i sistemi fiscali e il sistema degli appalti (le
direttive comunitarie gia' in atto non bastano a ridurre in misura
significativa il tasso di corruzione) e la riorganizzazione della
ricerca e dell' Universita' (da noi oggi solo uno studente su tre
giunge alla laurea). In una prospettiva piu' lontana i vantaggi
massimi si potranno ottenere dall' unificazione politica, che potra'
rendere minimi i rischi di altre guerre europee. Nell' intervallo
fra il suo governo e quello di Prodi, Ciampi aveva presieduto il
Gruppo consultivo per la competitivita' presso il Consiglio europeo,
costituito da ex- ministri, manager di grandi societa' europee,
leader sindacali ed economisti; il Gruppo aveva elaborato tre ampie
relazioni, poi pubblicate nel 1996 in un volume da Laterza. Le
proposte erano in piena sintonia con quelle elaborate da diversi
economisti e poi in parte incluse nel "Manifesto", come l'
idea di rilanciare gli investimenti in infrastrutture specifiche, i
distretti e i legami fra attivita' produttive e ricerca. I costi per
entrare nell' Euro sono stati gravissimi non solo in termini
finanziari, ma anche in termini di energie umane: chi concentra gli
sforzi verso un grande obiettivo, non può far molto in altre
direzioni, giacche' anche le energie intellettuali e umane sono
limitate. Oggi finalmente si erano create le premesse per una
politica volta a combattere la disoccupazione, specialmente nel Sud,
e a rilanciare la ricerca, di base e applicata. e' intervenuta una
crisi sciagurata, determinata da persone irresponsabili e settarie,
che hanno rifiutato anche l' apertura fatta in extremis da Prodi per
possibili emendamenti della legge finanziaria; la crisi e' stata
resa piu' grave da personaggi che spesso straparlano. Alludo al
presidente Cossiga, che, proprio in un' intervista a Repubblica, ha
fatto affermazioni calunniose contro Ciampi. Se fossero state
affermazioni insultanti ma generiche sarebbero bastate le scuse
espresse pubblicamente da chi le ha pronunciate e che hanno
consentito a Ciampi di ritornare sulla sua decisione di non
partecipare a un governo in cui probabilmente entreranno persone che
hanno in Cossiga il loro leader. MA quel che può esser sufficiente
per la partecipazione di Ciampi al governo, non basta a persone come
me, e come tanti altri, che non hanno responsabilita' riguardanti l'
interesse pubblico e che hanno letto con attenzione l' intervista di
Cossiga. Le sue erano affermazioni non genericamente insultanti, ma
precisamente calunniose: "Piuttosto che Ciampi a palazzo Chigi
preferirei vederci Gianni Agnelli, anzi Umberto Agnelli"
perche' e' "meglio il referente diretto". E aggravava le
affermazioni calunniose facendo chiaramente intendere che le stesse
privatizzazioni sono state parziali e infelici proprio perche'
condizionate da quei rapporti privilegiati con i due fratelli. Ora,
di privatizzazioni ne sono state fatte in gran parte dei paesi
industrializzati, seguendo modi e tempi molto diversi fra loro;
essendo processi quanto mai complessi, sono del tutto normali e
anche utili le divergenze tecniche. Ma le divergenze tecniche sono
una cosa, le calunnie un' altra, che non vanno adoperate neppure
quando, per ragioni politiche, si vuol bruciare una candidatura alla
presidenza del Consiglio: non se ne può piu', nel nostro infelice
paese, del machiavellismo. Per riguardo non solo a Ciampi, ma a
tutti i cittadini che hanno il diritto di sapere se chi sta al
Tesoro e al Bilancio e' o non e' un mascalzone, sia pure mascherato,
il presidente Cossiga deve specificare su quali basi ha fatto quelle
affermazioni calunniose. Se quelle basi non ci sono, ha il dovere di
dirlo, uscendo dal generico, ammesso che tenga a una considerazione
non negativa delle persone civili, che pure in Italia non mancano.
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/unita2604002.html L'Unità 26/04/2002
Chi ha paura dei Giornalisti
Paolo Sylos Labini
I selvaggi attacchi di Berlusconi a Enzo Biagi, Michele
Santoro e Daniele Luttazzi hanno turbato perfino alcuni sostenitori
di Berlusconi come Cesare Romiti. Finora gli attacchi ai giornalisti
non hanno avuto esito, ma gli esecutori del capo non demordono. Il
prossimo obiettivo del presidente Baldassarre, ex comunista, ex
socialista lombardino, ex altro, ma oggi notoriamente al di sopra
delle parti, sarà Santoro, non perché dice certe cose (ohibò!) ma
perché le dice in forme estremiste - un po' di educazione lo
salverebbe (con espressione gentile e democratica il capo aveva
definito «criminose» le trasmissioni di Santoro e degli altri due
reprobi). È difficile definire maleducato Biagi, che per di più ha
una «audience» enorme\, ma il suo contratto scade fra non molto:
è malizioso pensare che il suo contratto non sarà rinnovato o
sarà modificato in modo da metterlo in condizioni di non nuocere al
capo - il quale, ha assicurato Baldassarre, nelle televisioni
«pubbliche» ha il d iritt o di parlare come e quando vuole, se no
che capo è?
La libertà di stampa sotto attacco PAOLO SYLOS LABINI
Segue dalla prima L'amichevole rimbrotto a Santoro, però, andrebbe
integrato da un bell'encomio a Vespa, per l'esemplare imparzialità.
Anche negli anni 1922-'25 i giornalisti non allineati subivano
attacchi: il fascismo era al potere, ma non era ancora regime, ossia
non aveva ancora assunto pienamente i caratteri di uno stato
autoritario. I nostri «liberali» preferiscono non parlare dei
rischi che oggi corre la libertà di stampa (dovrebbero insorgere!),
ma si affannano a dimostrare che non c'è un regime ed anzi non c'è
nemmeno il pericolo. È bello avere questi liberali che ci fanno
dormire tranquilli. È evidente: gli attacchi alle persone preludono
all'attacco alla libertà di stampa. Non è una novità: già nel
suo primo governo, nel novembre 1994, Berlusconi aveva dichiarato
che era necessaria una «legge speciale sulla stampa» per porre
fine alle «distorsioni» dei giornalisti. Poco dopo il Cavaliere fu
disarcionato da Bossi e non ebbe modo di tentare di attuare quel
progetto - che nel 1925 fu attuato da Mussolini insieme con altre
leggi eccezionali. L'altro pilastro dello stato di diritto è
l'autonomia della magistratura. Il fascismo, divenuto regime,
dovette creare il Tribunale speciale perché non era riuscito a
domare tutti i giudici e non aveva osato fracassare
istituzionalmente l'autonomia della magistratura, come ha messo in
evidenza l'ex Presidente Scalfaro. In quegli anni (1922-'25) erano
ancora pochi gli intellettuali di spicco che denunciavano il
pericolo di regime - troviamo il giovanissimo Piero Gobetti, Gaetano
Salvemini, Ernesto Rossi, Giustino Fortunato e pochi altri\, perfino
Croce aveva assunto una posizione filofascista, al punto da
interrompere i rapporti con Fortunato e da votare a favore di
Mussolini al Senato dopo l'assassinio di Matteotti\, è un richiamo
triste, che tuttavia indica i danni che può fare un conservatorismo
viscerale. Solo dopo le leggi eccezionali Croce si rese ben conto
della situazione e fece onorevole ammenda pro moven do il manifesto
degli intellettuali e diventando, d'allora in poi, il vessillifero
culturale dell'antifascismo. Fra coloro che escludevano il rischio
di autoritarismo c'era - non so se c'è ancora - Angelo Panebianco,
che nel Corriere della sera del 6 aprile scriveva «Berlusconi ha
vinto in libere elezioni» «perché ha costruito solide alleanze e
perché una maggioranza relativa d'italiani, incurante del fatto che
secondo Sylos Labini non ne aveva il diritto, ha giudicato
negativamente i governi di centrosinistra». Non ho mai avuto dubbi:
le maggioranze, sia pure relative, vanno rispettate\, ma il gioco
democratico prevede diverse possibilità, che un'opposizione seria
deve sfruttare. In primo luogo, si tratta di seguire attentamente le
crepe che si delineano nella coalizione avversaria, la quale è
tutt'altro che «solida»\, inoltre certe imposizioni ed alcune
misure sono state così oscene da aver provocato il dissenso aperto
di alcuni abitanti della «Casa» - c'è una soglia di dig nità per
tutti. Si tratta poi d'influire sulle elezioni amministrative e di
costituire gruppi di pressione per influire sull'opinione pubblica,
di destra e di sinistra, come io ed altri stiamo facendo col
movimento «Opposizione civile»\, sono gruppi che possono preparare
il terreno per le future elezioni politiche e, nell'immediato,
contrastare i disegni più pericolosi. Spiccano, fra questi, gli
attentati al pluralismo dell'informazione e all'autonomia della
magistratura. Ma l'elenco delle misure oscene, già attuate, è
tremendo: rogatorie, falso in bilancio, rientro dei capitali
illecitamente esportati, opposizione al mandato di cattura europeo\,
circola poi il progetto di una legge truffaldina per i conflitti
d'interesse, a cominciare da quello sulle televisioni. È un quadro
angoscioso. Come mai, fra i Ds e nella Margherita, sono ancora
diversi coloro che non danno segni di particolare preoccupazione ed
anzi continuano a dire che i critici intransigenti di Berlusconi
portano acqu a al suo mulino? Eppure è ben noto che secondo serie
indagini sociologiche i «demonizzatori» hanno spostato milioni di
voti a favore del centrosinistra nelle tre settimane prima delle
elezioni. Perché dunque quella incredibile ostinazione? Le risposte
sono molteplici. Forse la principale è che bisogna pur continuare a
vivere in un paese in cui Berlusconi conta molto: vanno perciò
censurati i «demonizzatori» ed assunti a modello coloro che
moderano le critiche. È vero, spesso il capo si lascia andare -
giudici fautori di guerra civile, trasmissioni «criminose»,
attacchi della stampa estera attuati da «comunisti» o da succubi
di «comunisti» (non compare la stampa russa, grazie all'influenza
di Putin, già capo dei servizi segreti dell'Unione Sovietica, ma
oramai redento, grazie a Berlusconi). Bisogna però essere
indulgenti con un grande capo che è oggetto di una spietata
persecuzione e non ripagarlo con la stessa moneta: occorre usare
toni pacati. I toni, va bene, ma che dire dei con tenut i: sono
false o esagerate le accuse dei «demonizzatori»? Se non lo sono le
responsabilità dei critici «equilibrati» alla lunga
risulterebbero assai gravi, poiché avrebbero indotto a ritenere
fisiologico e pressoché normale quel che non era in alcun modo né
fisiologico né normale. C'è poi l'osservazione consolatoria: tutto
il mondo è paese. È ovvio che in politica i lestofanti ci sono in
tutti i paesi. Ma solo da noi cercano di sovvertire la Costituzione
e d'inserire norme volte ad assicurare l'impunità di chi comanda.
Solo da noi il capo è accusato di un reato orrendo, la corruzione
dei giudici. Ancora trent'anni fa l'Italia aveva connotati meno
incivili: i politici inquisiti si mettevano da parte. Il problema
non è semplicemente politico: è un problema di decenza e
d'immagine verso le nuove generazioni. Neppure Berlusconi si
sentirebbe di definire comunisti i sei «moderati» che sull'Eco di
Bergamo del 18 dicembre hanno scritto: «È necessario che
l'opinione pubblica sia avver tita che il nostro Paese sta
attraverso un periodo terribilmente delicato, dal quale potrebbe
derivare un esito infausto, caratterizzato da forti tendenze
autoritarie. È necessario che l'opposizione sia condotta nel Paese
mobilitando la società civile ed ogni persona sensibile agli
interessi generali e non solo al proprio particolare. È necessario
utilizzare ogni strumento di lotta democratica per contrastare
questa deriva, finché si è in tempo. Per non trovarci domani a non
saper giustificare un comportamento inerte di fronte alle nuove
generazioni, quando ci chiederanno come mai nessuno si fosse accorto
di quanto stava accadendo».
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica28072001.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 28/07/2001
Falso in bilancio e magistratura la
strana fretta di Berlusconi
SOMMARIO: C' è da sperare in un sussulto d' orgoglio del
centrosinistra E forse qualche parlamentare del Polo in un
soprassalto di dignità dirà no al Cavaliere Il governo procede a
grande velocità con progetti eversivi dello Stato di diritto
Durante l' estate tutti abbassano la guardia e i colpi di mano sono
più facili AUTORE: PAOLO SYLOS LABINI TESTO: Che nel nucleo
essenziale il programma del Cavaliere - orpelli a parte - fosse
cinicamente reazionario e spudoratamente ritagliato sugli interessi
suoi e della famiglia, lo si sapeva. Almeno lo sapevano bene i «demonizzatori»
come me: la quasi depenalizzazione del falso in bilancio, l'
abolizione della tassa di successione e di donazione, le botte in
testa ai sindacati e alla concertazione, l' attacco all' autonomia
della magistratura. È vero, parecchi sono progetti e non è detto
che andranno in porto. Ma i progetti ci sono e, nell' insieme, già
costituiscono un insieme di misure eversive dello Stato di diritto,
che fanno apparire inadeguate le fosche previsioni formulate, nel
nostro appello, da Bobbio, da Galante Garrone, da Pizzorusso e da
me. Il programma desta poca sorpresa; sorprende però la fretta e l'
allargamento del menù, per ora, alle cooperative. Penso che la
fretta vada spiegata con tre motivi. Uno: durante le vacanze estive
tutti abbassano la guardia e i colpi di mano sono più facili,
specialmente se inseriti in un comma aggiuntivo di qualche progetto
già pronto. Due: il centrosinistra appare come un pugilatore
intontito - groggy dicono gli americani - e conviene approfittare
per assestare subito nuovi pugni al mento. Tre: non tutti i
parlamentari della Casa delle libertà hanno rinunciato a qualsiasi
dignità, alcuni cercano di difendere in qualche modo la loro
immagine, come si è visto dopo il tentativo della quasi
depenalizzazione del falso in bilancio: far presto significa ridurre
i rischi di casi di coscienza. Qualche commento sulle due misure
più oscene. L' attacco all' autonomia della magistratura viene
condotto, per ora, su due linee: gravi limitazioni alle azioni
antimafia e obbligo di trasmettere informazioni all' autorità
politica; un comma, inserito in un progetto di legge, che dà la
facoltà a un ministro di chiedere il «comando» di un magistrato
presso il suo gabinetto, «anche senza il consenso del Consiglio
superiore della magistratura»: l' aggiunta è piccola, ma geniale,
poiché consente al potere politico di neutralizzare i magistrati
indipendenti. Falso in bilancio. Il Cavaliere dispone di avvocati
bravissimi come uomini di legge, pessimi come esperti di economia.
Altrimenti non avrebbero avuto il coraggio di affermare che il falso
in bilancio può danneggiare solo i soci che, per di più, per
ottenere la condanna di chi li danneggia debbono fare querela. No,
cari avvocati: il falso in bilancio danneggia in primo luogo i
concorrenti che non lo praticano e allontana le imprese estere, che
non si sentono di investire in un paese in cui il falso in bilancio
è tollerato, con la conseguenza che vengono alterate le regole
della concorrenza - a parte la vergogna di essere equiparati alla
repubblica di Duvalier. Dal momento che sulla depenalizzazione del
falso in bilancio c' era la piccola foglia di fico che ho ricordata,
alcuni parlamentari della Cdl si sono risentiti quando è stata
lanciata l' accusa che il progetto danneggia l' interesse pubblico e
favorisce quello di Berlusconi e di alcuni suoi soci. Cari
parlamentari, avete poco da risentirvi: è ovviamente così. Più
volte il Cavaliere ha assicurato che in un modo o nell' altro
avrebbe «risolto» il conflitto d' interessi; la prima volta lo
promise a Scalfaro. Nel frattempo l' ha fortemente aggravato. Nella
rete Sette c' è ora un suo fidato collaboratore in posizione di
spicco. E le reti pubbliche sono letteralmente assediate. Il bravo
Gasparri sta usando tutti i mezzi per subordinarle ai voleri del
capo: canone, pubblicità, minacce - alternate con lusinghe. Il
governo Berlusconi è cominciato malissimo, anche peggio di quanto i
«demonizzatori» prevedessero. Alcuni membri del governo, che sono
anche avvocati, non abbandonano la difesa di persone in odore di
mafia, creando imbarazzo nelle stesse file della Cdl. Un ministro
(Infrastrutture) si trova in una situazione di patente conflitto d'
interessi. L' organizzazione dei G8 è stata, come quasi tutti
riconoscono, balorda: bastava stabilire che i 1000 o i 1500
individui del «black bloc», noti a tutte le polizie, non dovevano
entrare in Italia «per motivi di ordine pubblico». Occorreva del
genio per prendere una tale decisione? O c' era l' idea delle prove
d' orchestra? Il buco di Tremonti. Ha fatto lo slalom tra le cifre,
giocando su ambiguità di vario genere; i commenti di importanti
organi della stampa estera sono stati misurati, ma tremendi. Pochi
hanno notato che l' intero Documento di programmazione economica e
finanziaria si fonda sull' ipotesi che nel 2002 il reddito cresca
del 3 per cento. E se dovesse crescere nettamente di meno? Non è
un' ipotesi stravagante: da giugno il prezzo del petrolio è sceso
del 20 per cento e diminuiscono i prezzi di diverse materie prime -
sono segni che la congiuntura internazionale è divenuta
debolissima: la locomotiva americana è ferma, quella giapponese
retrocede. Anche senza fare ipotesi catastrofiche, ciò non potrà
non avere effetti negativi sulla crescita del reddito e dell'
entrata fiscale in Europa. L' attacco ai sindacati e alle
cooperative desta gravi preoccupazioni: rappresentano gli stessi
obiettivi che ebbe all' inizio il fascismo prima maniera. Sono
istituzioni importanti per la democrazia liberale proprio perché
hanno radici antiche e si distribuiscono sul territorio. Nonostante
il mio pessimismo, farò due ipotesi ottimistiche. La prima: il
centrosinistra, che tuttora sembra un pugile suonato, ha un
soprassalto di orgoglio e reagisce con forza e, quel che più conta,
con continuità alla spudorata prepotenza di Berlusconi per impedire
che vadano in porto i progetti appena ricordati. Sappiano i leader
che questo è solo l' antipasto: se non c' è subito una reazione
adeguata il passo che seguirà sarà assai più ricco - e
disgustoso. Seconda ipotesi ottimistica: un certo numero di
parlamentari della Cdl per un soprassalto di dignità dirà al
Cavaliere: no, queste misure sono contro l' interesse pubblico e
anzi contro la decenza e noi non le votiamo. Esagero con l'
ottimismo?
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica07092000.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 09/07/2000
Il rischio palude per l' Italia del
2000
I 111 anni di Antonio il più vecchio del mondo Pastore per tutta la
vita è stato festeggiato ieri nel suo paese in Barbagia, vicino
Nuoro. Gli ultracentenari sono cinquemila SOMMARIO: L' annoso
problema dei conflitti di interesse non risolti può falsare lo
sviluppo democratico in un paese leader come il nostro AUTORE: di
PAOLO SYLOS LABINI TESTO: AFFERMA Fedele Confalonieri in una
intervista a "Repubblica" (25 giugno): per risolvere il
conflitto d' interesse "l' unico sistema è quello di Sylos
Labini, l' ineleggibilità". Ringrazio per l' apprezzamento, ma
quello non è un sistema inventato da me: è una legge, semplice e
chiara, del 1957, che ripropone una norma del 1949. E le leggi, in
un paese civile, vanno rispettate, anche se non piacciono; quella
norma è stata aggirata con un miserabile cavillo. L' Italia,
continua Confalonieri, ha una storia diversa da quella inglese e
americana; il conflitto d' interessi, che, è vero, in quei paesi è
in vari modi efficacemente regolato, da noi non lo è e non deve
esserlo: "è un pezzo della grande anomalia italiana".
Sfugge a Confalonieri che il principale problema odierno è proprio
quello di far diventare l' Italia un paese civile o, più
modestamente, un paese normale. è stato osservato che i conflitti
d' interessi sono tanti. è probabile. Ma gli altri - salvo
dimostrazione contraria - sono incerti o sono modesti: quello che fa
capo a Berlusconi è indubbiamente mostruoso: oltre l' impero
televisivo, che non costituisce solo un gigantesco affare economico,
ma anche uno strumento di efficacia inaudita per condizionare gli
orientamenti politici; oltre quell' impero, troviamo banche,
assicurazioni (Mediolanum), interessi immobiliari: il conflitto è
mostruoso perché rende impossibile, perfino nei più limitati atti
di governo, non incappare in qualche conflitto. Se riuscirà a
diventare presidente del Consiglio, controllerà tutte le
televisioni nazionali: il regime diventerà quello non del grande ma
del grandissimo fratello. "Non faremo prigionieri": aveva
detto pochi anni fa Previti; non occorre essere pessimisti per
prevedere liste di proscrizione. Per affermarsi politicamente il
Cavaliere ha usato tutti i mezzi e adottato tutte le possibili
ideologie, esclusa quella comunista. L' ottimo Bossi dichiarò al
Corriere della sera (22 luglio 1998) che aveva fatto il ribaltone
per bloccare Berlusconi che gli stava comprando, uno dopo l' altro,
i suoi parlamentari. Sempre al Corriere (26 luglio 1999) Mastella
dichiarava: "Con Berlusconi, ora non ho niente in comune. I
soldi stanno ammazzando la politica. Egli ci sta togliendo dal
mercato, tutti. Se potesse, si comprerebbe anche D' Alema". Sul
piano ideologico, Berlusconi si è presentato, di volta in volta,
come liberale, erede di Croce e di Einaudi; come popolare, erede di
Luigi Sturzo; ha accolto nella casa comune Bossi - l' amico di
Haider - e, ma non bisogna dirlo ad alta voce, Rauti. Che io sappia
non ha rivendicato, fra i suoi precursori, Cattaneo, Salvemini e
Rossi. A osservatori frettolosi è apparso paradossale che un
esponente dell' antica Democrazia cristiana, Oscar Luigi Scalfaro,
abbia duramente sferzato il Centrosinistra, esortando tutti i
partiti che lo compongono a non darsi per vinti (prima di combattere
e a non comportarsi "come galline, di quelle che nemmeno fanno
le uova" o, a scelta, "come un branco di pecore
pascenti"; dopo le sferzate, concludeva: "ci vuole più
unità, per vincere e per impedire che la patria finisca in mani non
idonee a governare". Ben detto! Alcuni comprimari del Polo
hanno obiettato che nei riguardi del Cavaliere Scalfaro è animato
da pregiudizi ostili. Certo, i rapporti divennero subito difficili,
giacché, nell' affidargli l' incarico di governo, Scalfaro chiese a
Berlusconi di non nominare Previti, suo avvocato, ministro per la
Giustizia; ma questa era una richiesta sacrosanta - forse, se l'
avesse saputo, avrebbe avanzato una simile richiesta per la nomina
di Tremonti, fiscalista del medesimo, a ministro per le Finanze. Ma
c' è molto di più. C' informa Eugenio Scalfari
("Repubblica", 25 giugno) che Scalfaro conferì l'
incarico a Berlusconi "vincolandolo per iscritto a sciogliere
il nodo del conflitto d' interessi entro pochi giorni e ricevendone
piena garanzia, tuttora inevasa". è vero: Berlusconi incaricò
subito tre "saggi" per risolvere il problema; in seguito
presentò, con altri parlamentari, un disegno di legge sul conflitto
d' interessi. è vero: i partiti del Centrosinistra non lo hanno
incalzato e lui ha tirato a campare. Ma gl' impegni d' onore debbono
essere assolti da chi li prende, senza aspettare che altri lo
incalzino. Se no, che impegni d' onore sono? O il mantenimento di
tali impegni è lasciato alla discrezione degli interessati -
essendo questo "un altro pezzo della grande anomalia
italiana"? Scalfaro non ha fiducia in Berlusconi: ha
perfettamente ragione. Scalfaro è un gran galantuomo. Posso
testimoniare che ne era convinto anche Ernesto Rossi, ben noto
anticlericale; si era formato quella convinzione dopo che Scalfaro,
ministro dei Trasporti, aveva accolto la sua richiesta di porre fine
ad una oscena ruberia, che avveniva in quel ministero. Ernesto,
stupefatto, gli dette pubblico riconoscimento. Penso che quel
riconoscimento, che fece impressione a tutti, abbia influito sul
giudizio di Pannella, che si dette da fare per la nomina di Scalfaro
alla Presidenza della Repubblica. Ernesto era nella tradizione del
liberalsocialismo; dunque gli azionisti, questi "rovinosi
moralisti", colpiscono ancora? Le frustrate di Scalfaro qualche
effetto già lo hanno avuto. Io mi permetto di aggiungere,
rivolgendomi ai Popolari: proponete la legge del 1957 con una norma
"anticavillo" - una proposta in questo senso c' è già:
è stata presentata alla Camera nel 1998 dall' on. Veltri. Mettete
bene in chiaro che la legge così emendata deve valere per tutti,
anche per Cecchi Gori: non è Berlusconi in quanto tale ad essere
preso di mira, ma, com' è giusto, chiunque si trovi nelle sue
condizioni. Quando anni fa, Vittorio Cimiotta ed io organizzammo un
gruppo di pressione - con Alessandro Galante Garrone, Antonio
Giolitti, Vito Laterza, Alessandro Pizzorusso - per far rispettare
la legge del 1957, rivolgemmo un appello, anche attraverso contatti
personali, ad alcuni leader dei Popolari per esortarli a lasciare
perdere Cecchi Gori. Fummo considerati "moralisti" ai
quali politici navigati non potevano prestare ascolto. Se loro, come
i Ds, avessero riconosciuto che in un paese civile le leggi valgono
per tutti, oggi politicamente non saremmo nell' assai infelice
condizione in cui siamo. Non è troppo tardi. è del tutto possibile
rimediare, approvando la legge emendata per poi farla rispettare da
tutti, amici e avversari. Ma che diavolo vogliamo lasciare ai nostri
figli, un paese largamente stimato all' estero e almeno
tendenzialmente civile o una palude mefitica?
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica12062000.html TESTATA: AFFARI & FINANZA DATA: 12/06/2000
Quanti punti da chiarire sulla
ricerca
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
Di recente si è molto discusso d' innovazioni. Ne ha parlato il
governatore Fazio e c' è stato un botta e risposta fra D' Amato e
Cofferati, fra Confindustria e Cgil. Ma non si è parlato quasi
affatto di ricerca, che è dietro le innovazioni, e non si è
neppure fatto cenno al Programma nazionale della ricerca presentato
al Cipe dal ministro per l' Università e la ricerca ed approvato il
22 maggio. Negli ultimi anni l' Accademia dei Lincei ha organizzato
ben quattro convegni sulla ricerca: è stato denunciato con parole
di fuoco il grave ritardo del nostro paese, finora con risultati
assai scarsi. L' approvazione del Programma è un fatto positivo,
che in una certa misura corrisponde agli auspici dell' Accademia dei
Lincei e di tanti studiosi. Quanto all' informazione ed ai confronti
internazionali il documento è ben fatto, anche se incompleto. Ma le
linee d' invertento, pur condivisibili, sono generiche. Si dà
rilievo al rapporto tra le spese per ricerca e sviluppo sul Pil, che
però, dopo sei anni, passerebbe dall' 1,1 all' 1,9%, ciò che
comporterebbe addirittura un peggioramento nel divario con l'
Europa: la quota europea, che oggi si aggira sul 2%, nel frattempo
passerebbe al 3%, che è l' obiettivo approvato dal Parlamento
europeo, in un periodo, però, assai più breve (tre anni). Le
perplessità si aggravano considerando i problemi reali e
organizzativi, che sono accennati, ma non specificati, come nel caso
dell' idea, in sé giusta, di un "intervento organico che
valorizzi i giovani ricercatori di talento" o dell' idea di
incentivare il ritorno dall' estero di ricercatori e di docenti
italiani. Anche il "quadro delle priorità" è
interessante ma generico. Si vogliono inserire 25-30 mila nuovi
ricercatori, ma non si dice quanti siano oggi - le cifre, è noto,
variano secondo i criteri usati. S' intende stabilire un nesso
stretto tra formazione e ricerca; ma non si dice come e si dice ben
poco sui rapporti tra Università e ricerca. Il metodo prescelto per
dare attuazione al programma consiste nella ricerca del consenso;
forse si allude a sistematiche consultazioni, ma non è chiaro;
eppure si tratta di un punto cruciale. Resta nell' ombra la
composizione delle spese, specialmente: persone e attrezzature. In
particolare, non si parla dei laboratori delle Università, del Cnr
e di altri enti né dei metodi per rendere sistematiche le relazioni
fra Università, enti di ricerca e imprese. Non si dice nulla sugli
organismi per la diffusione delle nuove tecnologie fra le piccole
imprese, che non sono in grado di creare laboratori nel loro
interno, e sul sostegno ai consorzi fra imprese per la promozione
della ricerca applicata in certi importanti rami industriali, come
l' industria meccanica, eventualmente promuovendo centri di
coordinamento; e non si chiarisce la strategia per la ricerca
applicata, che pone il problema della localizzazione e quello della
riforma organizzativa dei distretti. Nell' indicare come modello l'
economia americana il governatore Fazio non ha ricordato che alla
base della crescita del reddito e della produttività, oltre le
caratteristiche del mercato del lavoro (che tuttavia generano non
poche conseguenza negative), negli Stati Uniti sono importanti gli
investimenti pubblici e privati per la ricerca. Tuttora hanno luogo
gli effetti di massicci investimenti pubblici compiuti nel passato
per ricerche d' interesse militare, i cui risultati sono stati messi
quasi gratuitamente a disposizione delle imprese private. Ci sono
poi le spese oggi in atto, che in termini percentuali sono circa il
triplo delle nostre. Anche il presidente D' Amato ha parlato d'
innovazioni, ma senza far riferimento alla ricerca, un campo in cui
le imprese private italiane non hanno mai brillato, anzi.
Paradossalmente, nel campo della ricerca sono più convincenti i
sindacati, che nel 1993 firmarono con Ciampi, allora Primo ministro,
un protocollo in cui, sia pure come affermazione di principio, si
poneva nel massimo rilievo l' importanza della ricerca, anche per i
nessi con la formazione. La quota delle spese R&S è scesa dall'
1,3% nel 1990 all' 1,1 nel 1999; la diminuzione ha riguardato tanto
la quota pubblica quanto quella privata, che è trascinata da quella
pubblica. In alcuni rami, come la chimica farmaceutica e i computer,
negli ultimi decenni la nostra posizione è peggiorata; in altri -
la robotica e certi sottosettori della meccanica - è migliorata;
nel complesso in Europa la nostra posizione è, a dir poco,
infelice. Ma la nostra debolezza competitiva non è solo
preoccupante rispetto ai paesi avanzati: è grave anche riguardo ai
paesi più dinamici del Terzo mondo, che stanno a poco a poco
erodendo le quote di mercato delle nostre industrie tradizionali. Le
innovazioni hanno origini diverse: importazione di brevetti e di
nuove macchine e attrezzature, imitazione creativa, produzione
interna mediante la ricerca. è evidente che la più importante per
lo sviluppo economico e civile è la produzione interna, che
arricchisce anche la vita culturale. Sotto l' aspetto economico, non
è in gioco solo il volume, ma anche la composizione dell'
occupazione: uno sforzo molto maggiore per la ricerca porta con sé
un numero rapidamente crescente, sia di scienziati e di ricercatori,
sia di specialisti e di tecnici. Il Fondo monetario internazionale
ha stimato in via congetturale gli effetti delle spese R&S sullo
sviluppo economico tanto nei paesi avanzati quanto in quelli
arretrati. Usando criteri del tutto diversi ne ho stimato gli
effetti sullo sviluppo economico italiano: sono visibili e
rilevanti, anche se, beninteso, non immediati. Proprio perché gli
effetti non sono immediati, una classe politica miope tende a
trascurare quelle spese. Inoltre negli ultimi anni noi abbiamo avuto
il macigno di Maastricht. Oggi, dopo tanti sacrifici, il suo peso si
è ridotto e possiamo perciò, nella ricerca, avviarci a risalire la
china. Se dalle parole passeranno ai fatti, Confindustria e Cgil
potranno dimostrare quale contenuto intendono dare alla
modernizzazione, un processo su cui in linea di massima tutti
concordano. Per riorganizzare il sistema della ricerca sul
territorio abbiamo molto da apprendere da vari altri paesi europei,
soprattutto da quelli del Nord. Il ruolo del governo qui può essere
decisivo. Il Programma della ricerca va nella giusta direzione, ma
dev' essere decisamente rafforzato sotto l' aspetto finanziario e
adeguatamente articolato, specialmente se resta la pretesa di farne
un programma di sei anni. ------------------
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/corriereds11012000.html TESTATA Corsera REDAZIONE Cultura DATA 11/01/2000
La riforma della scuola
Ma gli intellettuali tacciono
scoraggiati
AUTORE Sylos Labini Paolo GENERE elzeviro ARGOMENTO scuola,
universita' NOTE terzapagina. commento alle considerazioni di
Panebianco sulla riforma dei cicli scolastici del governo di
centrosinistra. riforma Berlinguer LOCALITA' SOGGETTO Italia FULL
PAGE S DISCUSSIONI La riforma della scuola Ma gli intellettuali
tacciono scoraggiati L' economista Paolo Sylos Labini interviene
nella discussione aperta dall' articolo di Angelo Panebianco sugli
intellettuali di sinistra e la riforma della scuola e dell'
universita' , pubblicato dal "Corriere" il 29 dicembre.In
un breve arco di tempo Angelo Panebianco ha rivolto a me e ad altri
un elogio (Corriere 13 dicembre) e poi una critica (29 dicembre). L'
elogio riguardava il manifesto contro il progetto di trasformare
senza concorso ventimila ricercatori in "professori di terza
fascia". La critica riguardava il silenzio mio e di tanti altri
intellettuali di sinistra per la scuola in generale e l' Universita'
in particolare. La riforma della scuola non e' cosa da poco e l'
impegno va misurato nel corso degli anni. Per quanto riguarda me, l'
impegno per la scuola e l' Universita' e' di data non antica, ma
antichissima. Il primo intervento pubblico lo feci in un convegno
del "Mondo" nel 1957. Il numero degli articoli e'
terribilmente lungo. C' e' anche un libro sulla riforma
universitaria scritto nel 1970 in collaborazione con Gabriello
Illuminati. Riassumero' alcune mie proposte sull' Universita' ,
limitandomi a quelle che forse possono essere tuttora rilevanti. 1.
Concorsi. Circa due anni fa, con un mutamento di rotta del ministro
Berlinguer di cui diedi atto, i concorsi vennero decentrati: fu
attribuita un' ampia autonomia alle singole sedi e ora i concorsi si
fanno col nuovo metodo. Sono state rivolte diverse critiche al nuovo
metodo. Quelle piu' importanti riguardano l' eccessiva
proliferazione dei concorsi e i "localismi". Sulla base di
un esame dell' Osservatorio universitario del ministero non dovrebbe
essere difficile trovare rimedi adeguati (per bloccare la
proliferazione basterebbe un tetto nazionale di un concorso l' anno
per area). 2. I tre livelli: diploma, laurea, dottorato. Non posso
avversare questo progetto giacche' era contenuto nel libro del 1970.
Il successo o l' insuccesso dipendera' dal modo di attuazione: l'
autonomia avra' un ruolo decisivo, tenendo pero' presente che
dobbiamo adottare standard europei. Il rischio che il dottorato
rappresenti una prosecuzione quantitativa del secondo livello puo'
essere evitato se ad esso si attribuisce un forte contenuto di
ricerca. Ma per far questo occorre rilanciare l' intera attivita' di
ricerca - oggi le finanze pubbliche lo consentono. Occorre
rafforzare il ruolo dei tecnici, evitando di trasformarli ope legis
in professori. 3. Gli studenti che si laureano. Lo sappiamo: solo un
terzo degli studenti giunge alla laurea. Piu' volte ho suggerito la
seguente via di uscita: un colloquio di orientamento all' ingresso,
un tetto piu' basso per il numero di anni in cui uno studente puo'
restare fuori corso e un robusto aumento delle tasse, accompagnato
da un altrettanto robusto aumento nel numero e nell' ammontare delle
borse. 4. La valutazione dell' attivita' dei docenti. I controllori
non possono essere i presidi, ma solo i consumatori del servizio,
ossia gli studenti. Il controllo puo' servire a tutti, a cominciare
dai docenti che credono al loro mestiere: sono avvantaggiati se sono
messi in grado di conoscere le critiche ai loro corsi, chiarezza e
grado di aggiornamento inclusi. Bastano poche regole per rendere
efficace il metodo e rendere minimi i rischi, per esempio,
escludendo gli studenti che non hanno sostenuto esami. Le
valutazioni debbono riguardare anche la disponibilita' dei docenti.
Non e' una proposta stravagante: il criterio e' adottato da diverse
universita' americane; in Italia e' adottato da anni, con successo,
dalla Bocconi. Cartellini segnatempo e altri controlli simili
significherebbero la burocratizzazione, ossia la morte, dell'
Universita' . 5. Le attivita' professionali dei docenti. + un
problema complesso e difficile. Riguarda soprattutto medici,
avvocati, commercialisti e ingegneri. Per i medici il progetto del
ministro Rosy Bindi vorrebbe porre rimedio. Per quanto ho potuto
capire, non va bene; potrebbe anzi far danni. Non sempre i docenti
di medicina sono mossi dall' esecrabile fame dell' oro: spesso sono
motivati da ideali professionali e vanno ascoltati. Meno gravi ma
non meno difficili sono i problemi posti dagli altri professori -
professionisti. Una soluzione civile va preparata studiando quelle
adottate da altri Paesi, specialmente Olanda, Inghilterra e Stati
Uniti. Panebianco si lamenta anche del silenzio degli intellettuali
di sinistra sulla riforma dell' intero sistema scolastico. Qui c' e'
la questione preliminare del rapporto fra scuola pubblica e scuola
privata. La norma costituzionale "senza oneri per lo
Stato" va rispettata, non aggirata. Da anni pero' mi sono
convinto che e' bene eliminare quella norma, che e' diventata fomite
d' infezione e impedisce una piena parita' , non solo finanziaria,
ma sotto l' aspetto della regolamentazione. Sono d' accordo con
Galli della Loggia e con quel Vescovo che si e' espresso nello
stesso senso. La piena parita' , abolita la norma, diverrebbe
inevitabile e cio' sarebbe un passo avanti per tutti, laici e
cattolici. Caro Panebianco, e' un po' buffo constatare che Lei
attribuisce agli intellettuali di sinistra la capacita' d'
"imporre" al governo di tener conto dei loro pareri. Ma
dove vive? Penso che se non pochi intellettuali di sinsitra stanno
zitti, e non solo sulla scuola, e' perche' sono scoraggiati. Se ho
votato e votero' in quest' area e' solo perche' per me qui il male,
pur grave, e' curabile, rispetto a un centrodestra che vedo come un
male incurabile fino a quando sussiste quella disastrosa commistione
fra pubblico e privato rappresentata dal conflitto d' interessi, che
impedisce alla destra di svolgere il suo ruolo fisiologico. La
sanatoria riguardante i ventimila ricercatori per ora e' stata
bloccata (anche per merito di Panebianco): prova che qualche volta
l' azione congiunta di temibili intellettuali di sinistra e di
"biechi conservatori" puo' essere utile. Un' azione
congiunta sara' necessaria, contro certi sindacati, anche di destra,
e certi ordini professionali, quando verranno in discussione gli
sbocchi legali dei tre titoli - l' ideale sarebbe far piazza pulita.
La sanatoria non e' solo questione di nome e non puo' essere
giustificata richiamando la didattica: la ricerca non e' meno
importante. Il pericolo non e' superato, considerate le molteplici
forze che oggi si muovono in questa direzione: certi sindacati, un
buon numero di politici, di sinistra e di destra, e diversi alti
burocrati. La cosa atroce e' che oggi, col nuovo sistema, incombe il
pericolo della proliferazione dei concorsi. Forse gl' interessati e
i loro sindacati non se ne sono resi ben conto. O forse, per
comodita' , preferiscono continuare a fare affidamento sulla prece:
ope legis, ora pro nobis. di PAOLO SYLOS LABINI
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica17081999.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 17/08/1999
Il conflitto d' interessi incubo di
quest' estate Il decreto sulla "par condicio" e' buono,
ora va sciolto il contrasto pubblico-privato di Berlusconi
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: CONCORDO con quanto ha scritto su "Repubblica"
Claudio Rinaldi sul pericolo costituito per il nostro paese dal
nuovo Berlusconi. Il pericolo c' era gia' quando il Cavaliere era
sceso nel campo italiano; e' fortemente cresciuto da quando e' sceso
nel campo europeo, dopo aver indossato la veste "buonista".
Fra i motivi del pericolo Rinaldi include il conflitto d' interessi.
Giusto. Debbo però esprimere due riserve. La prima: occorre mettere
nel massimo rilievo che il conflitto d' interessi non e' solo e
neppure principalmente una questione di regole democratiche. Il
problema e' che quel conflitto ingigantisce la corruzione, gia'
molto estesa nel nostro paese, e ciò indipendentemente da
Berlusconi: ciò accadrebbe anche se a capo dell' impero televisivo
ci fosse un seguace di San Francesco. La seconda riserva riguarda la
sensazione di malinconia che si ricava dall' articolo di Rinaldi,
che parla, con rammarico, della marcia trionfale del nuovo
Cavaliere. Credo che occorra reagire; ci sono almeno due elementi
positivi. 1) I leader dei Ds cominciano a rendersi conto che la
politica di appeasement col Cavaliere non ha pagato e non può
pagare. 2) i nostri partner europei hanno notato, molti con
raccapriccio, che Berlusconi, che si sente appunto un trionfatore,
ha proposto Dell' Utri come vice- presidente della Commissione
Giustizia e Gargani come presidente della Commissione per i mass-
media. La prima sfida e' stata bloccata, almeno per ora; la seconda
ha avuto successo - il partito-azienda resta tale anche in Europa.
La reazione e' stata fiacca, anche, io credo, per la sorpresa. Sta a
noi rafforzare la reazione, mettendo nella massima evidenza che il
Cavaliere e' un pericolo non solo per noi, ma per tutti i partner
europei e che quindi il problema va affrontato a livello europeo.
Come? I conflitti d' interessi possono essere i piu' diversi, per
contenuto e per importanza. Non c' e' dubbio, però, che chi
controlla, non singole imprese, per quanto importanti, ma un impero
televisivo e' in grado di condizionare l' "homo videns" e
quindi, piu' o meno sensibilmente, l' intera attivita' politica, se
appunto e' un uomo politico e non solo un uomo d' affari. A negare
questa osservazione ed a minimizzare l' enorme influenza della
televisione troviamo solo Berlusconi ed i suoi soci: tutti i
politologi di rilievo, italiani e stranieri, concordano nel ritenere
valida quella osservazione. La negazione non e' attendibile giacché
proviene da parte interessata. Con la televisione si mette in moto
una spirale perversa, che abbiamo visto operare sotto i nostri
occhi. Il potere d' influenzare la politica rafforza il potere
economico, che a sua volta rafforza il potere politico, e così di
seguito: Berlusconi e' sceso in campo con diverse migliaia di
miliardi di debiti, ora ha un attivo superiore a 15 mila miliardi.
*** Un anno fa Umberto Bossi dichiarò che lui aveva fatto il
ribaltone non per motivi ideologici ma perché il Cavaliere
"comprava i nostri parlamentari e io l' ho abbattuto".
Questa dichiarazione procurò un disagio acuto a molti. Il disagio
e' divenuto angoscia dopo le recenti dichiarazioni di Mastella:
"Con Berlusconi adesso io non ho niente in comune. I soldi
stanno ammazzando la politica, non c' e' piu' un' idea contro un'
altra, c' e' l' idea unica, le altre non passano... Berlusconi ci
sta togliendo dal mercato tutti. Se potesse si comprerebbe anche D'
Alema". e' questo l' incubo di una notte di mezza estate. Se
Mastella ha ragione, almeno nel futuro immediato le speranze sono
poche. Quando i segretari dei vari partiti si renderanno conto che
parecchi dei loro parlamentari sono nel libro-paga del grande
finanziatore, capiranno che non dirigono piu' un accidente: a quel
punto la "casa democratica" sara' diventata un teatrino.
Il regime non sara' piu' democratico ma, a parte le apparenze,
plutocratico anzi, a voler essere precisi, monoplutocratico. ***
Come possiamo contrapporci a questo scempio o, diciamolo pure, alla
fine della democrazia sostanziale? Il decreto sulla "par
condicio" va bene ma, nonostante le violente proteste del
partito-azienda, fatte per evidenti motivi tattici, e' cosa
circoscritta e modesta. Il conflitto d' interessi. Qui il problema
e' serio. Ma e' necessario riconoscere che questo problema può
essere affrontato a due livelli. Il primo e' quello della legge
avviata un anno fa. Anche se fosse ben fatta, sarebbe un gioco da
ragazzi aggirarla; per il Cavaliere sarebbe solo un fastidio in piu',
anche se oggi tuona contro il tentativo liberticida. Una tale legge
potrebbe avere una qualche utilita' solo nei casi in cui gli
interessi di un uomo politico vengono ad assumere un peso tale da
far sorgere il sospetto di un possibile contrasto fra interessi
personali e interesse pubblico. Ben diverso e' il problema che sorge
quando l' attivita' si fonda fin da principio su una concessione
pubblica di rilevante interesse economico, che rende strutturalmente
inevitabile il conflitto d' interessi. Qui gli esempi che si possono
fare non sono molti. Uno e' appunto quello della concessione
pubblica di reti televisive. In questo caso qualsiasi tentativo di
regolamentare il conflitto d' interessi e' destinato al fallimento,
giacché il conflitto non sorge eventualmente in certe condizioni,
ma e' nelle cose stesse. Qui il solo rimedio e' l' ineleggibilita'
degli interessati e dei loro collaboratori stabili. Anche per una
furbizia gravemente censurabile e di cui oggi paga le spese, la
classe politica di destra e di sinistra - inclusa la così detta
estrema sinistra - ha fatto finta di non saperlo, una legge sulla
ineleggibilita' gia' esiste. Si tratta del decreto 30 marzo 1957 n.
361, le cui norme sono state aggirate con un penoso cavillo. OCCORRE
dunque riproporre con forza la legge sulla ineleggibilita', con
alcuni emendamenti anti-cavillo. Una tale legge - ecco il punto -
dev' essere portata al livello europeo, come ha proposto Veltroni,
che tuttavia si e' riferito in generale al conflitto d' interessi e
non specificamente alla formula del decreto del 1957, che e' l'
unica che può veramente risolvere il problema. Chi vuol fare l'
uomo d' affari avvalendosi di concessioni pubbliche, faccia l' uomo
d' affari. Chi vuol fare l' uomo politico, faccia il politico. I
partner europei debbono rendersi ben conto che per molte importanti
questioni siamo ormai nella stessa barca. Se domani Berlusconi,
rafforzato dall' Europa, fara' un governo con Previti alla Giustizia
interessera' anche loro. Ma Previti, che rassomiglia a Dell' Utri,
e' il personaggio che prima delle precedenti edizioni aveva
minacciato (e non scherzava): "Non faremo prigionieri".
Personaggi di questo tipo giovano alla democrazia e all' Europa? ***
Il conflitto d' interessi, osservavo, ingigantisce una corruzione
gia' assai estesa. Da noi la diffusa indulgenza verso corrotti e
corruttori dipende, io credo, dalla convinzione che per ragioni
storiche oramai siamo fatti così e che le cose non possono
cambiare. La storia può invece aiutarci a sperare. Nel ' 700 l'
Inghilterra era un paese profondamente corrotto, tanto che il primo
ministro Walpole poteva dichiarare che "ogni uomo ha un
prezzo". Ci fu una reazione vigorosa, guidata dal grande Edmund
Burke. In pochi anni ebbe luogo una mutazione genetica, avviata da
William Pitt, l' "incorruttibile". La nuova tendenza poi
si affermò. Perché una simile mutazione genetica non può avvenire
anche da noi?
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica21011999.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 21/01/1999
cattolici genuini meglio degli atei devoti
I raggiri intorno alle scuole private
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI TESTO: NELL' intervista pubblicata su
Repubblica il 9 gennaio, Giulio Andreotti ha detto che in passato le
difficolta' ai finanziamenti pubblici alla scuola privata non sono
venute dai comunisti ne' oggi vengono dai democratici di sinistra;
"il problema e' che sopravvive tuttora una tradizione politica,
un sottofondo duro di laicismo difficile da superare e che si fonda
su un pregiudizio risorgimentale contro la Chiesa". Il
riferimento e' a coloro che hanno sottoscritto il "manifesto
laico", pubblicato il 13 novembre da Repubblica. Poiche' io
sono tra questi, mi sembra giusto mettere ancora una volta in chiaro
la mia posizione. No, io non sono mosso da duro laicismo ne' da
nostalgie per gli storici steccati. Sono mosso dalla speranza che un
giorno l' Italia divenga un paese pienamente civile, nel quale
vengano evitati come la peste i raggiri di carattere levantino, come
quelli adottati per vanificare la norma costituzionale secondo la
quale "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole o
istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". L' elenco
dei raggiri proposti e' impressionante; ne ho contati almeno sette,
a cominciare da quello fondato sulla distinzione fra
"istituire" e "gestire": nel primo caso gli
oneri toccherebbero ai privati, nel secondo, allo Stato - sebbene
nessuno abbia spiegato in che cosa consisterebbero gli oneri
necessari per "istituire" le scuole. I raggiri e i sofismi
sono assai diversi fra loro e ciò e' la prova della malizia
levantina: quando una causa e' giusta non occorre affannarsi per
dimostrare che il bianco e' bianco e non e' nero. Andreotti ricorda
che era presente quando l' Assemblea costituente votò l' articolo
33 e può testimoniare - dice - quanta confusione si faccia su
quella formula. Il liberale Corbino e l' ex azionista Codignola che
la proposero dichiararono che non volevano un' esclusione assoluta:
la norma mirava solo a stabilire che "nessun istituto privato
potra' sorgere col diritto di avere aiuti dallo Stato"; si
escludeva il diritto al finanziamento pubblico, non la possibilita'.
Una schermaglia tra furbacchioni, dunque; alla fine, così può
sembrare, i democristiani si sarebbero fatti mettere nel sacco,
giacche' la formula e' inequivocabile e le dichiarazioni verbali non
possono avere nessuna rilevanza. No, i democristiani non si fecero
mettere nel sacco: c' era stato da poco lo scontro per il Concordato
e volevano evitare nuovi scontri, visto che la principale forza di
opposizione era, dal loro punto di vista, ragionevole e perciò
preferirono accontentarsi. C' era poi la preoccupazione per le
scuole di partito, specialmente del partito comunista. Ma oggi
queste preoccupazioni sono superate. Come si spiega allora la
riluttanza ad imboccare la via maestra, che e' quella della
revisione costituzionale? Eppure, la revisione sarebbe semplice e,
data la situazione politica, le probabilita' di successo sarebbero
buone. Credo che i cattolici non siano favorevoli principalmente per
timore di una regolamentazione rigorosa, alla francese - e' ben
comprensibile che, in condizioni di piena parita', la
regolamentazione sia molto rigorosa, dal momento che i privati
possono essere i soggetti piu' diversi. E credo che i laici siano
freddi perche' ritengono che una revisione costituzionale
significherebbe ammainare una bandiera e privarsi di un freno agli
appetiti dei vertici della Chiesa, che come abbiamo visto, non sono
affatto moderati - hanno fatto anche i conti mercantili. Non sono
sicuro che la freddezza o l' ostilita' dei laici e dei cattolici
siano spiegabili nel senso appena indicato. Sono sicuro però che
andando avanti coi raggiri e gli espedienti le prospettive
resteranno cupe sia per noi, sia - e questo conta di piu' - per i
nostri figli. Non si può fondare un' istituzione essenziale per l'
educazione morale e civile come la scuola su qualche raggiro: e'
ripugnante. In un paese normale una contesa fra sostenitori e
avversari del finanziamento pubblico della scuola privata e', anch'
essa del tutto normale - io mi auguro che abbia luogo; ma
preliminarmente bisogna cancellare quella norma, non aggirarla. Ho
riscontrato che non sono pochi i cattolici favorevoli alla via
maestra, ossia alla revisione costituzionale - mi riferisco ai
cattolici genuini, non alla schiera, enorme, degli "atei
devoti", che si dichiarano cattolici per convenienza politica.
I cattolici pubblicamente favorevoli alla via maestra non sono
molti; fra questi c' e' il vescovo di Civitavecchia, che si e'
espresso in tal senso in una lettera al Corriere della Sera del 12
dicembre, ammettendo però di rappresentare una posizione
assolutamente minoritaria; io mi auguro che nel campo cattolico
altri prendano posizione pubblica. E mi auguro che anche i laici
abbandonino la loro freddezza riconoscendo che oggi abbiamo il danno
e la beffa: il danno di copiosi fondi pubblici gia' dirottati,
sottobanco, alle scuole private con vari espedienti e la beffa che
ciò accade con regole pubbliche del tutto inadeguate. Laici,
cattolici: le speranze che in un giorno non lontano diverremo un
paese a civilta' piena, in cui il raggiro non sara' piu' la regola
ed il bianco sara' riconosciuto come bianco senza arzigogoli, sono,
almeno per ora, piuttosto poche.
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica12111998.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 12/11/1998
Gli industriali privati non fanno la loro parte
TITOLO: Senza ricerca non c' e'
futuro Un ostacolo alla crescita culturale
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: STIAMO vivendo un periodo quanto mai delicato: possiamo
incamminarci verso un progressivo miglioramento della nostra
societa', lasciando dietro di noi la fetida palude in cui ci siamo
dibattuti per anni; oppure possiamo continuare a vivere in una
palude perfino piu' fetida e piu' estesa - il peggio non e' mai
morto. Molto dipende dal sistema della ricerca, il quale non e',
come pensano molti politici, un settore importante, ma particolare:
e' invece la base dello sviluppo economico e di quello civile dell'
intera societa'. Se paragoniamo la societa' a un corpo umano, il
sistema della ricerca va visto come il cervelletto. Cominciamo con
le prospettive dello sviluppo economico. Un' ampia varieta' di
indici - quota delle spese sul prodotto interno lordo, numero dei
ricercatori, numero dei brevetti, quota delle esportazioni dei beni
di alta tecnologia - mostrano che la posizione del nostro paese
nella ricerca, gia' debole, e' diventata ancora piu' debole negli
ultimi anni, soprattutto per effetto degli sforzi compiuti per
Maastricht. e' un fatto gravemente negativo, giacche' a lungo andare
la nostra economia diventa sempre piu' vulnerabile alla concorrenza
dei paesi arretrati in molte industrie tradizionali, come quella
tessile e quella dell' abbigliamento, sia sul piano commerciale sia
sul piano degli investimenti e un numero crescente di imprese si
trasferisce in quei paesi attratte dai bassi salari, che
rappresentano una frazione dei nostri. Nel periodo breve e medio il
design e la creativita' ci proteggono, ma nel lungo periodo la
salvezza sta nelle tecnologie alte e medio-alte. Il nostro problema
non sta solo nel progresso assai debole della ricerca: in certi rami
- chimica, prodotti farmaceutici, acciaio - ha luogo addirittura un
regresso. Si e' detto che la responsabilita' e' da attribuire a
grandi societa' straniere - americane, tedesche, svedesi - che hanno
acquistato le nostre imprese leader e che sviluppano la ricerca
soprattutto nei paesi di origine. No: non giova scaricare sugli
altri una responsabilita' che e' soprattutto nostra. Tuttavia, il
danno piu' grave originato dall' insufficiente sviluppo della
ricerca non sta nell' indebolimento dello sviluppo economico:
riguarda lo sviluppo civile e consiste soprattutto nell' ostacolo
alla crescita culturale e al miglioramento della qualita' del lavoro
per le nuove generazioni: superata la soglia delle esigenze
economiche elementari, il problema diventa sempre meno di quanto si
ottiene come reddito ma di come lo si ottiene. LO SFORZO per far
uscire l' universita' dalle infelici condizioni in cui oggi si
dibatte, in buona misura coincide con lo sforzo per rimettere in
moto la crescita della ricerca, pura e applicata; la riforma degli
enti pubblici di ricerca rientra in questa strategia. Di recente
sono circolate bozze di decreti di riforma di due importanti enti,
il Cnr e l' Enea: c' e' da preoccuparsi, giacche' prevalgono gli
elementi discrezionali e il ridimensionamento del ruolo della
ricerca pubblica e mancano misure per stimolare le iniziative
propriamente scientifiche. La ricerca pura e applicata ha problemi
comuni, cosicche' va attribuita la massima importanza ai rapporti
fra universita' ed enti di ricerca, un problema ignorato nel caso
dell' Enea, mentre nel caso del Cnr si sopprimono, invece di
migliorarli, i legami con l' universita': esattamente l' opposto di
quel che occorre fare. Va inoltre affrontata in modo organico la
questione degli incentivi volti a far tornare in universita' ed enti
di ricerca del nostro paese scienziati italiani che oggi operano
all' estero. Fra l' altro, occorre sollevare docenti e ricercatori
dalle incombenze amministrative, che oltre tutto comportano rischi
di contestazioni da parte della magistratura civile e penale. Lo
Stato deve dunque compiere un grande sforzo finanziario e
organizzativo per la ricerca. Oggi, superate le difficolta' piu'
gravi per entrare nell' euro, un tale sforzo diviene possibile.
Sorprende tuttavia che, a differenza dei paesi civili, nel nostro
paese gli industriali privati non facciano la loro parte; i piu'
ricchi preferiscono spendere somme enormi per i calciatori - "circenses"
- piuttosto che per gli scienziati e nella ricerca spesso si mettono
in fila per mungere quella stessa vacca pubblica che per altri versi
maledicono. Trent' anni fa il quadro era diverso: in certe
industrie, come la chimica e l' elettronica, la situazione era
incoraggiante. Oggi e' il deserto e tocca allo Stato dare la
sferzata, in diverse direzioni: riforma degli enti di ricerca,
irrobustendo i legami con l' universita', dove la ricerca di base
dev' essere rifinanziata, e introduzione di nuovi incentivi per l'
industria privata, inclusa l' esenzione fiscale per le somme
destinate alle attrezzature di ricerca e all' assunzione di
ricercatori. Contemporaneamente va riformato il sistema pubblico e
privato della formazione, in particolare il sistema degli istituti
di formazione professionale. NELLA riforma della ricerca bisogna a
ogni costo evitare passi falsi, che avrebbero conseguenze
disastrose. Diversi colleghi e io pensiamo che sarebbe molto utile
se l' Accademia dei Lincei, un' istituzione super partes, d' intesa
con i ministri per la Ricerca e per l' Industria, promuovesse un
dibattito approfondito, con fini operativi, invitando i membri della
comunita' scientifica che hanno adeguate esperienze di ricerca in
Italia e all' estero a esprimere in tempo utile giudizi e
suggerimenti per la riforma del sistema. Per porre il dibattito su
un piano preciso e concreto sarebbe auspicabile che i lavori
venissero aperti dai due ministri, che potrebbero illustrare i loro
progetti di riforma mettendo in evidenza i punti problematici. e' un
periodo straordinariamente delicato e importante. Se non c'
impegniamo a fondo per riorganizzare la ricerca, nel periodo medio
la nostra sorte e' segnata: lo sviluppo economico e, quel che piu'
importa, lo sviluppo culturale e civile, incluso il miglioramento
della qualita' del lavoro, risulteranno compromessi. Saremo
condannati a vivacchiare nella palude.
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica13021997.html Repubblica DATA: 13/2/1997
Riforma necessaria per lo sviluppo scientifico e culturale, ma
anche per l' occupazione
TITOLO: UNA SPINTA ALLA RICERCA
SOMMARIO: Il governo non puo' ignorare le proposte dei docenti
AUTORE: Paolo Sylos Labini
TESTO: E' IN discussione in Parlamento un disegno di legge che
delega il governo ad emanare entro 12 mesi decreti intesi a
riorganizzare l' intero sistema della ricerca. Attenzione: questa e'
una riforma vitale per il futuro dell' Italia in quanto paese civile
oltre che, beninteso, per il suo sviluppo economico. Per non restare
ai margini in Europa dobbiamo accrescere il nostro peso nelle
attivita' di ricerca, che oggi e' assai modesto. E per l' Europa
rafforzare vigorosamente la ricerca e' essenziale per far fronte
alla sfida proveniente dagli Stati Uniti e dal Giappone e, sempre
piu', anche da paesi emergenti. Oggi e' diffusa l' idea che l'
aumento della disoccupazione e' imputabile alle innovazioni. Non e'
così: l' aumento dipende principalmente dall' indebolimento dello
sviluppo. Se le innovazioni da un lato distruggono posti di lavoro,
dall' altro li creano; nelle condizioni odierne le grandi imprese
spesso si concentrano su innovazioni di processo, che accrescono la
produttivita' ma non creano occupazione, mentre il sistema delle
piccole e medie imprese e' adatto a introdurre innovazioni che
accrescono sia la produzione sia l' occupazione. La riforma del
sistema della ricerca e degli organismi che lo compongono, fra cui
troviamo in primo luogo le Universita', deve essere congegnata in
modo da favorire i rapporti fra tali organismi e le piccole imprese
innovative; e deve essere attuata una politica volta a promuovere la
creazione di nuove piccole imprese, anche attraverso la costituzione
di agenzie simili a quelle operanti in altri paesi. Da noi e' stata
costituita, per ora solo sulla carta, un' agenzia di questo tipo, l'
Agitec. In vista dei decreti di riforma bisognerebbe rendere
operativa la Conferenza degli enti pubblici di ricerca, prevista
dalla legge 168, che dovrebbe operare in collegamento con la
Conferenza dei Rettori e con il Ministro per la ricerca. La
Conferenza dovrebbe promuovere incontri con docenti e ricercatori
per raccogliere suggerimenti e proposte: troppe volte il governo ha
attuato riforme senza sentire i suggerimenti di chi opera nella
struttura coinvolta, anzi, non di rado, suscitando l' ostilita'
degli interessati. Nell' intraprendere la riforma dobbiamo renderci
conto che in tempi recenti nel nostro paese il livello della ricerca
e' andato degradando, fino a precipitare. La crisi della ricerca e'
andata di pari passo con la crisi dell' Universita', dove, del
resto, si svolge gran parte della ricerca. Oggi sono in discussione
progetti per riformare il reclutamento dei docenti, che certo
rappresenta uno dei problemi piu' gravi. L' idea di due concorsi, il
primo per arrivare ad una lista di idonei ed il secondo per le
chiamate specifiche e' da scartare, se non altro perche' comporta
tempi lunghi inaccettabili. Tutto sommato, l' unica via di uscita e'
il ritorno, col massimo di garanzie, ai concorsi locali. Di recente
sono emerse proposte di creare istituti di ricerca nazionali, con
articolazioni regionali; e' stato preso a modello l' istituto di
fisica nucleare. Sia negli istituti di ricerca, pubblici e privati,
sia nell' Universita', in alternativa ai deleteri finanziamenti a
pioggia, e' stato suggerito di istituzionalizzare la definizione di
criteri obiettivi per valutare i progetti i cui proponenti chiedono
fondi pubblici. Le stesse politiche di cooperazione allo sviluppo
debbono puntare sulla ricerca scientifica; per evitare strutture
burocratiche e rendere minimi i costi, conviene pensare ad un centro
mondiale di coordinamento che utilizzi le eccezionali possibilita'
aperte da meccanismi del tipo Internet. Le proposte appena ricordate
sono state dibattute nel congresso internazionale sulla ricerca
scientifica tenuto a Stresa nell' ottobre '96 presieduto da Carlo
Azeglio Ciampi. Nella preparazione del congresso Ciampi fu molto
attivo, anche se dopo la nomina a ministro si e' tenuto da parte;
per il nostro congresso egli ha messo a frutto l' esperienza fatta a
Bruxelles come presidente del gruppo consultivo per la
competitivita', che aveva attribuito il massimo rilievo sia alla
promozione di piccole imprese innovative sia alla collaborazione fra
imprese, universita' e istituti di ricerca, da potenziare con l'
istituzione di "centri di sviluppo delle conoscenze".
Ormai fra i politici e gli intellettuali europei queste sono idee
dibattute in termini sempre piu' articolati. Non si tratta di
questioni riguardanti solo lo sviluppo scientifico e culturale; sono
questioni essenziali per le stesse prospettive dello sviluppo
economico e del riassorbimento della disoccupazione, che per gli
strati giovanili ha assunto caratteri drammatici. ------------------
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica01091994.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 1/9/1994
COMMENTI TITOLO: LA MINI - RIFORMA DELL'
UNIVERSITA'
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: LE DICHIARAZIONI e le notizie anticipate dal ministro
Podesta' sul suo provvedimento che introduce alcune innovazioni nel
sistema universitario m' inducono ad esprimere cinque brevi
osservazioni. 1. Abolizione del ruolo dei professori associati. L'
elemento a mio giudizio piu' importante nella divisione dei
professori in due fasce non sta nel numero di greche sul cappello o
nelle funzioni o nello stipendio: sta nel fatto che, per passare da
associato a ordinario, occorre un concorso, ossia una verifica. Si
può benissimo abolire la fascia degli associati purche' si preveda
per tutti i professori, per la loro progressione di carriera e di
stipendio, una verifica periodica - 3, 4 o 5 anni - basata sulla
produzione scientifica; la verifica non può non essere affidata che
a commissioni di professori piu' anziani, che sui titoli debbono
scrivere una relazione da rendere pubblica in tempi brevissimi.
Perfino nel nostro paese, dove il processo di mitridatizzazione alla
corruzione ed al malaffare ha raggiunto proporzioni paurose, non
sono pochi, soprattutto fra gl' intellettuali, coloro che temono la
gogna. (Un meccanismo analogo dovrebbe essere introdotto per i
magistrati; in questo caso, invece delle pubblicazioni, andrebbero
esaminate e giudicate le sentenze, in relazioni scritte da rendere
pubbliche). 2. Partecipazione di docenti stranieri alle commissioni
di concorso. Non posso che approvare questa idea, dato che la
sostengono da qualche anno. Ma non dev' essere il ministro a
scegliere i commissari stranieri; lo stesso ministro, in un'
intervista, si e' dichiarato pronto a modificare questa
disposizione. Lo faccia subito; diciamo che si e' trattato di una
svista dovuta alla fretta. 3. Doveri dei docenti. In Italia,
soprattutto dopo la diffusione dei corsi intensivi (tre mesi e
mezzo), l' onere didattico dei docenti di regola e' assai limitato -
dalla meta' ad un terzo dell' onere riscontrabile nella maggior
parte delle universita' americane. Occorrono almeno due norme: il
professore deve tener lezioni durante l' intero anno accademico - i
corsi annuali, non intensivi, consentono rapporti sistematici e
diluiti nel tempo fra docenti e studenti; il professore deve potere
essere utilizzato anche per altri corsi, a cominciare dai corsi
della laurea breve; entro un certo numero di anni, ogni professore,
come negli Stati Uniti, deve aver l' obbligo di tenere almeno due
corsi. Per pungolare i docenti e indurli ad adempiere nel modo
migliore ai loro doveri conviene attribuire agli studenti che
abbiano superato un determinato numero di esami il compito di
formulare valutazioni, firmate, sui corsi. In certe Universita'
anche in Italia, questa e' gia' una prassi: si tratta di estenderla
e di stabilire regole generali, semplici e chiare. 4. Ammissione
degli studenti all' Universita'. Occorre un sistema di norme eguali
per tutti, del genere delle norme raccomandate da Figa' Talamanca
fare la parentesi in tondo (Repubblica, 18 agosto). 5. Tasse e borse
di studio. Oggi le tasse pagate dagli studenti e dalle loro famiglie
coprono non piu' del 5-6 per cento del costo totale per studente: il
resto lo mette lo Stato. Ma lo Stato non e' fatto da marziani, lo
Stato siamo noi. I soldi lo Stato li prende dai tributi pagati da
tutti, anche dai meno abbienti, i cui figli raramente s' iscrivono
all' Universita': i tributi pagati da tutti vanno per oltre il 94
per cento a beneficio di pochi - meno del 10 per cento delle fasce
rilevanti di eta'. La quota pagata dagli studenti e dalle loro
famiglie deve crescere, fino a rappresentare, diciamo, dal 15 al 20
per cento del costo. Una quota anche piu' alta dev' essere fornita
da prestiti d' onore, la cui restituzione deve avvenire a rate
proporzionali al reddito che l' interessato, dopo la fine degli
studi, riesce a guadagnare. Un tale sistema di finanziamento ha il
grande vantaggio di abituare gli studenti a contare su se stessi.
Una quota robusta va coperta da borse di studio, alimentate da fondi
pubblici e privati - borse per le sole tasse e borse anche per le
spese di mantenimento. Le assegnazioni annuali dello Stato e degli
enti locali debbono rappresentare una quota decrescente delle spese.
L' autonomia effettiva delle Universita' potra' crescere con la
crescita della loro autonomia finanziaria. E' vero: le norme sui
doveri dei professori e sugli studenti non sono quelle che
permettono ad un ministro di accrescere la sua popolarita'. Ma il
ministro Podesta' non e' un politico di professione: e' un
professore prestato alla politica. E allora perche' non affronta l'
impopolarita'? ------------------
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica28101993.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 28/10/1993
SOS UNIVERSITA'
AUTORE: PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: RECENTEMENTE Laterza ha pubblicato un libro di Raffaele
Simone sull' Universita'. Sono poi usciti diversi articoli di
Marcello Pera (Stampa), Nicola Tranfaglia (Repubblica), Alessandro
Figa' Talamanca (Repubblica), Cesare Segre (Corriere della Sera).
Vengono denunciate le condizioni disastrose dell' Universita'. Sono
d' accordo con le denunce, ma diverse delle ipotesi prospettate per
risalire dall' abisso non mi convincono. E' vero che l' istituzione
del ministero dell' Universita' e della ricerca ha aperto
"spazi d' intervento", alcuni dei quali sono stati
sfruttati positivamente dal ministro Ruberti. Mi risulta che il
ministro Colombo sta preparando misure che vanno sostenute. Dobbiamo
però essere ben consapevoli che, dati i vizi acquisiti, risalire la
china e' arduo. Abisso: non credo affatto di esagerare. Nella nostra
Universita' esistono - sono sempre esistite - isole di eccellenza.
Ma il quadro complessivo appare spaventoso. A mio giudizio, i
problemi piu' gravi sono i seguenti. 1 Col dilagare dei
"semestri intensivi" molti docenti si fanno vivi per tre o
quattro mesi l' anno e poi scompaiono: in molte sedi periferiche
scompaiono dalla citta' in cui e' ubicata l' Universita', cosicche'
divengono inaccessibili agli studenti. Questa situazione, illegale e
vergognosa, e' ormai considerata normale, press' a poco come, fino a
poco tempo fa, erano considerate le tangenti: "così fan
tutti". 2 Sono numerosi i professori che, giunti in cattedra,
si dedicano ad attivita' professionali e smettono di compiere
ricerche. 3 Solo uno studente su tre giunge alla laurea: gli altri
due si perdono per strada - un fenomeno che non ha riscontro negli
altri paesi europei. Porre rimedio a queste gravissime disfunzioni
e' compito tremendo. Eppure bisogna affrontarlo in tempi brevi se
vogliamo evitare che l' Italia entri in Europa come paese emarginato
in partenza sia per l' Universita' che per la ricerca - i due
aspetti in gran parte coincidono. Ecco le ipotesi su cui conviene
riflettere. 1 E' opportuno reintrodurre la norma (un tempo c' era)
secondo la quale i docenti hanno il dovere di tenere lezioni durante
l' intero anno accademico: se scelgono corsi "semestrali",
devono tenere due corsi in due distinti "semestri". Quale
che sia la loro efficacia, le lezioni sono importanti perche'
stabiliscono una continuita' di rapporti fra studenti e docenti.
Ricordo che nelle Universita' americane ogni docente deve tenere due
o tre corsi per "term"; ne segue che i docenti italiani
sono sovrapagati e sono troppi. In effetti la diffusione dei corsi
"semestrali" si e' accompagnata ad una proliferazione di
materie e ha dato origine ad un grave eccesso di docenti; ciò ha
reso piu' difficile l' ingresso delle nuove leve ed ha ridotto i
fondi destinati ai laboratori ed alla ricerca. La situazione e'
ulteriormente peggiorata negli ultimi due decenni per la
proliferazione delle sedi, dovuta a miserabili motivi politici.
Occorre sopprimere le sedi che non rispondono a certi requisiti,
come il numero degli studenti, degli esami, delle lauree. 2 Ogni tre
o quattro anni, per un periodo successivo all' attribuzione della
cattedra (diciamo venti anni), il docente deve essere sottoposto a
giudizio da parte di una commissione di docenti anziani,
preferibilmente composta da una maggioranza di cittadini di altri
paesi europei. Il giudizio deve riguardare l' attivita' di ricerca e
quella didattica: se e' sfavorevole, il docente non ottiene l'
avanzamento di carriera e di stipendio. D' altra parte, annualmente
gli studenti che hanno superato un certo numero di esami
esprimeranno valutazioni scritte sull' attivita' dei docenti. E' il
metodo adottato, pare con successo, da parecchie Universita'
americane e dall' Universita' Bocconi. Nelle Universita' americane
il giudizio per l' avanzamento nella carriera e nello stipendio e'
formulato dal consiglio di amministrazione, che di norma ha
autonomia finanziaria; tale giudizio fa riferimento alla fama ed
alla produttivita' scientifica dei docenti. 3 L' abnorme "mortalita'"
degli studenti dipende da diversi fattori. In primo luogo dipende
dal fatto che le tasse universitarie coprono una frazione assai
modesta del costo, ciò che favorisce l' iscrizione di giovani che
non hanno nessuna intenzione d' impegnarsi sul serio negli studi e
che tuttavia fanno da sabbia nei meccanismi dell' Universita' (il
costo medio per studente va da 10 a 20 milioni di lire l' anno). Le
tasse vanno portate gradualmente a livelli tali da coprire i costi;
al tempo stesso vanno istituite borse di studio adeguate per i non
abbienti e i meritevoli, come vuole la Costituzione, e vanno
introdotti i "prestiti d' onore". L' obiettivo, se pure
non immediato, e' l' autofinanziamento quasi completo delle
universita'. Solo a quel punto l' autonomia sara' piena. FRA LE
DIVERSE cause dello scempio dell' Universita' ha avuto gran peso il
frequente ricorso alla formula dell' ope legis (ora pro nobis): le
promozioni attribuite, non sulla base delle pubblicazioni, ma per
legge. Oggi si tratta di non aggravare la situazione e d'
individuare i rimedi. In primo luogo, occorre rendere piu' puliti e
piu' trasparenti i concorsi. Bisogna dire che le quote dei concorsi
viziati da intrallazzi sono assai disegualmente distribuite fra i
diversi gruppi di discipline: per esempio, le quote sono basse nelle
discipline fisiche, mentre sono alte in quelle mediche. Forse la
salvezza sta in Europa: le commissioni dovrebbero includere membri
europei, da principio in minoranza, in seguito in maggioranza. In
ogni modo occorre una tempestiva e piu' ampia pubblicita' dei
risultati. Occorre poi vigilare per evitare colpi di mano dei
fautori dell' ope legis. Sappiamo bene che non pochi sindacalisti
sono sempre pronti a premere per far passare misure di questo tipo a
favore di casi lagrimevoli: a volte si configurano come misure di
poco conto, ma in Parlamento possono subire gravi estensioni: nelle
Camere non mancano i cecchini, pronti a colpire dopo essersi
procurati i necessari complici; un compito, pur troppo, non arduo,
come dimostra la proroga del doppio stipendio ai professori
parlamentari. Non so se le ipotesi appena considerate siano valide e
praticabili; chi non le condivide, però, deve criticarle e
presentare alternative, giacche' se non s' interviene vigorosamente,
le prospettive dell' Universita' sono terribilmente oscure.
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http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica24071991.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 24/7/1991
UN' UNIVERSITA' TUTTA DA RIDERE
(O DA PIANGERE)
SOMMARIO: A proposito di un articolo di Carlo Bernardini /
Professori assenteisti, fannulloni vestiti da studenti, corsi
semestrali che durano tre e mezzo: così funzionano i nostri atenei
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: L' articolo di Carlo Bernardini, apparso su Repubblica
del 17 luglio, sulla scuola e l' Universita' può sembrare troppo
pessimista. Fra l' altro Bernardini bolla con parole durissime la
legge sul "Senato accademico allargato" una legge che
prende a ceffoni il significato stesso delle parole e fa entrare nel
Senato anche i rappresentanti dei non docenti: brutta e demagogica
la legge, ma anche peggiore il modo con cui certe Universita' l'
hanno interpretata. Sono completamente d' accordo con Bernardini. Se
tuttavia allarghiamo il quadro, si deve essere anche piu'
pessimisti: per l' universita' non e' esagerato parlare di disastro.
Il numero dei laureati aumenta assai stentatamente, sebbene fra i
laureati la disoccupazione sia relativamente bassa, tanto nel Nord
quanto nel Sud, e sebbene il bisogno di laureati in discipline
tecniche spesso resti insoddisfatto. Cresce il numero dei giovani
che s' iscrivono all' Universita', ma coloro che arrivano alla
laurea, non molti anni fa uno su due, sono oggi solo uno su tre
(dico: uno su tre). Non sono fatti puramente statistici: sono un
primo indice di disfunzioni gravissime. Quei giovani, infatti,
affollano aule e laboratori, con danno per tutti, anche per coloro
che hanno effettiva volonta' di studiare. Per di piu', quell'
affollamento, grande soprattutto nel primo anno, da' l' impressione
di grave inadeguatezza delle sedi universitarie esistenti e offre il
destro per intensificare quella lottizzazione geografica che e'
voluta dalle forze politiche anche quando non risponde a esigenze
effettive. Le piccole sedi, quelle periferiche, antiche e nuove,
sono in gran parte nodi ferroviari, frequentati discontinuamente da
docenti pendolari: l' obbligo di residenza, sancito dalla legge,
viene debitamente tenuto in non cale. Miserabile demagogia La
tendenza alla pendolarita', antica assai nel caso delle sedi
periferiche, ha avuto un nuovo poderoso slancio col dilagare dei
"corsi semestrali" grazie ad una riforma del calendario
universitario paragonabile, per importanza, alla riforma gregoriana,
il "semestre" dura tre mesi e mezzo. I corsi
"semestrali" si sono diffusi a macchia d' olio,
circoscrivendo la pendolarita' a quei tre mesi e mezzo; per il resto
dell' anno, salvo gli esami, fatti a scappa e fuggi, non c' e'
neppure la pendolarita': c' e' pura e semplice assenza, come c' e'
pura e semplice assenza nel caso dei docenti stanziali che svolgono
altri mestieri. Eppure lo stipendio corre per un intero anno e in
tutti i paesi, compresi quelli del Terzo mondo, nella scuola,
Universita' compresa, le vacanze durano tre mesi. Sarebbe un errore
ritenere che la maggioranza degli studenti che non giungono alla
laurea siano giovani che per un motivo o per un altro ci ripensano e
si scoraggiano. No: come risulta dall' indagine di Trivellato, De
Francesco e Torri, sociologi dell' Universita' di Milano, molti s'
iscrivono per ragioni assistenziali di vario genere: presalario
(concesso, in pratica, senza obbligo di sostenere esami), rinvio del
servizio militare, assegni familiari per il padre, assistenza
sanitaria, mensa universitaria; bazzicare l' Universita' e' anche un
modo per passare il tempo. Ma tutti questi pseudostudenti sono
sabbia negli ingranaggi, gia' poco funzionanti, dell' Universita'.
Il rimedio sarebbe semplice, se il paese non fosse ancora affetto da
miserabile demagogia: far pagare tasse adeguate ai costi - cinque
milioni l' anno per studente effettivo -, esonerando, come dice la
Costituzione, i non abbienti e i meritevoli (all' ingresso varrebbe
la media della licenza liceale): basterebbe richiedere, con
larghezza, solo una media di 24 su 30 e il superamento di quattro
esami l' anno. Regole di questo tipo sono stabilite alla Bocconi
dove la "mortalita'" studentesca e' inferiore a 1 su 10.
Eppure la razza e' sempre italica. E' vero: la Bocconi e' un'
Universita' privata, anche se una quota non piccola dei
finanziamenti sono pubblici. Ma che cosa impedisce allo Stato di
fissare analoghe regole generali per le Universita' integralmente
finanziate con fondi pubblici? Quando, alcuni anni fa, furono
avviati i corsi intensivi "semestrali" le intenzioni di
diversi politici e di numerosi docenti erano oneste. Tutte queste
persone debbono ora riconoscere, altrettanto onestamente, che l'
esperimento e' fallito, non solo perche' ha violentemente
incentivato l' assenteismo dei docenti, ma anche perche' ha
sacrificato le esercitazioni, che per certe materie sono anche piu'
importanti delle lezioni, ed ha stimolato l' assenteismo degli
stessi studenti i quali, quando le lezioni tacciono, ben di rado
vanno a trovare il docente, pur se questo e' presente nel suo
ufficio. Per controllori gli studenti Non si tratta di abolire i
corsi intensivi; si tratta di stabilire la regola che ogni docente
e' tenuto a insegnare per tutto l' anno accademico: poi, il tipo di
corso, intensivo o non intensivo, quadrimestrale o annuale - viene
scelto da lui liberamente. Tale obbligo potrebbe ristabilire quei
rapporti, pressoche' continui, fra docenti e studenti nell' intero
arco dell' anno accademico. Per di piu', verrebbe meno quella
scarsezza di docenti che oggi dipende soprattutto dal modo, pessimo,
con cui e' organizzata l' Universita'. Non pochi degli attuali
docenti potrebbero essere utilizzati per i corsi di diploma; e si
potrebbe accrescere il numero dei tecnici oggi penosamente
inadeguato. Per combattere il deleterio assenteismo e per ottenere
che tutti i docenti e tutti i tecnici facciano il loro dovere,
dovrebbe essere introdotta una qualche forma di controllo da parte
degli studenti, che sono i consumatori dei servizi universitari;
così si fa in diverse universita' americane, così si fa alla
Bocconi. Non tutti gli studenti, beninteso dovrebbero essere
coinvolti, ma solo quelli che hanno superato una buona parte degli
esami. Sono certamente numerosi i docenti che compiono per intero il
loro dovere, spesso sopportando duri sacrifici. E non sono pochi i
docenti di fama internazionale. Le isole sono importanti, ma se noi
non cresciamo collettivamente, gl' isolani manterranno rapporti
intensi coi colleghi di altri paesi, ma alcuni resteranno stranieri
in patria, e, con universita' fondate sull' assenteismo di molti
docenti e di molti studenti, non ci sara' quella ricaduta culturale,
importante anche per la qualita' delle occupazioni. Forse e' tempo
di riconoscere che non c' e' solo l' interesse al posto e alla
carriera: in tutte le categorie, ma forse tra gl' intellettuali piu'
che in altre, e' importante il desiderio di vivere in comunita'
degne di rispetto, all' interno e all' estero. Oggi, a mio giudizio,
così non e'. Ho parlato piu' volte di questi problemi col ministro
Ruberti e con alcuni dei suoi piu' stretti collaboratori. Rivolgo a
lui e ai suoi collaboratori un appello accorato: presentino due
provvedimenti, uno per gli studenti (tasse e controllo), l' altro
per i docenti (obbligo della didattica per l' intero anno
accademico). Se vogliono, so che essi sono in grado di affrontare le
tempeste di demagogia e di corporativismo che misure come quelle qui
indicate inevitabilmente scatenerebbero. Ma ne vale la pena: sono in
gioco il futuro dell' universita' e lo sviluppo civile del nostro
paese. ------------------
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica27011990.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 27/1/1990
CONTESTATORI, PROVIAMO A
DISCUTERE
SOMMARIO: Gli studenti che oggi protestano sembrano, sotto vari
aspetti, piu' seri dei loro predecessori del 1968 e del 1977. Ma
devono dimostrarlo
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: Di fronte alle nuove agitazioni studentesche, un
anziano barone come me, che nelle precedenti ondate 1968 e 1977 si
trovò fra coloro che contestavano attivamente e duramente i
contestatori, deve domandarsi: sono piu' seri questi contestatori
dei loro predecessori? Hanno ragione o hanno torto? Dico subito che
una maggiore serieta' appare abbastanza visibile. Nel 1968 erano
pressoche' introvabili gli studenti che avevano letto il progetto
Gui per la riforma universitaria, sebbene l' attacco a quel progetto
rappresentasse il segnale di avvio della contestazione. Oggi invece
i giovani che hanno studiato il progetto Ruberti non sono pochi. E
questo e' un fatto positivo; non mancano, tuttavia, aspetti
decisamente negativi. I motivi di contestazione riguardano in
particolare: 1) il fatto che al Senato studentesco il progetto
attribuisce solo funzioni consultive e non anche deliberative; 2) l'
introduzione del diploma universitario; 3) l' apertura dell'
Universita' alle imprese private; 4) la grave carenza delle
strutture per la didattica, per la ricerca e per accogliere gli
studenti fuori sede. Pare a me che il terzo e il quarto punto
abbiano fondamento, ma i primi due no. Il Senato studentesco diciamo
meglio Consiglio, senato viene da senex, vecchio non può non avere
funzioni consultive, giacche' gli studenti sono ospiti temporanei
dell' Universita'. Dal punto di vista funzionale, la' dove e' stato
tentato mi riferisco a certi paesi latinoamericani il cogobierno ha
dato risultati disastrosi. E' giusto proporre che i pareri del
Consiglio siano obbligatori, non che siano anche vincolanti. Ben
piu' importante, per gli studenti e per il buon funzionamento dell'
Universita', sarebbe il riconoscimento del diritto di critica, che
potrebbe essere reso operativo inserendo nella legge un articolo
così concepito: Agli studenti va riconosciuta la facolta' di
criticare l' attivita' didattica e scientifica svolta dai docenti,
risultante da relazioni pubblicate alla fine di ogni anno accademico
sulla traccia di uno schema prefissato.Oltre le relazioni dei
docenti, anche le critiche e le proposte di mutamento formulate
dagli studenti vanno pubblicate nel Bollettino dell' Universita'
(nel quale dovranno essere pubblicati anche gli estratti delle
domande, delle delibere, dei consuntivi e delle convenzioni che
comportano l' uso di attrezzature dell' Universita' o l' erogazione
di danaro pubblico). L' attacco al diploma va considerato come un
residuato bellico, uno slogan che risale al tempo in cui, in omaggio
al feticcio di un demagogico egualitarismo, si sosteneva che non si
dovevano creare titoli di serie A e titoli di serie B. Questa e' una
sciocchezza. Impedire l' introduzione del diploma significa limitare
arbitrariamente non solo la liberta' di scelta ma anche, per molti
giovani, le opportunita' di trovare un impiego, giacche' in certi
rami, come in ingegneria, gli studenti che aspirano al diploma
dovrebbero faticare molto meno (3 anni invece di 6) e potrebbero poi
trovare piu' facilmente lavoro. Diplomi, lauree e dottorati di
ricerca sono titoli che si trovano in tutti i paesi progrediti, fra
cui quelli europei. L' apertura dell' Universita' alle imprese
private. Io sono d' accordo con le critiche se non s' introducono,
nella legge, regole precise. Per promuovere attivita' di ricerca la
legge deve non solo consentire e ciò gia' accade con le leggi
vigenti ma favorire i consorzi e le convenzioni tra Universita', da
un lato, ed enti pubblici e privati, dall' altro, alla condizione
che si tratti di ricerche di preminente interesse scientifico ed
alla condizione che le imprese non entrino nel consiglio di
amministrazione. (Altra cosa sono le camere di commercio, che
rappresentano privati ma che sono enti di diritto pubblico, e che in
ogni modo sono gia' ammesse nei consigli di amministrazione dell'
Universita'). Occorre infatti evitare il pericolo che le imprese
usino strumentalmente l' Universita' per ricerche d' interesse
prevalentemente aziendale, ciò che non solo sarebbe censurabile in
se', ma avrebbe anche effetti deleteri, giacche' scoraggerebbe le
imprese disposte a creare o ad ampliare propri laboratori di
ricerca. Occorre, viceversa, incentivare, anche con forti sgravi
fiscali, le imprese che intendono organizzare laboratori e
istituzioni di ricerca un campo in cui i privati e specialmente gli
industriali hanno fatto e fanno vergognosamente poco. Fra i motivi
delle agitazioni studentesche in atto troviamo, in posizione
preminente, la carenza delle strutture per la didattica, per la
ricerca e per accogliere gli studenti fuori sede. Su questo punto
gli studenti hanno pienamente ragione. Il problema e'
particolarmente grave in tre grandi citta': Roma, Napoli, Milano. Il
ministro Ruberti informa di aver avviato, col ministro per le Aree
urbane, una commissione per ridisegnare quelle universita' che hanno
assunto dimensioni mostruose. Per Roma, che e' la piu' mostruosa di
tutte, le possibili soluzioni sono state studiate a fondo da anni:
oltre all' uso di edifici sparsi nella citta', ci sono due aree, una
gia' acquisita, l' altra da acquisire: l' area di Tor Vergata e un'
area nella zona dell' Ostiense. E' possibile pensare ad almeno due
nuove universita', oltre l' attuale citta' universitaria. Teniamo
ben presente che Tor Vergata ha un' estensione enorme: circa 500
ettari, poco meno dell' area delimitata dalle mura aureliane l'
attuale citta' universitaria, Policlinico compreso, non arriva a 30
ettari. Se la questione fosse lasciata ai normali meccanismi
amministrativi, il tempo sarebbe molto lungo; esso potrebbe essere
fortemente ridotto se i docenti di buona volonta' e gli studenti
stessi si organizzassero usando magari le loro associazioni per far
varare in tempi brevi una legge speciale per Roma. L' Universita' di
Tor Vergata, che oggi, come edifici, copre una frazione minima dell'
area totale, potrebbe diventare una universita' modello,
paragonabile alle piu' efficienti citta' universitarie del mondo
verde, aria pura, campi sportivi (piscine comprese), ampie strutture
collaterali, oltre quelle per la didattica e la ricerca; alludo a
case per lo studente, ristoranti, sale di soggiorno e di lettura,
sale di riunione. Beninteso, Tor Vergata dovrebbe essere resa
rapidamente accessibile dal centro di Roma prolungando la
metropolitana. Tutte e tre le Universita' dovrebbero assegnare ampi
spazi alle strutture per la ricerca e non solo a quelle appartenenti
all' Universita', ma anche a quelle che fanno capo ad enti esterni,
come il Cnr. Naturalmente, le strutture materiali rappresentano solo
una condizione per risanare l' Universita'; ma si tratta di una
condizione assolutamente necessaria. Nel complesso, il quadro
attuale dell' Universita' e della ricerca scientifica e' assai
oscuro: la presenza di isole luminose non lo modifica in misura
significativa; per convincersene, basta pensare alla molto elevata
mortalita' studentesca solo uno studente su tre giunge alla laurea
ed alla crescita lentissima del numero annuale dei laureati. I
confronti con gli altri paesi progrediti sono quanto mai
preoccupanti. L' approssimarsi della completa unificazione europea
può traformare le preoccupazioni in angoscia. Fra le vecchie
contestazioni e quella in atto sussiste una differenza fondamentale:
nel passato le richieste di riforma erano in gran parte pretestuose
i leader piu' decisi e piu' attivi volevano non riforme, ma, nella
loro atroce confusione mentale, la rivoluzione che, come tutti
sanno, richiede l' uso della violenza. Pare che nelle assemblee non
manchino alcuni nostalgici della rivoluzione, individui spostati e
anzianotti, oramai incapaci di pensare ad altro. Pur ammettendo che
questi personaggi ben difficilmente potranno far proseliti, sembra
che non siano tanto pochi coloro che non hanno nessuna voglia di
migliorare, anche radicalmente, il progetto di riforma, ma che usano
le critiche in modo pretestuoso. Se queste tendenze dovessero
prevalere, ci troveremmo in una situazione per certi aspetti simile
a quella delle contestazioni del passato rumorose, tristi e, per lo
sviluppo civile dell' Universita', non solo sterili ma dannose. E'
lecito sperare che la situazione migliori: vedremo nei prossimi
giorni. E' certo che, quanto piu' confuse, pretestuose e velleitarie
sono le agitazioni, tanto piu' grave diventa il pericolo che alcuni
gruppi, sindacali e non sindacali, approfittino della bagarre per
collegarsi con gli studenti in agitazione e portare avanti pretese
biecamente corporative, come accadde l' altra volta
malauguratamente, con notevole successo e con conseguenze deleterie
che tuttora pesano sull' Universita'. Non si fece la rivoluzione,
naturalmente, ma non si fece neppure la riforma o meglio, si fece
una riforma, ma per il peggio, con l' immissione massiccia e
disordinata di docenti, soprattutto attraverso concorsi riservati,
di stampo corporativo; all' enorme crescita nel numero dei docenti
ha fatto riscontro in parte per contraccolpo un' insufficienza negli
investimenti destinati alle strutture. Quell' enorme crescita si e'
accompagnata a una pessima distribuzione dei docenti, cosicche' nei
corsi del primo anno di certe facolta' ha pur sempre luogo una grave
sproporzione fra docenti e studenti. E' vero: esiste un acuto
malessere nell' Universita', non solo fra gli studenti,
particolarmente nei primi anni, ma anche fra molti docenti e, ancora
di piu', fra i ricercatori, i dottori e i dottorandi, a causa delle
prospettive di carriera, che sono anguste principalmente per effetto
di quelle misure che hanno determinato l' intasamento di molta parte
dell' Universita'. Per il movimento degli studenti oggi il rischio
di essere strumentalizzato da partiti politici esiste, ma e'
modesto; e' grave invece il rischio di essere strumentalizzati da
gruppi di ricercatori, dottorandi e docenti di livello intermedio in
cerca di scorciatoie. Ma per queste persone la via non e' quella di
cercare di strappare miserevoli concessioni ope legis. Per loro e
per gli stessi studenti che pensano al loro futuro e che comunque
intendono contribuire alla crescita civile del nostro paese e'
quella di battersi per una riorganizzazione radicale del sistema
della ricerca pubblica e privata, allo scopo di irrobustirne l'
impalcatura, di allargare non artificialmente la sua capacita' di
assorbimento e di adeguarla a quella dei piu' progrediti paesi
europei. Si dovrebbe pensare a una legge di riforma della ricerca da
varare subito dopo quella dell' Universita'. Probabilmente sarebbe
di grande aiuto un rapporto che raccogliesse in modo critico e
sistematico tutte le notizie del sistema della ricerca degli altri
paesi europei, da usare come punto di riferimento per l' opera di
riorganizzazione: l' Europa e' vicina. Su una tale via servono poco,
o sono senz' altro contro-operanti, le occupazioni delle facolta' e
l' interruzione dei corsi; e' essenziale, invece, una tenace azione
riformistica in tutte le sedi possibili. La via e' molto difficile,
ma e' anche l' unica che si addica a persone mature e civili.
Ruberti ha dichiarato di essere disposto a introdurre modifiche
anche radicali nel suo progetto. Se l' obiettivo riformistico degli
studenti non e' pretestuoso, ma genuino, perche' non fargli credito?
Possibile che la nuova generazione e la vecchia non riescano a
collaborare, sia pure, com' e' giusto, dialetticamente?
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http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica05031986.html TESTATA: REPUBBLICA DATA: 5/3/1986
ARTELLI E IL TRUCCO DEL BUONO
SCUOLA...
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: LA scena si svolge in un possibile futuro prossimo in
una classe di una scuola elementare privata, dopo l' approvazione
dei buoni scuola. Il ragazzino che fa le domande e' vivace e
impertinente; anche troppo; se non cambia, avra' una vita difficile
in questo paese. "Signor maestro, che cosa sono quei buoni che
papa' porta ogni trimestre alla segreteria della scuola?".
"Sono come dei soldi, che servono a pagare tutto quello che c'
e' da pagare per mandare avanti la scuola". "Ma signor
maestro, questa e' una scuola privata e le scuole private non
debbono costare soldi allo Stato. Lo dice la Costituzione. A me lo
ha detto papa'". "Dimmi, tuo papa' detesta i preti?"
(La scuola in cui si svolge la scena e' una scuola cattolica).
"No, ha anche un prete fra i suoi amici. Ma dice sempre che
detesta i furbacchioni. Dice che l' Italia va male perche' ci sono
troppi furbacchioni. Signor maestro, lei non ha risposto alla mia
domanda. Se la scuola privata non deve costare soldi allo Stato, non
e' un trucco quello dei buoni scuola? Non e' un imbroglio, come dice
papa'?". "No, non e' un imbroglio, ma e' troppo difficile
per spiegartelo". "Signor maestro, perche' non ci
prova?". LA scena finisce qui, con grande imbarazzo del giovane
maestro, che non sa che cosa rispondere. Gia' altri - Ferrara e Asor
Rosa - hanno criticato su questo giornale la proposta, non nuova ma
ripresa recentemente dall' on. Martelli, dei buoni scuola. Le loro
critiche sono valide e serie; le mie possono apparire moralistiche.
Ma nel nostro paese ci vuole ben poco per essere bollati come
"moralisti". D' altra parte, la proposta dei buoni scuola
originariamente proviene da un' organizzazione, Comunione e
Liberazione, che fa della morale addirittura la sua bandiera
politica. Ma non si tratta di considerazioni moralistiche - che
sarebbero del tutto appropriate nel caso della scuola -, bensì di
considerazioni giuridiche e di civilta': vogliamo o non vogliamo
rispettare la Costituzione? O vogliamo farcene beffe? Vogliamo
essere o diventare una repubblica civile o trasformarci in una
repubblica di magliari? "Senza oneri per lo Stato", dice
la Costituzione con riferimento alla scuola privata. Nelle proposte
di chi vuole l' aiuto finanziario dello Stato per la scuola privata
ho registrato ben sei cavilli tendenti a dimostrare che
"senza" significa "con". Gli espedienti che,
indipendentemente dalle intenzioni, tenderebbero ad aggirare quella
norma sono invece, almeno finora, solo due: la gia' nota formula
degli sgravi fiscali per le spese scolastiche e la piu' recente
proposta dei buoni scuola. Se non ci fosse quella norma non
sarebbero espedienti: sarebbero due rispettabili metodi di
finanziamento, da considerare in alternativa al finanziamento
diretto; e si potrebbe utilmente discutere sui vantaggi e sugli
svantaggi dell' uno o dell' altro metodo in termini di efficienza e
di pluralismo. Ma fino a quando c' e' quella norma la scelta non c'
e': che si tratti di spese in bilancio, o di sgravi fiscali, o di
buoni scuola non fa differenza, a meno che non vogliamo farci beffe
della Costituzione. Chi e' convinto che sia piu' vantaggioso un
finanziamento indiretto (sgravi o buoni), che, appunto perche'
indiretto, andrebbe a vantaggio di ogni tipo di scuola; o chi
ritiene che la scuola privata - che in Italia per nove decimi
significa scuola cattolica - debba essere aiutata finanziariamente
dallo Stato, non ha che una strada: quella di promuovere la
revisione costituzionale. E' una strada difficile, ma e' l' unica
degna di un paese civile. Gli storici steccati o la divisione fra
guelfi e ghibellini non c' entrano affatto. Sostenere che in altri
paesi occidentali la scuola privata e' finanziata dallo Stato e'
fuori luogo, dato che gli altri paesi non hanno quella norma nella
loro Costituzione; ed e' fuori luogo ricordare che il Parlamento
europeo ha approvato una risoluzione favorevole ad aiuti finanziari
della scuola privata: la Costituzione del nostro paese non può
essere modificata da una risoluzione del Parlamento europeo.
Purtroppo sono gia' in atto non poche misure che possono
configurarsi come furbeschi espedienti per aggirare la norma
costituzionale: e' un problema che il Parlamento dovrebbe
approfondire. Si tratta di piccoli espedienti: ora qualcuno pensa di
fare le cose in grande, col rischio addizionale di creare le
premesse per un ulteriore aumento del disavanzo, soprattutto per
nuovi insegnanti. Personalmente - ma questa e' materia opinabile -
non raccomando la revisione costituzionale, poiche' ritengo che sia
dovere del governo e, in particolare, del ministro per la Pubblica
istruzione sorvegliare che la scuola pubblica garantisca il massimo
pluralismo delle idee e dei metodi didattici: qui sembra che ci sia
molto da fare e molto da migliorare. Per ridurre il rilevantissimo
onere di bilancio raccomanderei, per l' Universita', un forte
aumento delle tasse accompagnato da un forte aumento delle borse di
studio per i meritevoli. Ed esaminerei con grande attenzione la
questione del numero e della distribuzione dei docenti. Dalle
statistiche della Comunita' europea appare che noi abbiamo di gran
lunga il carico relativo piu' alto d' insegnanti - e' il risultato
delle assunzioni piu' che massicce degli ultimi anni. Un esperto
della scuola mi dice: guarda che sono numerosi gli insegnanti
"comandati" altrove, un numero rilevante presso sindacati
e partiti. Si tratta di un vero e proprio abuso: e' un' altra
questione su cui occorre indagare. Oltre il numero eccessivo c' e'
la questione della cattiva distribuzione degli insegnanti: si
debbono studiare mezzi adatti, non coercitivi, per redistribuirli.
In ogni modo, alla scuola non occorrono nuovi insegnanti, ma
attrezzature, soprattutto nel Mezzogiorno. C' e' il problema,
essenziale, del grado di autonomia, oggi bassissimo; e c' e' il
problema, in parte connesso con questo, dei programmi. Sono assai
gravi i problemi della scuola primaria e secondaria; e sono non meno
gravi quelli dell' Universita' e della ricerca scientifica, come
risulta anche dal rapporto della Commissione istituita dal
presidente del Consiglio. E' in gioco il futuro del nostro paese in
quanto paese civile. Credo che sia giunto il momento d' istituire
una Commissione parlamentare d' inchiesta, che studi a fondo questi
problemi, anche interrogando coloro che nella scuola e negli
istituti di ricerca spendono la loro vita. ------------------
http://dipartimento.dse.uniroma1.it/sylosPersonal/repubblica13011985.html
REPUBBLICA DATA: 13/1/1985
LA SCUOLA CHE VUOLE DE MITA
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI TESTO: IL 9 GENNAIO, intervenendo a
"Tribuna politica" in un dibattito televisivo, l'
onorevole Ciriaco De Mita mi ha tirato in ballo per la questione
della scuola privata. Considerata la grande importanza della
questione e considerate le inesattezze contenute in quell'
intervento, mi sembra necessario replicare. De Mita, che fa
riferimento ad un mio articolo apparso su Repubblica il 26 settembre
scorso, mi accusa di "settarismo laico" e di
"intolleranza" accuse per me abbastanza urtanti, dal
momento che detesto settarismi, culturali e politici. Dice De Mita:
"noi ci muoviamo per migliorare la scuola, non per dividere l'
organizzazione della scuola tra vecchi guelfi e nuovi
ghibellini". Scrivevo in quell' articolo: "Dev' essere ben
chiaro: i clericali e gli anticlericali, i guelfi e i ghibellini,
qui non c' entrano: e' solo una questione di onesta' civile. Mi
risulta che non pochi democristiani la pensano così. Questi
democristiani arrossirebbero di vergogna se uno dei cavilli dovesse
prevalere". E' questa l' intolleranza che De Mita mi
attribuisce? E' questo il "settarismo laico?". In effetti,
solo un penoso cavillo può trasformare il "senza" di cui
parla l' articolo 33 della Costituzione in un "con"
("Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed
istituti di educazione, senza oneri per lo Stato"). In quell'
articolo indicavo solo due cavilli; nel frattempo ne ho raccolti non
meno di sei. Quando una causa e' giusta, il difensore usa una sola
argomentazione; piu' la causa e' traballante, piu' aumenta il numero
delle argomentazioni: si spera che almeno una vada a segno! IN
effetti, quella norma e' in armonia col dizionario: quel
"senza" nella Costituzione vuol dire veramente
"senza"; essa fu infatti il frutto, com' e' stato
efficacemente detto, di un minicompromesso: da un lato i comunisti
erano disposti a incorporare il vecchio concordato nella
Costituzione e a votare l' articolo 7 e non pochi laici erano
disposti ad evitare una guerra all' ultimo sangue su quell'
articolo; da parte loro, i democristiani erano disposti a cedere su
quella clausola di salvaguardia. Sono passati quarant' anni: oggi
non c' e' piu' bisogno di compromessi o di minicompromessi e ci si
accorge improvvisamente che occorre sostenere finanziariamente la
scuola privata o, come dice De Mita, libera. No, onorevole De Mita,
questo non va bene; e guelfi e ghibellini non c' entrano. E non sta
nella "burocratizzazione dei servizi" il difetto
principale della scuola italiana. Sono "burocratiche" le
lezioni, che costituiscono gran parte dell' attivita' delle scuole
dei diversi ordini? E' burocratica la ricerca? No: i difetti della
nostra scuola sono ben diversi; fra i difetti, c' e' la scarsezza
dei mezzi finanziari, soprattutto nel settore della ricerca; una
scarsezza che si e' aggravata con le massicce assunzioni di docenti,
spesso dettate da un calcolo di convenienza politica piuttosto che
da esigenze obiettive; una scarsezza che verrebbe ad aggravarsi
ulteriormente nel caso che fosse ammessa al finanziamento pubblico
la scuola privata, che in gran parte ora si autofinanzia. Dico
"in gran parte", poiche' sono stati messi in atto diversi
espedienti (come le "convenzioni" ed altri) per aggirare
l' articolo 33: espedienti di dubbia legittimita' e di ancora piu'
dubbia moralita'. E non e' neppure esatto affermare che la scuola
negli Stati Uniti sia "la scuola piu' efficiente del
mondo"; in quel paese ci sono scuole private e scuole pubbliche
a tutti i livelli, con un' incredibile varieta' di situazioni - si
va dall' ottimo al pessimo - e se spesso le scuole private
funzionano meglio di quelle pubbliche e' perche' dispongono di
cospicui mezzi, ottenuti in primo luogo attraverso rette
salatissime. All' Mit o a Harvard - per parlare di due grandi
universita' - la retta annuale si aggira sui 10 milioni di lire; e
sono istituzioni che godono di rilevanti fondi di dotazione e di
contributi forniti, di nuovo, da privati: la burocrazia non c'
entra. L' onorevole De Mita dice di avere un' alta considerazione
per me "come economista". Nonostante la restrizione, mi
dichiaro soddisfatto. Ma allora, come economista, affermo che l'
onere previsto dal progetto di legge presentato da numerosi
democristiani - un onere gia' in se' non trascurabile: 1500 miliardi
- era gravemente sottostimato in tre volte e piu', sia perche' si
prendeva come termine di riferimento una situazione del passato (e
in un periodo d' inflazione ogni valutazione diventa obsoleta in
tempi brevi), sia perche' non considerava l' onere del personale non
docente (in organico o "comandato"), che la scuola privata
potrebbe pagare con fondi pubblici se passasse quel progetto.
Inoltre - ed e' l' aspetto piu' preoccupante - una volta caduta
quella limitazione costituzionale, quell' onere potrebbe crescere ad
una velocita' imprevedibile ma certamente elevata. L' obiezione
fondamentale, tuttavia, non sta nell' onere finanziario. L'
obiezione fondamentale sta nell' articolo 33; e' una norma da
intendere con la strizzatina d' occhio, vorrei poter dire "all'
italiana" della vecchia maniera? Se la risposta sia dei guelfi
sia dei ghibellini e', come spero, negativa, chi non vuole quella
norma ha una sola via: quella della revisione costituzionale. E' una
via faticosa e difficile, non lo nego affatto. Ma e' l' unica via
degna di un paese civile, il quale si e' dato una Costituzione che
contiene quell' articolo. Il pericolo piu' grave e' che, non pochi
uomini politici, democristiani e non democristiani, si convincano,
in buona fede, che sia giusto accettare l' uno o l' altro dei
cavilli sopra menzionati (fra cui spicca, per astuzia, quello che
prevede detrazioni fiscali). Mi auguro che ciò non accada; me lo
auguro non come ghibellino, nuovo o vecchio che sia, ma come
cittadino di un paese che ha tutte le possibilita' di diventare
veramente civile. ------------------
TESTATA: REPUBBLICA DATA: 28/9/1984
NEMMENO UNA LIRA ALLA SCUOLA PRIVATA
AUTORE: di PAOLO SYLOS LABINI
TESTO: "ENTI e privati hanno il diritto di istituire scuole ed
istituti di educazione, senza oneri per lo Stato": e' questa
una norma contenuta nell' articolo 33 della Costituzione. Ora
"senza" vuol dire "senza" e nessun cavillo,
nessun sofisma e nessuna contorsione può trasformare quel
"senza" in "con". Che una tale nozione, ovvia,
debba essere ripetutamente ribadita, come per esempio ha fatto
Giovanni Ferrara su NRepubblica il 17 settembre e come ora sono
costretto a fare io, e' umiliante per tutti, laici e cattolici.
Eppure, nel dibattito aperto dalla proposta di legge n. 1839
presentata da numerosi democristiani e' questo l' unico reale punto
di divisione. L' elenco degli arzigogoli e' ampio. Ne ricordo solo
due: 1) "senza oneri" vale solo per l' istituzione e non
per la gestione; 2) "senza oneri" vale per le scuole
private in generale, ma non per le scuole private
"parificate"; e via così cavillando: la "madre del
diritto" e' sempre prolifica. Si dice: guardate la Francia;N ma
la Francia non ha quella norma nella Costituzione. Se ignoriamo le
contorsioni, i cavilli e gli arzigogoli, quali sono le vie per
finanziare le scuole cattoliche? Le vieN oneste sono tre: 1) far
pagare per intero il servizio a chi lo richiede, cercando
addirittura - ma senza oneri per lo Stato - di far concorrenza alla
scuola pubblica quanto ad efficienza; 2) raccogliere fondi in Italia
e all' estero per finanziare quelle scuole e renderle accessibili a
tutti gratuitamente o a bassi costi; 3) promuovere la revisione
dell' articolo 33. A parte una possibile combinazione delle prime
due formule, non c' e' nessun' altra via onesta. Pare che sia stata
suggerita, da parte laica, la via della detrazione fiscale delle
spese sostenute dalle famiglie per le scuole private. Questa via e'
piu' insidiosa, ma non meno inaccettabile della via del
finanziamento a carico dello Stato: per il bilancio pubblico, come
per qualsiasi bilancio, una maggiore spesa o una minore entrata sono
del tutto equivalenti, con l' aggravante che la minore entrata e'
incerta e indefinibile a priori, mentre la maggiore spesa e'
visibile. Non per nulla il proponente numero uno si e' dichiarato
possibilista sull' idea della detrazione fiscale: "Per noi e'
importante la caduta della pregiudiziale a varare un provvedimento
in questo campo" (NIl mondo, 17 settembre 1984); in altri
termini, e' importante fare una breccia nel muro della norma
costituzionale: aperta la breccia, gli avamposti possono entrare
subito, le truppe potranno entrare in seguito. Bisogna dire che il
calcolo e' fondato. DEV' ESSERE ben chiaro: i clericali e gli
anticlericali, i guelfi e i ghibellini, qui non c' entrano: e' solo
una questione di onesta' civile. Mi risulta che non pochi
democristiani, che finora hanno taciuto, la pensano così. Questi
democristiani arrossirebbero di vergogna se uno dei cavilli dovesse
prevalere. E' stato molto giustamente affermato, da parte
democristiana, che la scuola di Stato e' la scuola di tutti; si e'
menato vanto, sempre da parte democristiana, della laicita' di De
Gasperi. Parole al vento? Dichiarazioni di facciata? Se per ipotesi
i promotori riuscissero a mobilitare in favore della proposta masse
di persone, giocando sulla Francia e facendo leva sui sentimenti
religiosi o sul portafoglio di queste persone (se mandano i loro
figli in scuole private e pagano rette non piccole), o anche facendo
leva sulla scarsa conoscenza delle norme costituzionali, ebbene,
anche se per ipotesi avessero successo in tali mobilitazioni, non
avrebbero motivo di compiacimento: avrebbero dato un notevole
contributo alla maleducazione civica dei loro concittadini. Il costo
principale che quella proposta di legge porta con se' e' dunque un
costo morale e civile. L' approvazione di quella proposta
rappresenterebbe il coronamento di un cinico calcolo di opportunita'
politica, giacche' la complicita' di una parte dei partiti laici
sarebbe indispensabile; e la scuola, l' istituzione educativa
fondamentale, si troverebbe ad avere un pilastro poggiante su
qualche cavillo di cui dovremmo tutti vergognarci. Ma anche il costo
finanziario sarebbe molto oneroso. Uno dei proponenti ha valutato in
1500 miliardi l' onere annuale. La cifra, gia' in se' cospicua, e'
nettamente inferiore alla realta'. Nel 1984 la spesa complessiva per
gl' insegnanti si aggira sui 22 mila miliardi, cui bisogna
aggiungere, in via congetturale, altri 10.000 miliardi per il
personale non docente: 32 mila miliardi in tutto. Considerando che,
oggi, gli studenti della scuola privata - cattolica e laica -
rappresentano il 15% della popolazione scolastica, l' onere, in
proporzione, sarebbe di 4800 miliardi. Se - aggiugendo un'
ingiustizia alla violazione costituzionale - si concedesse il
finanziamento alle sole scuole cattoliche, la cui popolazione
studentesca rappresenta l' 8% del totale, l' onere sarebbe di circa
2500 miliardi. In prospettiva, però, il costo sarebbe nettamente
maggiore, non solo per la lievitazione delle retribuzioni, ma anche
perche', introducendo una concessione come quella ipotizzata, può
determinarsi una forte spinta all' espansione della scuola privata,
che non ha i vincoli della scuola pubblica: la competitivita' della
scuola privata aumenterebbe, a spese dello Stato, e il degrado della
scuola pubblica verrebbe accelerato, mentre occorrerebbe una
vigorosa azione esattamente nella direzione opposta. In un tale
processo tenderebbe a divenire sempre piu' grave il disavanzo
pubblico, che a parole tutti dicono di voler contrastare. L' attuale
quadro della scuola e della ricerca in Italia, nonostante la
retorica convenzionale, e' desolante. Si varano 6000 posti per
professori universitari, quando i corsi conN zero studenti sono gia'
numerosi, mentre si programmano N zero posti per le nuove leve della
ricerca scientifica, ossia per le borse relative ai dottorati. Si
tagliano i fondi per la ricerca scientifica, ma la somma algebrica
delle spese complessive per l' istruzione cresce in misura cospicua,
per via delle retribuzioni e, ancora di piu', dei retribuiti, in un
periodo, come ha giustamente osservato il ministro Altissimo, in cui
la popolazione scolastica tende a flettere. Non contenti di ciò, si
vuole addossare al pubblico erario un nuovo onere, gravoso oggi,
certamente gravosissimo domani, facendo leva su qualche miserabile
cavillo. Dobbiamo concludere che molti dei responsabili della
pubblica istruzione rappresentano una variabile impazzita della
classe politica italiana? ------------------
........... http://www.emsf.rai.it/tv_tematica/trasmissioni.asp?d=305 Immagini del pensiero (3/10/1998) Paolo Sylos Labini Lo sviluppo economico moderno Documenti correlati http://portal.lobbyliberal.it/article/articleprint/152/ GIROTONDISTI: ENZO MARZO, PAOLO SYLOS LABINI ED ELIO VELTRI APRONO LA CRISI |
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