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(Avvenire, 28-9-01) Dichiarazione di teologi moralisti sulla guerra L a prospettiva adeguata per capire la violenza terroristica - nelle vecchie e nuove forme - è mettersi dalla parte delle vittime. Da loro si attinge forza d'animo per non arrendersi alla violenza distruttrice della convivenza umana e, insieme, intravedere i compiti posti alle persone e alle comunità civile ed ecclesiale.Cosa fare? Si deve fare memoria delle vittime, rendere loro giustizia anche per riparare, per quanto possibile, il debito che la società ha verso di loro per non avere saputo o potuto difenderle. Fare memoria impegna a rendere loro giustizia. Come fare giustizia? All'esecrazione della tragedia e alla domanda di giustizia, subito si è fatto appello allo strumento-guerra, sia pure denominata con aggettivi diversi (non classica, asimmetrica, ecc.). Come risposta agli attacchi terroristici realizzati e prevedibili, si è dato il via - dagli Usa con l'adesione della Nato - a interventi armati senza limite di spazio, di durata, di ricorso a nuovi strumenti difensivi. Si possono tralasciare, al momento, le varie questioni sul ruolo dell'Onu e sulla funzione dei parlamenti nazionali, una domanda radicale s'impone: è eticamente sostenibile e pacifico il collegamento giustizia - guerra? Nella cultura tradizionale, laica e religiosa, lo si dava per scontato, oggi è messo fortemente in questione. «Tra i segni di speranza va pure annoverata la crescita, in molti strati dell'opinione pubblica, di una nuova sensibilità sempre più contraria alla guerra, come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli e sempre più orientata alla ricerca di strumenti efficaci ma non violenti per bloccare l'aggressore armato» (Evangelium vitae, n. 27). 1. Nella Chiesa cattolica, il momento storico di una profonda revisione del tradizionale rapporto giustizia - guerra è stato il concilio Vaticano II. La nuova posizione - in estrema sintesi - è così delineata: si abbandona la teoria della cosiddetta guerra giusta (la guerra è sempre un male); esaurito ogni altro strumento, si tollera (resta un male) il ricorso alla forza solo nel caso della legittima difesa (autodifesa), mai comunque da attuare con le armi atomiche, batteriologiche e chimiche (la condanna di queste è totale) o anche con le armi convenzionali che provocano distruzioni indiscriminate. L'esperienza drammatica dimostra abbondantemente che le guerre moderne non soddisfano tali condizioni, sono sproporzionate a qualsiasi causa giusta. L'uso della difesa si traduce facilmente (o fatalmente) in abuso. In breve, il collegamento giustizia - guerra oggi non regge più, se pure reggeva ieri. Certo, non basta dire no alla guerra. È necessario rendere praticabili vie alternative. In questa prospettiva, si comprende l'insistenza del pensiero cattolico che, da Pio XII a Giovanni Paolo II, indica la necessità di istituire un'autorità internazionale competente e, quindi, l'urgenza di mettere l'Onu in grado di operare per il riconoscimento, la difesa, e la riparazione dei diritti tra i popoli. 2. Morale e politica, di certo, non s'identificano, ma la tensione dialettica tra l'una e l'altra va mantenuta ed accentuata, per non rischiare, in teoria e nella prassi, la nefasta separazione tra idealità obbligatoria, da un lato, e realtà dall'altro. Una morale legittimista e benedicente la realpolitik, e le sue scelte di guerra, snatura se stessa, diventa inutile e perde ogni indicazione del dover essere. Dove mai la realpolitik troverà l'istanza etica a cercare vie alternative a quelle delle armi, se la stessa morale fa a gara per legittimare la forza delle armi? La Chiesa cattolica ha compreso oggi, più di ieri - con l'esplicita volontà di iniziare una nuova tradizione nella linea conciliare - che il Vangelo (e la morale che coerentemente ne deriva) non sono spendibili per legittimare la guerra di qualsiasi tipo essa sia. La politica militare - come in passato - farà di tutto per avere la legittimazione dalla religione. Tale attesa deve andare disillusa e sarà salutare anche per la politica. La Chiesa si sente impegnata, in nome del Vangelo, ad educare la coscienza collettiva a risolvere i conflitti in modo umano e civile con il negoziato, con la diplomazia, con la politica del giusto compromesso, che segna il punto massimo d'intesa tra i contendenti. 3. Nell'orizzonte globale dell'umanità, non basta perfezionare la difesa militare, è necessario promuovere la giustizia sociale. Il rafforzamento, esteso anche alle armi nucleari e allo scudo spaziale, previsto nel Nuovo concetto strategico dell'alleanza, approvato dal vertice di Washington (23/24 aprile 1990); il ricorso a qualsiasi tipo di armi, non escluse quelle nucleari, riaffermato in questi giorni, appaiono in netto contrasto con le prospettive del concilio Vaticano II e di numerose conferenze episcopali, con le esperienze non violente di persone e movimenti che, senza ricorrere ad armi devastanti, sono riuscite a liberarsi dall'oppressione con la volontà sincera di pace e di dialogo maturate nel vivo dei conflitti. 4. L'antico assioma «Se vuoi la pace prepara la guerra» attende dai singoli, dalle famiglie, dai popoli e dai loro governanti di essere cambiato in «Se vuoi la pace prepara la pace». È questa la sfida globale alla quale siamo chiamati a rispondere. Volere la pace globale significa oggi operare per la giustizia globale. Non basta limitarsi a dire che la globalizzazione economica e finanziaria offre possibilità per tutti, bisogna governarla in modo che lo sia di fatto. D'altra parte, si è consapevoli che il male, purtroppo, non è del tutto estirpabile da questo mondo, ci saranno sempre gli operatori d'iniquità e i violenti omicidi, ma saranno isolati e la comunità civile li saprà isolare. I terroristi di ogni tempo e luogo non rappresentano i popoli poveri, approfittano e strumentalizzano la disperazione della gente per acquisire potere e dominio.
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