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Un modo diverso di esistere Ricordo di Danilo Dolci
a cura di Giacinto Spagnoletti Non erano ancora in corso, la mattina del 18 dicembre 1975, i lunghi scioperi dell'Anpac, il personale viaggiante e non viaggiante dei nostri aeroporti era tranquillo, perciò il mio volo Roma-Palermo si svolse senza alcun disagio. Il tempo non prometteva niente di buono, ma si diceva che in Sicilia avremmo avuto sole a volontà, come sempre quando si parla della Sicilia. Ero partito, dopo aver preso accordi telefonici con Dolci, deciso a trascorrere almeno due settimane solo con lui e con i pochi collaboratori che non avrebbero lasciato il Centro Studi e Iniziative di Partinico, durante le vacanze natalizie. Non avevo ancora l'idea precisa di comporre un libro, bensì di registrare alcune conversazioni, che potevano servirni più tardi come documenti di una conoscen za extraletteraria. Vorrei spiegare meglio questo proposito. Quando si pensa in genere a un critico, a un critico letterario in ispecie, si crede che bastino i testi, i libri via via stampati da un autore, perché egli si formi un'opinione certa sul suo lavoro. Trattandosi di nostri contemporanei, sono stato qualche volta di questo avviso, anche perché i tempi vogliono così. Altre volte ho nutrito seri dubbi su un modo di conoscenza o di studio che parrebbe totalizzante ed esclusivo, ma che si rivela, alla stregua di esperienze fatte da alcuni, preclusivo e parziale. Perché, nel caso di Dolci, ero spinto a interessarmi di lui, quando mi sarebbero bastati i testi di Poema umano, che mi erano piaciuti in gran parte, i molti libri apparsi nei due de- cenni trascorsi, eloquenti documenti delle sue battaglie sociali e dei suoi nuovi esperimenti pedagogici? Pendeva negativamente sul piatto della bilancia il giudizio comune che Dol ci non rappresenti quel che si dice un' 'autorità" letteraria, mentre tutta la forza del suo passato, il significato dei suoi gesti rivoluzionari (quel tipo di rivoluzione che consiste nell'affer- mare sino all'estremo sacrificio la necessità della non violenza) appartengono, almeno per molti dei miei connazionali smemorati, a superati problemi di intervento sociale, confusi a ricordi degli anni Cinquanta e Sessanta. A torto o a ragione, qualunque mito sbiadisce nel giro di pochi anni, l'attualità incalza, nuovi personaggi vengono alla ribalta; e se si tentasse di scrivere una biografia di Pier Paolo Pasolini fra cinque o dieci anni, sarebbe assai diversa dai tanti reportages apparsi nelle settimane successive alla tragica notte dei suo assassinio. Il tempo colora i fatti, li deforma, li condensa, sino a che li allontana irreparabilmente. Delle testimonianze vive non restano che frammenti troppo intrisi d'emozione. E in quanto a "liberarsi" del recente passato, in genere ci si libera volentieri. Dolci - mi obbiettava qualcuno - "ha fatto notizia" sino a quando ha digiunato ed è andato in galera. E' stato il portinsegna, anzi il simbolo della lotta contro la mafia, negli anni più scandalosi del regime democristiano; oggi che la mafia ha scelto altre vie, celandosi dietro la rete dell'affarismo e del terrorismo internazionale, all'apostolo della non violenza non resta che curare l'educazione di alcuni bambini malnutriti o addirittura selvaggi in un angolo sperduto della Sicilia occidentale; né più né meno di quel che farebbe, se ne avesse i mezzi, un ottimo parroco di campagna. "Scegli tu" concludeva "se considerarlo un notabile della sociologia conternporanea, richiesto da certi congressi di cui la gente saprà poco o nulla, oppure una tenace, poetica sopravvivenza di un'Italia che non esiste più". A questi consigli e insinuazioni avrei prestato orecchio, se l'attualità fosse la mia dea e io la rincorressi come un "inviato speciale". Viceversa continuo a rimanere tenacemente af- fascinato o da personaggi molto lontani nel tempo o dal segreto di alcune figure che, per appartenere a un'epoca abbastanza vicina, a dispetto di tutti, corrono la loro corsa in di- rezione opposta a quella degli uomini à la page: testimoni viventi di un passato prossimo che dev'esserci ancora spiegato, abbastanza rivelatori di un futuro contenuto nel loro messaggio, anche se dentro i confìni dell'utopia. Il caso Dolci si prefigurava pressappoco in questi termini. Ad ogni modo mi appariva una scatola chiusa che desideravo aprire per conoscerne il contenuto. Giacinto Spagnoletti
"A volte poesía era per me il prestarmi alla vita, alla gente analfabeta che non sapeva esprimersi: diventavo la sua penna o la sua voce"
Conversazioni con Danilo Dolci sulla POESIA
"Il nuovo futuro, l'orizzonte utopico deve essere plasmato da ciascuno perchè la vita umana acquisti un senso ... Vince il sogno se riesce a liberare la sua materia" Se non sbaglio, per te, il problema di fare poesia, e in genere il problema dell'arte, non si configura più come azione isolata, come insieme di elementi espressivi da proporre all'attenzione delle élites, bensì quale scrittura dimostrativa da dedicare al dibattito di gruppo. Nella "premessa" a Il dio delle zecche, parli esplicitamente di un "bisogno insopprimibile....generato tra gli incontri e gli scontri del lavoro...ciclostilato per gli amici-compagni interessati. ..". Quando la scrittura poetica prende forma, essa diventa occasione di nuova attenzione e invenzione, giacchè, come tu scrivi, "la poesia suscita sensibilità poetica, e nuova poesia, attorno a sè": pure in ambienti semplici come sono i contadini, i braccianti, oppure i bambini. Questo mi pare un argomento non trascurabile da chiarire, datte le implicazioni che comporta sul piano didattico-civile.L'espressione può essere occasione di ricerca e di scoperta, come il disegno lo fu per Leonardo. La parola può diventare strumento di ricerca, soprattutto se opera "in funzione" della poesia. La poesia è anche intuizione, radar, possibilità di vedere ogni volta in un volto, in un determinato volto, oltre quel volto: cogliendo in esso la parabola che rivela oltre di sé. Scavando e sperimentando in questa direzione, si trova che la poesia è in grado di suggerire, anzi ha il potere di provocare un modo diverso di esistere, e chi fa quest'esperien- za sino in fondo comincia a riconoscere le infinite radici che lo collegano, che dovrebbero collegarlo a tutto. Se dico che dai nostri sensi possono scaturire come delle radici che succhiano dal resto del mondo, qualcuno mi prende per pazzo. Ma come non accorgersi - e pochi se ne accorgono - che questa è la realtà? Non si tratta solo di radici, ma di cordoni ombelicali. Ogni persona è in grado di avere innumerevoli, pur se invisibili, radici che la mettono in comunicazione con il resto del mondo in ogni direzione. Gli occhi, le orecchie, la nostra pelle costituiscono la base di partenza per questa operazione. Se di notte guardiamo una luce lontana, abbiamo l'impressione di ricevere come un ago di luce: mentre la sorgente luminosa irradia fasci di raggi dappertutto. Ogni corpo, ogni persona è, o meglio può essere, centro di radiazione in ogni direzione. Purtroppo l'uorno di Milano o quello di New York - parlo in generale, s'intende - si riduce ad essere bloccato nella sua pelle, finisce dove finisce la sua pelle; gli manca una possibilità di alimentazione profonda e complessa. Lo sviluppo non tanto di una facoltà poetica, ma di una certa personalità poetica, mette in condiozione l'artista (ma occorre divenga un un'esigenza per tutti) di esaminare la realtà, anche la realtà storica, contingente, denunciandone i limiti (e questa può essere l'importanza, poniamo, di "Guernica"). D'altro canto esiste la possibilità di una produzione, come dire, profetica, di una visione alternativa avanzata. Questa è l'altra grande funzione dell'arte. Bach ha cercato di produrre in musica dei modelli ideali; in un certo senso, egli ha cercato di creare un modello di vita, un modello di Dio, l'ha inventato. Il fatto artistico in quanto tale comprende sempre qualcosa di misterioso; è una vertigine in cui non si capisce cosa succede e perché succede. Ma credo si possa anche parlare di un'autentica funzionalità poetica. Per quanto riguarda la mia piccola vita (piccola perché mi rendo conto che, se la terra è un punto nello spazio, io in essa rappresento un minimo punto), ogni decisione è nata nell'arnbito della visione, e la visione si precisava e si ampliava via via nell'esperienza, sempre più in là, sempre più a fondo. Da ragazzo, nella pianura presso la la Scrivia, cercavo di scoprire, guardandomi in giro lentamente cominciavo a scoprire; e se non avessi scoperto, se non avessi appuntato, non sarei andato a Nomadelfia, non sarei poi venuto in Sicilia; e d'altra parte la mia presenza in Sici lia ha determinato un'esigenza di chiarezza che poi ha cercato di realizzarsi. Se non fossi partito col cercare anche poeticamente, l'intero corso della mia vita sarebbe stato diverso. A volte, in certi periodi, poesia era per me il prestarmi alla vita, alla gente analfabeta che non sapeva esprimersi: e diventavo la sua penna o la sua voce. In altri lunghi periodi, invece, come per lo scultore potrebbe essere la creta o per il pittore il colore, era proprio la vita stessa, i bambini, le persone che diventavano materia della poesia; erano loro i paesaggi, il fìume in cui vivevo, riuscendo a sentire viva questa materia: mentre il colore non so fino a che punto partecipi nella creazione del pittore. Sentivo necessario che l'opera d'arte si sviluppasse non solo dalla pianura, dalla montagna, dalle piante, ma dalle voci, dall'azione, dalla vita delle persone: "poesia" vuol dire creare.
Quello della poesia attraverso la parola scritta, secondo te, diventa, può essere un caso particolare ..
Molti ritengono che Gesù avesse tutto chiaro, fosse una macchina vivente, e parlando con la gente si spiegasse, volgarizzando il pro prio pensiero, attraverso le parabole. Non penso sia stato così. Secondo me, lui sapeva leggere nel le colline intorno, sapeva leggere nei fiumi, nei campi, nella vita delle creature: cercava di imparare, di intuire. E ciò che comprendeva, conquistando una verità attraverso l'intuizione, lo partecipava agli altri, così fresco come lo conquistava. Le sue parabole nascevano così. In questo senso era poeta. In alcuni momenti l'espressione poteva essere enormemente poetica, e allora fruita a tutti i livelli. Ciascuno era in grado di capire, dal bambino all'adulto. Ma tutto questo era il frutto di una scoperta faticosa. A volte, poteva riuscirgli meno. Ma l'arte non è tutto nella sfera della conoscenza ... Non trovo disperante il fatto che gli uomini non sappiano tutto, secondo me è pericoloso, invece, che non impegnino la vita nel cercare, e, appena è possibile, sapere qualcosa di più. Troppe volte si è distratti, troppe volte chiusi, troppe volte ciechi, troppe volte le luci elettriche servono a non vedere le altre luci. E' necessario che l'uomo tomi a cercare un senso profondo, ponendosi dei grandi interrogativi. Un profondo, indispensabile contributo da dare è proprio qui, da parte di poeti, artisti, filosofi. Per rimanere nell'ambito dei grandi interrogativi, cosa osserviamo di solito? Nel mondo religioso molto spesso s'è creata una situazione estremamente confusa: da un lato i grandi interrogativi rischiano di diventare un ciarpame soffocato dalla superstizione; dall'altro esistono milioni di esseri umani che guardano a questi interrogativi quasi con sospetto, quasi con un senso di superiorità, e la vita si riduce, a chi osserva dal di fuori, allo sforzo di organizzarsi meglio per vivere in modo più sicuro, anzi garantito. Ci sono certi atteggiamenti socialisti che sono in un certo senso un dileggio dei grandi interrogativi. Ora, io penso, si dovrebbero riprendere in esame i grandi problemi, per rendersi conto come il tentativo umano di spiegarsi ogni cosa con un Dio perfetto e onnipotente sia del tutto insostenibile. Per rendersi conto che è decisivo sapere maturare l'utopia dell'omega. Solo costa i limiti, i limiti di sempre, possono venir superati attraverso tentativi continui: nell'intuizione dell'omega. Il nuovo futuro, l'orizzonte utopico deve essere plasmato da ciascuno, perché la vita umana acquisti un senso, tenendo conto della storia, delle necessità, ed elaborando nuove scelte: irnparando a immaginare e a realizzare nuovi sogni. Torno a ribattere il mio chiodo: vince il sogno se riesce a liberare la sua materia. L'autoanalisi personale, l'autoanalisi di gruppo, l'autoanalisi popolare sono indispensabili stru- menti-metodi per pervenire alla coscienza dei problemi, all'individuazione degli obiettivi: e per maturare i presupposti al cambiamento, cioè le forze necessarie al cambiamento stesso. Procedere solo se spinti è sbagliato, insufficiente. O solo attirati. li desiderio, essenziale a ogni sviluppo, è combinazione di bisogno (la spinta della necessità) e di speranza. Si è maturati da; ci si matura verso. Devo dire che ogni volta bisognerebbe, a proposito di sviluppo, vedere cosa c'è di autentico da sviluppare e, se mai, quali sono le situazioni autentiche che devono essere innestate. Poi, quando si parla di progresso, conta sempre molto porsi questa domanda (i bambini nei nostri seminari se la sono posta): quando è vero un progresso e quando diventa autodistruzione? A questo proposito pochi sanno quanto sia scarsa la letteratura esistente sull'argomento. Quando i ragazzi mi avevano proposto questo seminario, sono andato a controllare in alcune enciclopedie: riscontrando quanto poco gli uomini abbiano pensato in questa direzione. Danilo Dolci Da: Giacìnto Spagnolettì, Conversazioni con Danilo Dolcí, Mondadori 1977Per quale fascino
Altri voli si scontrano al lurne continua uguale attorno
ti ripenso sorriderrni Puoi rinchiuderti o aprirti -
spogliatore a verdi foreste rapace sterminatore lui, chi non macella a furia lo spinola lui, belva sorridente esperto a incenerire
Nel trasparire liquido tra fiotti si incurva l'acqua a sostenere lievi quando le rive fitte di falaschi nel respirare dei fiorito timo
libertà inesplorate -
la zecca non si sposa ai peli del cane
Con la bocca piena di capitali Vivere costa: Economia è imparare Da Creatura di creature. Poesie 1949-1978, Feltrinelli 1979 Tratto dalle pagine di POESIA , Per gentile concessione di: Crocetti Editore S.r.L. / http://www.poesia.it/
da
Poesia diversa
[…] Al Centro educativo sperimentale in Mirto ogni giorno bambini e adulti cercavano di scoprire anche insieme, imparare a decidere anche insieme. L’educatore, dopo aver chiesto a ogni bambino - ognuno "faccia a faccia", a giro - i suoi più fondi desideri per il gioco – lavoro, espone anche la propria ipotesi: e insieme, armonizzando i singoli appetiti, provano formulare il piano di quel giorno (o della settimana, o più ampio, secondo l’età). Oltre il compromesso, per piccoli e adulti maturare un piano è anche intonarsi per comunicare. Un bambino, all’avvio dello scorso anno, non solo rifiutava partecipare ma, ansiosamente sovraccarico di familiari zuffe, disturbava o distruggeva i congegni degli altri. Una limpida mattina di ottobre alcuni propongono, nella riunione iniziale, di uscire: inerpicarsi sugli alberi della montagna a raccogliere le olive più mature per schiacciarle e insaporirle poi – sciogliendo l’amarognolo nell’acqua salata, rinnovata alcuni giorni – con origano e aglio. La proposta piace a ognuno, anche al piccolo scontento. Rosalba, educatrice attenta, lo osserva. É il più abile: appena riempie le tasche, allinea le olive sulla crepa di un pietrone quasi orizzontale e poi – ciac ciac ma non troppo – pressa con un ciottolo, in serie. Uno lo sbircia, e poi lo guarda, altri ancora; il piccolo, sentendosi attorno sguardi interessati, ammirati, inizia a consigliare uno, aiutare un altro e un altro. Lentamente nei giorni successivi – pur tra frequenti difficoltà e contraddizioni – il gruppo potrà arricchirsi di un nuovo contributo. Un giorno arrivo in una scuola media ad Agropoli per incontrarvi professori e ragazzi. Alcuni di questi prendendomi per mano - "vieni a vedere" - mi conducono su un terrazzino ove mostrano una vera stazione meteorologica ( "…questo l’ho fatto io…" "…vieni a vedere qui…" ): anemometro, barometro, goniometro del vento, contenitore per la misura delle precipitazioni… Solo il termometro era stato acquistato. Animati squadernano le verbalizzazioni dei fenomeni, i loro calcoli, i diagrammi, le medie mensili e stagionali ( "…abbiamo fatto tutto noi …" "…con le nostre mani…" ). Poco più in là, una serra inventata in un angolo ("…avevamo bisogno di piante vive per le nostre osservazioni…", "per calcolare il volume dell’anidride carbonica sviluppata dalle piantine…"): melissa, ruta, tasso barbasco, piantaggine, erica, decine di cespugli raccolti dai fossi per studiarne soprattutto (ma non solo) gli aspetti fisico - matematici. Un cartello indica TRA LA MORTE DA FREDDO DI 0° E LA MORTE DA TROPPO CALDO. E ancora – incredibile che una piccola terrazza possa contenere tanto, entusiasmo compreso -, una vaschetta: "…qui nell’ecosistema dello stagno studiamo i girini…", "…l’idromedra, il ditisco argentato…". Più tardi incontro il loro grande amico, Domenico, professore di matematica, sorridentemente silenzioso. Mormora: "…dicono che i giovani non vogliono studiare…". Mi racconta poi. <<Ieri per due ore siamo andati all’ansa del Testene, dove sovente conduciamo esplorazioni ambientali. Poiché eravamo una trentina, un poco preoccupato guardavo non succedesse qualche guaio. Ad un certo momento, chissà da dove sbucato, arriva un bambino di quattro o cinque anni portandomi un sassolino: "É buono, questo?". "Ma tu chi sei?" gli domando. Non sapeva dirmi da dove veniva, nessuno lo conosceva. Osservando arrivare qualcuno con larve di rospo, di rana, scappa via. Torna dopo qualche minuto, di corsa ("tienilo tu questo, devo andare a trovare altro"), lasciandomi un girino nelle mani>> . Sasà, interpreta il legno: legge nelle forme, legge nel rapporto tra colore vene nodi di natura. E dal tornio ogni trottola gli nasce diverso, modulato miracolo. Passa a trovarmi, una mattina. A Palermo dovrà sbrigare alcune pratiche e comprare un macinino da caffè. "Se faccio in tempo, vengo a salutarti". Rivedendolo, domando: "Il macinino l’hai trovato?" "Si, in un market. Ma era tanto brutto che ho dovuto lasciarlo lì". Nell’Agosto del Borgo i giovinetti propongono di avere un Seminario nel mare più vicino. Mi assicuro vadano sicuri. Più tardi ritornando dalla spiaggia qualcuno mi racconta sorridendo. Ripartiti in due gruppi, i giovinetti stavano immersi – metà – e gli altri sulla spiaggia. Chi s’immergeva a studiare nell’acqua, poi sortiva a dettare le scoperte. Una biondina dopo un po’ emerge: "I pesci simili restano insieme. I diversi di solito si isolano. Chissà se i pesci piangono". Saro accompagna ogni giorno i bambini dalle loro case al Centro educativo, oltre il ruscello tra gli iris e i cardi della montagna – e li riporta.
Autista e interessato educatore. Un giorno, guidando,
può ascoltare questo dialogo.
Una bambina di sei anni, pensando forse come le decisioni vengono assunte in Mirto, domanda a due sue compagne: "Mirto, è nostro?". Dopo qualche attimo arrivano le risposte: "Certo", "naturalmente". Lungo silenzio. E poi la prima voce: "Allora perché la scuola di mia sorella è della direttrice?". Incontro zu’ Ambrogio, pare stanco. "Come stai?" gli domando. "…Bene". Ragazzo, andava a pescare salmone in Alasca su navi a vela, da San Pedro di California. "E tua moglie?" (anziana, so come talora stenta). "Mia moglie è una regina". E vedendo i miei occhi non certo dubbiosi ma attenti, racconta. "Tre sere fa sono uscito a pescare. Tutta la notte. Molto pesce c’era.Tutto il giorno ho continuato. Arrivata la sera ho portato al porticciolo il carico e sono subito tornato al mare, per non perdere l’occasione: ancora la notte, e tutto il giorno dopo. Aprendo la porta di casa, ormai erano le due dopo mezzanotte, vedo mia moglie seduta vicino al camino. Piange. - Perché piangi? - le dico. - E due giorni che lavori senza mangiare - . Ho capito che non mangiava da due giorni, per aspettarmi. Lei è una regina, e io l’ho trattata da regina. Senza dire niente sono uscito, sceso allo scalo ho preso i due pesci più belli tra quanti avevo trovato nella rete e, tornato, li ho preparati e arrostiti sulla griglia. Abbiamo fatto una bella festa". Ancora rimugino: se questa non è poesia… Uscendo dal Centro Studi e iniziative, che abbiamo costituito a Partinico, mentre salgo in macchina osservo un anziano contadino, basso di statura, tentare con le dita l’alberello di gelsomino presso la soglia della sua casa: alcuni fiori cadono, interi. "Che fai?". E, quasi a giustificarmi, aggiungo: "Forse fai il tè, col gelsomino?". Voltandosi sorride: "Scelgo i fiori da mettere intorno alle fotografie di mia madre e mio padre". E vedendomi confusamente incantato (medito "io che passo per poeta penso al tè di gelsomino – quale relazione hai tu, reputato incolto, con la fonte della tua vita"), mi dona le perfette corolle dalle mani colme: "Tieni, ti profumano tutta la macchina". L’indomani, appena finisco il lavoro mattutino sento il bisogno ammirato di incontrarlo, di dirgli: "Ieri ho imparato molto da te…" ma interrompe appena comincio, non accettandosi un attimo ad un livello diverso dal mio: "Che dicevi ieri? Anche il gelato si può fare, ma anche il tè, col gelsomino?".
da
A cura di
Nadia Scardeoni
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