Circolare INPS 17 gennaio 2003, n. 8
Oggetto: Prestazioni economiche di maternità di cui al
D.L.vo. n. 151 del 26/3/2001 (T.U. sulla maternità). Chiarimenti
Con la circolare n. 109 del 6/6/2000 sono state
date disposizioni attuative della legge n. 53 del 8 marzo 2000 in
materia di maternità, con particolare riguardo all'astensione
facoltativa, ai riposi orari, e all'astensione obbligatoria
(flessibilità, parto prematuro, astensione del padre con indennità
all'80%). Com'è noto, successivamente alla legge n. 53/2000, al fine di
conferire omogeneità e sistematicità alle norme in materia di sostegno
della maternità e della paternità, come previsto dall'art. 15 della
stessa legge, è stato emanato il D.L.vo 26/3/2001, n. 151 ("Testo Unico
delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità"...), entrato in vigore il 27/4/2001.
Con la presente si forniscono ulteriori precisazioni
sull'argomento (per quanto riguarda le lavoratrici autonome si rinvia
alla circolare n. 136 del 26/7/2002).
1) "Genitore solo"
Ai sensi dell'art. 32, comma 1, lettere a) e b) del
T.U., la madre lavoratrice ed il padre lavoratore hanno diritto al
godimento di un periodo individuale massimo di congedo parentale
(astensione facoltativa) pari, rispettivamente, a 6 mesi e a 7 mesi. Ai
sensi della lett. c) del medesimo comma "qualora vi sia un solo
genitore" il periodo è elevato fino a un massimo di 10 mesi.
La situazione di "genitore solo" è riscontrabile,
oltre che nei casi di morte dell'altro genitore o di abbandono del
figlio o di affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore (casi
già indicati nella circolare n. 109 citata),
anche nel caso di non riconoscimento del figlio da
parte di un genitore.
Nell'ipotesi di non riconoscimento del figlio da
parte del padre, la madre richiedente il maggior periodo di congedo
parentale, dovrà rilasciarne apposita dichiarazione di responsabilità; e
ciò, anche qualora dalla certificazione anagrafica risulti che il
cognome del bambino è quello della madre. Un'analoga dichiarazione dovrà
essere fornita dal padre richiedente in caso di non riconoscimento del
figlio da parte della madre.
La situazione di "ragazza madre" o di "genitore
single" non
realizza di per sé
la condizione di "genitore solo": deve infatti
risultare anche il non riconoscimento dell'altro genitore. Analogamente
dicasi per la situazione di genitore separato: nella sentenza di
separazione deve risultare che il figlio è affidato ad uno solo dei
genitori.
Si sottolinea, peraltro, che gli ulteriori mesi
riconoscibili al "genitore solo" sono indennizzabili subordinatamente
alle condizioni del proprio reddito, anche qualora siano fruiti entro
tre anni di età del figlio.
La situazione di "genitore solo" viene meno con il
riconoscimento del figlio da parte dell'altro genitore, circostanza che,
si rammenta, deve essere portata a conoscenza sia dell'Inps che del
datore di lavoro. E' ovvio che il riconoscimento interrompe la fruizione
del maggior periodo di congedo parentale concesso al genitore
inizialmente considerato "solo" ed è ovvio, altresì, che il maggior
periodo di congedo, già fruito in tale qualità, determina la riduzione
del periodo di congedo spettante all'altro. In proposito si rammenta che
il periodo di congedo fruibile tra i due genitori è, in via ordinaria,
di 10 mesi e che l'elevazione a 7 mesi a favore del padre (con
conseguente totale, tra i due, di un massimo di 11 mesi) è prevista solo
nel caso in cui il padre abbia già fruito di un periodo di congedo non
inferiore a 3 mesi: tanto comporta, ad esempio, che se la madre abbia
goduto, come "genitore solo" (quale era da considerare fino al
riconoscimento del figlio da parte del padre) di un periodo di 8 mesi,
il padre non potrà mai arrivare ad un periodo di tre mesi di congedo
(1).
2) Riposi giornalieri (c.d. per allattamento)
A chiarimento di quanto disposto nella circolare n.
109/2000, si conferma che la madre ha diritto ai riposi giornalieri di
cui all'art. 10 della legge n. 1204/1971 (ora art. 39 del T.U.) durante
il congedo parentale del padre.
Non è, invece, possibile che il padre utilizzi i
riposi di cui all'art. 13 della legge n. 53/2000 (ora art. 40 del T.U.)
durante il congedo di maternità e/o parentale della madre, come pure nei
casi in cui la madre non si avvale dei riposi in quanto assente dal
lavoro per cause che determinano una sospensione del rapporto di lavoro
(es.: aspettative o permessi non retribuiti, pause lavorative previste
nei contratti a part-time verticale di tipo settimanale, mensile,
annuale).
Si ricorda che in caso di parto plurimo, invece,
le ore aggiuntive
di cui all'art. 41 del T.U. possono essere utilizzate dal padre anche
durante il congedo di maternità parentale della madre lavoratrice
dipendente.
Se la madre è
lavoratrice autonoma (artigiana,
commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola,
parasubordinata, libera professionista), il padre può fruire dei riposi
dal giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento
economico spettante alla madre dopo il parto e sempre che la madre
(qualora si tratti di commerciante, artigiana, coltivatrice diretta o
colona, imprenditrice agricola) non abbia chiesto di fruire
ininterrottamente, dopo il suddetto periodo, del congedo parentale,
durante il quale, come sopra detto, è precluso al padre il godimento dei
riposi giornalieri.
Se la madre
non è
lavoratrice, il padre lavoratore non ha
diritto ai riposi giornalieri per allattamento. Non ha diritto, come
pure se la madre è una lavoratrice autonoma, neanche alle ore che il
citato art. 41 riconosce al padre, in caso di parto plurimo, come
"aggiuntive" rispetto alle ore previste dall'art. 39 (vale a dire quelle
fruibili dalla madre), per l'evidente impossibilità di "aggiungere" ore
quando la madre non ha diritto ai riposi giornalieri.
Il diritto del padre ai riposi in questione, infatti,
continua ad essere "derivato" da quello della madre, a differenza del
diritto del padre al congedo parentale che, in virtù delle più recenti
disposizioni di legge, ha acquistato una propria autonomia e
indipendenza rispetto alla sussistenza o meno del diritto della madre.
Un diritto "autonomo" del padre ai riposi giornalieri
è previsto solo nelle ipotesi di cui alle lettere a), c), d) dell'art.
40 del T.U.
3) Affidamento e inserimento dei minori
La distinzione tra "affidamento" e "inserimento" dei
minori, rilevabile dall'art. 2, comma 2, della legge 149 del 28/3/2001,
è da tenere presente non solo ai fini delle provvidenze previste in
favore dei genitori di disabili gravi (v. circolare n. 138 del
10/7/2001, par. 1, 11° e 12° cpv.), ma anche ai fini delle prestazioni
economiche di maternità e di paternità.
Pertanto, l'inserimento del minore in "comunità di
tipo familiare" non è equiparabile all'affidamento.
4) Flessibilità del congedo di maternità
La circolare n. 109/2000, contenente le prime
istruzioni applicative in materia di flessibilità del congedo di
maternità (già art. 12 della legge n. 53/2000, ora art. 20 del D.L.vo n.
151/2001), è stata integrata dalle disposizioni della circolare n. 152
del 4/9/2000, sulla quale si forniscono alcuni chiarimenti.
La domanda di flessibilità, tendente ad ottenere
l'autorizzazione a continuare l'attività lavorativa durante l'ottavo
mese di gravidanza (in tutto o in parte), ferma restando la durata
complessiva del congedo di maternità, è accoglibile anche qualora sia
presentata oltre il 7° mese di gravidanza (peraltro, sempre entro il
limite della prescrizione annuale, decorrente dal giorno successivo al
periodo di congedo dopo il parto che, in questi casi, risulta superiore
ai normali 3 mesi), purché le previste attestazioni del ginecologo del
S.S.N. o con esso convenzionato e del medico aziendale, siano state
acquisite dalla lavoratrice nel corso del
7° mese di gravidanza.
Quanto precede nel presupposto che la lavoratrice
abbia continuato a lavorare nel periodo in questione.
Se le attestazioni suddette sono state acquisite dopo
il 7° mese di gravidanza, la domanda è accoglibile solo per l'eventuale
residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni.
Per i giorni in cui la lavoratrice si è avvalsa della
flessibilità senza esserne formalmente autorizzata (attraverso le
attestazioni dei medici sopra indicati), l'indennità di maternità non è
erogabile ai sensi dell'art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 in
quanto, per tali giorni, la lavoratrice ha percepito o ha diritto a
percepire la retribuzione dal datore di lavoro; i suddetti giorni,
pur non potendo essere recuperati
dalla lavoratrice dopo il parto, quali giorni di congedo per maternità,
devono essere comunque conteggiati ai fini della durata complessiva del
congedo stesso.
Si precisa, infine, che la domanda della lavoratrice
che, pur essendo stata autorizzata alla flessibilità, e, quindi, allo
svolgimento di attività lavorativa durante l'ottavo mese di gravidanza,
chiede di fruire in questo stesso mese del congedo parentale per un
altro figlio, può essere accolta. In ogni caso, il congedo di maternità
spetterà alla suddetta lavoratrice per tutta la sua prevista durata
complessiva (2).
5) Malattia, congedo parentale, congedo di
maternità
a) Malattia e congedo parentale
In merito alla sussistenza o meno del diritto
all'indennità di malattia nell'ipotesi di malattia insorta durante il
congedo parentale o dopo la conclusione dello stesso si fa presente
quanto segue.
L'assenza dal lavoro per cause (come il congedo
parentale) legate non ad una "sospensione" del rapporto di lavoro ma ad
una semplice inesigibilità della relativa prestazione lavorativa non
configura, agli effetti erogativi dell'indennità di malattia, una
sospensione del rapporto di lavoro.
Tanto comporta che il periodo di protezione
assicurativa (60 gg. o 2 mesi), previsto per le prestazioni di malattia
dall'art. 30 del C.C.N. 3/1/1939, decorre dal giorno immediatamente
successivo al termine finale del periodo di assenza dal lavoro correlato
ad una delle cause di cui trattasi.
Ne consegue che per la malattia della lavoratrice
madre (o del lavoratore padre) insorta
durante la fruizione del congedo parentale,
anche oltre 60 gg. dall'inizio del congedo stesso (che, come è noto, è
frazionabile), il periodo di protezione assicurativa non inizia a
decorrere e la malattia stessa, debitamente notificata e documentata,
deve essere indennizzata (in misura intera), ove ne ricorrano i
presupposti, secondo i limiti e le modalità previsti dalla relativa
normativa, ovviamente nella presunzione, salvo diversa indicazione del
genitore interessato, che quest'ultimo intenda sospendere la fruizione
del congedo parentale.
Per la malattia della lavoratrice madre (o del
lavoratore padre) insorta dopo la
conclusione del periodo di congedo parentale,
a cui faccia seguito una mancata ripresa dell'attività, configurabile
quale "sospensione del rapporto di lavoro", il periodo di protezione
assicurativa decorre, secondo le regole ordinarie, dal giorno successivo
alla fine del congedo parentale, da considerare periodo neutro.
Per quanto riguarda il diritto al congedo parentale,
si precisa che anche i periodi di malattia indennizzati o
indennizzabili, che si verifichino durante il congedo parentale, devono
essere considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo
parentale spettante.
Terminata la malattia, quindi, la fruizione del
congedo parentale, salvo diverse indicazioni e comunicazioni del
genitore interessato, può riprendere con o senza erogazione
dell'indennità del 30% che, com'è noto, compete per complessivi 6 mesi
entro 3 anni di età del bambino.
Ai fini del calcolo del periodo massimo di congedo
parentale (6 mesi per la madre, 7 mesi per il padre, 11 mesi fra i due
genitori), durante il quale si siano verificati periodi di malattia,
vanno tenute presenti le indicazioni fornite per i casi in cui frazioni
di congedo siano intervallate da ferie (v. circolare n. 82 del 2/4/2001,
punto 1, ultimo capoverso).
Pertanto, ad esempio, se la malattia è iniziata il
lunedì immediatamente successivo al venerdì del congedo parentale, ed è
terminata il venerdì immediatamente precedente il lunedì in cui è
ripreso il congedo, le domeniche ed i sabati della settimana corta,
cadenti subito prima e subito dopo la malattia, devono essere
conteggiati come giorni di congedo parentale.
b) Malattia e congedo di maternità
La malattia insorta durante il congedo di maternità
(astensione obbligatoria) non è indennizzabile, in quanto l'indennità
per congedo di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante
per malattia (art. 22, comma 2, del T.U.).
Anche il congedo di maternità - analogamente a quello
parentale (v. lett. a) - è da considerare periodo "neutro" ai fini del
computo della c.d. "protezione assicurativa", in caso di malattia
insorta successivamente.
6) Termini per la presentazione della
documentazione
L'art. 21 del T.U. stabilisce che la lavoratrice è
tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del
figlio o dichiarazione sostitutiva (ex lege n. 445/2000).
Tale articolo assorbe la disposizione già contenuta
nell'art. 11 della legge n. 53/2000 relativa alla presentazione, entro
30 giorni, del certificato attestante la data del parto in caso di parto
prematuro, nel senso che il termine di trenta giorni per la
presentazione della suddetta documentazione è ora previsto in tutti i
casi di parto (anche non prematuro).
Ciò premesso, si fa presente che il termine in
questione è da ritenere di carattere ordinatorio, non essendone stata
prevista la perentorietà, né l'applicazione di sanzioni in caso di sua
inosservanza.
Il mancato rispetto del termine, quindi, non fa
venire meno il diritto alla prestazione; potrebbe avere riflessi
soltanto nell'ambito contrattuale del rapporto di lavoro.
7) Congedo parentale in caso di adozione o di
affidamento
Si ritiene opportuno riassumere i criteri applicativi
delle disposizioni del T.U., che, peraltro, confermano quasi
integralmente quelli già indicati nella circolare n. 109/2000,
riguardanti il congedo parentale in caso di adozione o di affidamento.
L'art. 36, comma 2, del T.U. stabilisce che il limite
di età del bambino (3 anni) previsto dall'art. 34, comma 1, per la
corresponsione dell'indennità al 30%, indipendentemente dalle condizioni
di reddito e per un periodo di congedo parentale massimo complessivo tra
i genitori di sei mesi, sia elevato a 6 anni di età in caso di adozione
o di affidamento. Stabilisce anche che, in ogni caso, il congedo
parentale può essere fruito
nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia.
Ciò significa che l'indennità è riconoscibile,
indipendentemente dalle condizioni di reddito,
per complessivi sei mesi fino al compimento dei 6 anni di età del
bambino adottato o affidato, purché il congedo parentale sia richiesto
entro i tre anni dall'ingresso del bambino
in famiglia.
Significa anche che, dopo il compimento dei 6 anni di
età e fino al compimento degli 8 anni (limite di età uguale a quello
previsto per i figli non adottati o affidati), i periodi di congedo
ulteriori rispetto a quelli fruiti fino ai 6 anni, ferma restando la
possibilità di astensione dal lavoro, sono indennizzabili
subordinatamente alle condizioni reddituali.
Il comma 3 dello stesso art. 36 stabilisce che,
qualora all'atto dell'adozione o dell'affidamento, il minore abbia una
età compresa fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale
è fruito nei primi tre
anni dall'ingresso in famiglia. Il tenore letterale della norma lascia
intendere che, per il minore adottato o affidato ad una età fra i 6 e i
12 anni, il congedo parentale e la relativa indennità possano essere
riconosciuti solo se richiesti entro tre
anni dall'ingresso.
Non sembra prevista, in altre parole, la possibilità
di beneficiare né del congedo, né della indennità, neppure
subordinatamente alle condizioni di reddito, qualora il congedo sia
chiesto dopo tre anni dall'ingresso in famiglia del minore adottato o
affidato tra i 6 e i 12 anni di età.
In caso di adozione o di affidamento preadottivo
internazionale si applica la disposizione prevista
dall'art. 36 del T.U.
8) Congedo parentale in caso di parto gemellare o
plurigemellare
Come già precisato nel messaggio n. 569 del
27/6/2001, che ad ogni buon conto si allega, in caso di parto gemellare
o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire,
per ogni nato, del
numero di mesi di congedo parentale previsti dall'art. 32 del T.U.
La norma suddetta trova applicazione anche
nell'ipotesi di adozioni ed affidamenti
di minori (anche non fratelli) il cui
ingresso in famiglia sia avvenuto nella stessa data.
9) Dimissioni
L'art. 55 del T.U. stabilisce che le dimissioni
volontarie presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza
o dal lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità, fino al
compimento di un anno di vita del bambino o entro un anno dall'ingresso
del minore in famiglia, devono essere convalidate dal Servizio ispettivo
del Ministero del Lavoro, competente per territorio.
La previsione della convalida risponde unicamente a
finalità di tutela del rapporto di lavoro della lavoratrice madre o del
lavoratore padre.
La legge, infatti, subordina espressamente alla
convalida la risoluzione del rapporto di lavoro e non anche il diritto
all'indennità di maternità/paternità, alla cui corresponsione si potrà
procedere indipendentemente dalla verifica della convalida suddetta.
Con l'occasione si fa presente che detta verifica non
è richiesta neppure ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità
di disoccupazione che, com'è noto, spetta anche in caso di dimissioni
volontarie intervenute durante il periodo previsto per il divieto di
licenziamento o entro un anno dall'ingresso del minore nella famiglia
adottante o affidataria (v. circolare n. 128 del 5/7/2000 e circolare n.
143 del 16/7/2001), indennità di disoccupazione che frequentemente
costituisce il presupposto per la erogabilità dell'indennità per congedo
di maternità.
Infatti, se il congedo di maternità ha inizio
trascorsi 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la
lavoratrice, all'inizio del congedo di maternità, fruisce o ha comunque
un diritto teorico all'indennità di disoccupazione, alla stessa è
erogabile l'indennità giornaliera di maternità, anziché quella di
disoccupazione (art. 24, comma 4 del T.U.).
Si rammenta, ad ogni buon conto, che il diritto o
meno all'indennità di disoccupazione è ininfluente quando il congedo di
maternità inizia entro 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di
lavoro (per dimissioni o licenziamento), periodo entro il quale è
senz'altro riconoscibile il diritto all' indennità giornaliera di
maternità (art. 24, comma 2 del T.U.).
10) Indennità di paternità
L'art. 28 del T.U. riconosce al padre lavoratore il
diritto al congedo di paternità per tutta la durata del congedo di
maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice
madre, in caso di morte o di grave infermità della stessa ovvero di
abbandono del figlio da parte della madre, nonché in caso di affidamento
esclusivo del bambino al padre.
Il tenore letterale della norma sembrerebbe escludere
il diritto del padre al congedo in questione nell'ipotesi in cui la
madre non sia (o non sia stata) lavoratrice.
Tuttavia, la "ratio" dell'astensione obbligatoria
post-partum vuole garantire al neonato, proprio nei primi tre mesi di
vita, l'assistenza materiale ed affettiva di un genitore (vedi sentenza
Corte Costituzionale n. 1 del 19/1/1987).
Qualora, infatti, la richiesta del padre di fruire
del congedo di paternità venisse riconosciuta solo subordinatamente al
fatto che la madre sia o (sia stata) una lavoratrice, non solo si
arrecherebbe un danno al neonato, ma ciò risulterebbe in contrasto con
l'ordinanza n. 144 del 16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha
stabilito a proposito della suddetta sentenza n. 1/1987: "in luogo di
lavoratrice madre leggasi madre, lavoratrice o meno".
Per tali ragioni, è da ritenere che, in tutti i casi
previsti dall'art. 28 del T.U., il padre lavoratore abbia un diritto
autonomo alla fruizione del congedo di paternità, correlato, quanto alla
sola durata, alla eventuale fruizione del congedo di maternità da parte
della madre (ovviamente lavoratrice). In tale ipotesi, la durata del
congedo di paternità è pari al periodo di astensione obbligatoria non
fruito in tutto o in parte dalla madre, compresi quindi i periodi di
astensione obbligatoria post-partum di maggiore durata conseguenti alla
flessibilità e/o al parto prematuro.
11) Calcolo dell'indennità per congedi parentali
Agli effetti della determinazione della misura
dell'indennità per congedo parentale si prende a riferimento la
retribuzione media globale giornaliera del mese o del periodo di paga
quadrisettimanale immediatamente precedente a quello nel corso del quale
ha avuto inizio l'astensione dal lavoro.
Tuttavia, nell'ipotesi in cui la lavoratrice fruisca
del congedo parentale immediatamente dopo il congedo di maternità
(ipotesi praticabile anche senza ripresa dell'attività lavorativa prima
del congedo parentale), la retribuzione da prendere a riferimento per il
calcolo dell'indennità per congedo parentale è quella del periodo
mensile o quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente a
quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità
(senza conteggiare i ratei di mensilità aggiuntive).
Laddove, invece, dopo il congedo di maternità, la
lavoratrice riprenda l'attività lavorativa (anche per un solo giorno),
si prende a riferimento, trattandosi di prestazioni diverse, la
retribuzione relativa a tale periodo di ripresa dell'attività, ancorché
questo cada nello stesso mese in cui ha avuto inizio il congedo
parentale.
In caso di fruizione frazionata del congedo parentale,
invece, si prende a riferimento la retribuzione
del mese precedente,
nonostante le frazioni siano intervallate da giorni di ripresa
dell'attività.
Ovviamente la retribuzione va divisa per il numero
dei giorni lavorati o retribuiti, eventualmente ridimensionati in caso
di "settimana corta".
12) Sentenza della Corte Costituzionale n.
405/2001
Si rende noto che, con la sentenza n. 405 del 3-14
dicembre 2001, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 17, 1° comma, della legge n. 1204/1971 nella
parte in cui esclude la corresponsione della indennità di maternità
nell'ipotesi prevista dall'art. 2, lett. a) della medesima legge
(vigente all'epoca del procedimento instaurato davanti alla Corte).
Ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'art. 24, comma 1, del D.L.vo n. 151/2001, nella parte in cui
esclude la corresponsione dell'indennità di maternità nell'ipotesi
prevista dall'art. 54, comma 3, lett. a) del medesimo decreto
legislativo.
In attuazione della suddetta sentenza, pertanto, il
diritto alla indennità di maternità potrà essere riconosciuto anche nei
casi di licenziamento per giusta causa
che si verifichino durante i periodi di
congedo di maternità previsti dagli artt. 16 e 17 del T.U.
La presente disposizione è applicabile alle
fattispecie pregresse per le quali non sia intervenuta prescrizione,
decadenza o sentenza passata in giudicato.
13) Requisito contributivo in mancanza di
assicurazione contro la disoccupazione
Il comma 5 dell'art. 24 del T.U. recita testualmente:
"La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma
che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché
nell'ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi
non soggette all'obbligo dell'assicurazione contro la disoccupazione, ha
diritto all'indennità giornaliera di maternità, purché al momento
dell'inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di
centottanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e,
nell'ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo
favore, nell'assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità,
ventisei contributi settimanali.".
Ciò, a differenza dell'art. 17 comma 4 della legge n.
1204/1971 (non più in vigore) che prevedeva per la lavoratrice nelle
medesime condizioni di cui al suddetto comma 5 dell'art. 24 ora vigente,
il possesso di 26 contributi settimanali nell'assicurazione di malattia.
Com'è noto, infatti, la norma della legge 1204 era
già divenuta non più attuale, essendo venuto meno, dall'1/1/1998,
l'obbligo di versamento all'Inps (ente subentrato agli enti assicuratori
di malattia) dei contributi di malattia per il S.S.N.
Le sedi, pertanto, dovranno ricercare il requisito di
cui trattasi (26 contributi settimanali nell'ultimo biennio, sempre che
non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla cessazione del
rapporto di lavoro), nell'ambito della sola contribuzione di maternità.
Eventuali domande per congedo di maternità avanzate
da lavoratrici che siano state licenziate, ma che non abbiano diritto
alla indennità di disoccupazione, in quanto non soggette all'obbligo
assicurativo per la disoccupazione, potranno essere accolte, quindi,
subordinatamente alla verifica del suddetto requisito.
(1) Esempio:
Congedo parentale già fruito come
"genitore solo"
|
Congedo parentale fruibile dall'altro
genitore che successivamente ha
riconosciuto il figlio
|
MADRE
|
PADRE
|
4 mesi |
7 mesi |
5 mesi |
6 mesi |
6 mesi |
5 mesi |
6 mesi e 10 giorni
|
4 mesi e 20 giorni
|
7 mesi |
4 mesi |
8 mesi |
2 mesi |
9 mesi |
1 mese |
10 mesi |
zero |
|
PADRE
|
MADRE
|
4 mesi |
6 mesi |
5 mesi |
6 mesi |
6 mesi |
5 mesi |
7 mesi |
4 mesi |
7 mesi e 10 giorni |
3 mesi e 20 giorni |
8 mesi |
3 mesi |
9 mesi |
2 mesi |
10 mesi |
1 mese |
(2) Si riportano a titolo esemplificativo alcuni
casi, in cui l'inizio dell'obbligo di astenersi dal lavoro sia fissato
all'1/11/2002. Negli esempi si ipotizza che il periodo di flessibilità
richiesto sia pari al massimo (e cioè corrispondente al mese di novembre
2002) e che non si verifichino eventuali prolungamenti del periodo di
astensione post-partum dovuti a "parto prematuro":
Attestazioni sanitarie
rilasciate (datate) |
Riconoscibilità della
prestazione |
a) prima del 7° mese di
gravidanza (prima cioè del 1° ottobre) |
non riconoscibilità |
b) nel corso del 7° mese di
gravidanza (e cioè tra il 1° ottobre e 1° novembre 2002) |
riconoscibilità fino al
termine del quarto mese dopo il parto |
c) 11 novembre (nel corso
dell'8° mese di gravidanza) |
riconoscibilità dall'11
novembre e fino al 20° giorno del quarto mese dopo il parto
|
d) successivamente al 1°
dicembre (dopo l'8° mese di gravidanza) |
riconoscibilità solo per il
mese precedente la data presunta del parto e per tre mesi
successivi al parto |
ALLEGATO 1
Messaggio della Direzione Centrale -
Prestazioni a sostegno del reddito - n. p. 2001/0005/000569 del 27
giugno 2001 - Ulteriori periodi di congedo parentale in caso di parto
gemellare o plurigemellare
Il D.L.vo n. 151 del 26/3/2001 contenente il T.U.
delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e
della paternità (inviato a codeste sedi, per una immediata conoscenza
con il Messaggio n. 485 dell'1/6/2001), stabilisce, all'art. 32, che
ciascun genitore ha diritto al congedo parentale per ogni bambino, nei
suoi primi otto anni di vita.
Di conseguenza, in caso di parto gemellare o
plurigemellare ciascun genitore ha diritto a fruire per ogni nato del
numero di mesi di congedo parentale previsti dallo stesso art. 32 (in
sintesi, per ciascun figlio, fino a 6 mesi per la madre, fino a 7 mesi
per il padre, nel limite complessivo di 10 o 11 mesi fra entrambi i
genitori).
Le modalità di fruizione dei periodi ed i criteri
relativi al trattamento economico restano, quindi, quelli stabiliti in
applicazione della legge n. 53/2000 e riportati nella circolare n. 109
del 6/6/2000.
Il genitore che intenda avvalersi di ulteriori
periodi di congedo parentale per la presenza di due o più figli gemelli
dovrà presentare separate domande sul nuovo Mod. AST. FAC. (v. circolare
n. 103 dell'11/5/2001), predisposto per l'acquisizione delle
informazioni necessarie al completo esame delle domande.
Con l'occasione si precisa che per il parto plurimo
non è previsto, invece, il diritto ad ulteriori periodi di congedo di
maternità (astensione obbligatoria). |