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Circolare Ministeriale 24 febbraio 1992, n. 48 Oggetto: Ricorsi gerarchici, straordinari al Capo dello Stato e ricorsi giurisdizionali PARTE I - PREMESSA 1 - Finalità della presente circolare La presente circolare, in attuazione delle direttive impartite con C.M. 20 ottobre 1990,n. 273 intende unificare in un solo testo le istruzioni relative alla materia in oggetto indicata, impartite con precedenti circolari. Alla presente circolare è allegato un prospetto (all. A) della ripartizione delle competenze tra gli uffici dell'Amministrazione centrale in materia contenziosa. Al fine di facilitarne la consultazione vengono riprodotti per esteso in allegato tutti i testi dei pareri del Consiglio di Stato citati. La presente circolare sostituisce, nella materia qui disciplinata, tutte le circolari precedentemente emanate, che sono conseguentemente da considerare abrogate, ad eccezione della circolare n. 56 dell'8 marzo 1990. (Silenzio-rigetto - Sentenza n. 17/1989 del Consiglio di Stato). PARTE II - RICORSI GERARCHICI 2 - Procedura A norma dell'art. 1 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 il ricorso gerarchico, per motivi di legittimità e di merito è ammesso unicamente avverso atti non definitivi. L'art. 2 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 dispone che il ricorso gerarchico deve essere proposto, da parte di chi vi abbia interesse, "nel termine di 30 giorni dalla data della notificazione o della comunicazione in via amministrativa dell'atto impugnato...". Nel caso di presentazione del ricorso direttamente all'ufficio competente, deve essere rilasciata apposita ricevuta e sul ricorso stesso deve essere apposta la data mediante timbro a calendario o annotazione di protocollo indicante la data di presentazione. In caso di invio del ricorso a mezzo posta (raccomandata con avviso di ricevimento), "la data di spedizione vale quale data di presentazione" e a detta data va riferito l'accertamento della tempestività del ricorso (e non a quella dell'acquisizione al protocollo, che potrebbe anche risultare posteriore al trentesimo giorno, computato dalla data di spedizione del ricorso). Stante quanto sopra, si evidenzia l'opportunità che i competenti uffici curino la conservazione delle buste contenenti i ricorsi gerarchici, per il loro invio al Ministero, unitamente agli atti relativi all'impugnativa ed alla relazione istruttoria, nella quale dovrà comunque sempre risultare l'avvenuto controllo della tempestività, o della tardività, dei ricorsi stessi. Si richiamano qui di seguito gli adempimenti istruttori riguardanti i ricorsi gerarchici, che dovranno essere compiuti senza indugio: 1) notifica d'ufficio del ricorso ai controinteressati, ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, ove non vi abbia già provveduto il ricorrente; 2) immediata acquisizione di tutti gli atti istruttori necessari alla decisione del ricorso (memorie, controdeduzioni, relazioni ispettive, pareri ed ogni altro atto su cui si fonda l'atto impugnato); 3) pronta trasmissione del ricorso all'autorità competente per legge ad esprimere pareri sul ricorso stesso e all'autorità decidente, ove sia diversa da quella cui è stato trasmesso l'atto; 4) invio alla firma; 5) successiva comunicazione al ricorrente della decisione entro il prescritto termine di 90 giorni. Allo scopo di eliminare disfunzioni ed evitare conseguenti connesse responsabilità, si rende necessario stabilire modalità e termini tassativi per i vari adempimenti che, pur non previsti dal citato D.P.R., rientrano nella logica di una normativa volta a tutelare l'interesse primario dell'Amministrazione ad avere strumenti idonei per un riesame in sede amministrativa dei propri atti e il correlato interesse degli amministrati a potersi servire di agevoli e non dispendiosi mezzi di tutela amministrativa. Si ritiene, quindi, opportuno dettare al riguardo le seguenti istruzioni. Gli Uffici periferici, entro 10 giorni dal loro ricevimento, invieranno i ricorsi gerarchici, debitamente istruiti e documentati, e successivamente le deduzioni di eventuali controinteressati, al Ministero, provvedendo nel contempo, qualora non vi abbia già provveduto il ricorrente, alla notifica dei ricorsi stessi di ufficio, ai sensi dell'art. 4 del richiamato D.P.R. A loro volta le Direzioni generali e gli Uffici centrali trasmetteranno, anch'essi entro 10 giorni, i predetti ricorsi, completi della necessaria documentazione, per il parere, ove prescritto al Consiglio Nazionale della pubblica istruzione. Analoga procedura deve essere seguita nell'istruttoria dei ricorsi gerarchici la cui decisione rientra nella competenza degli Uffici scolastici periferici. Sulla formazione del cosiddetto "silenzio-rigetto" si rinvia alla C.M. 8 marzo 1990, n. 56 che si intende tuttora valida. PARTE III - RICORSI STRAORDINARI AL CAPO DELLO STATO 3 - Presentazione dei ricorsi Il Consiglio di Stato, in occasione di un parere reso su ricorso straordinario (n. 169/1987 - Sez. II - Adunanza del 27 gennaio 1988), ha richiamato l'attenzione di questo Ministero sulla necessità di impartire puntuali disposizioni, circa l'apposizione della data di arrivo dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato, nonché, nel caso di ricorsi inviati a mezzo posta, la conservazione delle buste recanti il timbro postale di partenza. Al riguardo si deve sottolineare che l'adozione di ogni utile misura diretta a garantire certezza e celerità all'istruttoria dei ricorsi straordinari risponde senz'altro ad un concreto ed avvertito interesse di questa Amministrazione. In tal caso, pertanto, con riferimento a modalità e termini di presentazione dei ricorsi come prescritti dall'art. 9 del D.P.R. n. 1199/1971, si reputa opportuno precisare quanto segue. Nel caso di presentazione del ricorso direttamente ad ufficio dell'Amministrazione scolastica centrale o periferica, sul ricorso stesso dovrà essere apposta la data mediante timbro a calendario o annotazione di protocollo indicante la data di presentazione. Nel caso, invece, di presentazione del ricorso mediante spedizione a mezzo posta, dovrà essere conservata la busta recante il timbro a data dell'ufficio postale di partenza; la busta dovrà essere trasmessa a questo Ministero unitamente al ricorso medesimo. Si ritiene opportuno aggiungere che le cennate disposizioni, ricorrendo analoghe esigenze di certezza e celerità, devono intendersi valide per tutti gli atti e istanze da produrre entro termini perentori, o che si ricolleghino ad adempimenti da svolgere entro termini perentori. 4 - Istruttoria dei ricorsi L'istruttoria del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (rimedio giuridico generale contro i vizi di legittimità di tutti gli atti amministrativi) è compiuta dal Ministero competente che deve trasmettere al Consiglio di Stato per il prescritto parere, assieme con il ricorso, tutti gli atti che vi si riferiscono. E' altresì noto come l'istruttoria debba essere portata a termine entro 120 giorni dalla scadenza del termine di 60 giorni assegnati ai controinteressati per le controdeduzioni al ricorso principale. Si è dovuto riscontrare, tuttavia, che l'Amministrazione centrale nei casi di impugnativa di atti di organi periferici molto spesso non è in grado di adempiere i suoi incombenti in quanto non in possesso di tutti i necessari atti istruttori. Si ritiene opportuno quindi impartire le seguenti dettagliate istruzioni ai fini di un sollecito espletamento degli adempimenti di cui all'art. 9 III comma D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. Nel caso di notifica del ricorso straordinario direttamente all'organo che ha emanato l'atto gli Uffici scolastici periferici cureranno che l'inoltro del medesimo atto all'Amministrazione Centrale avvenga con urgenza, unitamente a tutti i documenti necessari o ritenuti utili ed alla relazione sulle questioni pregiudiziali, sul merito e sulla regolarità fiscale. In particolare, al fine di evitare carteggi successivi, la relazione dovrà strutturarsi secondo lo schema di seguito specificato. Dovrà, in primo luogo, essere verificata l'esistenza e la presentazione di un atto introduttivo (ricorso) valido e rituale da parte di un soggetto legittimato in ordine all'oggetto del ricorso e la sussistenza nel ricorrente di un interesse alla impugnativa (art. 8 del D.P.R. n. 1199/1971). La relazione dovrà, successivamente, dar conto almeno della verifica: a) della tempestività del ricorso (art. 9 - I comma D.P.R. n. 1199/1971). Si raccomanda di specificare la data dell'eventuale conoscenza personale o legale dell'atto impugnato da parte del ricorrente, fornendone prova documentale. b) della definitività dell'atto impugnato (art. 8 - I comma D.P.R. 1199/71). In caso di accertamento positivo è necessario inviare l'eventuale ricorso gerarchico onde permettere di rilevare l'identità dei motivi di censura ivi sollevati con quelli avanzati in via straordinaria. Contestualmente dovrà darsi prova della avvenuta notifica del ricorso gerarchico ai controinteressati. c) della instaurazione rituale dell'eventuale contraddittorio in sede straordinaria. Gli Uffici scolastici periferici accerteranno l'esistenza della prova della rituale notifica ad almeno uno dei controinteressati (art. 9 II comma). Nel caso di più controinteressati, ove non abbia già provveduto il ricorrente, dovranno essere comunicati i nominativi relativi affinché il Ministero possa ordinare l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 9 V comma. Gli Uffici scolastici periferici dovranno comunque accertare l'esatta individuazione del controinteressato, da parte del ricorrente, ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio. d) della mancanza di precedente proposizione, contro lo stesso organo, di un ricorso giurisdizionale (art. 8 II comma). Si sottolinea che l'instaurazione del procedimento giurisdizionale si considera avvenuta al momento del deposito nella segreteria del T.A.R. competente dell'atto di gravame. In caso di verifica dovrà essere fornita la prova del deposito mediante comunicazione scritta della segreteria del T.A.R. competente. e) dell'eventuale acquiescenza all'atto impugnato. Esaurita la fase dell'esame degli aspetti pregiudiziali del ricorso sarà cura degli Uffici scolastici periferici fornire comunque una dettagliata ricostruzione degli elementi di fatto e di diritto che stanno alla base della controversia oggetto del ricorso. A tal proposito, onde accelerare al massimo il completamento dell'istruttoria, gli Uffici scolastici periferici debbono corredare la relazione del ricorso con l'invio di copia autenticata di tutti gli atti relativi, compresi quelli emanati o comunque già in possesso dell'Amministrazione centrale. Gli Uffici scolastici periferici seguiranno le vicende che in prosieguo di tempo potranno influire sulla decisione del ricorso (rinunzia, morte del ricorrente, cessazione della materia del contendere, carenza sopravvenuta d'interesse, trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso in seguito ad opposizione del controinteressato) fornendone immediata notizia all'Amministrazione centrale. 5 - Modalità per il rilascio della documentazione In ordine alle modalità del rilascio agli interessati della documentazione annessa ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato, occorre attenersi scrupolosamente ai criteri suggeriti dal Consiglio di Stato nel Parere 8 marzo 1982, n. 1206/1981 (Adunanza della Commissione speciale dell'8 marzo 1982) che qui di seguito si sintetizzano. La disciplina del contraddittorio nel procedimento amministrativo promosso con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica non prevede espressamente la regola dell'ostensibilità del fascicolo alle parti interessate. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha, tuttavia, ritenuto applicabile a detto procedimento la norma generale dettata dall'art. 15 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, (poi modificato dall'art. 28 della legge 7 agosto 1990, n. 241) che consente agli interessati di richiedere all'Amministrazione copie ed estratti di atti e documenti d'ufficio nei casi non vietati dall'ordinamento. Al fine di rendere più agevole il rilascio di copie degli atti è opportuno che i Ministeri trattengano in ogni caso gli originali. Nei casi eccezionali in cui i Ministeri non siano più in possesso di alcun esemplare degli atti in questione, si può procedere alla loro temporanea restituzione da parte delle Segreterie delle Sezioni consultive. La richiesta di copia della relazione potrebbe essere prevenuta, con sostanziale economia di attività amministrativa, se i Ministeri riferenti provvedessero di loro iniziativa a spedirla al ricorrente e alle altre parti che abbiano presentato deduzioni. E', comunque, da escludere un accesso diretto delle parti al fascicolo depositato presso le segreterie delle Sezioni consultive del Consiglio di Stato, in quanto l'attività consultiva di detto Organo, pur se inserita con funzioni di garanzia nell'ambito di un procedimento cosiddetto giustiziale, resta attività interna e non dà luogo a rapporti diretti tra il Consiglio di Stato e gli interessati. Tuttavia è consentita al ricorrente la presentazione diretta del ricorso al predetto Organo, ma solo subordinatamente all'inerzia del Ministero competente (art. 11, II comma, D.P.R. n. 1199/1971); è, altresì, consentito il rilascio di copia di ogni parere se il Ministro competente non abbia fatto pervenire al Consiglio di Stato, entro il termine di novanta giorni dalla ricezione del parere stesso, comunicazione che quest'ultimo deve restare riservato (art. 56, II comma, R.D. n. 444/1942, modificato dal D.P.R. 23 giugno 1988 n. 250). PARTE IV - RICORSI GIURISDIZIONALI 6 - Costituzione del contraddittorio E' stato rilevato come, in taluni casi, per la difficoltà di acquisire presso gli Uffici scolastici periferici gli indirizzi dei controinteressati, al fine di procedere entro i termini prescritti alle notifiche di legge, coloro che abbiano proposto ricorso non vengano posti nella condizione di tutelare in pieno le proprie posizioni giuridiche. Le difficoltà sopra ricordate, infatti, impedirebbero la regolare costituzione del contraddittorio, ostacolando in tal modo l'iter successivo del procedimento. In relazione agli adempimenti che competono all'Amministrazione a tal riguardo, occorre peraltro distinguere a seconda che trattasi di ricorso amministrativo o di ricorso giurisdizionale. Nel primo caso, infatti, è l'organo decidente, ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, a comunicare il ricorso, qualora non vi abbia già provveduto il ricorrente, agli altri soggetti direttamente interessati. E' evidente che in tal caso non compete alcun onere al ricorrente, facendo capo l'onere stesso direttamente all'organo amministrativo che ha ricevuto il ricorso. In termini diversi, invece, si pone la questione, allorché si versi in tema di ricorso giurisdizionale. A tal proposito, infatti, l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, concernente l'istituzione dei Tribunali Amministrativi regionali, stabilisce che il ricorso deve essere notificato "almeno ad uno dei controinteressati, salvo l'obbligo, di integrare le notifiche o ulteriori notifiche agli altri controinteressati che siano ordinate dal Tribunale Amministrativo regionale". La giurisprudenza del Consiglio di Stato d'altronde è costante al riguardo. Per rendere ammissibile il ricorso in questione, essa ha affermato che è sufficiente la tempestiva notifica dello stesso ad uno dei controinteressati (V. 105, 10 febbraio 1967; V. 1568, 19 dicembre 1969; V. 947, 29 ottobre 1971 Sez. VI n. 1141 del 7 novembre 1978 -A.P. n. 22 del 28 settembre 1987). Peraltro, la regolare costituzione del contraddittorio costituisce un momento successivo alla regolare instaurazione del giudizio, che il giudice può disciplinare disponendo in materia. Ciò posto, è di tutta evidenza che affinché i ricorrenti siano posti in condizione di far valere in pieno i rimedi giurisdizionali da essi esperiti, si rende necessario che l'Amministrazione fornisca il massimo della collaborazione, sia allo scopo della individuazione di "almeno uno dei controinteressati", indispensabile ai fini della costituzione del giudizio, sia in relazione all'eventuale disposto del giudice amministrativo per l'integrazione del contraddittorio. 7 - Patrocinio dell'Amministrazione L'Avvocatura Generale dello Stato ha fornito indicazioni per quanto concerne il patrocinio dell'Amministrazione innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali con la C.M. n. 21/1974 del 30 dicembre 1974, che qui di seguito si riporta. "Le norme che regolano il procedimento innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali non contemplano - secondo l'interpretazione seguita da vari uffici di segreteria di quelle magistrature - l'obbligo, per le segreterie, di notificare il decreto di fissazione di udienza anche alla P.A. la quale abbia omesso di costituirsi in giudizio. Per quanto, in particolare, riguarda il procedimento in camera di consiglio relativo all'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, l'art. 21 ultimo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, stabilisce, poi, che i difensori delle parti debbono essere sentiti "ove ne facciano richiesta". E la norma viene intesa da taluni nel senso che l'onere di chiedere l'audizione esista anche per la P.A. Ad un breve termine è infine, soggetta la istanza di regolamento di competenza (art. 31 legge citata). Appare, quindi, indispensabile che, onde evitare ogni, pur ipotetico, pregiudizio per l'Amministrazione, l'Avvocatura dello Stato sia posta in grado di assumerne la difesa nel più breve tempo possibile. E', a questo scopo, necessario che: 1) l'organo al quale sia stato notificato un ricorso al T.A.R. curi l'invio immediato dell'atto all'ufficio dell'Avvocatura dello Stato competente per territorio (vedi allegato C). Nel caso, non raro, di più ricorsi proposti contro lo stesso provvedimento, dinanzi a diversi Tribunali regionali, la trasmissione sarà fatta a ciascuna delle Avvocature competenti; 2) l'ufficio faccia seguire con ogni sollecitudine, e senza attendere avvisi di udienza, l'invio alla Avvocatura (in duplo) dei provvedimenti impugnati, nonché di tutti quegli elementi di difesa e della documentazione che sia stato impossibile trasmettere assieme al ricorso; 3) ove il ricorrente abbia anche chiesto la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, siano, comunque e subito, inviati tutti gli elementi idonei a contrastare una simile istanza." 8 - Ordinanze di sospensione dei T.A.R. Sulla appellabilità delle Ordinanze di sospensione adottate dai Tribunali Amministrativi Regionali ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 il Consiglio di Stato (Sez. IV Ord. n. 29 del 22 aprile 1977, A.P. n. 1 del 20 gennaio 1978) si è espresso in senso favorevole sulla base delle seguenti considerazioni: - l'ordinanza di sospensione del provvedimento impugnato definisce una fase autonoma del giudizio di primo grado, avente natura cautelare; - ciò stante il provvedimento del giudice ha natura sostanziale di decisione; - la revocabilità dell'ordinanza da parte del giudice che l'ha emessa non riguarda il problema dell'appello, dato che la revoca presuppone un mutamento della situazione di fatto, mentre l'appello importa una rivalutazione della situazione iniziale. Sulla immediata esecutività delle ordinanze cautelari l'Avvocatura Generale dello Stato ha espresso il seguente parere (parere n. 727/1986). "In ordine al rilievo circa la mancanza di motivazione delle ordinanze di "sospensione", che viene giustificata dal T.A.R. con l'esigenza di non anticipare le valutazioni di merito, si osserva che detta circostanza non costituisce, di per sé, utile motivo di gravame, dato il potere rescissorio (e non solo rescindente) del Consiglio di Stato, la cui pronuncia, in materia, non è di mero annullamento. In ordine alla brevità dei termini tra la notifica del ricorso e la Camera di Consiglio per l'esame della domanda incidentale di sospensione, che pone l'Amministrazione in difficoltà nella predisposizione degli elementi di difesa, si ricorda che, con C.M. n. 2/1986 in data 6 marzo 1986, questa Avvocatura Generale ha predisposto uno schema organizzativo dei rapporti con le Amministrazioni idoneo a fronteggiare le pratiche difficoltà della cennata ristrettezza dei termini. Codesto Ministero chiede, poi, il parere dello Scrivente sui seguenti punti: a) se le ordinanze di sospensione possano non essere eseguite fino alla decisione di appello b) se le ridette ordinanze possano non essere eseguite quando gli effetti dell'atto sospeso si siano già irreversibilmente prodotti. Va escluso che l'appello abbia, di per sé, effetto sospensivo della pronuncia impugnata, sicché, in linea di massima, l'Amministrazione deve immediatamente astenersi da qualsiasi atto di esecuzione del provvedimento sospeso. E' chiaro, peraltro, che l'effetto dell'ordinanza di sospensione non equivale a quello del giudicato: è giurisprudenza pacifica nel senso che l'obbligo di ottemperanza, con la piena ricostruzione dello status quo ante e con la piena attuazione della pronuncia giurisprudenziale, nasce solo con il giudicato, neppure essendo sufficiente la sentenza di merito, esecutiva ex lege, soggetta a gravame. A seguito dell'ordinanza di sospensione possono, in concreto, verificarsi tre ipotesi (cfr. Cons. Stato, A/P., 1 giugno 1983, n. 14); 1) la prima, è quella in cui la mera omissione sia di per sé sufficiente a realizzare gli effetti sostanziali della pronuncia cautelare (es. sospensione di un escomio, o di una occupazione di immobili e simili); 2) la seconda, è quella in cui gli effetti sostanziali si realizzano attraverso un comportamento di "non resistenza" alle naturali e dirette implicazioni dell'ordinanza: tale è il caso, ad esempio, dell'ammissione con riserva ad un concorso; 3) la terza ipotesi, infine, è quella in cui sia necessario un nuovo procedimento affinché detta soddisfazione degli interessati azionati abbia a realizzarsi in toto: questo è, ad esempio, il caso della sospensione della gara di appalto a lavori terminati, o della ammissione con riserva ad un concorso già espletato. Fermi restando, per l'Amministrazione, il divieto di attivarsi per portare a compimento un atto sospeso, e l'obbligo di non resistere alle naturali e dirette implicazioni dell'ordinanza, è da escludere che l'Amministrazione debba, in linea di massima, attivarsi per rimuovere la situazione nelle more esaurita, a tale fine essendo necessario il giudicato (e per di più occorrendo che la ricostituzione dello status quo ante sia giuridicamente e fisicamente possibile). Solo l'esame delle singole fattispecie può, evidentemente, condurre all'individuazione, da un lato, dei comportamenti da evitare e, dall'altro, di quelli da assumere a seguito della concessa sospensione. In sede d'appello, come è ovvio, ben potrà evidenziarsi, tra l'altro, che l'irreversibilità della situazione rende ineseguibile l'ordinanza, che come tale va rimossa: e l'esperienza giurisdizionale dimostra che è assolutamente costante la riforma, in sede d'appello, di ordinanza di sospensione di atti già eseguiti, ovvero in ordine a situazioni ormai irreversibili. In via di principio, e salvo l'esame dei singoli casi, così può rispondersi ai quesiti avanti articolati: 1) le ordinanze di sospensione vanno immediatamente eseguite, anche nelle more dell'appello, per la loro parte "demolitoria": in concreto è inibito qualsiasi atto esecutivo del provvedimento sospeso; 2) quando occorra un positivo comportamento dell'Amministrazione, bisogna, in linea di massima, distinguere a seconda che: a) la situazione si trovi nel suo fisiologico evolversi, ed allora il comportamento dell'Amministrazione sarà tale da non ostacolare gli effetti diretti ed immediati dell'ordinanza; b) la situazione sia già evoluta in modo da richiedersi comportamenti più complessi (es.: a fronte dei così detti effetti "a catena") e allora è necessario attendere la pronuncia del Consiglio di Stato; c) la situazione sia già esaurita, ed allora il Consiglio di Stato dovrà rimuovere l'ordinanza di sospensione, divenendo eccezionale - e, in buona sostanza, patologica - l'ipotesi di conferma di quella: a fronte della quale, comunque, proprio per la sua eccezionalità, non è possibile elaborare criteri generali, dovendosi valutare, caso per caso, quali atti positivi adottare prima della formazione del giudicato di merito." 9 - Esecutività delle sentenze dei T.A.R. L'art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 stabilisce: "Le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali sono esecutive. Il ricorso in appello al Consiglio di Stato non sospende l'esecuzione della sentenza impugnata. Il Consiglio di Stato, tuttavia, su istanza di parte, qualora dall'esecuzione della sentenza possa derivare un danno grave e irreparabile, può disporre, con ordinanza motivata emessa in Camera di Consiglio, che l'esecuzione sia sospesa". In materia di immediata esecuzione delle sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali il Consiglio di Stato (Commissione Speciale) ha espresso il parere n. 11/1977 in data 26 novembre 1977. Il predetto Organo ha rilevato che "il carattere della esecutività non è solo enunciato nel primo comma dell'art. 33 della legge n. 1034/1971, il che avrebbe potuto lasciar adito ad una interpretazione della formula armonizzata con il sistema, ma è ribadito nei due commi successivi che ne chiariscono il significato di attitudine propria all'esecuzione. Questi due commi successivi non parlano più di esecutività, bensì proprio di esecuzione quando affermano che l'appello "non sospende l'esecuzione" e che tuttavia il Consiglio di Stato, su istanza di parte, può disporre "che l'esecuzione sia sospesa". "La legge pone difatti a disposizione dell'amministrazione che dovrebbe ottemperare e dei controinteressati la possibilità di avvalersi di un rimedio che consente di paralizzare l'obbligo nascente dalla pronunzia di primo grado, rimedio che è costituito dall'istanza di sospensione che può essere rivolta al Consiglio di Stato, ovviamente nella ipotesi in cui venga proposto appello." "Se quindi il termine per appellare è ancora aperto non vi è l'obbligo di eseguire, dato che l'amministrazione conserva ancora il diritto, con la proposizione dell'appello, di costituire il presupposto per presentare l'istanza di sospensione. Ma una volta che sia stato presentato l'appello senza che l'amministrazione (o i controinteressati) abbiano proposto l'istanza di sospensione, oppure una volta che questa istanza venga respinta, la decisione nel caso che le parti vincitrici in primo grado lo richiedano, deve essere eseguita in via amministrativa. Sembra poi utile precisare che se l'amministrazione o i controinteressati, pur avendo inoltrato appello non abbiano prodotto contestualmente l'istanza di sospensione della sentenza, rimane ad essi aperta sempre la possibilità di proporre in prosieguo l'istanza di sospensione. Questa possibilità ulteriore non esonera però l'obbligo di eseguire la sentenza nel caso che l'interessato ne faccia richiesta, perché altrimenti l'amministrazione diventerebbe arbitra di prolungare nel tempo tale esonero vanificando sine die il dettato normativo della immediata esecutività. Ciò non toglie peraltro che nella ipotesi in cui sia stato proposto l'appello, e si sia costituito così il presupposto per la proposizione dell'istanza di sospensiva non presentata però contestualmente perché non ritenuta necessaria dalla mancanza, all'epoca dell'appello, della richiesta dell'interessato di volersi avvalere del diritto di far eseguire la sentenza, se in pendenza dell'appello, l'interessato richieda questa esecuzione, deve allora essere consentito all'amministrazione di avvalersi del suo diritto parallelo di chiedere entro un tempo ragionevole la sospensione della sentenza. Trascorso questo tempo ragionevole non vi è più nessuna giustificazione che esoneri l'amministrazione dall'obbligo di eseguire la sentenza." 10 - Estensione in forma generalizzata degli effetti soggettivi di giudicati amministrativi in materia di pubblico impiego. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica - ha fornito chiarimenti in materia con la C.M. 7 ottobre 1986, n. 53930/8.93.12 che qui di seguito si riporta. "L'art. 22 del D.P.R. 1 febbraio 1986, n. 13, disciplina la rilevazione degli andamenti giurisprudenziali in materia di pubblico impiego mediante l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, di un "Osservatorio sulle pronunce giurisprudenziali in materia di pubblico impiego". Tale istituzione, finalizzata alla conoscenza e diffusione degli orientamenti interpretativi assunti dalla giurisprudenza amministrativa in materia di rapporto di pubblico impiego, è peraltro strettamente connessa - costituendone il presupposto fondamentale - con le disposizioni operative previste dai successivi commi secondo e terzo dello stesso art. 22 sopra citato, che concernono rispettivamente la formulazione di norme interpretative in ordine ai contenuti contrattuali, con la eventuale emanazione di opportuni provvedimenti normativi e/o amministrativi, e la consultazione delle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale per la estensione in forma generalizzata degli effetti soggettivi di giudicati amministrativi in materia di impiego pubblico. In relazione ad appositi quesiti, una particolare esigenza di chiarimenti richiede la disposizione del terzo comma della norma di cui trattasi al fine di definire una corretta procedura per l'adozione delle decisioni per la estensione in forma generalizzata degli effetti soggettivi di giudicati amministrativi in materia di pubblico impiego e per le consultazioni delle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale. In proposito, tenendo conto di quanto detto in precedenza, si rileva in via preliminare che la disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 22 del D.P.R. n. 13/1986 va inquadrata ovviamente nell'ambito dell'intero contesto della norma in esame, in quanto detta norma, così come già rilevato, si presenta strutturata in modo tale che i tre commi che la compongono formino un tutt'uno inscindibile. Non può non osservarsi poi che le decisioni per la estensione in forma generalizzata dei detti giudicati investono indubbiamente valutazioni che potrebbero superare l'ambito dell'amministrazione interessata al problema di specie e che pertanto per loro stessa natura non possono che ricondursi ad un centro unitario di coordinamento. Infatti sono possibili tre livelli di estensione generalizzata di effetti soggettivi dei giudicati amministrativi: un primo livello potrebbe essere limitato nell'ambito del personale dell'amministrazione soccombente, un secondo livello di estensione potrebbe riguardare il personale dell'intero comparto ed, infine, un terzo livello potrebbe avere come destinatario il personale di alcuni o di tutti i comparti di contrattazione collettiva. Non può disconoscersi poi che la finalità principale delle disposizioni dell'art. 22 del citato decreto del Presidente della Repubblica è individuabile nell'unicità di indirizzo interpretativo della disciplina del rapporto di pubblico impiego e che tale finalità può essere perseguita soltanto tenendo presente la problematica complessiva di tutto il pubblico impiego. Per quanto sopra considerato, gli adempimenti connessi con l'applicazione della norma in parola, comprese le consultazioni delle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, rientrano nelle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, sia in conseguenza di una lettura in chiave sistematica del citato art. 22 e sia per le attività tipiche di indirizzo e coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri costituzionalmente previste (art. 95 Cost.) e più in particolare per l'attribuzione dell'"attività di indirizzo e coordinamento generale in materia di pubblico impiego" indicata dall'art. 27 della legge 29 marzo 1983, n. 93 ("legge quadro sul pubblico impiego"). Pertanto, tutte le pubbliche amministrazioni sono tenute ad inviare a questa Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, i provvedimenti giurisdizionali che riguardano le posizioni giuridiche soggettive suscettibili di estensione a favore dei dipendenti che versino nella stessa situazione oggetto della pronuncia. Sarebbe opportuno anzi che il Dipartimento della funzione pubblica fosse informato tempestivamente anche dell'insorgere di controversie giudiziarie riguardanti questioni aventi riflessi di carattere generale. Le consultazioni che le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale previste per l'estensione dei giudicati in parola saranno quindi effettuate da questo Dipartimento, d'intesa con l'amministrazione interessata, anche per valutare la eventuale opportunità, secondo i casi, di una estensione in forma generalizzata o al personale dipendente dalla singola amministrazione, o a quello incluso nello stesso comparto di contrattazione in cui è compresa la predetta amministrazione, o ancora a tutto il personale pubblico dipendente. Si coglie l'occasione per invitare tutte le amministrazioni in indirizzo ad inviare tempestivamente a questa Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, copia di ogni decisione giurisdizionale ai fini dell'inserimento nella rivista quadrimestrale del già citato osservatorio sulle pronunce giurisdizionali in materia di pubblico impiego." Con successiva C.M. 31 gennaio 1990, prot. n. 45252/7.383 la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri ha fornito le seguenti ulteriori indicazioni: "1) Le Amministrazioni interessate non devono limitarsi a chiedere l'"avviso" di questo Dipartimento sulla possibilità di estensione di un giudicato amministrativo, ma devono esse valutare i presupposti e l'opportunità della iniziativa e manifestare quindi esplicitamente la volontà di estensione degli effetti della cosa giudicata con la "richiesta" di attivazione della procedura prevista dalla norma di cui trattasi. La "richiesta" deve essere corredata di tutti gli elementi cognitivi del caso, precisando in particolare sia il numero dei dipendenti interessati sia i costi della eventuale estensione, per la parte di competenza. In conseguenza, l'Amministrazione potrà procedere alla estensione di un giudicato amministrativo in favore di dipendenti in posizione giuridica soggettiva identica a quella dei ricorrenti soltanto a seguito della "determinazione" di questa Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica. Tale "determinazione" interverrà, com'è noto, dopo che siano state consultate - unitamente ai Ministeri del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, del Lavoro e della Previdenza Sociale ed alle Amministrazioni interessate - le Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Senza l'esplicita "richiesta" di una Amministrazione nei termini sopra precisati, il Dipartimento della Funzione Pubblica non potrà attivare la particolare procedura per la "determinazione" di estensione di giudicato e quindi non procederà a consultare le predette Confederazioni. Parimenti il Dipartimento della Funzione Pubblica non prenderà in considerazione richieste di estensione individuali o collettive, direttamente avanzate dagli interessati anche se inoltrate per il tramite delle Amministrazioni di appartenenza. 2) La "richiesta" di estensione di un giudicato amministrativo e la conseguente estensione di tale giudicato, nel rispetto della procedura suddetta, può riguardare soltanto personale contrattualizzato rientrante nell'ambito dei comparti di contrattazione collettiva determinati con D.P.R. 5 marzo 1986, n. 68. E' appena il caso di evidenziare che il procedimento di estensione in parola riguarda effetti soggettivi che scaturiscono da una interpretazione giurisdizionale di norme concernenti il rapporto di pubblico impiego, diversa da quella applicata dall'Amministrazione. Si verifica, così, che la semplice esecuzione della decisione non incide sulla generalità dei dipendenti nella identica posizione giuridica, ma produce effetti nella sola sfera dei ricorrenti. Pertanto, occorre valutare se sussista l'interesse pubblico di assicurare la parità di trattamento tra i pubblici dipendenti che, pur versando nella stessa situazione giuridica di chi ha ottenuto una favorevole decisione giurisdizionale passata in giudicato, per non essere stati parte nel giudizio, non possono chiedere i benefici derivanti dalla "cosa giudicata". Inoltre, occorre accertare se detta "cosa giudicata" investa in forma generalizzata situazioni giuridiche proprie del personale dipendente da una singola Amministrazione, o di quello incluso nello stesso Comparto di contrattazione in cui è compresa l'amministrazione che ha avanzato la "richiesta", o, ancora, di tutto il personale pubblico dipendente. E' altresì necessario puntualizzare che i provvedimenti giurisdizionali di mero annullamento di norme negoziate non costituiscono presupposti di estensione ex art. 22 del D.P.R. n. 13/1986, ma necessitano invece di un procedimento modificatorio da parte dei soggetti originariamente legittimati a tale produzione normativa. 3) L'esercizio della facoltà di estensione di un giudicato presuppone che: a) sussista un interesse pubblico nell'assicurare parità di trattamento tra soggetti che rivestino il medesimo status e che si trovino in posizioni giuridiche uguali a quelle dei ricorrenti che, attraverso un giudicato, hanno avuto riconosciuto un trattamento più favorevole di quello attribuito dall'Amministrazione; b) si sia formato un giudicato in senso tecnico, e cioè che la decisione non sia ulteriormente suscettibile di impugnazione. Pertanto, l'esecutorietà che assiste in via generale le decisioni dei Tribunali Amministrativi ex art. 33 della legge istitutiva dei T.A.R. non costituisce sicuramente presupposto per il procedimento di estensione; c) sia emerso un orientamento giurisprudenziale uniforme e consolidato. Quindi, non saranno adottate "determinazioni" su richieste di estensione extra partes di decisioni suscettibili di gravame o che recepiscano principi ancora controversi. Appare opportuno, infine, segnalare che, ai sensi dell'art. 2 - VII comma - della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988) nei casi di sentenze definitive di organi giurisdizionali recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di maggiori oneri, il Governo è tenuto a darne tempestiva notizia al Parlamento con apposita relazione del Ministero del Tesoro e ad assumere le conseguenti iniziative. In connessione alla richiamata normativa si ritiene che si debba procedere parimenti nei casi di estensione del giudicato amministrativo." Nella soprariportata circolare è ancor più segnatamente evidenziato che l'esercizio della facoltà di estensione degli effetti di una decisione giurisdizionale passata in giudicato, la quale fa testo solo tra le parti in causa, esige una preventiva esplicita valutazione, da parte dell'Amministrazione, non solo dell'opportunità ma anche dei presupposti che consentono l'ampliamento degli ambiti di applicazione della decisione medesima. Tanto premesso, si ritiene di dover richiamare l'attenzione sulla circostanza che la suddetta valutazione, per la sua stessa natura, di regola supera i limiti di competenza degli Uffici Scolastici periferici. Essa, infatti, è intesa - salvo eccezioni date da problematiche ad esclusiva rilevanza locale - a realizzare una uniformità di indirizzi e comportamenti operativi sull'intero territorio nazionale, e richiede per questo un livello unitario di coordinamento. E' necessario, conseguentemente, che le formali iniziative dirette all'attivazione del procedimento di estensione in parola vengano intraprese nell'ambito delle attività di competenza del Ministero. Ciò anche tenuto conto che l'eventuale estensione extra partes del giudicato, inducendone un'esecuzione di tipo diffuso, potrebbe per ciò stesso postulare l'emanazione di atti a contenuto generale. Per quanto sopra considerato, gli Uffici Scolastici periferici devono astenersi dall'avanzare direttamente al menzionato Dipartimento per la Funzione Pubblica richieste di estensione di giudicato. Gli Uffici Scolastici periferici, invece, ove ravvisino, per la parte di rispettiva competenza, la sussistenza dei richiesti presupposti, dovranno fornire puntuale e motivata informativa al Ministero. Appare indispensabile, peraltro, al fine di consentire al Ministero le connesse valutazioni da svolgere nei termini chiariti dalla sopracitata C.M. 31 gennaio 1990, prot. n. 45252/7.383 (accertamento dei presupposti e opportunità dell'iniziativa) che le informative medesime siano corredate di essenziali ed analitici elementi cognitivi così enucleabili: 1 - puntuale indicazione sia della decisione suscettibile di estensione, sia delle altre decisioni che dimostrino il formatosi orientamento giurisprudenziale uniforme e consolidato (con allegazione, se possibile, di copie delle decisioni); 2 - numero dei dipendenti da ritenersi potenzialmente interessati (ovviamente calcolato nell'ambito territoriale di competenza); 3 - computo dei costi conseguenti all'eventuale estensione del giudicato, con esplicitazione dei criteri logici e contabili seguiti per la quantificazione.
PARERI DEL CONSIGLIO DI STATO CITATI NELLA CIRCOLARE
Circolare Ministeriale 3 luglio 1982 Prot. n. 2741/1.111 UCI Oggetto: Ricorsi straordinari al Capo dello Stato - Parere del Consiglio di Stato - Adunanza della Commissione speciale dell'8 marzo 1982 - Sezione Terza - numero 1206/81 - Rilascio documentazione PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI. Gabinetto. A tutti i ministri - Loro sedi; e, per conoscenza: Al dipartimento per gli affari giuridici, legislativi e per i rapporti con gli organi costituzionali - Sede. Nel trasmettere in copia il parere n. 1206/1981 emesso dal Consiglio di Stato in ordine alle modalità del rilascio agli interessati della documentazione annessa ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato, si pregano le Amministrazioni in indirizzo di attenersi scrupolosamente ai criteri suggeriti dal predetto Alto Consesso. Parere 8 marzo 1982, n. 1206/1981 (Consiglio di stato, Commissione speciale), (1).- Avv. Alfonso Martucci c/ Ministero del tesoro - E.N.T.V. - Ricorso straordinario avverso alienazione appartamento sito in Roma, via Dora n. 2 int. 19 e 21. La commissione speciale Vista la relazione n. LE/243-11 dell'8 ottobre 1981, con la quale il Ministero del Tesoro (Ragioneria generale dello Stato) ha chiesto il parere sul ricorso straordinario proposto dall'avv. Alfonso Martucci; Esaminati gli atti e udito il relatore; RITENUTO IN FATTO Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del 6 febbraio 1981, con cui la Commissione incaricata di procedere alle operazioni di gara per la vendita all'asta di un appartamento sito in Roma, via Dora, 2, piano primo, interni 19 e 21, ha deliberato di non procedere all'aggiudicazione. Con istanza del 10 novembre 1981 il difensore del ricorrente ha chiesto al Presidente della III Sezione di questo Consiglio l'autorizzazione a ottenere copia della relazione ministeriale sul ricorso e degli eventuali documenti prodotti dall'Amministrazione. Con decreto 22 gennaio 1982, n. 5 il Presidente del Consiglio di Stato ha deferito l'esame dell'affare a una commissione speciale. CONSIDERATO DI DIRITTO 1.- La disciplina del contraddittorio nel procedimento amministrativo promosso con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica non prevede espressamente la regola dell'estensibilità del fascicolo alle parti interessate. La giurisprudenza di questo Consiglio ha, tuttavia, ritenuto applicabile a detto procedimento la norma generale dettata dall'art. 15 del D.P.R. n. 3/1957, che consente agli interessati di richiedere all'Amministrazione copia ed estratti di atti e documenti d'ufficio e "nei casi non vietati dalle leggi, dai regolamenti o dal capo di servizio" (Ad. plen. 10 giugno 1980, n. 22). Nel caso in esame occorre stabilire come la norma citata debba applicarsi; allorché gli atti siano stati trasmessi al Consiglio di Stato per il parere e se in particolare, il ricorrente o le altri parti possano prendere visione del fascicolo ed estrarre copia di atti e documenti presso gli uffici delle sezioni consultive. 2.- Va premesso, al riguardo, che l'attività consultiva del Consiglio di Stato, così come è attualmente disciplinata, è in tutti i casi attività priva di contatti con soggetti estranei all'Amministrazione, circondata da particolari garanzie di riservatezza, onde, ad esempio, non è consentito far conoscere il nome del relatore ( comma 1, art. 56 del regio decreto 21 aprile 1942, n. 444) né dar copia o comunicazione dei pareri emessi, che vanno richiesti al Ministero competente (art. 56, comma 2 e 3, regio decreto citato). Anche quando l'attività consultiva si inserisca con funzioni di garanzia nell'ambito di un procedimento c.d. giudiziale, quale è quello su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, essa resta pur sempre attività interna e non dà luogo a rapporti diretti tra il Consiglio di Stato e gli interessati, i quali, se credono di sottoporre memoriali o documenti, devono rassegnarli al Ministero, cui spetta di provvedere (art. 49 regio decreto 21 aprile 1942, n. 444). Unica eccezione a questa regola è la norma che consente al ricorrente la presentazione diretta, ma subordinatamente all'inerzia del Ministero competente (comma 2 dell'art. 11 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199). In un sistema di tal genere (a parte ogni valutazione sulla sua opportunità e sulle proposte legislative di modifica) mal si collocherebbe l'accesso diretto delle parti al fascicolo depositato presso le segreterie delle sezioni consultive del Consiglio di Stato. Ciò consentirebbe a soggetti privati di venire a conoscenza anche di atti o informazioni eventualmente riservati o segreti, trasmessi dall'Amministrazione al Consiglio di Stato proprio in considerazione della loro destinazione. Né potrebbe richiamarsi la disciplina dettata per il giudizio amministrativo, in cui è espressamente previsto il dovere di produzione degli atti e dei documenti, in base ai quali l'atto impugnato è stato emanato (comma 4 dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) e tutti i documenti contenuti nel fascicolo rimangono a disposizione delle parti (arg. art. 35 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642). Le norme sul processo non sono, infatti, applicabili al procedimento amministrativo, né ciò concreta violazione dell'art. 24 Cost., il quale garantisce pienamente il diritto alla difesa soltanto nei procedimenti giurisdizionali (Ad. plen. dec. n. 22 del 1980 cit.). Va, altresì, considerata, attesa l'applicabilità, nel procedimento amministrativo, dell'art. 15 del D.P.R. n. 3/1957, la possibilità che il rilascio di copie o di estratti venga negato nei casi ivi indicati, anche se la legittimità di tale diniego è sempre sindacabile (in sede di autonoma impugnazione) alla luce dell'esigenza di assicurare un'adeguata tutela: sia pur in sede di ricorso amministrativo (Cons. Stato Sez. VI, 22 aprile 1969, n. 205). Solo il Ministero riferente, quindi, è competente a determinare gli eventuali limiti alla facoltà delle parti di avere copia degli atti e a procedere al rilascio, nei tempi tecnici strettamente necessari. A tale principio non sembrano che debbano introdursi deroghe; neppure allorché la richiesta di parere sia pervenuta al Consiglio di Stato. Di regola tale evenienza non comporta particolare difficoltà giacché i Ministeri competenti, sono soliti conservare gli originali degli atti trasmessi o copie autentiche degli stessi. Nei casi eccezionali, in cui i Ministeri non fossero più in possesso di alcun esemplare degli atti in questione, potrebbero procedersi alla loro temporanea restituzione da parte delle Segreterie delle Sezioni consultive. Né tale semplice adempimento dovrebbe, ritenersi, causa di inutili ritardi, specie ove si consideri che la richiesta di copia prelude normalmente alla proposizione di motivi aggiunti o alla presentazione di memorie, sulle quali il Ministero competente, nell'esercizio delle sue funzioni di Autorità incaricata dell'istruzione, dovrebbe riferire avendo presente gli atti su cui le deduzioni delle parti fossero fondate. Per evitare, frattanto, un inutile esame della questione da parte del Consiglio di Stato, sarebbe in questi casi utile una immediata segnalazione (alla Segreteria) della presentazione di nuovi atti o documenti, a iniziativa della parte interessata o del Ministero riferente. 4.- Al fine di rendere più agevole il rilascio di copie degli atti sarebbe, poi, opportuno che i Ministeri trattenessero in ogni caso gli originali. La richiesta di copia della relazione potrebbe essere poi pervenuta, con sostanziale economia di attività amministrativa, se i Ministeri riferenti provvedessero di loro iniziativa a spedirla al ricorrente e alle altre parti che abbiano presentato deduzioni. P.Q.M. Sospende la pronuncia del parere finché il Ministero riferente non comunichi di aver provveduto sull'istanza in data 10 novembre 1981 del ricorrente, che va ad esso trasmessa. Poiché le questioni trattate interessano tutti i Ministeri e potrebbero formare oggetto di istruzioni generali, manda alla segreteria di trasmettere copia della presente pronuncia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 57 regio decreto 21 aprile 1942, n. 444.
Parere 26 novembre 1977, (Consiglio di stato, sezione II).-, Art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in materia di immediata esecuzione delle sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali. La commissione speciale Vista la relazione n. 1543 del 26 luglio 1977 con la quale il Ministero della Pubblica Istruzione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sulla interpretazione dell'art. 33 della legge 16 dicembre 1971, n. 131 e cioè sulla questione relativa alla immediata esecutività delle sentenze dei tribunali Amministrativi regionali; Esaminati gli atti e udito il relatore; Riferisce il Ministero della Pubblica Istruzione (Dir. gen. istr. classica, scientifica e magistrale) che in occasione della notifica di numerose sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali, con le quali sono stati accolti ricorsi proposti contro l'Amministrazione, in particolare in materia di giudizi di non maturità, l'Avvocatura generale dello Stato e le singole Avvocature distrettuali hanno invitato la Direzione generale dell'Istruzione classica scientifica e magistrale ad astenersi dall'attività di esecuzione prevista dall'art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in attesa delle determinazioni circa la opportunità delle proporzioni dell'appello e della contestuale istanza di sospensione. Tale indicazione di comportamento, motivata in via di fatto dalla evidente necessità di non precludere, con l'esecuzione delle sentenze, la possibilità di avvalersi della sospensiva di cui all'art. 33, comma III, della summenzionata legge, è stata giustificata, sotto il profilo giuridico, con una interpretazione del summenzionato art. 33 della legge n. 1034/1971 per cui l'esecutività delle decisioni di annullamento del T.A.R. non comporterebbe, prima del passaggio in giudicato delle decisioni medesime, l'obbligo dell'Amministrazione di conformarsi. Per esecutività, secondo l'Avvocatura generale, non potrebbe intendersi altro che l'immediata operatività della pronuncia costitutiva di annullamento nei confronti però delle ulteriori conseguenze che l'atto annullato sarebbe stato idoneo a produrre, senza peraltro comportare un obbligo per l'Amministrazione di eliminare le conseguenze già prodotte dall'atto annullato, sino al passaggio in giudicato delle sentenze. La predetta interpretazione dell'art. 33 della legge n. 1034/71 ha determinato il sorgere di una nuova conflittualità con le parti vincitrici delle cause che, in più occasioni, hanno proposto diffide giudizi di ottemperanza o addirittura adito l'Autorità giudiziaria ordinaria per i reati di ritardo e omissione di atti d'ufficio, al fine di provocare l'immediata esecuzione delle sentenze da parte dell'Amministrazione, anche in considerazione della rilevanza, per determinate fattispecie, della tempestività dell'esecuzione stessa. Attesa la rilevanza della questione anche sotto il profilo delle eventuali responsabilità che potrebbero derivare è sembrato opportuno acquisire in proposito il parere del Consiglio di Stato. Considerato in diritto L'art. 33 della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034 stabilisce: "Le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali sono esecutive. Il ricorso in appello al Consiglio di Stato non sospende l'esecuzione della sentenza impugnata. Il Consiglio di Stato, tuttavia, su istanza di parte, qualora dall'esecuzione della sentenza possa derivare un danno grave e irreparabile, può disporre, con ordinanza motivata emessa in Camera di Consiglio, che l'esecuzione sia sospesa". Le opinioni manifestate finora in ordine all'interpretazione della norma richiamata non appaiono concordi, essendosi da taluni sottolineata l'esigenza di una interpretazione conforme al testo letterale della legge, che sembra attribuire alle sentenze di primo grado il carattere dell'immediata esecutività, con tutte le conseguenze che da questa derivano; mentre da altri, che si rifanno alla sistematica dell'intero processo, si è attribuita alla formula legislativa una portata più restrittiva. In quest'ultimo ordine di idee si è sostenuto che la formula legislativa "esecutività della sentenza di primo grado" opererebbe solo nell'ambito del processo non indicando cioè un'operatività della sentenza al di fuori di esso. In altri termini la sentenza di primo grado sarebbe esecutiva solo nel senso di costituire il presupposto logico giuridico per potersi aprire la seconda fase del processo. Sempre nell'ordine di idee d'una interpretazione restrittiva è l'opinione espressa dall'Avvocatura generale dello Stato e riferita nella relazione ministeriale propositiva del quesito cui si risponde. "L'esecutività" delle decisioni di annullamento di primo grado non comporterebbe, prima del passaggio in giudicato delle decisioni medesime, l'obbligo dell'Amministrazione di conformarvisi. Per esecutività dovrebbe solo intendersi che l'immediata operatività della pronuncia di annullamento impedisce all'atto annullato di continuare a produrre ulteriori conseguenze giuridiche. Più in concreto, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, l'esecutività della pronuncia di annullamento non passata in giudicato, impedirebbe solo l'ulteriore applicazione dell'atto annullato, che diverrebbe perciò inidoneo a produrre conseguenze giuridiche, ma non inciderebbe sulla giuridica esistenza delle conseguenze già prodotte n nel senso che l'Amministrazione, sia tenuta immediatamente ad eliminarle; e quindi l'Amministrazione stessa prima del passaggio in giudicato della sentenza non sarebbe tenuta a compiere alcuna attività, ma solo ad astenersi dal continuare ad applicare l'atto annullato, Le considerazioni dell'Avvocatura generale dello Stato costituiscono un serio tentativo per razionalizzare un sistema che il legislatore ha voluto invece disegnare, in un certo modo. Non possono difatti nascondersi le conseguenze cui si va incontro nell'eseguire con comportamenti positivi un comando ancora sub judice in particolare, nell'ambito amministrativo, l'adozione di nuovi provvedimenti ottemperativi della pronuncia giurisdizionale comporta la trasformazione di situazioni giuridiche con effetti spesso irreversibili sul piano pratico. Si immagini ad esempio proprio il caso su cui si è soffermato il parere dell'Avvocatura generale dello Stato, dell'annullamento di una graduatoria concorsuale, in cui l'emanazione di un provvedimento ottemperativo della sentenza comporti l'adozione di una nuova graduatoria, con effetti di macroscopica evidenza, come quello dello spostamento di sedi o della esclusione dalla graduatoria di soggetti e della inclusione di altri, etc. In tutti questi casi, gli atti di esecuzione pur così notevoli nelle conseguenze pratiche possono risultare a breve scadenza effimeri, in conseguenza di una sentenza di secondo grado che riformi quella di primo grado già eseguita dall'Amministrazione. Pur in presenza di così seri inconvenienti, il Consiglio di Stato, non ritiene però di poter aderire alle restrittive interpretazioni proposte, dato che esse appaiono contrastare con la formulazione legislativa. Il carattere della esecutività non è solo enunciato nel primo comma dell'art. 33 della legge n. 1034/1971, il che avrebbe potuto lasciar adito ad una interpretazione della formula armonizzata con il sistema, ma esso è ribadito nei due commi successivi che ne chiariscono il significato di attitudine propria all'esecuzione. Questi due commi successivi non parlano più di esecutività, bensì proprio di esecuzione quando affermano che l'appello "non sospende l'esecuzione" e che tuttavia il Consiglio di Stato, su istanza di parte, può disporre "che l'esecuzione sia sospesa". Da un canto quindi non può aderirsi alla tesi che restringe il significato di esecutività all'attitudine della sentenza di primo grado a costituire il presupposto logico-giuridico per l'instaurazione della fase di appello, perché è la sentenza di per sé che costituisce tale presupposto, e quindi a questi fini sarebbe stato assolutamente inutile fare riferimento al concetto di esecutività. D'altro canto non può aderirsi alla tesi dell'Avvocatura dello Stato, data la presenza dei due commi successivi dell'art. 33 che parlando di "esecuzione" mostrano di riferirsi ad un comportamento positivo ottemperativo della pronunzia. Se dunque l'appello non sospende l'esecuzione, vuol dire che questa deve avere luogo, mentre l'esonero da questo obbligo può aversi solo in presenza di una pronunzia soprassessoria del giudice di appello. Quest'ultima possibilità appare peraltro idonea ad attenuare gli inconvenienti in precedenza messi in evidenza circa l'irrazionalità di un sistema che impone l'adozione di provvedimenti ottemperativi di un presupposto precario perché ancora sub judice. La legge pone difatti a disposizione dell'amministrazione che dovrebbe ottemperare a dei controinteressati la possibilità di avvalersi di un rimedio che consente di paralizzare l'obbligo nascente della pronuncia di primo grado, rimedio che è costituito dall'istanza di sospensione che può essere rivolta al Consiglio di Stato, ovviamente nella ipotesi in cui venga proposto appello. Ora appare evidente che se la legge appresta questo rimedio, l'obbligo di ottemperare sorge soltanto quando, nei termini previsti, il rimedio medesimo non venga esperito. Se quindi il termine per appellare è ancora aperto non vi è l'obbligo di eseguire, dato che l'amministrazione conserva ancora il diritto, con la proposizione dell'appello, di costituire il presupposto per presentare l'istanza di sospensione. Ma una volta che sia stato presentato l'appello senza che l'amministrazione (o i controinteressati) abbiano proposto l'istanza di sospensione, oppure una volta che questa istanza venga respinta, la decisione nel caso che le parti vincitrici in primo grado lo richiedano, deve essere eseguita in via amministrativa. Sembra poi utile precisare che se l'amministrazione o i controinteressati, pur avendo inoltrato appello non abbiano prodotto contestualmente l'istanza di sospensione della sentenza, rimane ad essi aperta sempre la possibilità di proporre in prosieguo l'istanza di sospensione. Questa possibilità ulteriore non esonera però l'obbligo di eseguire la sentenza nel caso che l'interessato ne faccia richiesta, perché altrimenti l'amministrazione diventerebbe arbitra di prolungare nel tempo tale esonero vanificando sine die il dettato normativo della immediata esecutività. Ciò non toglie peraltro che nella ipotesi in cui sia stato proposto appello, e si sia costituito così il presupposto per la proposizione dell'istanza di sospensiva non presentata però contestualmente perché non ritenuta necessaria dalla mancanza, all'epoca dell'appello, della richiesta dell'interessato di volersi avvalere del diritto di far eseguire la sentenza, se in pendenza dell'appello, l'interessato richieda questa esecuzione, deve allora essere consentito all'amministrazione di avvalersi del suo diritto parallelo di chiedere entro un tempo ragionevole la sospensione della sentenza. Trascorso questo tempo ragionevole non vi è più nessuna giustificazione che esoneri l'amministrazione dall'obbligo di eseguire la sentenza. Il quesito sottoposto a questa Commissione speciale non comprende anche la questione relativa all'ammissibilità, per le sentenze di primo grado appellate o ancora soggette ad appello del ricorso per l'esecuzione del giudicato (art. 37 della legge n. 1034/1971 e n. 4 dell'art. 27, T.U. n. 1054 del 1924). Né d'altronde da un quesito del genere l'organo consultivo si riterrebbe abilitato a rispondere, ove si consideri che spetta all'organo giurisdizionale stabilire se la sentenza di primo grado non divenuta ancora giudicato costituisca presupposto per l'esperibilità del rimedio, tenuto anche conto comunque che anche se esperito il rimedio suddetto, la sentenza di cui si chiede la esecuzione al giudice di primo grado, potrebbe in prosieguo sempre essere sospesa dal giudice di appello, vanificando così il presupposto del giudice di ottemperanza. P.Q.M. Nelle considerazioni che precedono è il parere del Consiglio di Stato
ELENCO DEI TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI E DEGLI UFFICI DELL'AVVOCATURA DELLO STATO AI QUALI COMPETE IL PATROCINIO T.A.R. del Lazio, Avvocatura Generale dello Stato - Roma; T.A.R. degli Abruzzi, Avvocatura Distrettuale di Stato - L'Aquila; T.A.R. della Campania, Avvocatura Distrettuale di Stato - Napoli; T.A.R. della Campania - Sez. Salerno, Avvocatura Distrettuale di Stato - Salerno; T.A.R. della Lombardia, Avvocatura Distrettuale di Stato - Milano; T.A.R. della Lombardia - Sez. Brescia, Avvocatura Distrettuale di Stato - Milano; T.A.R. dell'Emilia Romagna, Avvocatura Distrettuale di Stato - Bologna; T.A.R. della Calabria, Avvocatura Distrettuale di Stato - Catanzaro; T.A.R. della Calabria - Sez. Reggio Calabria, Avvocatura Distrettuale di Stato - Reggio Calabria; T.A.R. della Puglia, Avvocatura Distrettuale di Stato - Bari; T.A.R. della Puglia - Sez. Lecce, Avvocatura Distrettuale di Stato - Lecce; T.A.R. della Sicilia, Avvocatura Distrettuale di Stato - Palermo; T.A.R. della Sicilia - Sez. Catania, Avvocatura distrettuale Stato - Catania; T.A.R. della Toscana, Avvocatura Distrettuale di Stato - Firenze; T.A.R. dell'Umbria, Avvocatura Distrettuale di Stato - Perugia; T.A.R. del Molise, Avvocatura Distrettuale di Stato - Campobasso; T.A.R. del Veneto, Avvocatura Distrettuale di Stato - Venezia; T.R.G.A. Trento, Avvocatura Distrettuale di Stato - Trento; T.A.R. della Liguria, Avvocatura Distrettuale di Stato - Genova T.A.R. delle Marche, Avvocatura Distrettuale di Stato - Ancona; T.A.R. della Basilicata, Avvocatura Distrettuale di Stato - Potenza; T.A.R. del Friuli Venezia-Giulia, Avvocatura Distrettuale Stato - Trieste; T.A.R. della Valle d'Aosta, Avvocatura Distrettuale di Stato - Torino; T.A.R. del Piemonte, Avvocatura Distrettuale di Stato - Torino; T.A.R. della Sardegna, Avvocatura Distrettuale di Stato - Cagliari. |
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