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Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro Circolare Ministero Lavoro e Previdenza Sociale 1 aprile 1994, n. 43 Oggetto: L. 5 febbraio 1992, n. 104. Legge - quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate: art. 33 (agevolazioni) - L. 423/93 - Parere Consiglio di Stato n. 1611/92 Si fa seguito alla circolare di questo Ufficio n. 28/93 relativa all'articolo 33 della L. 104/1992 per comunicare alcuni aggiornamenti a seguito della L. 423 del 27/10/1993 (conversione in legge D.L. n. 324/93) e del parere del Consiglio di Stato n. 1611/92. 1) Accertamento dell'handicap L'art. 2, comma 2 della citata legge 423 prevede che, limitatamente al godimento delle agevolazioni di cui all'art. 33, quando la Commissione medica (art. 4 - L. 104/92) non si pronuncia entro novanta giorni dalla presentazione della domanda, gli accertamenti sono effettuati dal medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso la USL di appartenenza. Tale accertamento produce effetto fino all'emissione di quello definitivo da parte della commissione medica; è stato quindi superato il limite temporale, previsto precedentemente, di un anno di validità dalla certificazione provvisoria. 2) Astensione facoltativa L'art. 33, comma 1 della legge 104 prevede che la lavoratrice madre o in alternativa il lavoratore padre, anche adottivi, di un minore handicappato grave ha diritto al prolungamento del periodo di astensione facoltativa ex. art. 7 L. 1204/71 fino al compimento del terzo anno di età del minore con una indennità pari al 30% della retribuzione. Su tale questione il Consiglio di Stato, con parere n. 1611/92, osserva che "la spettanza dell'indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione, deriva immediatamente dalla circostanza che l'astensione facoltativa contemplata dall'art. 33, comma 1, ricade nell'ambito della stessa astensione facoltativa di cui all'art. 7 della legge n. 1204 del 1971, che viene dalla norma prolungata dal primo anno al terzo anno di vita nel caso di un minore con handicap. Si tratta dunque di una fattispecie particolare di ampliamento dell'istituto proprio del puerperio, con identità di disciplina. Tale indennità va corrisposta; secondo l'art. 15, comma 3 della legge n. 1204 del 1971, con i criteri previsti per le prestazioni previdenziali contro le malattie". 3) Indennizzabilità dei permessi mensili Lo stesso art. 33, comma 3 stabilisce il diritto di usufruire di tre giorni di permesso mensile dopo il compimento dei tre anni di età del disabile, da parte di genitori, anche adottivi, alternativamente e di parenti ed affini entro il terzo grado. In merito alla retribuibilità o meno di detti permessi, il comma 3 ter - art. 2 - della stessa legge 423 chiarisce che le parole "hanno diritto a tre giorni di permesso mensile" si devono interpretare nel senso che "tale permesso deve comunque essere retribuito". A tale proposito, il Consiglio di Stato rilevata preliminarmente l'entrata in vigore, nelle more del quesito, della citata norma di interpretazione autentica, osserva anche, indipendentemente dal tale interpretazione, che "non tanto di retribuibilità qui si tratta, quanto di indennizzabilità". "Invero, deve osservarsi che nella specie non si prospetta tanto una questione di retribuzione di una prestazione fittizia di lavoro, quanto una questione di perequazione di una prestazione assistenziale che sostituisce la prestazione lavorativa e dunque è di ostacolo alla percezione del corrispettivo proprio di questa. Di ciò dà conto la circostanza che il caso di comparazione è caratterizzato in questi stessi sensi: invero, la fattispecie del citato art. 8 della legge n. 903 del 1977 definisce la prestazione pecuniaria come indennità, ne individua l'obbligato nell'ente assicuratore di malattia, e pone in capo al datore di lavoro, attraverso lo schema proprio di una delegazione ex lege, semplicemente l'obbligo di anticipare l'indennità stessa compensandola con i contributi dovuti all'ente stesso. "Ciò posto deve osservarsi, in diretta risposta al quesito, che oltre che come disposto dalla norma di interpretazione autentica, appare esatta la prospettazione sostanzialmente compiuta dalla richiedente Amministrazione: invero, l'art. 33, comma 4, cit., con un rinvio compiuto non direttamente, ma per riflesso normativo (cioè per il tramite del richiamo all'art. 8 della legge n. 903 del 1977), opera un'equiparazione di schema tra i permessi giornalieri e mensili di cui allo stesso art. 33, comma 2 e 3, e i riposi orari giornalieri di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1977 (disposizione richiamata appunto dal cit. art. 8). Né osta a tale conclusione la circostanza lessicale che il comma 2, a differenza del comma 3, parli di permessi retribuiti: non solo perché, come testé detto, non di retribuzione, ma di indennizzo si tratta; ma soprattutto perché la fattispecie si completa, dal punto di vista del trattamento economico, con i succitati rinvii (quali, come ora visto, contemplano l'indennità). Del resto, l'indennità corrisponde in generale ad una funzione perequativa: e nella specie ciò trova ragione nell'alterità tra prestazione lavorativa e prestazione assistenziale: quest'ultima è compiuta non dall'apparato pubblico, ma - in luogo di questo - dal congiunto lavoratore, il quale, per compierla, è costretto a sospendere il rapporto di lavoro e dunque il suo diritto alla retribuzione: egli ne viene compensato attraverso la surrogazione della retribuzione con un'indennità di pari importo. "I presupposti di tale situazione caratterizzano sia il caso del permesso giornaliero (art. 33, comma 2) sia il caso del permesso mensile di tre giorni (art. 33, comma 3) senza apprezzabile differenza". Così definita la questione dell'indennizzabilità dei permessi previsti dal comma 3, occorre affrontare il problema della formulazione letterale dello stesso comma 3. La diversa denominazione, usata dal legislatore, che si riferisce ai "minori con handicap" quando l'assistenza è prestata dai genitori ed a "persone con handicap" nel caso dei parenti e affini, aveva fatto sorgere il dubbio che tale agevolazione fosse limitata per i genitori alla minore età del figlio disabile, mentre proseguisse oltre la maggiore età per gli altri congiunti. Tale dubbio è stato fugato dall'interpretazione del Consiglio di Stato, che con specifico riferimento all'handicappato grave maggiorenne, precisa che "la prestazione assistenziale può essere compiuta da qualsiasi parente o affine entro il terzo grado (ivi compreso evidentemente il genitore) purché convivente". 4) Lavoratori disabili Il comma 6 dispone che la persona handicappata maggiorenne può usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3 (due ore di permesso giornaliere e tre giorni di permesso mensile). Circa le modalità di utilizzo di questi permessi il Consiglio di Stato rileva che "in virtù del richiamo ai commi 2 e 3, di cui al comma 6 dello stesso art. 33, l'handicappato maggiorenne (lavoratore evidentemente) ha diritto di suo sia al permesso giornaliero retribuito, sia al permesso mensile di tre giorni. In questo speciale caso - secondo la volontà della legge - la prestazione assistenziale non richiede l'attività di un terzo, ma si esaurisce nella facoltà di dar luogo ad una indennità corrisposta dal datore di lavoro allo stesso assistito, sempre a scomputo del contributo per malattia. "Evidentemente il legislatore, a tale riguardo, ha reputato che questa sospensione del rapporto lavorativo sia meritevole di indennità in quanto per natura corrispondente ad una esigenza particolare di riposo dell'handicappato, che equipara ad una vera e propria prestazione assistenziale". Si sottolinea a tal proposito che l'indennizzabilità deve intendersi riferita sia al permesso giornaliero che al permesso mensile di tre giorni: non lascia dubbio, a tal fine, il richiamo ai commi 2 e 3 dell'art. 33, relativamente ai quali l'organo consultivo dell'amministrazione ha ritenuto l'indennizzabilità di entrambi i benefici ivi regolati.
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