Dipartimento per i servizi nel territorio
Dipartimento per lo sviluppo dell'istruzione
Nota 6 novembre 2003
Prot. n. 2781/Dip/Segr.
Oggetto: "I giovani ricordano la Shoah"
Nell'ambito delle iniziative che saranno realizzate
nel nostro Paese per celebrare il "Giorno della Memoria", istituito dal
Parlamento italiano con la Legge 211/2000 in ricordo della Shoah, la
Scuola, quale istituzione deputata alla crescita umana, civile e
culturale delle giovani generazioni e sede privilegiata di educazione e
formazione ai valori della democrazia e della solidarietà può svolgere
un ruolo di fondamentale importanza.
In tale ottica, al fine di promuovere studi e
approfondimenti da parte dei giovani su-gli orrori che hanno segnato
parte della storia europea nel secolo appena concluso e, al tempo
stesso, rafforzare i sentimenti di pace e solidarietà fra i popoli,
questo Ministero, con l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica,
in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
bandisce due distinti concorsi, riservati rispettivamente:
-
alle classi dell'istruzione primaria (elementari e
medie) sul tema "Il periodo della Shoah vissuto da bambini e ragazzi
come voi. Quali conoscenze avete in proposito? Quali considerazioni vi
vengono alla mente? Quali emozioni provate?";
-
alle classi dell'istruzione secondaria di II grado
sul tema "Popoli e singoli durante la Shoah. Vicende, ruoli e
comportamenti diversi: le vittime, i persecutori, quelli che hanno
voltato la sguardo, quelli che hanno reagito impegnandosi… La classe
dovrà trattare almeno due degli aspetti indicati nella traccia,
evidenziandone le correlazioni".
Tenuto conto dell'importanza e delle finalità
dell'iniziativa, le SS.LL. sono pregate di dare alla stessa la più ampia
diffusione tra le scuole di rispettiva competenza, sensibilizzandole ad
un impegno che possa garantirne la migliore riuscita e la partecipazione
piena e convinta ai Concorsi.
A tal fine le SS.LL. vorranno anche invitare le Scuole a promuovere,
nell'ambito dei percorsi didattici e dell'offerta formativa, occasioni e
momenti di riflessione, di confronto, di dibattito sui crimini e sugli
avvenimenti tragici che hanno segnato la vita dei popoli in un passato
recente.
Le SS.LL. vorranno infine costituire, presso i rispettivi Uffici, un
apposito gruppo di lavoro che possa adeguatamente seguire, orientare e
sostenere le scuole che intendano partecipare al Concorso, nonché
segnalare allo scrivente il nominativo di un referente appartenente al
gruppo di lavoro.
Per la documentazione si può fare riferimento ai Siti
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (www.ucei.it/giornodellamemoria
- tel 06/5898405) e della Fondazione CDEC (Centro di Documentazione
Ebraica Contemporanea - www.cdec.it).
Questo Ministero, dal canto suo, per ogni utile
informazione indica i seguenti numeri telefonici: - 06/58493090.- tel/fax
06/58492140; e-mail:
maria.barberini@istruzione.it.
Si ringrazia per la collaborazione.
IL CAPO DIPARTIMENTO
Pasquale Capo
"I giovani ricordano la Shoah"
BANDO DI CONCORSO
Nell'ambito delle iniziative che saranno realizzate
nel nostro Paese per celebrare il "Giorno della Memoria", istituito dal
Parlamento italiano con la Legge 211/2000 in ricordo della Shoah, questo
Ministero, con l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, in
collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, bandisce
due distinti concorsi, riservati rispettivamente:
-
alle classi dell'istruzione primaria
(elementari e medie) sul tema "Il periodo della Shoah vissuto da
bambini e ragazzi come voi. Quali conoscenze avete in proposito?
Quali considerazioni vi vengono alla mente? Quali emozioni provate?"
Vi proponiamo (in allegato) alcuni brani e immagini riferiti a quell'epoca,
che possono servirvi da spunti per le vostre riflessioni. Le classi
possono partecipare al concorso mediante l'elaborazione di disegni,
poster, favole, poesie, racconti, raccolte di memorie scritte o
registrate;
-
alle classi dell'istruzione secondaria di II
grado sul tema "Popoli e singoli durante la Shoah. Vicende,
ruoli e comportamenti diversi: le vittime, i persecutori, quelli che
hanno voltato la sguardo, quelli che hanno reagito impegnandosi…
La classe dovrà trattare almeno due degli aspetti indicati nella
traccia, evidenziandone le correlazioni". Le classi possono
partecipare attraverso la realizzazione di: ricerche, saggi, articoli
di giornale, opere teatrali, sceneggiature, video, CD, poster.
Per la documentazione si può fare riferimento ai Siti
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (www.ucei.it/giornodellamemoria
- tel 06/5898405) e della Fondazione CDEC (Centro di Documentazione
Ebraica Contemporanea - www.cdec.it).
INFORMAZIONI TECNICHE
Selezione dei vincitori e premi
Gli elaborati dovranno pervenire entro il 6 dicembre
2003 ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali, che
effettueranno, con la collaborazione del gruppo di lavoro appositamente
costituito, una prima selezione individuando i lavori ritenuti più
meritevoli a livello regionale (due per ogni ordine di studi).
I lavori selezionati dovranno essere inviati entro il mese di dicembre
2003 all' Ufficio del Capo Dipartimento per i Servizi nel Territorio
e per lo Sviluppo dell'Istruzione - MIUR - Viale di Trastevere, 76/a
00153 Roma. Una Giuria, composta da 4 rappresentanti del MIUR e 4
dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane, sceglierà tra questi ultimi i
più degni di nota, distinti per ordine di studi, i cui autori saranno
premiati in occasione del "Giorno della memoria".
Le classi vincitrici saranno ricevute dal Capo dello Stato e/o dalle più
alte Cariche Istituzionali e dal Presidente dell'Unione: con l'occasione
saranno organizzati momenti di riflessione e dibattito sulle tematiche
in oggetto.
Il programma dettagliato della giornata sarà fornito in tempo utile alle
classi interessate.
Allegati
“C’era
una volta la guerra”
Eravamo
d'estate quando è uscita la legge che obbligava gli alunni ebrei a
lasciare la scuola. Io avevo finito la terza elementare, sarei dovuta
andare in quarta. Non me l'hanno fatto capire subito per non darmi dei
dispiaceri. Però verso l'autunno mamma un giorno m'ha detto, col tono di
quella che racconta una cosa senza importanza: "Sai, il prossimo anno
non puoi più andare nella tua scuola e andrai in un'altra scuola dove ci
saranno tutti bambini ebrei". Per me è stata una doccia fredda: lasciare
la maestra, lasciare i compagni. Così è stato. L'inizio è stato
abbastanza difficile, però ho fatto amicizia coi nuovi compagni, poco
per volta ho poi voluto bene alla maestra. Ad ogni modo io aspettavo con
grandissima ansia il giorno in cui ci sarebbe stata la premiazione dei
bambini alla scuola pubblica dov'ero andata. Perché io in terza avevo
avuto il "premio di secondo grado". Avevo meritato un premio, perché ero
brava a scuola, di secondo grado perché ce n'era una più brava di me. Ma
ero contentissima. La premiazione avveniva a metà dell'anno dopo e io
aspettavo il giorno in cui sarei andata a ritirare il mio premio e a
rivedere la mia maestra e i miei compagni. Il giorno prima di quello
della premiazione suonarono alla porta di casa. Driin… chi sarà? Mia
mamma va ad aprire. Era la bidella della scuola Mignon, che portava un
pacchetto contenente un libro, e ha detto - potrei descrivervela,
piccola e grassa-: "La signora direttrice manda questo premio per la
bambina Elena O.; non deve venire domani alla premiazione per non
profanare le scuole del Regno d'Italia". E' stato il primo dispiacere
folle della mia vita. Ho pianto, ho urlato e… quel libro oltretutto era
anche brutto, un libro di mitologia greca, fascistissimo. E ho pianto e
urlato. Allora la mia mamma ha cercato di consolarmi dicendomi: "Faremo
una bella festa noi in casa, faremo la premiazione". Ha fatto venire
tutte le zie che fingevano di essere le patronesse e tutti i cuginetti
piccoli che erano piccolissimi e non capivano; ognuno ha avuto un
piccolo premio, la mamma s'è messa al piano e così abbiamo fatto una
gran bella festa a casa. Ma quello è stato il più grande dispiacere, il
mio primo grande dispiacere.
Da “C’era una volta la guerra”, a cura di Sonia Brunetti e Fabio Levi.
Silvio Zamorani editore, Torino 2002.
Così morì Emilia, che aveva
tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese la necessità storica di
mettere a morte i bambini degli ebrei. Emilia, figlia dell’ingegner Aldo
Levi di Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e
intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il
padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di zinco,
in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito
a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte.
Scomparvero così, in un istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri
genitori, i nostri figli… Li vedemmo un po’ di tempo come una massa
oscura all’altra estremità dalla banchina, poi non vedemmo più nulla.
da SE
QUESTO È UN UOMO, Primo Levi, Opere, Einaudi
1947
Varsavia
soffriva la fame
Varsavia
soffriva la fame, ma Janusz Korczak riusciva sempre a trovare i viveri
per i suoi bambini […]. Venne l'ordine di deportare tutti gli ebrei […].
Non si sa se avesse spiegato ai bambini del suo orfanotrofio a che cosa
dovessero prepararsi e dove sarebbero stati condotti. Si sa soltanto che
quando gli assassini assalirono la casa di Via Sienna 16 […], i duecento
innocenti condannati a morte non piansero […]. Si stringevano al loro
maestro […].
Fino ad oggi non si è saputo dove sia finito Korczak con i duecento
orfani. Secondo ogni probabilità, nessuno di loro è sopravvissuto.
Giosuè Perle, La distruzione di Varsavia, diario trovato fra il
materiale dell’archivio clandestino sepolto sotto le macerie del ghetto,
in Ricorda cosa ti ha fatto Amalek, di Alberto Nierenstajn.
Nel ghetto
di Varsavia
Agosto
1942
L'asilo infantile del dottor Janusz Korczak è ora vuoto. […]. Abbiamo
visto i tedeschi circondare la casa. File di bambini che si tenevano per
mano sono cominciati a uscire. C'erano tra loro creaturine di due o tre
anni; i più grandi arrivavano forse a tredici. Ognuno portava in mano un
fagotto e indossava un grembiule bianco. Camminavano a due a due, calmi,
sorridendo, senza sospettare nemmeno lontanamente la loro sorte. Il
corteo era chiuso dal dottor Korczak […]. La casa ora è vuota; le
guardie puliscono le stanze dei bambini assassinati.
Mary Berg, “Il ghetto di Varsavia”. Diario 1939-1944
Lettera alla madre
"Carissima mamma, dopo la mia scappata [da
casa] non ho potuto darti mie notizie per motivi che tu immagini. Ti do
ora un dettagliato resoconto della mia avventura: partii cosi
all'improvviso senza sapere io stesso che cosa stavo facendo. Camminai
finché potevo, poi mi fermai a dormire in un fienile in località Osteria
Matteazzi. Al mattino, svegliandomi con la fame, ripresi a camminare in
direzione di Gombola, sfamandomi con le more. Arrivai a Gombola verso le
nove e di lì cercai i partigiani, deciso a entrare a far parte di una
qualche formazione. Riuscii a trovare patrioti che mi insegnarono la
strada per andare al Comando che si trovava a Maranello di Gombola.
Arrivai nella detta località stanco morto, ma mi feci coraggio e mi
presentai. Dopo un po' mi si presentò l'occasione di entrare a far parte
della formazione Marcello.
“Sei contenta? Presentandomi a Marcello fui assunto e siccome ho
studiato fui dislocato al Comando e attualmente mi trovo stabile
relativamente sicuro in una località sopra a Gombola.
“Cosi non devi impensierirti per me che sto da re. La salute è ottima;
solo un po' precario il dormire. Per chiarire un increscioso incidente
ti avverto che non ho detto quella cosa che mi hai fatto giurare. Cosi
chiudo questa mia, raccomandandoti alto il morale, che ormai abbiamo
finito. Affettuosamente ti bacia e ti pensa il tuo tesoro. Appena
ricevuta la mia bruciala. Ancora ti saluto e ti abbraccio
Franco Cesana, era un ragazzo ebreo di
quasi tredici anni. E’ il più giovane partigiano d’Italia caduto in
battaglia.
Franco
Cesana in: Formiggini Gina, Stella d’Italia Stella di David. Gli ebrei
dal Risorgimento alla Resistenza
Eravamo
tutti amici
Dalla
testimonianza del dott. Paolo Rivoltella
Ricordo che andavamo tutti lì, in campo del Ghetto Novo, a giocare a
calcio, cosa proibita, e da lì scappavamo per tutte le calli che ci
davano un rifugio sicuro dalla grinfie dei vigili. Era bello,
divertente, sì, divertente. E così anche la vita in città scorreva
tranquillamente nonostante ci fosse come un senso di terrore che
avvolgeva tutta Venezia. Si sentiva ogni tanto lo scoppio di una bomba a
Marghera, se ci pensate, era a due passi dalle nostre case e aleggiava
sempre quel misto di terrore e sconforto che si prova quando sai che sta
accadendo qualcosa di tremendo, ma io, ragazzino, non me ne curavo più
di tanto. Anche se mi rendevo conto che qualcuno dei miei amici, che
aveva il padre in guerra, sentiva tutto questo molto, molto più di noi.
Poi c’erano Angelo e Miriam, i figli dei nostri più cari amici, i
Grassini, che avevano un fantastico monopattino, che io invidiavo da
matti.
Io e Angelo eravamo due amici inseparabili e andavamo a scuola
volentieri insieme a tutti i nostri amici del campo. Non ho mai pensato
di separarmi da lui, solo perché era ebreo. Mai. Era un tipo vivace,
simpaticissimo, e mi fabbricava le spade con cui, dopo la scuola,
combattevamo fino a tardi. Eravamo dei veri guerrieri. Suo padre
Raffaele e suo zio Guglielmo, detto Gelmo, erano proprietari di una
macelleria, frequentata da tutto il quartiere, visto che Raffaele era
gentile ed era molto bravo a trattare con la gente.
Era mattina e come ogni giorno stavo andando a scuola. Mi sedetti.
Rimasi stupito di non trovare Angelo seduto al solito posto. Se fosse
stato assente me lo avrebbe detto. Quel giorno non lo vidi e così non
seppi nulla.
Il giorno dopo nulla… e l’altro ancora… lo vedevo in campo e giocavamo
come al solito ai guerrieri e io continuavo a chiedergli perché non
tornava in classe e lui mi rispondeva che aveva cambiato scuola, ormai
frequentava quella ebraica. Pensavo lo facesse per professare la sua
religione, normale!? Non solo lui ma anche tanti altri miei amici se ne
erano andati così, di punto in bianco, in quella scuola dove studiavamo
ebraico. Non riuscivo a capire, ma tanto lo vedevo comunque e giocavo
sempre in campo con lui. Eppure una cosa non mi quadrava: aveva i miei
stessi libri e le mie stesse materie; e allora perché non stava con me?
Mio papà non mi illuminava di certo con delle spiegazioni. Ma,
nonostante tutto, continuavamo ad andare alla sua macelleria, ma anche
quella non funzionava più come una volta, e alcuni vecchi clienti
avevano scelto di andarsene. Non sapevo perché.
Il pomeriggio dell’8 settembre io e mio padre, che eravamo alla stazione
per lavoro, vedemmo ad un certo punto da un vaporetto spuntare un
reparto tedesco che sparava a pelo d’acqua con una mitragliatrice
piazzata sulla prua della barca. La situazione era peggiorata subito, in
pochi giorni, e da lì capimmo che i nazisti facevano sul serio. Era
iniziata una tragica pagina del libro della mia vita.
Mio padre e Raffaele sapevano. Sapevano da tanto e avevano programmato
un piano che a quell’età non avevo capito. Era proprio per questo che da
due settimane non vedevo più Angelo e Miriam. Mio padre aveva messo in
giro la voce che se ne erano andati. Non li avevo neanche salutati. In
realtà erano a casa loro, nascosti da chissà quale pericolo, per me non
ne esistevano.
Mio padre si recava da loro giornalmente e filava tutto liscio. Era
giunto il momento di partire. Ma penso proprio che il destino non sia
mai andato incontro a loro positivamente, non li ha mai premiati.
Avevano in mente proprio quel giorno, il 6 dicembre alle 5:00 della
mattina di andarsene, ma proprio quella sera, con i registri in mano e
tante vittime sulla coscienza, i fascisti e i nazisti cominciarono a
rastrellare le case ebree senza tralasciarne nessuna. Arrivarono a casa
loro dove intanto mio padre fingeva di essersi stabilito con i vari
contratti d’affitto. Cercavano una famiglia ebrea, due nonni, un padre,
una madre, due figli ed erano in quattro, armati fino ai denti, per
prelevare delle persone innocenti, ridicolo no? Mio padre cercò di
convincerli con la storia della partenza e fece vedere loro che aveva
tutte le carte in regola per possedere quell’appartamento, ma non ci
cedettero.
Una delle S.S. si avviò verso il lungo corridoio nella cui ultima stanza
era rifugiata la famiglia che aveva avvolto i bambini nei materassi
perché non si sentisse il loro pianto anche se in realtà erano i nonni
che, coscienti della situazione, si disperavano di più. Stava per
arrivare nella stanza quando, fu un vero miracolo!, le lampadine si
fulminarono. Tirò un sospiro di sollievo nel vedere il Tedesco
inciampare nel coperchio della cassa di imballaggio lasciato
involontariamente lì, con il naso rotto e il sangue sgocciolante. Mio
padre cercò di alleggerire il clima offrendogli le migliori cure e una
grappa che risollevò il morale di tutti. Un maresciallo italiano, uno
degli incaricati al rastrellamento, capita la situazione, convinse i
tedeschi a lasciare la casa: lì non c’era altro che quel signore, in una
notte non avevano concluso nulla! Mio padre era morto di paura. Se li
avessero scoperti sarebbe stata anche la sua fine ma per fortuna quel
brutto momento era passato. Era giunto invece il momento di partire. Si
diresse nella stanza e trovò un disastro. Erano tutti così spaventati,
sapevano di aver visto la morte. Riuscì a calmarli e a prepararli per la
partenza che doveva avvenire immediatamente. Sentirono delle urla e dei
colpi. Una corsa sulle scale. La porta che si era aperta e la vecchia
domestica di Raffaele, affezionata alla famiglia, piangendo
disperatamente raccontò cos’era successo quella notte. I genitori della
madre di Angelo erano stati presi insieme a tutti quelli che avevano la
sola colpa di essere Ebrei. Erano scioccati, sconvolti, ma non potevano
ritardare la partenza, questione di secondi perché quelli della
resistenza avevano i minuti contati. Non ci fu nulla da fare, nessuno
voleva partire, volevano restare tutti uniti. Tanto che alla mattina si
consegnarono al Foscarini, convinti di essere portati a lavorare e non
di andare incontro alla morte. Solo dopo Raffaele capì di aver fatto
l’errore. Avevano l’ultima possibilità di fuggire attraverso il campo
Gloria e mio padre, deciso più che mai ad aiutarli, cercò di organizzare
un’altra spedizione insieme a quelli della resistenza, facendoli passare
per il cancello che dava sulle Fondamenta Nove. Lì non passava mai
nessuno e con la laguna davanti avrebbero facilmente raggiunto un
rifugio grazie alla barca del macello.
Ma i tedeschi avevano pensato a tutto. Avevano bloccato le vie d’uscita,
il campo Gloria e le Fondamenta Nove. In qualche modo dovevano difendere
la purezza della razza!
Sono stati deportati tutti quanti.
Ma ho rivisto Angelo e mi ricordo quel giorno come l’ultima fiammata che
brucia tutto e non lascia che il ricordo di un limpido passato. Ormai
che se ne era andato mi sentivo solo e infelice e per di più, per una
promessa di mio padre a Raffaele, dovevamo vivere nel loro vecchio
appartamento e custodire i loro beni insieme ad un prezioso cofanetto di
gioielli. La casa era vuota, priva di vita.
Il giorno di Natale del ’43 è stato terribile.
Vado ad aprire… e vedo Angelo che mi fissa ma non mi sorride. Mi giro.
Un signore in borghese con i baffetti mi chiede se in casa c’è mio
padre. Lo vado a chiamare, chiarisce la questione con lui ed entrano
nell’appartamento. Vengo a sapere che al campo di Fossoli vogliono far
passare un felice Natale a quel povero bambino ebreo in una buona
famiglia che lo potrà accogliere senza esitazioni.
Angelo non mi sfiorava nemmeno con lo sguardo. Se ne stava seduto lì,
immobile, a fissare un punto della parete. Era lontano e io ero sordo ai
suoi urli, cieco alla sua sofferenza, muto ai suoi sentimenti e lui
guardava lontano lontano. Gli ho portato il suo monopattino, quello che
invidiavo tanto, ma lui niente. Poi ci sedemmo a tavola e non mangiò
nulla.
Mio padre cercò di corrompere il poliziotto a lasciare in casa il
ragazzo ma quel signore con un sorriso spento disse che, se non avesse
riportato indietro Angelo, avrebbero ucciso sua moglie e sua figlia
prese in ostaggio per precauzione. Non c’era niente da fare. Angelo era
già stato ucciso. Era già morto, chiuso e inespressivo. Non c’era più
niente da fare già prima. Non mi salutò nemmeno.
Dopo pochi anni dalla fine della guerra, venni a conoscenza del ritorno
di Guglielmo. Mi precipitai da lui per ridargli il cofanetto di gioielli
che avevamo custodito. Ma non lo riconoscevo più. Lo zio di Angelo era
come il nipote, un tipo vivacissimo, allegrissimo e con un gran senso
dell’umorismo.
Ero rimasto scioccato. Non era più lui. Era come se gli avessero rubato
l’anima così allegra e spensierata che era la sua linfa vitale ed ora
era rimasto a secco.
Era sempre scuro e triste con lo sguardo perso nel vuoto e con la stessa
espressione di Angelo, quando lo vidi l’ultima volta. Lo osservavo, era
una sensazione strana, mio padre gli porse il cofanetto, ma lui rimase
indifferente: non gli importava più nulla, ormai aveva perso tutto.
“E ora sono qui che racconto questa storia e dei ragazzi di III media
che si assumeranno il compito di ricordare a se stessi e gli altri cos’è
successo e cosa vuol dire veramente soffrire”.
Li hanno portati via.
Testimonianze sulla deportazione
degli ebrei veneziani; a cura degli alunni del Convitto Foscarini
1943-1945.
The Steven H. and Alida Brill Scheuer Foundation
NEW YORK
Nostalgia della casa
E’ più di un
anno che vivo al ghetto,
nella nera città di Terezin,
e quando penso alla mia casa
so bene di che si tratta.
O mia piccola casa, mia casetta,
perché m’hanno strappato da te,
perché m’hanno portato nella desolazione,
nell’abisso di un nulla senza ritorno?
Oh, come vorrei tornare
a casa mia, fiore di primavera!
Quando vivevo tra le sue mura
io non sapevo quanto l’amavo!
Ora ricordo quei tempi d’oro:
presto ritornerò, ecco, già corro.
Per le strade girano i reclusi
e in ogni volto che incontri
tu vedi che cos’è questo ghetto,
la paura e la miseria.
Squallore e fame, queste è la vita
che noi viviamo quaggiù,
ma nessuno si deve avvedere:
la terra gira e i tempi cambieranno.
Che arrivi dunque quel giorno
in cui ci rivedremo, mia piccola casa!
Ma intanto prezioso mi sei
perché mi posso sognare di te.
1943 Anonimo
Primo Levi “Se questo è un uomo”, Einaudi 1958
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