VII Commissione - Giovedì 7 dicembre 2000
Programma quinquiennale per l'attuazione della riforma dei cicli scolastici
RELAZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE
Il programma quinquennale di attuazione della riforma dei cicli di
istruzione, trasmesso dal governo alle Camere il 17 novembre 2000, costituisce
la prima fase del processo di attuazione progressiva dei nuovi cicli di
istruzione ed avviene in ottemperanza delle modalità del tutto particolari
dettate dall'articolo 6 della legge n. 30 del 2000.
Secondo quanto previsto dalla legge, il programma deve:
indicare la scansione temporale e le modalità di attuazione della legge stessa;
contenere un progetto generale di riqualificazione del personale docente secondo
criteri già individuati (valorizzazione delle specifiche professionalità
maturate o riconversione);
individuare i criteri generali per la formazione degli organici di istituto;
definire i criteri generali per la riorganizzazione dei curricoli;
definire un piano di adeguamento delle infrastrutture;
contenere una relazione di fattibilità in relazione a eventuali maggiori oneri
finanziari o economie;
indicare i criteri e le modalità di riutilizzazione delle economie di spesa.
Il programma presentato dal Governo contiene valutazioni e risposte sui
singoli punti, anche se in molte parti preferisce ipotizzare differenti
soluzioni per le quali richiede il giudizio delle Camere, rispettando in tal
modo lo spirito dell'articolo 6 della legge n. 30 del 2000 e cogliendo in
particolare le indicazioni della speciale procedura approvata dal Parlamento,
preoccupato del fatto che la complessa e graduale procedura di attuazione
potesse sembrare delegata, una volta per tutte, al solo Governo.
Di qui il carattere in qualche misura anomalo del documento e la necessità che
la risoluzione finale sia molto precisa nella definizione degli indirizzi cui il
governo dovrà strettamente attenersi, in modo da bilanciare quell'impressione
di una certa genericità che può legittimamente suscitare la lettura di un
testo così difforme dall'ordinaria produzione normativa.
Non bisognerà comunque dimenticare, nell'avvicinarsi al testo, che si tratta di
un primo programma; il quale non deve e non può presentare la soluzione di
tutti gli innumerevoli problemi connessi all'attuazione di una riforma generale
ma solo indicare indirizzi e fattibilità legati alla prima fase di
applicazione, certo decisiva ma non esaustiva. Come si sa, del resto, la legge
prevede la possibilità di continue misure correttive del programma stesso che
possono essere emanate nel corso dell'attuazione ove se ne rilevi la necessità
e si sperimenti, nel vivo della realtà della scuola, la difficoltà di mettere
in atto indicazioni, in astratto, ritenute opportune.
Il tutto in una visione di gradualità operosa e prudente ma nello stesso tempo
determinata, come è chiaramente leggibile dalla stesura della legge dei cicli
che in ogni parte è stata attenta a non deprimere, pur nella dichiarata
necessità di una riforma profonda, i punti di qualità e le feconde esperienze
maturate nel corso della storia della scuola italiana.
Il programma di attuazione si articola in 7 capitoli.
Cap. I-II - Finalità, ragioni, condizioni, soggetti della riforma.
Nei primi due si rammentano le finalità, le ragioni, le condizioni e i
soggetti della riforma e si inserisce il riordino dei cicli nel quadro delle
riforme approvate.
Sono due capitoli introduttivi che, pur non contenendo norme di attuazione,
costituiscono un'utile premessa. Da più parti infatti, nel tentativo di fermare
il cammino della legge di riforma, si opera una singolare rimozione delle
ragioni che hanno portato il Parlamento, dopo quasi trent'anni di discussioni e
di vani tentativi ad approvare il testo del riordino. A leggere, anzi, alcuni
appassionati critici, sembra che la presunta «follia distruttiva» della legge
si abbatta su una scuola perfetta che abbisogna al più di qualche ritocco
marginale ed è curioso che questa rappresentazione venga fatta anche da chi nei
decenni precedenti ha sempre rivendicato la assoluta necessità di un radicale
cambiamento.
Ora, se è comprensibile che arrivati al dunque, e cioè al momento della prima
attuazione, si tenda ad enfatizzare la bontà di tutto quello che si lascia e,
per converso, ad amplificare rischi e difficoltà inevitabili del nuovo cammino,
non si dovrà diventare prigionieri di un pur naturale e comprensibile riflesso
psicologico. Il legislatore sa che le riforme, anche quelle per le quali più si
è combattuto, recano con sè, nella fase iniziale, una resistenza inevitabile
al nuovo e questo gli consiglia di essere prudente nell'innovazione e graduale
nell'applicazione. Ma prudenza non può voler dire immobilità e gradualità non
può essere sinonimo di rinvio.
A chi vuole confrontarsi veramente con le finalità e le ragioni della legge, i
primi due capitoli ricordano opportunamente che le finalità sono riassumibili
nel:
dare piena attuazione ai principi costituzionali in materia di uguaglianza e
diritto allo studio e considerare la centralità della persona che apprende;
coordinare l'offerta di formazione con le trasformazioni sociali in atto nel
Paese, riconoscendo valore e dignità alle diverse tradizioni culturali
esistenti;
adeguare la preparazione dei giovani al contesto internazionale e soprattutto
alle esigenze della nuova Europa;
rinnovare l'identità delle istituzioni scolastiche, recuperando il meglio della
tradizione culturale della scuola.
Quanto alle ragioni di un riassetto complessivo che hanno mosso il Parlamento
esse sono riassunte nei seguenti punti:
la discontinuità tra i vari livelli di scuola e l'eccessiva e non funzionale
differenziazione dei vari indirizzi della scuola superiore;
il mancato raccordo con il sistema universitario, con la formazione
professionale e con il mondo del lavoro;
il carattere parziale e poco risolutivo delle riforme fin qui effettuate che
hanno inciso debolmente su nodi quali l'insuccesso scolastico e la dispersione;
le emergenze derivanti dall'analfabetismo di ritorno e dell'immigrazione;
la necessità di superare la gestione centralizzata e autoreferenziale della
scuola.
Si tratta, come si vede, di principi largamente condivisibili (e, infatti,
fino a un certo momento della discussione parlamentare, condivisi da una vasta
maggioranza) che la riforma cerca di interpretare al meglio nel dettato
legislativo e nel programma attuativo.
Mentre il recente dibattito ha fatto emergere per lo più posizioni demolitorie,
il relatore ritiene che sarebbe assai opportuno discutere piuttosto se legge e
programma siano o meno coerenti con principi su esposti.
Capitolo III - I criteri generali per la riorganizzazione dei curricoli.
Secondo il programma, bisogni formativi e degli alunni e istanze territoriali
(culturali e socioeconomiche) costituiscono il riferimento nella elaborazione
dei curricola, nella prospettiva di bilanciare unitarietà del sistema e
pluralismo culturale.
I criteri fondamentali per la loro rielaborazione sono l'essenzialità, la
storicità e la problematicità, unitamente al carattere progressivo e graduale
dei percorsi, in antitesi con l'attuale ripetersi degli stessi contenuti nelle
fasi successive
Occorre inoltre rafforzare, tra le competenze essenziali quelle linguistiche e
matematiche, nonché la capacità di impiego delle tecnologie informatiche,
anche alla luce dei confronti internazionali e del processo di integrazione
europea.
Una particolare attenzione viene posta sul raccordo da operare tra conoscenze e
dimensione operativa.
Viene definito inoltre l'orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli,
generalmente in riduzione.
Più in dettaglio:
per la scuola dell'infanzia, che per la prima volta viene considerata parte
integrante del sistema di istruzione ed educazione (non si comprende, al
proposito, una recente polemica sulla sua marginalizzazione, nè l'accusa che
sia relegata in un ruolo socioassistenziale) si prevede un monte ore annuale
variabile da un minimo di 1.150 ad un massimo di 1.300 ore;
per la scuola di base è previsto un monte ore curricolare di circa 1.000 ore
(30 ore settimanali per 33 settimane) con una quota riservata alle istituzioni
scolastiche attorno al 25 per cento.
Viene sottolineato il carattere progressivo e non più conclusivo del curriculum
ditale ciclo.
Per quanto attiene al rapporto tra unitarietà e contemporanea articolazione del
percorso di base, la soluzione proposta non può ignorare ovviamente la legge
che è chiara nel demandare all'autonomia e alle fruttuose esperienze della
legge n. 148 del 1990 la definizione delle scansioni interne.
Viene tuttavia suggerita l'opportunità di procedere con un biennio iniziale di
alfabetizzazione, seguito da un triennio centrale caratterizzato dal definirsi
di nuclei disciplinari e, sul versante dei docenti, dalla prima costituzione di
una docenza integrata. Il ciclo si conclude con un biennio finale destinato al
rafforzamento dei saperi necessari all'esercizio della cittadinanza e al
raccondo con i due anni conclusivi dell'obbligo scolastico.
Il relatore ritiene che tale scansione (che pure non può in alcun modo
sostituire il limpido dettato della legge) possa essere anche accettabile,
insieme ad altre possibili, per le implicazioni metodologiche e organizzative
trasparentemente suggerite: vengono infatti rispettati i tempi di maturazione
dell'alunno e individuata la logica integrazione delle competenze degli
insegnanti di scuola elementare e media. Soprattutto per i modi di tale
integrazione ritiene però prevalente il richiamo della legge n. 30 del 2000
all'autonomia. Indicazioni più precise andranno inoltre formulate sul carattere
dei due anni finali del ciclo, sembrando troppo dilatata nel tempo e generica
nei contenuti la funzione di raccordo di questi due anni con i due anni
conclusivi dell'obbligo scolastico;
per la scuola secondaria si stabilisce un monte ore complessivo attorno alle
1.000 ore annuali con una soglia autonoma del 20 per cento incrementabile, nel
biennio, di un ulteriore 10 per cento per attività di recupero e orientamento
e, nel triennio, di un ulteriore 20 per cento.
Quando alla definizione delle aree e degli indirizzi si propone la seguente
articolazione:
Area classico-umanistica - due indirizzi:
lingue e letterature classiche;
lingue e letterature moderne;
Area scientifica - due indirizzi:
scienze matematiche e sperimentali;
scienze sociali;
Area tecnica e tecnologica - delle decine di indirizzi oggi esistenti si
propongono cinque o sei indirizzi riferiti ai seguenti ambiti:
gestione e servizi per la produzione di beni;
gestione e servizi per l'economia;
gestione e servizi per l'ambiente e il territorio;
gestione e servizi per le risorse naturali e agro-industriali;
gestione e servizi alla persona e alla collettività.
Si propone inoltre come possibile un ulteriore indirizzo riguardante il
settore turistico rendendolo autonomo rispetto al già previsto inserimento in
uno dei curricoli generali:
Area artistica e area musicale - per ciascuna si prefigura un liceo articolato
in due o più indirizzi solo genericamente indicati.
Al di là della semplificazione, che è comunque in grado di contenere senza
deprimere le più feconde esperienze di questi anni e di valorizzare la ricca
sperimentazione operata, il programma si sofferma in particolare sulla
connotazione dei primi due anni.
Su questo punto si registra, a parere del relatore, uno scarto significativo del
programma di attuazione rispetto alle indicazioni della legge. Quest'ultima
insisteva sulla unitarietà del percorso, sulla necessità di una scelta precoce
e sul rigoroso svolgimento di un curricolo specifico, onde evitare che il
biennio, in quanto obbligatorio, venisse inteso come uguale per tutti e
rivestisse invece quel carattere di specifica propedeuticità rispetto ai
corrispondenti percorsi del triennio successivo.
Il programma, invece, insiste molto sull'equilibrio tra le materie di
equivalenza disciplinare (che assicurano l9omogeneità fra le varie aree) e
quelle di indirizzo (che ne caratterizzano la tipicità). In particolare, per
queste ultime, si premura di specificare che non dovranno avere carattere
specialistico per non ostacolare cambi d'area e di indirizzo. Occorre evitare
che queste considerazioni assumano altro significato che quello di utili
raccomandazioni e ribadire che la preoccupazione opportuna per le difficoltà di
tipo educativo che sorgono nella composizione di esigenze contrapposte deve
trovare una soluzione all'interno dell'organizzazione scolastico e non può in
alcun modo variare la inequivoca definizione della natura del biennio stabilita
dalla legge.
C'è da aggiungere, per fugare ogni equivoco che per l'area Tecnica e
tecnologica in particolare, nonchè per quella artistico musicale, occorre far
convivere il rafforzamento della dimensione culturale con la capacità di
offrire le competenze comuni - ivi comprese quelle relazionali, diagnostiche e
decisionali - caratterizzante un congruo numero di specifiche professionalità
spendibili sia sul mercato del lavoro, sia per l'accesso alla formazione tecnica
superiore che per l'accesso all'Università. Analogamente, per i curricoli della
scuola professionale, dovranno essere previsti raccordi con il mondo della
formazione professionale e dell'apprendistato, secondo quanto già previsto da
apposite leggi.
Nè va dimenticato che, mentre al fine della valorizzazione della persona umana
così fortemente richiamata nell'articolo 1 della legge dovrà esserci
attenzione per l'incontro (variamente modulato nelle diverse aree e indirizzi)
con la tradizione della cultura classica e con la sensibilità filosofica, la
legge n. 30 del 2000 ha esplicitamente fatto cenno alla necessità che la
cultura derivante dall'alternanza scuola-lavoro-professioni sia estesa a tutte
le aree della scuola superiore.
Capitolo IV - Il personale docente (valorizzazione delle professionalità, riqualificazione e riconversione).
Si affrontano qui le problematiche relative alle professionalità del
personale docente, rispondendo al comma 1, articolo 6, della legge n. 30.
È previsto a tal fine un progetto generale di formazione in servizio che
dovrà:
affrontare problemi specifici connessi ai diversi cicli (in particolare la
convivenza, nella scuola di base, di docenti delle ex scuole elementare e
media);
privilegiare le attività residenziali (piuttosto che i tradizionali corsi di
aggiornamento);
agevolare l'autoformazione (mediante periodi sabbatici e un sistema di crediti
cumulabili nel tempo);
prevedere strumenti per agevolare l'acquisizione di crediti universitari, di
specializzazioni universitarie, di dottorati di ricerca disciplinari e master
orientati alla didattica, di nuovi crediti in materie affini a quelle di
titolarità.
Per la realizzazione del progetto l'amministrazione dovrà strutturare una
rete permanente di servizi di supporto alle istituzioni scolastiche (consulenza
tecnica, documentazione ecc.).
Come naturale, una nuova disciplina giuridica (anche di normazione secondaria)
sostitutiva di quella del Testo unico dovrà intervenire sui seguenti punti:
la formazione dei docenti sia iniziale che in servizio;
la possibilità di articolazioni di carriera, con la eventuale definizione di
diversi gradi di docenza e, come base per l'attribuzione di compiti e di
responsabilità, di una anagrafe delle competenze e delle professionalità dei
docenti;
i criteri di valutazione e di certificazione nonché l'individuazione dei
soggetti valutatori;
i ruoli del personale con la revisione del rapporto di impiego e la
riarticolazione del sistema delle classi di concorso.
In merito alla formazione iniziale dei docenti, il programma, rinviando
necessariamente al decreto interministeriale in via di definizione la
indicazione dei curricoli universitari previsti, raccomanda di ripensare gli
attuali percorsi universitari, soprattutto per le facoltà i cui laureati più
frequentemente entrano nella scuola e di integrare con lo studio delle scienze
della formazione, l'approfondimento disciplinare. Si prefigurano infine vere
forme di partenariato tra scuola e università almeno per quanto riguarda i
laboratori didattici e il tirocinio.
Per la formulazione del regolamento di cui al comma 8 dell'articolo 6 della
legge n. 30 del 2000 relativa ai titoli universitari richiesti per il
reclutamento degli insegnanti della scuola di base, si ritiene necessaria la
laurea integrata da una fase di approfondimento pedagogico e didattico che
contenga esperienze di tirocinio.
Capitolo V - Criteri generali per la formazione degli organici di istituto.
Nel V capitolo viene data qualche risposta in merito alle questioni di cui al
capitolo precedente, allorchè si accenna ai criteri generali per la formazione
degli organici di istituto.
Intanto l'organico di istituto va esteso alla scuola secondaria.
Per la scuola di base si propone il tendenziale raggiungimento del ruolo unico e
per la secondaria di altro ruolo rimandando ad un decreto interministeriale la
definizione dei relativi curricoli nell'ambito della laurea specialistica.
In ogni caso per quanto attiene gli organici di istituto, il programma si
propone di superare le attuali rigidità. I nuovi criteri con cui determinare
l'organico sono sostanzialmente:
assumere come base di calcolo il monte ore complessivo annuale riferito al
curricolo relativo;
prevedere un incremento dell'organico che consenta di recuperare risorse per
l9esercizio della flessibilità e per l'attuazione della progettualità della
scuola e dei percorsi didattici personalizzati;
riorganizzare per ambiti disciplinari le attuali classi di concorso.
Cap. VI - Tempi e modalità di attuazione.
Il problema più delicato che il provvedimento deve affrontare è quello
relativo al fatto che, ridotto di un anno il tempo-scuola complessivo,
confluiranno, a un certo punto, due leve di alunni (quelli della vecchia scuola
e quelli della nuova) nello stesso anno scolastico.
Il Governo non prende in considerazione l'ipotesi di far convivere i due
ordinamenti fino a esaurimento, fra 12 anni, del vecchio ordinamento. In questo
caso si avrebbe, a data certa, il raddoppio dei maturandi e non si dovrebbero
affrontare i rilevanti problemi gestionali delle altre ipotesi. La soluzione
più lunga e meno problematica tuttavia, verrebbe fatalmente a deludere quegli
alunni che si vedrebbero raggiunti sullo stesso traguardo della maturità da
colleghi più giovani di un anno.
Proprio per questo vengono prefigurate due ipotesi di «contaminazione»
precoce, ciascuna delle quali con due varianti:
la prima, prevede l'inizio del nuovo ordinamento nell'ottobre 2001 per le classi
prima e seconda della scuola di base e della classe prima della scuola
superiore;
la seconda prevede l'inizio al 2001 delle sole prime due classi della scuola di
base.
Entrambe le ipotesi prospettate (come del resto qualsiasi altra formula di
riduzione, come quella prevista da «Forza Italia» e altri del 4+4+4) devono
fare i conti con quella che viene definita «l'onda anomala» e cioè con il
fatto che nel 2007 confluiranno nel primo anno della scuola superiore due leve
di alunni con il complessivo raddoppio degli stessi.
Per evitare i problemi che ne deriverebbero viene avanzata una ulteriore
possibilità: quella della cosiddetta «onda anomala frantumata»: verrebbe
cioè ipotizzato il passaggio anticipato dal vecchio al nuovo ordinamento di una
percentuale di circa il 25 per cento degli alunni per ogni anno, in modo da
«spezzare l'onda» e ridurne l'impatto, con un riassorbimento più graduale,
governabile e fisiologico. Il tutto su indicazione libera dei docenti fatta
propria dai genitori.
Il programma del Governo demanda al Parlamento la scelta.
La quale pare logicamente orientarsi sulla seconda variante (inizio dei primi
due anni della scuola di base) applicata in regime di «onda anomala
frantumata».
Per quanto riguarda la scuola superiore che dovrà attendere comunque il
settembre 2002 per l'introduzione dei nuovi curricoli, si reputa opportuna la
conferma delle disposizioni emanate con il decreto ministeriale n. 234 del 2000.
Nel frattempo il Ministro potrà consentire che le istituzioni scolastiche,
nell'esercizio dei poteri dell'autonomia didattica ed organizzativa possano,
senza incidere comunque sulle finalità formative degli indirizzi:
modificare i quadri orario dei vigenti piani di studio superiori alle 32 ore
settimanali riducendoli entro tale limite, con l'avvertenza che le riduzioni di
orario non dovranno in ogni caso comportare una minore dotazione di personale e
che le ore di servizio, eventualmente eccedenti, andranno utilizzate ai fini
della realizzazione dell'offerta formativa;
adottare in coerenza con gli indirizzi funzionanti in ciascun istituto, i
programmi di studio avviati nell'anno scolastico 1997-1998 ai fini delle
sperimentazioni dell'autonomia didattica e organizzativa nei primi due anni
della scuola secondaria superiore.
Capitolo VII - L'adeguamento delle strutture edilizie e delle infrastrutture tecnologiche.
Il programma prospetta una ricognizione regionale delle strutture edilizie
esistenti con la relativa valutazione delle possibili conseguenze del riordino
sull'utilizzazione degli edifici scolastici attuali Per la scuola di base non si
prevedono grandi problemi relativi al numero complessivo delle aule, dal momento
che nel settennio va a incidere la riduzione complessiva di un anno.
Secondo le previsioni del ministero, ben l'84 per cento delle classi (57 per
cento dei Comuni) può essere allocato mantenendo corsi settennali completi
all'interno dello stesso edificio, utilizzando sia le attuali scuole elementari
che, ove occorra, le scuole medie. La percentuale raggiunge addirittura il 97
per cento delle classi (e il 74 per cento dei Comuni) se si spezzano alcuni
corsi completi in più edifici all'interno dello stesso comune. A questo
proposito va detto che la diversificazione di plesso viene considerata non solo
negativamente, ma come opportunità da valutare per risolvere questioni di
compresenza giudicati problematici tra gli alunni dei primissimi anni del
settennio e alunni ormai prossimi all'adolescenza.
Più problematica appare la soluzione per quel restante 3 per cento delle classi
(ma 26 per cento dei Comuni) situate in quei piccoli comuni che ora dispongono
della sola scuola elementare. Per una parte di questi sembra inevitabile il
ricorso all'utilizzo di aule anche nei comuni viciniori. Identico problema e
specifiche soluzioni andranno attivate per favorire l'applicazione della riforma
nelle scuole paritarie che non abbiano riuniti i corsi delle elementari e medie
in uno stesso istituto. Le stesse scuole potranno eventualmente avvalersi di
strutture che gli enti locali vogliano mettere a disposizione, anche in comodato
gratuito o affitto agevolato e comunque possono costituire consorzi o
associazioni di gestori di scuole paritarie senza che ciò comporti la perdita
del riconoscimento della parifica o del riconoscimento legale.
Per la scuola secondaria non ci dovrebbero essere grandi problemi strutturali se
non in relazione alla cosiddetta «onda anomala», per la quale, come extrema
ratio è ipotizzabile l'utilizzazione di quelle aule degli istituti scolastici
di livello inferiore resi disponibili dalla contrazione temporale.
Di fronte alla relativa complessità della messa a regime completa, è opportuno
ricordare tuttavia che si hanno cinque anni di tempo per porre in essere idonee
soluzioni, di concerto con le amministrazioni comunali e provinciali competenti.
Quanto alle infrastrutture tecnologiche il programma fa notare che il già
iniziato impegno su questo nuovo terreno ha come meta finale il conseguimento
per tutti gli studenti di una padronanza tanto strumentale che concettuale delle
tecnologie dell'informazione, padronanza da raggiungere sia attraverso momenti
di studio all'interno delle diverse discipline sia con un periodo in cui lo
studio si consolida in una specifica disciplina obbligatoria per tutti.
La relazione di fattibilità.
Il programma vero e proprio termina con una relazione di fattibilità
esplicitamente prevista dall'articolo 6 comma 1 della legge n. 30 del 2000.
La verifica prende in esame il complesso delle risorse che risulteranno
necessarie per l'attuazione in tutte le scuole dei rispettivi piani dell'offerta
formativa, e cioè:
le strutture edilizie;
le infrastrutture tecnologiche e didattiche;
il personale dirigente, docente e A.T.A;
le risorse finanziarie per il funzionamento delle istituzioni scolastiche.
Il tutto viene valutato in funzione delle varie ipotesi messe in campo e
delle soluzioni che saranno adottate dalle risoluzioni parlamentari.
Per quanto riguarda le strutture, gli adeguamenti che si renderanno necessari
non dovrebbero comportare di per sè un aumento nel numero o nella tipologia
delle strutture fisiche.
Nuovi dimensionamenti potranno comunque mutuare dal decreto del Presidente della
Repubblica n. 233 del 1997 criteri e modalità operative, con i necessari
adeguamenti.
Con riguardo alle risorse professionali richieste dalla riforma, la relazione di
fattibilità ritiene che:
il ruolo unico dei dirigenti scolastici potrà subire un'ulteriore riduzione di
posti in aggiunta a quella avvenuta. Risultando tuttavia ancora vacanti posti di
dirigente, si ipotizza che le riduzioni non intaccheranno il personale oggi in
servizio;
anche per il personale A.T.A le risorse attualmente disponibili paiono
sufficienti;
quanto al personale docente, il nuovo assetto non incide, in termini di esigenze
quantitative, sul personale attualmente operante nella scuola dell'infanzia e in
quella secondaria.
Più complesso è il discorso per la scuola di base per la quale, a parità
di altri fattori, è ipotizzabile alla fine del periodo transitorio una
riduzione, rispetto alle attuali, delle consistenze di organico. La relazione,
avvertendo che la materia è interamente rimessa alla contrattazione collettiva,
quantifica però gli effetti sul fabbisogno di organico e le economie di spesa
valutando l'incidenza di più ipotesi concernenti:
la riduzione dell'orario di servizio degli insegnanti della scuola elementare;
l'adozione di misure atte a «frantumare l'onda anomala»;
la scansione dei tempi di avvio delle riforma secondo le due ipotesi.
Adottando le soluzioni di cui alla presente relazione, e cioè l'avvio della
scuola di base nel 2001-2002 con la variante dell'onda anomala frantumata si
avrebbero economie di spesa varianti tra i 19.000 md circa con orario invariato
ai 6.000 md circa con orario a 18 ore settimanali per tutti. Sembra logico
suggerire, senza invadere il campo della contrattazione collettiva,
l'opportunità di una realizzazione graduale della riduzione di orario a 18 ore,
prevedendo una fase intermedia a 20 ore e la conclusione finale al momento del
consolidamento definitivo della riforma.
Esisterebbero comunque non disprezzabili risorse da destinare a:
istituzione di periodi sabbatici;
un buon piano di riqualificazione e formazione in servizio;
la generalizzazione della scuola d'infanzia;
l'adeguamento dei contributi per il funzionamento delle istituzioni scolastiche.
È da ricordare infine che la legge n. 30 del 2000 prevede comunque la possibilità di finanziare con appositi provvedimenti legislativi le esigenze impreviste che si presentassero nel corso dell'attuazione della riforma stessa.
Conclusioni.
Il programma di attuazione, che mette a disposizione un gran numero di
allegati, volti a fornire le fonti delle argomentazioni addotte e i risultati
dei 9 gruppi di lavoro convocati dal Ministero, è un documento disteso e ampio,
di facile lettura anche se non di immediata sintetizzabilità.
Una volta dipanato il filo del ragionamento e raggiunta l'essenza della
proposta, pare al relatore come un utile strumento non solo per la definizione
della normativa conseguente ma anche per la comprensione del compito, ad un
tempo arduo e affascinante, che attende la scuola italiana nel prossimo decennio
di primo assestamento.
Il clima politico in cui sono venuti a collocarsi sia l'approvazione della legge
n. 30 del 2000 sia, ora, il primo programma di attuazione ha purtroppo impedito
che si sviluppasse un dibattito rigoroso e sereno sulle ragioni della riforma e
sulle soluzioni da confrontare. Dopo una primissima fase di utile comparazione
delle varie proposte, si è registrato un irrigidimento che ha portato ad
enfatizzare le estreme, opposte ragioni.
La vicinanza della fine della legislatura che incombe sulle discussioni di
questi giorni, riguardanti il primo programma di attuazione, ha ancor più
accentuato una certa deriva strumentale, tanto che il dibattito ha piuttosto
fatto riemergere, come se già non ci fosse una legge approvata, le
argomentazioni appassionate che già si credevano esaurite a inizio d'anno, con
il varo della legge n. 30 del 2000.
Sicchè sui vari interrogativi correttamente posti al Parlamento da parte del
Governo si è finito per non confrontarsi veramente a fondo e in maniera
reciprocamente costruttiva e utile.
Come è stato detto, a leggere alcuni interventi, sembra quasi di essere di
fronte a un Governo e a una maggioranza che illuministicamente abbia imposto una
riforma non voluta e mai discussa a una scuola felice di procedere lungo i
tradizionali itinerari.
Sarà bene ricordare dunque che a queste prime conclusioni del cammino
riformatore si giunge dopo trent'anni nei quali la quasi totalità delle forze
politiche sindacali e associative presenti nella scuola ha incessantemente
insistito sulla necessità, vitale per il Paese, di rinnovare profondamente le
istituzioni scolastiche e di rivedere un impianto che stentava a rispondere
positivamente ai bisogni della cultura e della società odierna.
È da dire piuttosto che, posto di fronte alle varie ipotesi di revisione
dell'architettura istituzionale e di innovazione contenutistica contenute in
molte proposte di legge, il legislatore ha agito con prudenza, cercando e
trovando la soluzione che, pur operando una inevitabile discontinuità con il
passato, ha il dichiarato proposito di recuperare quanto di meglio la tradizione
della scuola ci ha consegnato.
La fattibilità (pur nell'inevitabile difficoltà) del piano conferma la bontà
del cammino svolto fin qui. Molto più difficile sarebbe oggi operare se si
fossero seguite altre strade (6+6 oppure 4+4+4), ritenute più radicalmente
innovative.
Peraltro, l'attuazione prevede un tempo lungo e la dovuta gradualità. In questo
tempo, essenziale potrà essere il contributo del mondo della cultura, del
sindacato, del ricco e fiorente associazionismo professionale, sicché si potrà
procedere senza i traumi che la percezione generale del percorso potrebbe
indurre qualcuno a paventare.
Se c'è un'avvertenza finale che il relatore si sente di proporre è quella ai
vari soggetti interessati all'avvenire della scuola italiana e, in particolare,
agli studenti e al personale della scuola: senza una partecipazione critica ma
convinta, senza una cultura della riforma, nessuno degli obiettivi della legge
potrà essere utilmente raggiunto. E il Parlamento dovrà essere pronto ad
accogliere e tradurre in norma tutti i suggerimenti utili a migliorare il
cammino che inizia oggi, con la proposta di approvazione del primo programma
quinquennale di attuazione.