Documento di Programmazione economico-finanziaria per gli anni 2000-2003
(Approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 giugno 1999)

 


INDICE

INTRODUZIONE

I. LA CONGIUNTURA E LE PROSPETTIVE DI MEDIO TERMINE

I.1 LO SCENARIO INTERNAZIONALE

I.1.1 L’evoluzione più recente dell’economia mondiale

I.1.2 Le previsioni per il medio termine

I.2 L’EVOLUZIONE DELL’ECONOMIA ITALIANA NEL 1999 E LE PROSPETTIVE DI MEDIO PERIODO

I.2.1 Gli obiettivi e gli andamenti nel 1999

I.2.1.1 L’economia reale

I.2.1.2 Le variabili di finanza pubblica

I.2.2 Le prospettive di medio periodo dell’economia italiana: 2000-2003

II. IL QUADRO STRUTTURALE E LA COMPETITIVITÀ DEL SISTEMA PAESE

II.1 LA STRUTTURA MACROECONOMICA ITALIANA

II.1.1 L’aggiustamento dei fondamentali macroeconomici

II.1.1.1 Il risanamento della finanza pubblica

II.1.1.2 Il rientro dell’inflazione

II.1.1.3 Il riequilibrio dei conti con l'estero

II.1.2 I problemi aperti

II.1.2.1 Il basso profilo di crescita

II.1.2.2 Il mercato del lavoro

II.2 L’EVOLUZIONE STRUTTURALE DELL’ECONOMIA ITALIANA

II.2.1 L'integrazione economica ed il coordinamento delle politiche strutturali

II.2.2 L'integrazione dei mercati dei beni e servizi

II.2.2.1 L'integrazione del Mercato Unico

II.2.2.2 La liberalizzazione del commercio

II.2.2.3 La liberalizzazione degli ordini professionali

II.2.2.4 La liberalizzazione dei mercati dei servizi di pubblica utilità

II.2.3 Lo sviluppo e l'integrazione dei mercati finanziari

II.2.3.1 Lo sviluppo del mercato finanziario italiano

II.2.3.2 Il ruolo e i piani di privatizzazione

II.2.4 L'efficienza del sistema produttivo

II.2.4.1 I principi a sostegno dell'occupazione

II.2.4.2 L’occupazione e la competitività del settore dei servizi

II.2.4.3 Le piccole e medie imprese

III. LE PROSPETTIVE DELLA FINANZA PUBBLICA

III.1 IL QUADRO TENDENZIALE PER IL QUADRIENNIO 2000-2003

III.1.1 Il quadro tendenziale per il quadriennio 2000-2003: il criterio della legislazione vigente

III.1.2 I risultati delle previsioni

III.2 GLI OBIETTIVI PROGRAMMATICI

III.2.1 La struttura degli interventi per lo sviluppo

III.2.2 Il quadro programmatico e la manovra correttiva

III.2.3 La struttura degli interventi correttivi

III.2.4 Il Bilancio programmatico dello Stato

IV. LA POLITICA ECONOMICA

IV.1 L’OFFERTA INTEGRATA DI ISTRUZIONE, FORMAZIONE, RICERCA, TRASFERIMENTO TECNOLOGICO

IV.2 INCENTIVI ALLE IMPRESE

IV.3 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: RIFORME E INNOVAZIONE TECNOLOGICA

IV.4 SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE, TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE, INNOVAZIONE, CULTURA E CITTADINANZA

IV.4.1 Il piano di azione per lo sviluppo della società dell’informazione

IV.4.2 Obiettivi, strumenti e destinatari

IV.5 PROMUOVERE IL LAVORO

IV.6 GARANTIRE SICUREZZA E GIUSTIZIA AI CITTADINI

IV.7 COMBATTERE L’ESCLUSIONE SOCIALE E PROSEGUIRE LA RIQUALIFCAZIONE DEL SISTEMA SOCIO-SANITARIO

IV.8 L’AMMODERNAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE E L’INTERVENTO SUL TERRITORIO

IV.9 LA STRATEGIA DI CRESCITA DEL SETTORE DEI SERVIZI

IV.9.1 I servizi alla comunità e la crescita dei mercati di qualità sociale

IV.9.2 Crescita dei servizi alle imprese e outsourcing

IV.10 BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

IV.11 LA STRATEGIA DI SVILUPPO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

IV.11.1 Vincoli finanziari allo sviluppo delle piccole e medie impresse

IV.11.2 Il rapporto tra le piccole e medie imprese e la pubblica amministrazione

IV.11.3 Sostenere l’internazionalizzazione del sistema

IV.11.4 Il mercato del lavoro e la struttura dimensionale delle imprese

IV.12 AGRICOLTURA E TECNOLOGIA

IV.13 TARIFFE E REGOLAZIONE DEI SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ

V. LA POLITICA DI SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

V.1 UNA POLITICA NAZIONALE PER IL MEZZOGIORNO

V.2 IL QUADRO ECONOMICO E LE PROSPETTIVE

V.2.1 Le tendenze economiche degli anni novanta

V.2.2 Le prospettive per il 2000-2006: la biforcazione

V.3 LO STATO DI ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI

V.3.1 Erogazioni nelle aree depresse e attuazione del programma comunitario 1994-99

V.3.2 Intese istituzionali fra Amministrazioni centrali e Regioni

V.3.3 I completamenti di opere incompiute e gli studi di fattibilità

V.3.4 Gli incentivi al lavoro

V.3.5 Gli incentivi finanziari agli investimenti

V.3.6 La programmazione negoziata: patti e contratti

V.3.7 La Società Sviluppo Italia

V.4 LA STRATEGIA PER LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

V.4.1 Indirizzi per il Programma di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006

V.4.1.1 L'esperienza del passato

V.4.1.2 I dieci "paletti" della buona amministrazione dei fondi

V.4.1.3 Il quadro finanziario unico settennale

V.4.1.4 Obiettivi, interventi immediati e interventi di medio termine

V.4.2 Le politiche per i mercati e l'Amministrazione pubblica

V.4.2.1 Il mercato dei servizi alle imprese e alle persone

V.4.2.2 Il mercato del lavoro

V.4.2.3 L'Amministrazione pubblica nel Mezzogiorno

INDICE DELLE TAVOLE

Tavola I.1.1 Indicatori economici dei principali Paesi industrializzati

Tavola I.1.2 Principali indicatori economici di alcuni Paesi emergent

Tavola I.1.3 Variabili economiche internazionali nel medio termine

Tavola I.2.1 Conto economico risorse ed impieghi nel 1999

Tavola I.2.2 Scostamenti delle previsioni rispetto al DPEF 1999-2001

Tavola I.2.3 Indicatori delle Amministrazioni Pubbliche nel 1999

Tavola I.2.4 Quadro macroeconomico programmatico 2000-2003

Tavola I.2.5 Conto economico risorse ed impieghi 2000-2003

Tavola II.1.1 Costi, prezzi e margini per settore

Tavola II.1.2 Bilancia dei pagamenti - Confronti internazionali

Tavola II.1.3 Le caratteristiche dei Paesi dell'area euro nel 1998

Tavola II.1.4 La crescita dell’Italia e dell’economie avanza

Tavola II.1.5 Tassi di partecipazione e tassi di occupazione

Tavola II.1.6 Occupazione per condizione e per settori nei Paesi G7

Tavola II.2.1 Decreti legislativi in attuazione di direttive comunitarie mirate alla liberalizzazione dei mercati, gennaio 1998 - aprile 1999

Tavola II.2.2 Principali indicatori della capitalizzazione della borsa italiana, 1990 - 1998

Tavola II.2.3 Bilancia commerciale servizi, 1990 - 1997

Tavola II.2.4 Industria manifatturiera, matrice di transizione delle imprese per classi dimensionali

Tavola II.2.5 Industria manifatturiera, matrice di transizione delle imprese per classi dimensionali

Tavola III.1.1 Spese in conto capitale: previsioni a legislazione vigente e programmatiche

Tavola III.1.2 Quadro delle previsioni a legislazione vigente valori assoluti e in rapporto del PIL

Tavola III.1.3 Tassi di crescita delle principali spese correnti: previsioni tendenziali

Tavola III.2.1 La manovra correttiva e il quadro programmatico

Tavola III.2.2 Bilancio programmatico dello Stato 2000-2003

Tavola IV.4.1 La diffusione delle tecnologie dell’informazione e dei servizi on line: Paesi a confronto

Tavola IV.9.1 Uso di vari servizi domiciliari 1996

Tavola V.2.1 Crescita economica UE, Italia e Mezzogiorno

Tavola V.4.1. Risorse strutturali comunitarie e cofinanziamento: cicli di programmazione 1994-1999 e 2000-2006

Tavola V.4.2 Spesa in conto capitale del conto della P.A.: scenario programmatico di cassa fino al 2007

Tavola V.4.3 Obiettivi prioritari del PSM: interventi immediati e di medio termine

INDICE DELLE FIGURE

Figura I.2.1 Contributi alla crescita del PIL

Figura I.2.2 Conto corrente della bilancia dei pagamenti

Figura II.1.1 Indebitamento netto, spesa per interessi, saldo primario

Figura II.1.2 Disavanzo corrente, disavanzo in conto capitale, indebitamento netto

Figura II.1.3 Entrate e spese delle Amministrazioni Pubbliche

Figura II.1.4 Entrate e spese delle Amministrazioni Pubbliche nell'U.E

Figura II.1.5 Debito pubblico

Figura II.1.6 Contributo dei controllati alla crescita dei prezzi al consumo

Figura II.1.7 Prezzo relativo industria - servizi destinabili alla vendita

Figura II.1.8 Saldo partite correnti e posizione netta sull'estero

Figura II.1.9 Contributi alla crescita del PIL

Figura II.1.10 Evoluzione degli investimenti

Figura II.1.11 Tasso di crescita del valore aggiunto nei servizi destinabili al mercato

Figura II.1.12 Tassi di partecipazione e tassi di disoccupazione

Figura II.2.1 Indici delle direttive non ancora trasposte, 1997-1999

Figura II.2.2 Occupati su popolazione in età lavorativa, 1997

Figura II.2.3 Settore servizi: occupati su popolazione in età lavorativa, 1997

Figura II.2.4 Occupazione nelle piccole e medie imprese e nelle grandi imprese, 1999

Figura II.2.5 Occupazione per classe dimensionale di impresa, 1996

Figura IV.9.1 Occupati nel settore dei servizi alla comunità su popolazione in età lavorativa, 1997

Figura IV.9.2 Occupati nel settore servizi alle imprese su popolazione in età lavorativa, 1997

Figura V.2.1 Confronto del PIL Mezzogiorno, Italia

Figura V.2.2 Esportazioni delle regioni del Mezzogiorno

Figura V.2.3 Scenario programmatico di crescita del Mezzogiorno: confronto con Italia e UE

Figura V.3.1 Erogazioni per spese in conto capitale nelle aree depresse

Figura V.3.2 Stato di attuazione dei primi 12 patti territoriali

Figura V.3.3 Patti territoriali

INDICE DEI RIQUADRI

Evoluzione recente delle crisi finanziarie in Estremo Oriente, Russia e Brasile

La manovra finanziaria per il 1999

La struttura del commercio estero e la competitività dei prodotti italiani

Utenza domestica di telematica

Emissioni di gas responsabili dell’effetto serra

I sistemi territoriali come dimensione della politica di sviluppo

Misure per la diffusione della finanza di progetto

ALLEGATI STATISTICI

Tavola A1 Amministrazioni Pubbliche: conto economico tendenziale (in miliardi di lire) 133

Tavola A2 Amministrazioni Pubbliche: conto economico tendenziale (valori percentuale del PIL)

Tavola A3 Settore Statale: quadro tendenziale e programmatico

Tavola A4 Settore Statale: quadro tendenziale 1

 


INTRODUZIONE

La situazione dell'economia italiana di questi ultimi tre anni impone al governo e all'azione pubblica il compito di restituire al sistema economico e alla società italiana la prospettiva di una ripresa dello sviluppo e dell'occupazione, offrendo in particolare ai giovani le opportunità di una vita di lavoro e agli italiani in genere la rinnovata speranza che l'attività economica conduca, con il supporto dell'azione pubblica, al benessere della collettività.

La politica economica si trova ad affrontare problemi che contengono aspetti tra loro contrastanti. Il rispetto degli impegni comunitari impone una politica di bilancio orientata verso il pareggio, un obiettivo essenziale per garantire la stabilità dei mercati finanziari, l'indirizzo del risparmio privato verso il sostegno degli investimenti. Viene così a mancare la possibilità di ricorrere agli strumenti tradizionali della politica di bilancio per il sostegno della domanda interna. Né è possibile e praticabile una strategia che utilizzi una aggressiva riduzione del prelievo tributario come strumento di stimolo per la ripresa economica: essa ci spingerebbe verso la bancarotta finanziaria. La politica di bilancio adottata nel presente documento si indirizza verso un significativo mutamento nella struttura della spesa pubblica spostando risorse dalla spesa corrente verso la spesa in conto capitale e garantendo allo stesso tempo la attuazione di una strategia graduale di riduzione del prelievo tributario.

La linea di politica economica e sociale che il governo propone per il prossimo quadriennio si fonda sulla ragionevole aspettativa che l'economia italiana possa riportarsi su un sentiero di sviluppo caratterizzato da tassi di crescita più elevati di quelli dell'ultimo triennio; che trovi al proprio interno, all'interno del sistema delle imprese che ne hanno fatto, stabilmente, un paese competitivo e articolato nell'economia mondiale, incentivi e motivazioni per riprendere il cammino della crescita.

In questa prospettiva il governo propone un progetto di politica economica che, muovendosi nelle linee di azione individuate dal Consiglio Europeo, é diretto a modificare le condizioni di produzione a livello settoriale e micro-economico, a potenziare la formazione alle attività per le quali c'è già oggi una domanda di lavoro che non trova risposta, a rafforzare e diffondere l'uso delle moderne tecnologie nel sistema industriale e nei servizi, a migliorare la qualità dell'offerta dei servizi pubblici e a liberare la società italiana dai vincoli che le sono stati imposti da un eccesso di legislazione che spesso ha risposto non a interessi di sistema ma alle esigenze di gruppi o segmenti specifici della società. Queste azioni, unitamente a quelle specificamente rivolte alla rimozione delle diseconomie esterne che pesano in particolare sul Mezzogiorno, concorreranno alla realizzazione dell'obiettivo che il governo si pone per lo stesso Mezzogiorno e cioè quello di portarlo a un tasso di sviluppo significativamente superiore alla media europea.

I. LA CONGIUNTURA E LE PROSPETTIVE DI MEDIO TERMINE

Nel corso del 1998 l’economia mondiale è stata caratterizzata da una accentuata decelerazione dell’attività economica: gli scambi hanno mostrato un rallentamento di oltre sei punti percentuali (3,3 per cento; 9,9 per cento nel 1997) e la crescita della produzione si è quasi dimezzata (2,5 per cento; 4,2 per cento nel 1997). Il susseguirsi di crisi valutarie e finanziarie (la crisi asiatica del 1997, la crisi russa di agosto 1998 e quella brasiliana di gennaio 1999), la prolungata recessione dell’economia giapponese e il rallentamento della crescita dell’area dell’euro hanno caratterizzato lo scenario internazionale fino all’inizio del 1999.

A partire dalla seconda metà dell’anno in corso, le aspettative sono per un’inversione di tendenza, con una ripresa del commercio mondiale e della crescita in assenza di inflazione. Nelle aree colpite da forti squilibri reali e nominali si stanno già evidenziando segnali di contenimento degli effetti delle crisi finanziarie e, in alcuni casi, di ripresa economica. Il temuto contagio finanziario non ha avuto luogo, al più è stato limitato alle economie limitrofe scongiurando i segnali di rischio sistemico. Le prospettive dell’economia giapponese sono più favorevoli in conseguenza delle ingenti misure di politica fiscale e della ristrutturazione del sistema bancario. Per l’area dell’euro le previsioni indicano una graduale accelerazione del tasso di crescita nella seconda metà dell’anno in corso. L’economia statunitense continua a manifestare una crescita sostenuta, destando qualche timore di accelerazione della dinamica dei prezzi.

Nel medio periodo il quadro internazionale mostrerebbe un ulteriore miglioramento. In questo contesto, l’economia italiana, sulla base degli interventi programmati dal Governo, dovrebbe crescere a ritmi progressivamente più elevati, allineandosi nel medio termine alle condizioni di sviluppo equilibrato prevalenti nell’area euro.

I.1 LO SCENARIO INTERNAZIONALE

I.1.1 L’evoluzione più recente dell’economia mondiale

A fronte di una comune moderata dinamica dei prezzi, le economie dei maggiori paesi industrializzati sono state caratterizzate dall’inizio del 1998 ad oggi da fasi distinte del ciclo reale. All’andamento sostenuto dell’economia statunitense si accompagna una congiuntura meno brillante dell’area euro e una recessione dell’economia giapponese. L’andamento dell’occupazione è risultato in linea con il ciclo reale; positivo nei paesi anglosassoni, moderato nei paesi dell’Europa continentale e fortemente negativo in Giappone. La divergenza tra i cicli reali ha avuto considerevoli ripercussioni sui saldi di parte corrente della bilancia dei pagamenti: mentre il deficit statunitense ha continuato ad ampliarsi, in Giappone il surplus è ulteriormente cresciuto.

Negli Stati Uniti il prodotto interno lordo ha continuato ad aumentare a ritmo sostenuto (su base annua 6,1 per cento nell’ultimo trimestre del 1998 e 4 per cento nel primo trimestre del 1999); la domanda interna e il clima di fiducia favorevole dei consumatori hanno sostenuto la crescita. Il tasso di disoccupazione nel 1998 è sceso al 4,5 per cento, segnalando qualche rischio di tensioni inflazionistiche. Tuttavia i prezzi al consumo, dopo l’aumento congiunturale dello 0,7 per cento registrato in aprile, in maggio sono risultati stazionari.

La prolungata fase di crescita continua ad avere effetti negativi sul deficit delle partite correnti (passato dall’1,9 per cento del PIL nel 1997 al 2,7 per cento nel 1998), amplificati dal recente apprezzamento del dollaro. Dopo l’indebolimento dovuto all’allentamento delle condizioni monetarie nell’autunno scorso e all’introduzione dell’euro, il dollaro, infatti, ha ripreso ad apprezzarsi, riflettendo la solidità della crescita dell’economia e le aspettative di ampliamento nel differenziale di interesse tra area dell’euro e Stati Uniti.

A fronte di una politica fiscale sostanzialmente neutrale, che ha consentito di conseguire un avanzo di bilancio pubblico per il secondo anno consecutivo, la gestione della politica monetaria rimane cauta. Dopo tre ribassi nei tassi ufficiali di interesse da settembre a novembre 1998, che hanno portato il tasso sui Federal Funds al 4,5 per cento, i dati sulla crescita del prodotto reale nell’ultimo trimestre del 1998 e nel primo del 1999 hanno creato aspettative di una restrizione monetaria, seppur lieve.

Nel 1998 il PIL del Giappone è diminuito del 2,8 per cento. Le cause della recessione registrata sono di natura reale e finanziaria. L’integrazione commerciale con i paesi del Sud Est Asiatico, colpiti dalle crisi valutarie del 1997, ha spinto l’intera area in un circolo vizioso di bassa domanda reciproca, che ha avuto rilevanti effetti sulle esportazioni giapponesi. Anche la domanda interna è fortemente calata (-3,8 per cento nel 1998), nonostante gli interventi di politica fiscale (e monetaria). La disoccupazione è aumentata raggiungendo livelli storicamente elevati.

Sia la politica fiscale che la politica monetaria rimangono espansive. Ingenti misure di stimolo fiscale (complessivamente pari a circa 5 punti percentuali di PIL) sono state varate nell’aprile 1998 e rafforzate nel novembre scorso portando il rapporto indebitamento netto/PIL verso valori estremamente elevati per un’economia sviluppata: dal 3,3 per cento del 1997 al 5,3. Ove la ripresa economica tardasse a manifestarsi o fosse debole, l’aumento nel disavanzo pubblico potrebbe provocare un rapido aumento del rapporto debito/PIL.

Nel primo trimestre del 1999, tuttavia, il prodotto interno lordo del Giappone è tornato a crescere dopo aver registrato per tre trimestri consecutivi andamenti negativi. Anche la domanda interna risulta in espansione. Per la seconda metà dell’anno, le previsioni mostrano una ulteriore ripresa della domanda interna, soprattutto come conseguenza dell’effetto ritardato della manovra fiscale del 1998.

A febbraio 1999, la Banca del Giappone ha ulteriormente ridotto il tasso di intervento sul mercato monetario, portandolo allo 0,15 per cento. I tassi di interesse a lungo termine si mantengono intorno al 2 per cento.

Nel 1998 il PIL del Regno Unito ha mostrato una decelerazione (2,3 per cento; 3,5 per cento nel 1997), cui è seguito un rallentamento dei prezzi e dell’occupazione. Tuttavia, il tasso di disoccupazione è diminuito ulteriormente, attestandosi al 6,3 per cento. L’apprezzamento prolungato della sterlina ha contribuito a ridurre la componente estera della domanda aggregata e a peggiorare il saldo delle partite correnti. L’orientamento della politica monetaria è stato restrittivo nella prima parte del 1998. Tuttavia, negli ultimi mesi dell’anno si è registrato un allentamento delle condizioni monetarie da attribuire al deteriorarsi del quadro finanziario internazionale e al rallentamento del ciclo, in linea con le misure adottate dalla Federal Reserve statunitense e dalle banche centrali europee. Nel giugno 1999 la Banca d’Inghilterra ha ridotto il tasso d’intervento di 0,25 punti percentuali portandolo al 5,0 per cento. In assenza di rilevanti interventi fiscali, il saldo di bilancio pubblico ha mostrato un avanzo pari a 0,6 punti percentuali di PIL. Nel primo trimestre del 1999 comunque è proseguito il rallentamento dell’economia: il PIL è aumentato in termini tendenziali dello 0,6 per cento.

L’avvio della terza fase dell’Unione Economica e Monetaria è avvenuto in modo ordinato e senza tensioni nei mercati nazionali ed internazionali. I tassi di interesse a breve e a lungo termine hanno mostrato una graduale tendenza verso il basso. Dal primo gennaio 1999, i differenziali tra i tassi di interesse sui titoli pubblici si sono ridotti a pochi punti base su tutte le scadenze. Una maggiore volatilità ha invece caratterizzato il segmento interbancario, per le difficoltà relative all’apprendimento delle modalità di funzionamento del nuovo sistema di regolamentazione lorda in tempo reale dei pagamenti (TARGET).

L’ingresso dell’euro sui mercati finanziari internazionali è stato accompagnato da un iniziale apprezzamento nei confronti del dollaro e dello yen. A partire da febbraio 1999, tuttavia, la tendenza si è invertita e il cambio si è attestato nel mese di giugno attorno a quota 1,03-1,04 dollari e 125-128 yen riflettendo le aspettative di un ampliamento nel differenziale di interesse a breve termine con l’economia statunitense.

Nel suo complesso, l’area dell’euro ha evidenziato nel 1998 un tasso di crescita del PIL pari al 3 per cento (2,5 per cento nel 1997). In tutti i principali paesi europei la crescita ha però subito una riduzione in corso d’anno, come risultato del rallentamento dell’economia mondiale. I risultati macroeconomici mostrano un andamento divergente della crescita del PIL: tra i principali paesi europei modesta in Italia (1,3 per cento), molto elevata in Spagna (3,8 per cento), intorno al 3 per cento in Francia e in Germania.

Nel primo trimestre del 1999 si è, tuttavia, manifestata una inversione di tendenza: il PIL dell’area euro è aumentato dello 0,4 per cento in termini congiunturali, trainato da consumi ed investimenti. Il clima di fiducia nella UE, in miglioramento per i consumatori fino a marzo, ha successivamente mostrato un lieve calo compensato tuttavia da un miglioramento delle aspettative delle imprese.

I prezzi al consumo mostrano un andamento molto contenuto, mentre le riduzioni del costo del lavoro e dei prezzi delle materie prime hanno comportato variazioni negative dei prezzi alla produzione in alcuni paesi dell’area. I recenti aumenti del prezzo del petrolio dovrebbero compensare le ulteriori tendenze al ribasso delle altre materie prime. Nonostante il rallentamento dell’attività economica in corso d’anno, l’occupazione è cresciuta dell’1,1 per cento (0,2 per cento nel 1997). Il tasso di disoccupazione rimane in media elevato, pur mostrando segni di miglioramento in Germania, Francia e Spagna. 

La politica monetaria delle banche centrali nazionali nel 1998 e della Banca Centrale Europea, a partire da gennaio, è stata moderatamente espansiva. In assenza di tensioni inflazionistiche che potessero mettere in discussione l’obiettivo prioritario della stabilità dei prezzi, il Consiglio Direttivo della BCE ha ridotto in aprile dal 3 al 2,5 per cento il tasso di intervento (relativo alle operazioni pronti-contro-termine di rifinanziamento principali). Contestualmente sono stati ridotti i tassi di interesse ufficiali relativi ai depositi presso la BCE (dal 2 all’1,5 per cento) e ai rifinanziamenti marginali (dal 4,5 al 3,5 per cento).

Nel 1998 nell’area dell’euro si è avuta una generalizzata riduzione sia dell’indebitamento netto che del debito delle pubbliche amministrazioni, rispettivamente al 2,1 per cento del PIL (2,5 per cento nel 1997) e al 73,4 per cento (75,1 per cento nel 1997).

EVOLUZIONE RECENTE DELLE CRISI FINANZIARIE IN ESTREMO

ORIENTE, RUSSIA E BRASILE

La dimensione delle crisi finanziarie e valutarie che hanno colpito Russia e Brasile è stata tale da ripercuotersi immediatamente sull’economia reale. In Russia, a seguito della crisi dell’agosto 1998, la caduta del prodotto interno lordo è stata prossima ai sei punti percentuali (-5,7 per cento), e l’inflazione ha raggiunto il 26 per cento (15 per cento nel 1997). In Brasile, gli attacchi speculativi sul real innescati dalle incertezze relative all’attuazione delle misure di stabilizzazione interne, hanno indotto le autorità monetarie ad abbandonare il regime di cambio fisso nel febbraio 1999. I tentativi iniziali di difesa della parità hanno portato al rapido aumento dei tassi di interesse, che nel segmento del breve termine hanno superato nella fase più critica il 40 per cento. Per l’anno in corso si attende una caduta del PIL reale accompagnata da un aumento dell’inflazione a causa della svalutazione del real (nel 1998 il tasso di crescita del PIL era stato pari a 0,5 per cento, con un tasso di inflazione del 3,9 per cento).

Sia in Russia che in Brasile, le organizzazioni internazionali sono intervenute con ingenti aiuti finanziari, condizionati all’adozione di piani di risanamento finanziario. In particolare, il Fondo Monetario Internazionale ha approvato la scorsa estate un prestito di oltre 22 miliardi di dollari alla Russia. In novembre, il Brasile ha beneficiato dell’approvazione di un piano di aiuti (cofinanziato da organizzazioni internazionali e settore privato) per un ammontare complessivo di 41,6 miliardi di dollari. Il piano triennale di risanamento concordato con le autorità brasiliane è stato rinegoziato dopo la crisi valutaria di inizio 1999. 

L’andamento dei prezzi internazionali ha contribuito ad intensificare gli effetti della crisi nei paesi emergenti. La tendenza al ribasso dei corsi delle materie prime, iniziata nel 1997, non si è invertita. Il prezzo del petrolio in dollari è diminuito di quasi il 40 per cento alla fine del 1998 (-39,6 per cento rispetto a dicembre 1997) aggravando la situazione dei paesi esportatori; tuttavia, un netto recupero delle quotazioni del greggio si osserva nei primi mesi del 1999.

Nell’anno in corso si manifestano segnali di contenimento delle crisi e di ripresa. I tempestivi provvedimenti approvati dal G-7 a ottobre scorso hanno contribuito a ridurre la turbolenza nei mercati finanziari internazionali. Contemporaneamente, le autorità monetarie hanno allentato le condizioni monetarie sia negli Stati Uniti che in Europa. Il risultato è stato di allontanare il temuto contagio della crisi russa sia verso i paesi dell’Est Europeo, che hanno continuato a crescere a ritmi sostenuti per i buoni "fondamentali", sia verso l’Estremo Oriente, dove la Cina ha contrastato la caduta delle esportazioni con misure di sostegno alla domanda interna senza variare il cambio. Anche la crisi finanziaria brasiliana non si è, ad oggi, diffusa ad altri paesi dell’America Latina; qualche riflesso negativo, tuttavia, si riscontra in Argentina, dato il forte interscambio commerciale tra i due paesi, e in Venezuela. Nel Sud Est Asiatico (ad eccezione dell’Indonesia), i tassi di cambio con il dollaro sono tornati ai livelli di inizio 1998 e sembrano attualmente stabili. I tassi di interesse a breve termine hanno invertito la tendenza e, gradualmente, iniziano a ridursi, mentre gli indici azionari hanno ripreso un andamento crescente a partire dall’estate scorsa. Già nell’ultimo trimestre del 1998 in alcuni paesi (Tailandia e Corea del Sud) l’economia reale ha ripreso un sentiero di crescita e sembra essersi arrestato il fenomeno di fuga di capitali.

I.1.2 Le previsioni per il medio termine

Le recenti tendenze inducono a ritenere che a partire dal 2000 il commercio mondiale manifesti una progressiva accelerazione raggiungendo nel 2001 i ritmi del 1996 (circa 6,8 per cento). La crescita del PIL dei paesi industrializzati dovrebbe collocarsi poco al di sotto del 3 per cento a partire dal 2002, con una performance dell’area dell’euro superiore alla media. Le aspettative sono, quindi, per un avvicendamento nel ruolo trainante dell’economia mondiale tra Stati Uniti e area dell’euro.

Le quotazioni del petrolio, in rialzo già dall’anno in corso, dovrebbero ritornare a valori più vicini a quelli di metà degli anni novanta. Anche i prezzi in dollari delle materie prime non energetiche sono previsti aumentare in concomitanza con la ripresa del commercio mondiale.

Il cambiamento nella posizione relativa tra i tassi di crescita di USA ed Europa dovrebbe riflettersi nell’andamento dei cambi, con un moderato apprezzamento dell’euro sull’orizzonte previsionale. Il graduale recupero del cambio limiterà l’aumento, in valuta nazionale, dei prezzi delle materie prime.

I.2 - L'EVOLUZIONE DELL'ECONOMIA ITALIANA NEL 1999 E LE PROSPETTIVE DI MEDIO PERIODO

I.2.1 Gli obiettivi e gli andamenti del 1999

I.2.1.1 L'economia reale

Nel 1999 il PIL è previsto aumentare in termini reali dell'1,3 per cento (come nel 1998), in coerenza con l’andamento rilevato nel primo trimestre. Tale stima sconta una ripresa dell'attività economica nella seconda parte dell'anno, in linea con quanto atteso per l'economia mondiale, ed europea in particolare.

Come nel biennio precedente, anche nell'anno in corso la crescita sarà trainata dalla domanda interna. La spesa delle famiglie dovrebbe aumentare a un ritmo prossimo al 2 per cento, grazie soprattutto al favorevole andamento del reddito disponibile. Gli investimenti fissi lordi sono stimati in lieve accelerazione (3,7 per cento contro il 3,5 del 1998): gli investimenti in macchinari e attrezzature sono attesi crescere al 5 per cento in volume, quelli in costruzioni al 2 per cento. Agli effetti derivanti dalla riduzione dei tassi reali di interesse si sommeranno sia quelli legati agli incentivi per le ristrutturazioni edilizie introdotti lo scorso anno, sia gli sgravi fiscali per i nuovi investimenti delle imprese.

Quanto alla domanda estera, le esportazioni aumenteranno in media annua dell'1,3 per cento (1,2 per cento nel 1998). Nella prima parte dell'anno il calo dell’export è stato determinato dagli stessi elementi di debolezza prevalenti nel semestre precedente: il rallentamento del commercio mondiale e la perdita di competitività connessa alle crisi valutarie internazionali. Una ripresa dovrebbe verificarsi nella seconda metà dell'anno, in un contesto di rafforzamento della domanda europea e di stabilità dei cambi. Per le importazioni viene stimato un forte rallentamento (2,4 per cento contro il 6,1 per cento del 1998), da attribuirsi sia al riassestamento dei magazzini, sia al definitivo esaurirsi dell'effetto "agevolazioni" all’acquisto di autoveicoli.

Il surplus delle partite correnti, che nel 1998 era risultato in netto calo, è previsto rafforzarsi, raggiungendo il 2 per cento del PIL. Alla lieve riduzione dell'avanzo mercantile (da 3,0 a 2,8 per cento del PIL) si dovrebbe, infatti, contrapporre il miglioramento del deficit delle partite invisibili, a riflesso dei minori oneri per il servizio del debito estero.

Nel 1999 l'occupazione complessiva, in linea con gli andamenti registrati nel corso degli ultimi 12 mesi, continuerà a crescere (0,5 per cento) grazie soprattutto all'espansione del settore dei servizi privati. A questa evoluzione dovrebbe contribuire in modo significativo l’aumento del lavoro a termine e a tempo parziale. Il tasso di disoccupazione scenderebbe lievemente, passando dal 12,3 al 12,1 per cento. 

Quanto all'andamento dei costi di produzione, la moderazione salariale - congiuntamente agli effetti degli sgravi contributivi introdotti dal Collegato alla Legge Finanziaria per il 1999 e dal "Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione"-, si dovrebbe tradurre in incrementi del costo del lavoro per unità di prodotto intorno all'1,5 per cento (intera economia). Il confronto con il risultato registrato nel 1997 (2,8 per cento) conferma la tendenza al rallentamento dei costi unitari del lavoro (la variazione negativa registrata nel 1998 non è confrontabile poiché riflette un salto di livello dei redditi da lavoro da attribuirsi alla eliminazione dei contributi sanitari e alla contestuale introduzione dell’IRAP). L'evoluzione ancora favorevole, seppure in misura meno accentrata rispetto al 1998, dei prezzi internazionali delle materie prime (escluso il petrolio) e dei manufatti e la prevista stabilizzazione del cambio euro/dollaro sui livelli attuali dovrebbero, inoltre, limitare l’inflazione importata. Queste tendenze consentiranno l'ulteriore decelerazione dell'inflazione, misurata sull'indice dei prezzi al consumo, rispetto all’1,8 per cento registrato mediamente nel 1998.

I.2.1.2 Le variabili di finanza pubblica

La Relazione sulla stima del fabbisogno di cassa del settore pubblico per l’anno 1999, presentata il 18 marzo scorso, ha stimato l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche per l’anno in corso (secondo lo schema contabile SEC79) in 51.100 miliardi.

Il livello previsto, che consente una riduzione del rapporto indebitamento/PIL di tre decimi di punto rispetto al risultato conseguito nel 1998, comporta uno scostamento dall’obiettivo indicato nel Documento di Programmazione dello scorso anno, che collocava l’indebitamento del 1999 al 2 per cento. La nuova stima riflette sia la meno favorevole evoluzione del ciclo economico nel 1998, sia le nuove prospettive per l’anno in corso, che farebbero registrare complessivamente una minore crescita cumulata del PIL di oltre due punti percentuali in due anni.

La revisione al rialzo del disavanzo, essendo correlata a motivi di natura ciclica, non compromette gli obiettivi di più lungo periodo fissati nel Patto di Stabilità e Crescita che impegnano l'Italia a conseguire nel 2001 un deficit pari all'1 per cento del PIL e, successivamente, un saldo prossimo al pareggio.

La revisione dei conti nazionali secondo lo schema contabile SEC95 non modifica la stima dell’indebitamento netto nel suo complesso (51.400 miliardi), ma riflette all’interno del conto l’applicazione delle nuove regole di registrazione dei flussi contabili.

Per il 1999 è attesa un’ulteriore riduzione degli oneri per il servizio del debito, correlata alla riduzione dei tassi d'interesse, ora in linea con quelli degli altri paesi europei sia per le scadenze a breve, sia per quelle a lunga. La spesa per interessi si collocherà sui 150.200 miliardi (7,1 per cento del PIL) contro i 164.058 del 1998 (8,0 per cento del PIL).

L’avanzo primario è stimato in 98.800 miliardi con un incidenza sul PIL in diminuzione rispetto al 1998 dal 5,2 al 4,6 per cento per il 1999.

L'avanzo corrente, dopo l'attivo registrato nel 1998, si accrescerà ulteriormente fino all'1,2 per cento del PIL, consentendo di recuperare ulteriori spazi finanziari a favore dello sviluppo e degli investimenti. Il disavanzo in conto capitale è previsto aumentare al 3,6 per cento del PIL.

LA MANOVRA FINANZIARIA PER IL 1999

La manovra finanziaria per il 1999 è stata destinata a ridurre di 8.000 miliardi il deficit primario rispetto al suo valore tendenziale.

Sul fronte della spesa gli interventi correttivi sono stati definiti nel quadro di una più ampia responsabilizzazione degli enti decentrati al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, di un avanzamento nell'opera di razionalizzazione della spesa, di un ulteriore riordino del sistema di finanziamento delle aziende di servizio pubblico. Dal lato delle entrate le misure hanno previsto l'avvio del processo di graduale riduzione della pressione fiscale e l’intensificazione degli interventi finalizzati all’emersione di base imponibile, inclusa la revisione delle procedure per il recupero dei crediti contributivi. 

Gli spazi finanziari resi disponibili dall'azione correttiva hanno consentito il rafforzamento dell'impegno del Governo per il sostegno dello sviluppo economico, soprattutto nelle aree depresse del Paese, sia attraverso l'adozione di nuovi incentivi per un più ampio uso del capitale e del lavoro che tramite la destinazione di risorse aggiuntive per la ripresa degli investimenti pubblici. Ulteriori risorse sono state indirizzate all'attuazione delle politiche sociali, specialmente a favore delle fasce più deboli e delle famiglie numerose.

I.2.2 Le prospettive di medio periodo dell’economia italiana: 2000-2003

Coerentemente con le nuove esigenze di programmazione derivanti dall’appartenenza all’area dell’euro, a partire dall’anno in corso l’arco temporale di riferimento per il quadro macroeconomico di medio termine viene esteso da tre a quattro anni.

Le previsioni tengono conto degli interventi di politica economica descritti nei capitoli seguenti del presente documento; tali interventi sono volti ad affrontare e correggere gli squilibri strutturali che non consentono al Paese di sviluppare in pieno le proprie potenzialità di crescita nel nuovo contesto dell’Unione Economica Monetaria. In particolare, il Mezzogiorno, beneficiando di una nuova e più incisiva politica di programmazione degli investimenti pubblici, potrà conoscere una fase accelerata di sviluppo, raggiungendo tassi di espansione del PIL significativamente superiori a quelle medi europei.

La ripresa del commercio mondiale e dell’attività economica in Europa e gli interventi programmati dal Governo dovrebbero tradursi in una accelerazione della crescita, dall’1,3 per cento previsto per l’anno in corso al 2,9 per cento del 2003.

La crescita trarrà vigore dalla evoluzione della domanda interna; l’andamento dell’export consentirà al Paese di attenuare la perdita di quote di mercato già osservate: in complesso, la domanda estera netta continuerà a fornire un contributo lievemente negativo, tendente ad annullarsi verso la fine del periodo.

La spesa delle famiglie in termini reali è stimata in accelerazione, passando da un tasso di incremento dell’1,8 per cento nel 1999 al 2,5 per cento del 2002-2003. Tale evoluzione rifletterebbe l’aumento del reddito disponibile connesso alla crescita delle retribuzioni reali e dell’occupazione, nonché al moderato recupero dei redditi da capitale, dopo i cali registrati negli anni più recenti. La previsione implica una sostanziale stabilità della propensione al consumo sui livelli del 1999.

A partire dal 2000 si stima una forte ripresa del processo di accumulazione: il tasso annuo di crescita degli investimenti fissi lordi salirebbe dal 3,7 per cento del 1999 a oltre il 6 per cento medio nell’orizzonte previsionale (6,5 per cento per gli investimenti in macchinari, oltre il 5 per cento per le costruzioni). Tale andamento troverà fondamento nell’agire congiunto di più fattori, esogeni ed endogeni. Il più dinamico contesto mondiale ed europeo e il conseguente miglioramento delle aspettative di domanda potranno tradursi in nuovi investimenti grazie anche ai bassi tassi reali di interesse. Le politiche governative, volte sia ad incentivare gli investimenti privati, sia ad accelerare l’accumulazione di capitale pubblico, forniranno un impulso ulteriore. Di conseguenza, la quota degli investimenti sul prodotto è destinata ad aumentare, portandosi sul livello medio dei partner europei.

Dal lato estero, l’accelerazione del commercio mondiale dovrebbe favorire la ripresa delle esportazioni in volume, dall’1,3 per cento di incremento stimato per l’anno in corso al 6 per cento circa del 2002-2003. Poiché il commercio mondiale è atteso espandersi a un ritmo ancora più sostenuto (si veda la tavola I.1.3), tale stima implica una ulteriore perdita di quote di mercato. Si tratterebbe peraltro di una tendenza in via di attenuazione. Nonostante l’apprezzamento atteso del cambio nominale effettivo, l’elasticità delle nostre esportazioni alla domanda mondiale tornerebbe, infatti, sui valori di medio periodo, grazie alle politiche concorrenziali delle imprese e alle politiche strutturali programmate dal Governo, tese a favorire i fattori di competitività diversi dal prezzo.

La dinamica delle importazioni seguirà la ripresa dell’attività economica, mostrando tuttavia una riduzione dell’elasticità al PIL rispetto agli elevati livelli degli anni più recenti.

Dagli andamenti descritti deriverà una stabilizzazione dell’avanzo commerciale intorno al 2,5 per cento del PIL. Il disavanzo delle partite invisibili, viceversa, dovrebbe mostrare un progressivo miglioramento, tendendo ad annullarsi a fine periodo principalmente in conseguenza di due effetti: il riassorbimento del passivo dei redditi da capitale e, dal 2001 in poi, il ridimensionamento del deficit dei servizi relativo ai trasporti, alle comunicazioni, ai servizi finanziari ed alle imprese. Il saldo corrente è quindi previsto aumentare fino a raggiungere il 2,5 per cento del PIL nel 2003, confermando il contributo dell’Italia all’attivo di bilancia corrente dell’area dell’euro.

I settori produttivi più dinamici saranno l’industria in senso stretto e le costruzioni, con tassi reali di incremento compresi tra il 3,5 e il 4 per cento a partire dal 2001. Anche i servizi privati mostreranno una accelerazione, avvicinandosi ai ritmi di crescita degli anni ottanta (tra il 2,5 e il 3 per cento).

L’occupazione manifesterà dinamiche settoriali diversificate. Fattori strutturali continueranno a condizionare gli andamenti occupazionali nel settore agricolo e nella Pubblica Amministrazione. Viceversa, l’industria manifesterà una ripresa, particolarmente pronunciata nelle costruzioni. Sarà però il terziario, dove è presente un potenziale di crescita tuttora non sfruttato, a registrare gli incrementi più sostenuti. Nel complesso, tra il 2000 e il 2003 l’occupazione dovrebbe aumentare in media annua dello 0,8 per cento.

Il tasso di disoccupazione si ridurrebbe di due punti percentuali, scendendo dal 12,1 per cento previsto per il 1999 al 10,1 per cento nel 2003. Questa stima tiene conto di un modesto aumento medio annuo delle forze di lavoro, determinato dal compensarsi di due effetti: l’aumento della propensione al lavoro e la contrazione – per motivi demografici – della numerosità delle classi in età di lavoro.

Si stima che le retribuzioni lorde pro capite decelerino, passando da un tasso di incremento nominale del 2,5 per cento nel 1999 al 2 per cento circa di fine periodo. In un contesto di moderazione dei prezzi internazionali delle materie prime e dei manufatti e di ripresa della produttività, i costi unitari variabili dovrebbero quindi mostrare incrementi contenuti. Nel complesso, tali andamenti sono coerenti con la discesa del tasso di inflazione al consumo all’1,2 per cento nel 2000 e con la successiva stabilizzazione intorno all’1 per cento. Il processo di contenimento dei prezzi sarà anche favorito da un aumentato grado di concorrenzialità sui mercati interni dei beni e dei servizi.

II. IL QUADRO STRUTTURALE E LA COMPETITIVITÀ DEL SISTEMA PAESE

A partire dal 1992, l’Italia ha realizzato un profondo processo di aggiustamento dei fondamentali economici e finanziari che ha consentito l’adesione del nostro paese all’Unione Economica e Monetaria (UEM). L’adozione dell’euro introduce elementi di stabilità nella nostra economia, in quanto parte di un’ampia area valutaria caratterizzata da un basso costo del denaro e da una notevole impermeabilità alle crisi finanziarie internazionali.

La moneta unica è anche portatrice di cambiamento, in quanto richiede l’accelerazione dell’integrazione dei mercati dei prodotti e dei fattori. In questo contesto di aumentata competizione, la nostra economia non potrà più avvalersi del deprezzamento della moneta nazionale per ottenere miglioramenti di competitività: la variazione di valore dell’euro nei confronti delle altre monete sarà soggetta all’andamento relativo dei fondamentali di tutti i paesi membri dell’UEM, e non solo di quelli italiani.

La competitività internazionale potrà essere migliorata solo attraverso dinamiche di prezzo più contenute ed il miglioramento della qualità dei nostri prodotti e servizi.

L’adesione all’UEM richiede un aggiustamento strutturale del sistema produttivo per migliorare la competitività del nostro sistema paese.

Importanti riforme strutturali sono già state introdotte: la liberalizzazione dei servizi, la riforma organica del sistema tributario, la privatizzazione delle imprese pubbliche, lo sviluppo del mercato finanziario, le riforme della pubblica amministrazione e le misure dirette a raggiungere una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro.

La modesta performance della crescita economica italiana nel corso degli anni novanta, sia in confronto al decennio precedente sia rispetto alle altre economie europee, indica che il processo di trasformazione avviato non deve interrompersi.

Il completamento delle riforme strutturali, la liberalizzazione dell’offerta dei servizi e lo sviluppo e crescita delle piccole e medie imprese sono i tre pilastri per una politica economica diretta a modernizzare il sistema produttivo ed a porre le basi per aumentare significativamente la crescita del reddito e dell’occupazione nel prossimo decennio.

II.1 LA STRUTTURA MACROECONOMICA ITALIANA

Negli anni novanta, l’Italia ha intrapreso un intenso processo di aggiustamento dei fondamentali economici e finanziari; la riduzione del deficit pubblico e del tasso di inflazione verso livelli comparabili con quelli degli altri Paesi europei e il riequilibrio della posizione finanziaria nei confronti dell’estero rappresentano i più importanti risultati. Tali sforzi sono stati premiati con una maggiore credibilità del nostro Paese che si è tradotta in una significativa caduta dei tassi di interesse reali e una maggiore stabilità del tasso di cambio della lira.

Le migliorate condizioni macroeconomiche, tuttavia, non hanno ancora avuto un riflesso soddisfacente sull’attività produttiva e sul mercato del lavoro. Il tasso di crescita del PIL ed il tasso di occupazione sono stati più bassi rispetto a quelli degli altri Paesi dell’area euro e, in maniera ancora più evidente, rispetto alle economie anglosassoni. Il nostro sistema produttivo appare "sottodimensionato" rispetto alle sue potenzialità sia in termini di formazione di capitale sia di occupazione.

II.1.1 L’aggiustamento dei fondamentali macroeconomici

 II.1.1.1 Il risanamento della finanza pubblica

Il percorso di risanamento della finanza pubblica è risultato tra i più rapidi nei Paesi che aderiscono all’Unione. L’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in percentuale del PIL è diminuito tra il 1990 e il 1997 di oltre otto punti, collocandosi al 2,8 per cento, al di sotto della soglia di riferimento stabilita nel Trattato di Maastricht. Tale misura si è portata nel 1998 al 2,7 per cento confermando, in un anno caratterizzato da una fase congiunturale poco favorevole, il carattere duraturo del riequilibrio dei conti pubblici.

Il saldo netto primario ha registrato dal 1991 avanzi in progressiva crescita fino al 1997 (6,7 per cento del PIL) e si è collocato nel 1998 al 5,2 per cento. La spesa per interessi è progressivamente diminuita; nel 1998 ha raggiunto l’8 per cento del PIL, con una caduta di circa cinque punti percentuali rispetto al picco registrato nel 1993.

A partire dal 1992, il saldo corrente della Pubblica Amministrazione ha realizzato passivi sempre più ridotti; come risultato, nel 1998, per la prima volta dopo 25 anni, si è registrato un attivo pari a circa 0,3 punti percentuali rispetto al PIL. Il disavanzo di conto capitale, in progressivo ridimensionamento a partire dal 1990, nel 1998 ha invertito la tendenza collocandosi al 3 per cento del PIL.

Fino ai primi anni novanta, l’aumento della pressione fiscale ha rappresentato il fattore prevalente di correzione degli squilibri di finanza pubblica. Nell’ambito della consistente manovra per il 1993 sono state avviate importanti riforme strutturali nei settori cruciali della previdenza, sanità e del pubblico impiego e nel sistema dei trasferimenti agli enti decentrati. Per tale via si è determinato un contenimento della spesa sempre più incisivo che ha contribuito all’inversione di tendenza della spesa primaria in rapporto al PIL prodottasi nel 1994.

Gli aggiustamenti fiscali degli anni successivi, di importi più limitati, hanno proseguito lungo il percorso di razionalizzazione della spesa, interessando anche quella di funzionamento dell’apparato amministrativo con l’obiettivo di rendere più efficiente l’operare della pubblica amministrazione.

Negli anni più recenti, in coincidenza con la necessità di accelerare il percorso di convergenza, un temporaneo maggior ricorso alla leva fiscale, anche sotto forma di prelievo straordinario, ha fornito un contributo alla riduzione del deficit.

La spesa totale primaria dell’Italia, partendo nel 1990 da un livello sostanzialmente in linea con quello degli altri Paesi europei, ha realizzato una flessione che nel 1998 l’ha portata al di sotto della media UE di circa due punti percentuali del PIL. Al suo interno la spesa primaria corrente, già inferiore alla media europea, si è ulteriormente ridotta; quella in conto capitale, più elevata nel 1990, si è invece avvicinata alla media europea. Allo stesso tempo, le entrate correnti si sono allineate al livello dell’area UE.

La flessione dei tassi di interesse conseguente all’accresciuta credibilità del nostro Paese ha innescato un circolo virtuoso fra riduzione della spesa per interessi, riduzione del disavanzo e minore accumulo di debito.

Nell’ultimo quinquennio il rapporto debito/PIL ha manifestato un’ininterrotta e crescente tendenza al ridimensionamento, fino a raggiungere nel 1998 il 116,6 per cento, con una flessione di oltre sette punti percentuali rispetto al 1994. La politica di gestione del debito ha altresì determinato un progressivo allungamento della vita media dei titoli di Stato, dai poco più di 3 anni del 1993 agli oltre 5 anni del 1998. La durata finanziaria media si è allungata a oltre 3 anni dall’1,6 del 1993, rendendo meno sensibile la spesa per interessi alle variazioni dei tassi.

Il programma di privatizzazioni, intrapreso nel 1992, ha svolto un ruolo importante nel processo di rientro del debito. I proventi realizzati dalle dismissioni sono stati impiegati, per legge, nel riacquisto di titoli del debito pubblico, contribuendo in maniera rilevante al processo di riduzione del debito in rapporto al PIL; il contributo totale è stato pari al 3,4 per cento del PIL nel periodo 1994-1998.

II.1.1.2 Il rientro dell’inflazione

Nel corso dell’ultimo decennio si è verificato un progressivo rallentamento dell’inflazione; il tasso di crescita dei prezzi al consumo è diminuito dal 6 per cento nel 1990 all’1,8 per cento nel 1998.

All’inizio degli anni novanta, nonostante la sostanziale riduzione rispetto ai massimi raggiunti nel decennio precedente, il tasso di inflazione dell’economia italiana rimaneva più elevato della media europea, riflettendo una dinamica del costo del lavoro non coerente con quella della produttività. Questa situazione si protraeva fino ai primi anni novanta pur in presenza di condizioni di domanda in progressivo indebolimento, che inducevano al contenimento del mark-up delle imprese.

Gli anni 1992-1993 segnano la svolta: la cessazione della scala mobile ed i successivi accordi sul costo del lavoro consentivano di spezzare la spirale prezzi-salari e di contenere l’inflazione, anche in presenza della svalutazione della nostra moneta.

In una fase iniziale un contributo non trascurabile al rientro della dinamica inflazionistica viene anche dalla politica tariffaria che ha teso alla progressiva riduzione dei prezzi dei beni e servizi soggetti a controllo pubblico, promuovendo al contempo il contenimento dei costi attraverso miglioramenti di efficienza.

A partire dal 1996 la politica tariffaria ha assunto il ruolo di regolamentazione in funzione dell’allocazione efficiente dalle risorse e dello stimolo al contenimento dei costi da parte delle aziende.

L’andamento dei margini di profitto unitari delle imprese ha conosciuto fasi alterne. Dopo la svalutazione del 1992 si è verificato un netto recupero dei margini, che si erano notevolmente assottigliati al principio degli anni novanta.

L’andamento dei margini di profitto unitari delle imprese ha conosciuto fasi alterne. Dopo la svalutazione del 1992 si è verificato un netto recupero dei margini,che si erano notevolmente assottigliati al principio degli anni novanta.

Nonostante i progressi conseguiti, esiste ancora un differenziale positivo d’inflazione al consumo dell’Italia rispetto alla media dei Paesi industrializzati; tale divario è spiegato in buona parte dall’andamento dei prezzi dei servizi. Il processo disinflazionistico che ha caratterizzato gli anni novanta è stato accompagnato da una variazione notevole nei prezzi relativi: in particolare, le variazioni di prezzo dei beni prodotti dall’industria sono state molto moderate - talora negative - mentre le variazioni di prezzo dei servizi, settore caratterizzato da un minor livello di concorrenza, sono risultate più sostenute. Grazie all’introduzione di alcune riforme nel mercato dei servizi, tale caratteristica si è andata attenuando negli ultimi anni, tuttavia, ancora nel 1998, la variazione dei prezzi interni non è parsa rispondere in maniera pari a quella di altri paesi europei al significativo calo dei prezzi internazionali ed alla crescita contenuta della domanda. Ciò mette in evidenza la vischiosità verso il basso che continua a caratterizzare alcune componenti del sistema dei prezzi del paese.

II.1.1.3 Il riequilibrio dei conti con l’estero

A partire dalla metà degli anni ottanta il protrarsi di un differenziale d’inflazione positivo rispetto ai principali partner commerciali, unitamente ad un tasso di cambio nominale legato alla parità centrale del Sistema Monetario Europeo si sono tradotti in un forte apprezzamento del tasso di cambio reale effettivo. Questa situazione ha portato a squilibri nell’interscambio commerciale e all’accumulo, a ritmo crescente, di debito estero. Alla crisi valutaria del 1992-1993 ha fatto seguito una fase di aggiustamento dei conti con l’estero. Il recupero cumulato di competitività, che raggiungeva un picco del 20 per cento tra settembre 1992 e aprile 1993, congiuntamente alla debolezza della domanda interna, riportavano in attivo il saldo corrente della bilancia dei pagamenti. L’aggiustamento, favorito dal graduale miglioramento del saldo dei redditi di capitale, assumeva un carattere strutturale, dando forza alla lira e consentendole nel novembre del 1996 di rientrare nello SME dopo quattro anni di libera fluttuazione.

Il cumularsi di surplus correnti ha permesso di annullare in pochi anni il debito estero netto che aveva raggiunto nel 1992 l’11 per cento circa del PIL: a fine 1997 la posizione netta sull’estero (PNE) risultava leggermente attiva. Tuttavia, il riequilibrio della PNE risultava alterato dall’andamento anomalo, anche nel confronto con i principali Paesi industrializzati, della voce "errori ed omissioni".

Nel 1998 il peggioramento del passivo di questa posta, unitamente all’andamento sfavorevole degli aggiustamenti di valutazione, ha determinato l’inversione di tendenza: la PNE è tornata negativa, situandosi al 2,2 per cento del PIL.

II.1.2 I problemi aperti dell’economia italiana

Ai notevoli successi in termini di aggiustamento macroeconomico non sono corrisposti risultati altrettanto positivi in termini di crescita economica. Come analizzato con maggiore dettaglio nella sezione seguente, il profilo di crescita del PIL italiano negli anni novanta è stato inferiore sia a quello medio dei paesi UE e, in misura ancora maggiore, a quello medio dei Paesi OCSE. Tali tendenze sono state confermate nel 1998 e sono previste protrarsi nel presente anno.

L’elevato carico fiscale e contributivo è una caratteristica comune ai paesi dell’Europa continentale e rappresenta una delle ragioni della loro differente performance rispetto ai Paesi anglosassoni. Non sembra invece che quest’argomento possa essere utilizzato con altrettanta efficacia per spiegare il ritardo in termini di crescita dell’economia italiana nei confronti degli altri paesi dell’area euro.

In termini aggregati, la pressione fiscale dell’Italia è allineata alla media europea (si veda la tavola II.1.3). Pur essendo elevate, le entrate correnti in rapporto al PIL in Italia risultano in linea con la media dell’area euro: nel 1998 erano pari rispettivamente al 46,4 per cento e al 46,6 per cento. Riguardo alla tassazione sul lavoro, il cuneo fiscale (definito come differenza fra costo a carico del datore di lavoro e salario fruito dal lavoratore in percentuale del primo) sui salari risulta elevato (43,8 per cento nel 1998 secondo le stime della Commissione Europea) ma al di sotto della media dell’Unione (47,2 per cento).

La Tavola II.1.3 mette in evidenza, inoltre, che l’economia italiana presenta due peculiarità rilevanti rispetto agli altri Paesi industrializzati:

Il minore incremento di capitale fisico e la minore utilizzazione di capitale umano appaiono, quindi, come le differenze più rilevanti della nostra economia rispetto a quella degli altri Paesi dell’area euro e, in misura ancora più evidente, dei Paesi anglosassoni. Queste differenze possono essere, quindi, indicate come le principali cause del basso tasso di crescita italiano rispetto a quello degli altri Paesi industrializzati.

Nella Sezione II.1.2.1, viene analizzato in maggiore dettaglio il profilo di crescita del PIL italiano e delle sue componenti, sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta, durante gli anni novanta. Nella sezione II.1.2.2, viene esaminata la performance del nostro mercato del lavoro a confronto con quelli degli altri paesi industrializzati.

II.1.2.1 Il basso profilo di crescita

Nel periodo in esame l’Italia ha registrato un tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, in media, pari all’1,3 per cento. Questa performance risulta modesta, sia nei confronti del decennio precedente, sia in rapporto alle altre economie avanzate.

La domanda interna è stata tradizionalmente un fattore trainante dell’economia; per larga parte degli anni ottanta il suo contributo alla crescita ha superato il 3 per cento, tuttavia a partire dal 1992 tale caratteristica è venuta sostanzialmente meno. Nonostante i segnali di ripresa degli anni più recenti, il contributo della domanda interna non è stato ancora tale da riportare la crescita del PIL a livelli soddisfacenti.

Le esportazioni nette hanno avuto un percorso esattamente opposto, diventando un elemento dinamico della domanda nel periodo 1992-1996. Dal 1997, si assiste a una brusca inversione di tendenza aggravata, a partire dalla seconda metà del 1998, dalla caduta della domanda mondiale.

La crescita dei consumi privati ha subito una sensibile flessione causata principalmente dall’andamento del reddito reale disponibile: rispetto agli anni ottanta, la media di periodo è passata da valori prossimi al 3 per cento a circa l’1,2 per cento. Le manovre di finanza pubblica, effettuate a partire dai primi anni novanta e, più di recente, la contrazione dei redditi da capitale derivante dalla discesa dei tassi di interesse, hanno contribuito alla diminuzione dei redditi disponibili delle famiglie.

Nel contempo, la propensione al consumo (intesa come rapporto tra consumi e reddito disponibile delle famiglie come rilevati dall’ISTAT) è cresciuta, proseguendo un’evoluzione in atto nel corso dell’ultimo ventennio.

Durante tutti gli anni ottanta gli investimenti sono stati una componente importante della crescita a causa dell’intenso processo di ristrutturazione che ha coinvolto l’industria italiana e del buon andamento della domanda; gli investimenti in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto sono cresciuti del 3,2 per cento annuo. Nel decennio successivo, l’instaurarsi di un clima d’incertezza, e il conseguente peggioramento delle aspettative, insieme alla salita dei tassi di interesse reali hanno contribuito alla scarsa dinamica di quest’aggregato (il tasso di crescita medio annuo è stato al 1,4 percento).

La crisi del 1993 ha rappresentato un momento di drastica riduzione del processo di accumulazione per tutta l’economia; tuttavia l’andamento delle due componenti più rilevanti della spesa per investimenti, evidenziato nella figura II.1.10., si è differenziato successivamente a tale episodio. Gli investimenti in macchinari ed attrezzature, pur se caratterizzati da una notevole volatilità, hanno recuperato i livelli precedenti alla crisi, cosa che non è accaduta per gli investimenti in costruzioni.

Le esportazioni hanno un ruolo rilevante nel modello di sviluppo italiano, nel quale i settori dell’economia legati all’export sono anche quelli più dinamici. Le fasi di maggiore espansione di questa componente del PIL sono state quelle successive alle svalutazioni della lira; simmetricamente, apprezzamenti del tasso di cambio effettivo reale hanno notevolmente rallentato la dinamica delle esportazioni; questo meccanismo si è puntualmente riprodotto negli anni novanta.

Per quanto riguarda le importazioni, l’Italia acquista dall’estero una quota rilevante di materie prime e (in maniera crescente) di beni di investimento; questo spiega la presenza di un’elasticità elevata tra la domanda di importazioni e il livello di attività economica.

LA STRUTTURA DEL COMMERCIO ESTERO E LA COMPETITIVITÀ DEI PRODOTTI ITALIANI

Nel corso degli anni novanta il grado di apertura internazionale dell’Italia è aumentato, rendendo il nostro sistema produttivo più esposto agli impulsi esterni. Nel settore manifatturiero, la propensione ad esportare, intesa come rapporto tra esportazioni e produzione, mediamente pari al 21 per cento alla fine degli anni ottanta, ha raggiunto nel 1997 il 32 per cento. Questa tendenza è rilevabile in tutti i settori, ma risulta più accentuata nei settori metalmeccanici.Parallelamente, nello stesso arco temporale, è cresciuta la penetrazione delle importazioni, misurata dal rapporto tra importazioni e domanda interna, dal 20,5 al 29 per cento. Un più elevato assorbimento di importazioni è osservabile anche nei settori di punta del nostro commercio (quali tessile e abbigliamento, cuoio e calzature, metalmeccanici) ai quali va attribuito il risultato ampiamente positivo registrato dal saldo commerciale dell’Italia tra il 1990 ed il 1998.

La struttura portante del nostro apparato produttivo è basata su attività tradizionali e a bassa tecnologia, svolte in gran parte da imprese medio-piccole (secondo le valutazioni dell’Istituto per il commercio estero, nel 1997 su 170.000 imprese esportatrici 165.000 non superavano i 200 addetti).

Nel corso degli anni novanta queste caratteristiche, pur comportando una notevole flessibilità e adattabilità della produzione alla domanda, hanno reso le produzioni nazionali più esposte alle pressioni concorrenziali dei Paesi emergenti, sia sul mercato estero che su quello interno. Il dimezzamento del tasso di crescita degli investimenti in macchinari ed attrezzature registrato tra gli anni ottanta e gli anni novanta (dal 3,2 per cento medio annuo all’1,4) ha reso più arduo elevare la qualità ed il grado di innovazione dei nostri prodotti, riducendone la competitività all’interno e all’esterno.

Le esportazioni hanno attraversato una fase di crescita a seguito delle svalutazioni del 1992 e del 1995. A partire dalla seconda metà del decennio, venuta meno la spinta competitiva derivante dalla caduta del cambio, si è prodotta una rilevante decelerazione dell’export (accompagnata da una espansione delle importazioni); la crisi asiatica ha amplificato le difficoltà attraversate dalle imprese nazionali. Come risultato, la quota delle esportazioni italiane sul totale delle esportazioni mondiali si è progressivamente ridotta.

L’erosione della quota registrata tra il 1995 ed il 1998 risulta rilevante per l’export verso l’Asia e, in generale, verso i Paesi in via di sviluppo, ma ha interessato anche le vendite nei confronti dei Paesi europei (in particolare verso la Germania). Viceversa, la quota è aumentata nei mercati dei Paesi in transizione e negli Stati Uniti.

Nella gran parte dei paesi OCSE, compresa l’Italia, il settore "servizi destinabili alla vendita" rappresenta da tempo la componente più dinamica dell’economia. Tuttavia in Italia nell’arco degli anni novanta questa tendenza si è notevolmente attenuata. Dato il peso del settore dei servizi, la minore crescita economica rispetto alla media dell’Unione Europea può essere imputata in gran parte a questa discrasia.

Durante gli anni ottanta, l’espansione del valore aggiunto del terziario nel suo complesso (inclusi dunque i servizi non destinabili alla vendita) era stata in linea con il resto d’Europa. Tuttavia la crescita del settore era caratterizzata da due aspetti negativi: da un lato il livello di concorrenza nel comparto dei servizi di mercato non era soddisfacente e, dall’altro, una componente rilevante della crescita era legata all’aumento dell’occupazione pubblica. Sintomi di questa crescita squilibrata era un aumento più marcato del livello dei prezzi nei servizi rispetto ai settori esposti alla concorrenza, connessi a costi del lavoro non in linea con la (bassa) produttività del settore.

Durante gli anni novanta, le imprese produttrici di servizi hanno affrontato un profondo e necessario processo di ristrutturazione (indotto dalle privatizzazioni, dall’azione riformatrice pubblica e dagli adempimenti alle direttive comunitarie) che si è tradotto nell’aumento del tasso di crescita della produttività, pari quasi a zero nel decennio precedente e innalzatosi di circa mezzo punto percentuale. Nello stesso periodo il contributo alla crescita del terziario da parte della pubblica amministrazione si è praticamente arrestato. Anche se alcune branche dei servizi hanno registrato una notevole espansione, il risultato complessivo del settore è stato limitato; il valore aggiunto nel periodo 1990-1998 è cresciuto in media solo dell’1,3 per cento.

L’industria in senso stretto ha risentito in maniera considerevole sia degli andamenti ciclici della domanda sia delle variazioni della posizione competitiva della lira; ciò nonostante, il tasso di crescita medio del valore aggiunto industriale durante gli anni novanta (1,6 per cento) ha ecceduto quello dell’economia (1,3 per cento).

Il settore ha continuato ad acquisire rilevanti aumenti di produttività derivante anche da una quasi ininterrotta contrazione dell’occupazione. L’industria delle costruzioni ha attraversato una fase di prolungata stagnazione; soltanto verso la seconda metà degli anni novanta, si comincia a registrare una lieve inversione di tendenza. Per quanto riguarda il valore aggiunto dell’agricoltura, il suo peso percentuale rispetto al PIL ha continuato a ridursi, in linea con le tendenze di lungo periodo.

II.1.2.2 Il mercato del lavoro

Durante gli anni novanta, i risultati raggiunti nel mercato del lavoro dalle maggiori economie dell’Europa continentale (Francia, Germania e Italia) sono stati meno positivi rispetto a quelli raggiunti dagli altri Paesi del G7 (Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada e Giappone).

Come mostra la tavola II.1.5, nella media negli anni novanta i tassi di partecipazione e i tassi di occupazione nei tre Paesi dell’Europa continentale sono stati al di sotto di quelli registrati negli altri Paesi. In Italia, seppur con un miglioramento negli ultimi anni rispetto alla metà degli anni novanta, i tassi di partecipazione e di occupazione hanno registrato i valori più bassi fra i Paesi G7; ciò mette in evidenza un sottoutilizzo delle risorse umane del paese.

Inoltre, le analisi della Commissione europea e dell’OCSE mostrano come in Paesi dove la partecipazione alla forza lavoro è maggiore, il tasso di occupazione appare generalmente più elevato e il tasso di disoccupazione meno pronunciato.

Questa caratteristica dei mercati del lavoro dei Paesi industrializzati è confermata dalla Figura II.1.12 che mostra la relazione fra tassi di partecipazione e tassi di disoccupazione nei Paesi europei e negli Stati Uniti durante gli anni novanta. In questo periodo, bassi tassi di partecipazione sono stati di solito associati ad alti tassi di disoccupazione. Per l’Italia, a un basso tasso di partecipazione è corrisposto un tasso di disoccupazione medio al di sopra dell’11 per cento. Al contrario, per i Paesi con un tasso di partecipazione al di sopra della media il tasso di disoccupazione è risultato al massimo dell’8,5 per cento.

L’esperienza degli anni novanta conferma che la riduzione delle forze di lavoro non si traduce nel medio periodo in una discesa del tasso di disoccupazione Al contrario, un mercato del lavoro le cui strutture permettono il più ampio coinvolgimento della popolazione in età lavorativa alla creazione di reddito è anche quello dove si realizza una maggiore e migliore utilizzazione del capitale umano disponibile.

Come mostra la tavola II.1.6, negli anni novanta poco meno di un terzo dei lavoratori occupati in Italia era costituito da lavoratori autonomi. Negli altri Paesi, la quota di lavoratori autonomi appare assai più bassa: il massimo è circa un quinto in Giappone e il minimo è rappresentato dagli Stati Uniti con meno di un decimo.

Questa caratteristica del nostro mercato del lavoro è coerente con l’analisi svolta nella Sezione II.2 di un sistema produttivo frammentato in un numero elevato di unità in cui opera un solo addetto o un numero di addetti molto basso.

Al contrario, la scomposizione dei lavoratori in occupati nel settore privato e occupati nel settore pubblico mostra che negli anni novanta l’Italia ha coperto una posizione mediana all’interno dei Paesi G7. Con circa il 16 per cento dei lavoratori occupato nel settore pubblico, l’Italia è significativamente al di sotto della Francia e del Canada (che mostrano valori pari o superiori al 20 per cento), sostanzialmente in linea con la Germania, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti e al di sopra del Giappone (che mostra una quota di occupati pubblici al di sotto del 10 per cento).

I motivi principali che possono spiegare i diversi risultati nel mercato del lavoro dei Paesi G7 dell’Europa continentale rispetto agli altri Paesi G7 sono: una più elevata pressione fiscale che spinge ad un costo del lavoro e a un rendimento del capitale troppo elevati per poter assorbire interamente il capitale umano disponibile, l’insufficiente offerta di servizi (pubblici e, soprattutto, privati) che induce a una più diffusa attività domestica a danno di quella di mercato, e alcune caratteristiche istituzionali che frenano una maggiore concorrenza sia nel mercato del lavoro che in quello dei beni e dei servizi.

II.2 L’EVOLUZIONE STRUTTURALE DELL’ECONOMIA ITALIANA

In risposta alla concorrenza derivante dall’integrazione internazionale dei mercati dei prodotti e dei fattori e in conformità agli impegni presi in sede comunitaria di coordinamento delle politiche economiche, fin dai primi anni novanta sono state avviate numerose riforme strutturali dirette a migliorare la competitività del nostro sistema paese. Fra queste vanno ricordate, per la loro rilevanza, la liberalizzazione dei servizi, la privatizzazione delle imprese pubbliche, lo sviluppo del mercato finanziario, le riforme della pubblica amministrazione e le misure dirette a raggiungere una maggiore flessibilità e imprenditorialità nel mercato del lavoro.

In questo sezione si analizzano queste riforme strutturali e le azioni già intraprese con cui il Governo pensa di portare queste riforme a compimento. Nel capitolo IV, si presenteranno le riforme che il Governo propone di avviare nel periodo 2000-03.

II.2.1 L’integrazione economica e il coordinamento delle politiche strutturali

La globalizzazione dei mercati e l’affermarsi di innovazioni tecnologiche, in particolare delle tecnologie telematiche, costituiscono elementi di integrazione che rafforzano le potenzialità di crescita dell’economia. In Europa, lo sviluppo del Mercato Unico sta avendo importanti effetti sul funzionamento dei mercati dei beni e servizi e dei fattori di produzione facilitando la trasparenza dei prezzi, ampliando la dimensione del mercato e aumentando la competizione fra le imprese, a tutto vantaggio dei consumatori. Per facilitare l’adeguamento derivante dalla globalizzazione, oltre ad orientare le politiche economiche nazionali verso la stabilità macroeconomica e la crescita, sono indispensabili regolamentazioni ed istituzioni appropriate nonché uno Stato sociale ben funzionante. Il Consiglio Europeo ha identificato quattro grandi aree di interesse comune e affermato l’impegno dei singoli governi di coordinare le politiche strutturali al fine di:

1. Rafforzare le politiche a sostegno dell’occupazione e del funzionamento del mercato del lavoro.

2. Migliorare l’efficienza e l’integrazione dei mercati dei beni e dei servizi.

3. Sviluppare i mercati finanziari nazionali e accelerare la nascita di un mercato finanziario europeo integrato.

4. Migliorare l’efficienza e l’equità della finanza pubblica in modo da migliorare la competitività del sistema paese e sviluppare la coesione sociale.

L’esperienza italiana in queste quattro grandi aree è analizzata nelle successive sezioni del presente capitolo, ed è al centro dell’analisi e delle proposte di politica dei seguenti capitoli.

II.2.2 L’integrazione e l’efficienza dei mercati dei beni e servizi

II.2.2.1 L’integrazione del Mercato Unico

Il processo di liberalizzazione dei mercati all’interno dell’Unione Europea è in fase avanzata come si vede nella tavola II.2.1. Il confronto degli indici di direttive non ancora trasposte, in figura II.2.1, evidenzia, nell’ultimo anno, una notevole accelerazione nel recepimento delle direttive negli ordinamenti dei paesi UE. Nel periodo novembre 1997-maggio 1999 l’Italia, che è tra i paesi con il numero più alto di direttive non ancora trasposte, ha migliorato l’indice passando da un valore di 7,6 a un valore di 5,5.

II.2.2.2 La liberalizzazione del commercio

Per poter realizzare un sistema distributivo efficiente, lo sviluppo del settore commerciale deve coniugare i vantaggi della grande distribuzione in termini di economia di scala, prezzi più bassi e maggiore assortimento di prodotti, con i vantaggi del piccolo commercio in termini di prossimità, assistenza all’acquisto e all’assistenza post-vendita.

Il Decreto Legislativo 114/1998 ridefinisce l’intervento pubblico, in uno scenario di decentramento delle competenze e di semplificazione amministrativa. Lo Stato si riserva il compito di definire i principi di ordine generale, mentre lascia alle Regioni e ai Comuni il compito di intervento nel settore, attraverso la programmazione degli insediamenti commerciali e la loro integrazione nello sviluppo urbano e le iniziative per la valorizzazione dei centri storici e la riqualificazione delle aree urbane.

Nonostante la vigente fase transitoria legata agli adempimenti regolamentari da attuarsi da parte delle Regioni, dal 24 aprile 1999 è divenuta operativa la soppressione delle licenze per il commercio al dettaglio e l’abolizione del Registro degli esercenti commerciali (REC).

Per le medie e grandi strutture di vendita la riforma introduce, tra l’altro, un nuovo sistema di concertazione tra la pubblica amministrazione e le associazioni di categoria finalizzato a regolare l’insediamento.

Per il successo della riforma risulterà fondamentale la capacità delle Regioni e degli enti locali di circoscrivere il raggio di azione alle attività di programmazione e di tutela della concorrenza e dei consumatori. Il Governo intende utilizzare tutti i mezzi di sua competenza per consentire al Paese di cogliere pienamente i frutti delle riforme già approvate e rafforzare, in relazione all'attuazione dei processi di riforma, le politiche di sostegno all'innovazione (contributi automatici agli investimenti, legge 488, commercio elettronico)

II.2.2.3 La liberalizzazione degli ordini professionali

Sarà, peraltro, essenziale un impegno del Parlamento affinché, in attesa della definitiva approvazione del disegno di legge, non si proceda all’istituzione di nuovi ordini e albi professionali. Il Governo intende eliminare quei vincoli amministrativi che limitano la concorrenza e garantiscono rendite di monopolio a molte professioni liberali. A tal fine, sarà necessario limitare ai soli settori per i quali esistono reali esigenze di tutela dei consumatori l'istituzione di un ordine professionale, evitando di introdurre ingiustificate limitazioni al numero complessivo dei professionisti, e stabilendo al contempo regole di comportamento che garantiscano la deontologia professionale. Già il 3 luglio del 1998, il Governo aveva presentato un disegno di Legge delega per il riordino delle professioni intellettuali che è ancora all'esame della Commissione Giustizia della Camera. Nel frattempo, anche sulla base del parere dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il Governo ha avviato una revisione del disegno di Legge il cui nuovo testo sarà trasmesso quanto prima al Parlamento. Sarà pertanto essenziale un impegno dello stesso Parlamento affinché non si proceda all'istituzione di nuovi ordini e albi professionali.

II.2.2.4 La liberalizzazione dei mercati dei servizi di pubblica utilità

Nel settore dei servizi di pubblica utilità prosegue la costruzione di assetti regolamentari tesi a ridurre l’interferenza pubblica e a correggere eventuali difetti di funzionamento dei mercati concorrenziali. Queste trasformazioni, evidenti finora soprattutto nei servizi pubblici a livello nazionale, saranno allargate anche ai servizi a carattere locale (Provvedimento di modifica della legge 142/90, attualmente all’esame del Parlamento) consentendo anche per questi ultimi di disegnare un sistema di gestione più efficiente, basato, per i servizi più importanti economicamente e socialmente, sull’affidamento dei servizi a privati - in via generale - tramite gara.

Nel settore elettrico, con il recepimento della direttiva 96/92/CE tramite il D.Lgs.79 del 16 marzo 1999, si pongono importanti obiettivi di politica energetica ed ambientale, tra i quali l’offerta di un servizio più efficiente e qualitativamente migliore, il contenimento dei prezzi dell’energia e la tutela dell’ambiente. Lo strumento fondamentale per il conseguimento di tali obiettivi è la liberalizzazione del mercato elettrico anche attraverso la dismissione da parte dell’Enel di una parte rilevante (15.000 megawatt) della propria capacità produttiva.

In conformità con quanto disposto dal comma 21 dell’articolo 2 della legge del 14 novembre 1995 n. 481, il ruolo del Governo è di indirizzo e di regolazione del mercato mentre all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas è riservata l’emanazione di direttive volte a garantire la libertà di accesso alla rete e la neutralità del servizio, l’efficienza economica e finanziaria delle tariffe. Tali obiettivi sono conseguibili attraverso interventi sulle tariffe e sui corrispettivi che, a partire dagli attuali livelli, ne determinino una graduale riduzione, secondo meccanismi predefiniti, in modo da stimolare politiche aziendali volte alla riduzione dei costi, allo sviluppo degli investimenti ed all’impiego di nuove tecnologie in una prospettiva di stabilità di lungo periodo. A tal fine, il modello tariffario dovrà consentire alle imprese di beneficiare di eventuali ulteriori recuperi di efficienza ottenuti all’’interno di un determinato periodo regolamentare, mentre il livello tariffario relativo al periodo successivo sarà definito assicurando un’appropriata ripartizione delle maggiori efficienze conseguite fra i consumatori e le imprese stesse.

Nel settore del gas, la Direttiva UE (98/30/CE) prevede l’apertura del mercato nazionale di almeno il 20 per cento del consumo totale prima del 10 agosto 2000, del 28 per cento nei prossimi cinque anni e del 33 cento nei prossimi dieci anni. I riflessi positivi sui prezzi che la maggiore concorrenza determinerà dovranno conciliarsi con l’esigenza dell’universalità del servizio.

Nel settore delle telecomunicazioni, l’elevato grado di concorrenza ha già portato effetti positivi per l’utenza, in termini di minori prezzi pagati e di diversificazione di servizi offerti. In meno di due anni, l’aumento della concorrenza in tutti i segmenti del settore ha portato per la telefonia fissa ad una riduzione dei prezzi pari al 14 per cento per le chiamate interurbane ed al 17 per cento per le chiamate internazionali; riduzioni che, in base all’esperienza positiva di altri paesi industrializzati, dovrebbero essere l’inizio di una caduta più consistente dei prezzi per le chiamate interurbane, anche grazie ad una progressiva eliminazione dei "sussidi incrociati" fra chiamate urbane e interurbane. Gli effetti positivi della concorrenza dovrebbero esplicarsi maggiormente dopo la completa liberalizzazione della telefonia fissa a partire dal primo di luglio 1999.

Nel settore postale è in atto un processo di modificazione del servizio teso ad una liberalizzazione progressiva del mercato. Il decreto legislativo che recepisce la direttiva 97/67/CE, attualmente all’esame del Parlamento, coniuga tali orientamenti con l’esigenza di garantire l’universalità del servizio. In questo contesto, la fissazione delle tariffe, sia per i servizi riservati che per quelli esposti alla concorrenza, deve avere come criterio di fondo il miglioramento dell’efficienza dei costi e la possibilità di accesso a tutti gli utenti a prezzi ragionevoli, trasparenti e non discriminatori.

Il settore italiano dei trasporti è caratterizzato da profonde differenze sotto il profilo qualitativo. Ad una rete stradale estesa fanno riscontro un sistema ferroviario inadeguato, potenzialità non utilizzate nel settore marittimo e il congestionamento delle infrastrutture nel trasporto aereo.

I provvedimenti del Governo in materia trasporti sono basati su una strategia di decentramento, privatizzazione e liberalizzazione. In particolare, il D.Lgs.422/1997 prevede il passaggio entro il 2000 delle competenze sull’intero sistema di trasporti locali, compreso quello ferroviario, alle Regioni. Le politiche di decentramento, nella misura in cui avvicinano i centri di responsabilità agli utilizzatori finali del servizio, stimolano un miglioramento dell’efficienza e l’allargamento delle opportunità di scelta offerte al consumatore; ciò si traduce in un guadagno in termini di qualità dei servizi all’utenza.

In questo contesto, particolare importanza assume il processo di ristrutturazione delle Ferrovie dello Stato. In coerenza con le misure adottate dai principali paesi industrializzati per il risanamento e il rilancio delle ferrovie, il Governo italiano nel marzo 1999 ha emanato una direttiva volta ad accelerare il processo di risanamento dell’azienda Ferrovie dello Stato, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica.

Tale processo, nel rispetto dell’obiettivo di garantire il miglioramento dei livelli di sicurezza e di qualità del servizio, prevede lo sviluppo del sistema ferroviario, l’integrazione e il riequilibrio modale, nonché un riordino organizzativo e societario per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla normativa europea e dalla riforma del trasporto pubblico locale.

Nel maggio 99, con la nascita delle Divisioni Passeggeri, Cargo, Trasporto Regionale e dell’Unità Tecnologie Materiale Rotabile, l’azienda ha completato il processo di divisionalizzazione avviato già dal luglio 98 con la costituzione della Divisione Infrastruttura; ciò al fine di recepire i principi di separazione tra rete e servizi, apertura al mercato e trasparenza contabile e gestionale.

A far data dal 1° gennaio 2000, alla separazione contabile dovrà seguire la separazione societaria fra infrastruttura ed attività di trasporto ed entro il 31 dicembre 2003 i servizi di trasporto ferroviario metropolitano e regionale in regime di oneri di servizio pubblico dovranno essere assegnati con procedure ad evidenza pubblica.

Per il raggiungimento degli obiettivi delineati ed in linea con i contenuti della Direttiva del Governo, l’azienda ha predisposto nel maggio 99 il piano di impresa per il quinquennio 1999-2003, contenente le azioni per il rilancio del servizio ed il risanamento tecnico-economico. Il piano è attualmente in fase di analisi da parte dell’azionista.

Cardini del rinnovamento del sistema idrico nazionale sono le leggi 142/90 per la trasformazione delle aziende municipalizzate in società per azioni e 36/94, detta "Galli", per il decentramento amministrativo e integrazione delle diverse fasi del "ciclo dell’acqua". Purtroppo si registra un lungo ritardo nell’attuazione del processo di ammodernamento e ristrutturazione, in particolare la legge "Galli" è tuttora sostanzialmente inattuata.

L’esigenza di colmare i pesanti ritardi nell’ammodernamento dell’infrastruttura del servizio, specie nelle Regioni meridionali, richiede investimenti elevati. Il ritorno economico-finanziario di tali investimenti necessita di un orizzonte temporale abbastanza lungo per consentire la gradualità del passaggio da tariffe di carattere sociale a tariffe economico-finanziarie. Il Governo intende proporre la revisione di taluni meccanismi previsti nella legge Galli.

In questo contesto è di grande rilevanza l’intervento del Governo e del Parlamento volto alla trasformazione in società per azioni dell’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese, istituito con R.D.L. 19 ottobre 1919 n. 2060, convertito con modificazioni nella Legge 22 Settembre 1920 n. 1365, e trasformato in S.p.A. in data 18 giugno 1999.

Parallelamente, è prevista la trasformazione in società per azioni dell’Ente Autonomo per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia ("EIPLI") ma solo previa classificazione dei cespiti patrimoniali e accertamento di un capitale sociale iniziale sufficiente per la neonata S.p.A. da parte della Commissione appositamente nominata dal Ministro del tesoro. Qualora non sia possibile addivenire alla trasformazione in S.p.A., le Regioni interessate possono indicare il soggetto che assume la gestione dell’EIPLI.

II.2.3 Lo sviluppo e l’integrazione dei mercati finanziari

II.2.3.1 Lo sviluppo del mercato finanziario italiano

Negli ultimi anni il mercato finanziario italiano ha conosciuto una rapida crescita. I principali fattori di sviluppo possono essere suddivisi in:

Tutto questo, ha creato le condizioni per un incremento dello spessore del mercato azionario italiano e per lo sviluppo di nuovi strumenti e mercati finanziari. Fra il 1992 e il 1998 il rapporto tra la capitalizzazione complessiva delle società italiane quotate in Borsa ed il PIL è passata dall’11,5 per cento al 46,1 per cento, allineandosi ai paesi dell’Europa continentale. La media giornaliera del controvalore degli scambi è passata da 136 miliardi ad oltre 3.200 miliardi di lire. Punto debole, in questo scenario di sviluppo, è il numero di imprese quotate, sceso da 229 del 1992 a 223 del 1998, dovuto in parte ai processi di fusione e acquisizione e in parte dalla scarsa propensione a quotarsi da parte di imprese italiane (vedi tabella II.2.2). 

Il "Comitato di Indirizzo Strategico della Piazza Finanziaria Italiana" dopo aver promosso la costituzione di un mercato azionario specifico per le piccole e medie imprese, realizzata con la decisione, da parte della Borsa Italiana S.p.A., di dare vita al "Nuovo Mercato", aderente al circuito paneuropeo EURO NM, ha individuato vari obiettivi, da realizzare a breve, per rafforzare il mercato finanziario tra cui: lo sviluppo del mercato dei titoli obbligazionari privati, l’adozione di misure rivolte a ridurre i costi amministrativi a carico delle imprese quotate, l’adozione di misure per abbattere il carico impositivo sulle società neo quotate, per favorire lo sviluppo del venture capital e l’intervento di fondi chiusi nelle imprese, al fine di rafforzarne la patrimonializzazione e la crescita.

Il profondo cambiamento del nostro sistema economico e finanziario ha richiesto l’introduzione di una serie di riforme di diritto societario e dell’industria dei servizi finanziari. Tra esse, le principali riguardano l’emanazione del Testo Unico delle disposizioni in materia di mercati finanziari, ed il nuovo provvedimento sul riordino della disciplina delle fondazioni bancarie, nonchè il varo del disegno di legge delega per il riordino della normativa regolatrice della materia delle dismissioni e della gestione delle partecipazioni pubbliche in società per azioni.

La nuova disciplina dei mercati regolamentati, modificando l’intero assetto organizzativo–istituzionale dei mercati mobiliari italiani, promuove una netta distinzione tra i compiti organizzativi, di innovazione e di sviluppo di prodotti finanziari, riservati all’iniziativa privata, e le funzioni di controllo sulla trasparenza e sulla correttezza dei comportamenti degli operatori, affidate all’Autorità di vigilanza. Si è modificata, secondo criteri che rafforzano la trasparenza e la tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza, la disciplina relativa alle regole di corporate governance, aumentando la contendibilità degli assetti proprietari.

All’introduzione del Testo Unico ha fatto seguito l’avvio dei lavori per la messa a punto di una legge delega per una riforma organica del diritto societario volto a riformare la normativa anche per le società non quotate e mirante a favorire l’accesso diretto delle imprese al mercato dei capitali ed alla quotazione in mercati regolamentati.

Anche il decreto legislativo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale delle fondazioni bancarie e delle operazioni di ristrutturazione bancaria, varato recentemente, si inquadra nel contesto dell’integrazione europea. Obiettivo principale della legge è quello di fornire un quadro normativo certo alle Fondazioni ed incentivare le ristrutturazioni del sistema bancario. Con la nuova normativa è stato chiarito in particolare, l’inquadramento delle Fondazioni nell’ambito del diritto privato, specificando che esse perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale nei diversi campi di intervento (ricerca scientifica, istruzione, beni culturali ed ambientali, sanità, ecc.), respingendo l’idea della Fondazione–Impresa eccezione fatta per alcuni settori sociali qualificati.

II.2.3.2 Il ruolo e i piani di privatizzazione

Dal 1994 ad oggi, il Ministero del Tesoro ha gestito direttamente operazioni di dismissione di partecipazioni azionarie, detenute nel settore bancario, assicurativo, energetico e delle telecomunicazioni, con un incasso lordo di circa 84.000 miliardi di lire. Di questi, l’83 per cento è stato ottenuto attraverso offerte globali ed il rimanente 17 per cento attraverso cessioni dirette. Nel 1998 le privatizzazioni hanno generato entrate lorde per il Tesoro pari a circa 21.000 miliardi di lire, equivalenti a circa l’1 per cento del PIL. Si tratta di un traguardo superiore agli obiettivi indicati nel DPEF 1999-2001, che prevedeva, per il 1998, entrate per circa 15.000 miliardi. Come previsto nel Documento di Programmazione per il triennio 1999-2001, nel corso del 1998 il Ministero del Tesoro ha effettuato le seguenti operazioni di dismissione: nel luglio ha ceduto, mediante un’offerta globale, un’ulteriore quota del capitale di ENI, pari a circa il 15 per cento del capitale sociale, per un importo lordo pari a Lit 12.995 miliardi; e nel novembre ha proceduto alla cessione, mediante trattativa diretta e offerta globale, dell’intera partecipazione detenuta nella BNL, pari a circa il 69,6 per cento del capitale sociale con un incasso lordo pari a circa Lit 6.707 miliardi. Inoltre, nel corso del 1998 sono affluiti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato circa Lit 1.103 miliardi, corrispondenti al controvalore delle obbligazioni del Tesoro convertite in azioni INA nel corso del primo semestre dell’anno.

Il processo di risanamento economico e finanziario del gruppo IRI, avviato nel luglio 1992 con la trasformazione in società per azioni, costituisce una componente rilevante del processo di privatizzazione delle partecipazioni dello Stato. Tra il luglio del 1992 ed il marzo del 1999, il complesso delle privatizzazioni compiute dall’IRI ha coinvolto circa 600 aziende. Il gruppo ha mobilitato, in lire correnti, risorse per circa 71.300 miliardi - di cui circa 18.900 miliardi di debiti deconsolidati - relativi a privatizzazioni e cessioni di quote di controllo, a cessioni di quote di minoranza e ad alienazioni di immobili ed altri cespiti. Nel 1998, l’attività dell’IRI si è concentrata, altresì, in operazioni di ristrutturazione e valorizzazione di alcune importanti partecipate. Tra esse le principali hanno riguardato: la ricapitalizzazione di Alitalia, nell’ambito della quale è stata destinata ai dipendenti una quota di circa il 20 per cento del capitale della società. L’individuazione di KLM come partner strategico ha inoltre posto, unitamente al risanamento economico conseguito, le basi per completare la privatizzazione della società in un quadro di rafforzamento industriale e di piena valorizzazione dell’azienda; l’aumento di capitale di 2.000 miliardi per Finmeccanica, previsto nel piano di riassetto del gruppo manifatturiero, predisposto dall’IRI nel dicembre del 1997, che ha posto le premesse per un ridimensionamento della quota di partecipazione dell’IRI nella società; la privatizzazione del settore di linea del Gruppo Finmare, concretizzatasi con la cessione delle società Lloyd Triestino ed Italia di Navigazione, e l’avvio del riassetto del comparto cabotiero attraverso la razionalizzazione organizzativa delle società regionali nel nuovo gruppo Tirrenia; le recenti operazioni di privatizzazione concluse da Fintecna, relative al settore impiantistico e delle costruzioni (Italimpianti, Italstrade e Condotte), nonché quelle relative a Coinfra e Italinpa; la cessione delle partecipazioni detenute da Iritecna in Sogea e Forus (Azienda di Maccarese).

Dal 1992 al 31 dicembre 1998 il gruppo ENI ha realizzato cessioni di società, rami aziendali ed immobili per circa 10.650 mld di lire. In particolare, nel corso del 1998, il gruppo ENI ha definito operazioni di cessione nei settori dell’approvvigionamento, trasporto e distribuzione di gas naturale e nel settore della raffinazione e distribuzione di prodotti petroliferi, per un incasso complessivo pari a 1.285 miliardi di lire.

Per quanto riguarda i programmi di dismissione del Tesoro per il 1999, compatibilmente con i tempi necessari a realizzare le operazioni di riassetto previste dal recente decreto legislativo per la liberalizzazione del sistema elettrico, si avvierà la dismissione di una quota della partecipazione detenuta nell’ENEL S.p.A. In questo scenario ENEL assumerà le funzioni di holding, controllando società operanti nei settori della generazione, della distribuzione, della vendita a clienti idonei, e mantenendo la proprietà della rete di trasmissione. Verrà, altresì, valutata la possibilità di cedere le quote residue detenute in Telecom Italia, pari al 2,61 per cento del capitale sociale (equivalente al 3,42 per cento del capitale ordinario), in INA(1,1 per cento), in Unim (0,94 per cento), nata dalla scissione del patrimonio immobiliare dell’INA, nel Banco di Napoli (16,28 per cento) ed in San Paolo-IMI, nel quale, a seguito della fusione tra i due Istituti, il Tesoro detiene una quota pari allo 0,30 per cento del capitale sociale. E’ inoltre previsto l’inizio del processo di privatizzazione del Mediocredito Centrale che, previe eventuali operazioni di ristrutturazione societaria, verrà effettuata mediante trattativa diretta e/o offerta pubblica di vendita. Infine, è in fase avanzata la cessione, per trattativa diretta, della partecipazione del 53 per cento detenuta nel Credito Industriale Sardo (CIS), nonché la cessione della quota del 7,32 per cento detenuta dal Tesoro in Meliorbanca.

In coerenza al mandato ricevuto, il gruppo IRI proseguirà nell’azione di privatizzazione delle proprie partecipazioni entro il 2000, monitorando al contempo i processi di risanamento, di valorizzazione e di riposizionamento strategico delle aziende del Gruppo. A conclusione delle numerose incombenze, nel 1999 potranno essere portate avanti alcune importanti operazioni di privatizzazione (Aeroporti di Roma e Autostrade) ed avviate altre iniziative (Alitalia e Finmeccanica) il cui completamento è probabile nel primo semestre del 2000. Altre imprese, che richiedono interventi di riassetto industriale ed organizzativo (Fincantieri e Tirrenia), nel corso del 1999 potranno essere interessate da iniziative finalizzate a ridurre la presenza dell’IRI nel capitale sociale delle stesse.

Il processo di privatizzazione si estenderà anche ad altri settori, in particolare, a quelli immobiliare e delle opere infrastrutturali grazie all’introduzione di strumenti che prevedano il coinvolgimento di privati nel processo di finanziamento, realizzazione e gestione di opere e servizi di pubblica utilità. Anche in tali settori si mira a riequilibrare il rapporto tra Stato e privati in un senso più moderno e funzionale. Il patrimonio immobiliare pubblico potrà essere "privatizzato" utilizzando diverse tecniche. Allo strumento dei fondi immobiliari pubblici, l’art.19 della legge 448/1998, ha affiancato la possibilità di conferire o vendere immobili pubblici a società per azioni anche appositamente costituite. Si dispone quindi di una strumentazione più ampia che consentirà di valutare caso per caso quale sia lo strumento più adatto da utilizzare in relazione al tipo di bene che si intende dismettere.

Il Governo ha fissato tempi e regole per la trasformazione in SpA entro il 2000 dell’Ente autonomo Esposizione Universale di Roma (EUR). L’oggetto sociale della SpA è rappresentato proprio dalla salvaguardia e dalla valorizzazione del complesso di beni immobili di cui la società diverrebbe titolare e dall’utilizzo di questo patrimonio per la promozione di numerose attività, tra le quali le attività espositive e congressuali. Il provvedimento prevede anche la possibilità che l’Ente EUR stesso promuova la costituzione di una apposita SpA conferendole l’area del suo patrimonio che il Comune di Roma avrà destinata all’insediamento di strutture congressuali.

In tema di operazioni di riordino delle partecipazioni pubbliche, nel corso del 1999 è stata costituita la società Sviluppo Italia che svolgerà, prevalentemente nel Mezzogiorno, attività di sviluppo industriale, attrazione di investimenti e promozione di nuova imprenditorialità. La sua costituzione consentirà di realizzare il riordino industriale di varie società ed enti di promozione e sviluppo esistenti. Tra tali soggetti - costituiti in seguito ad esigenze contingenti specifiche e quindi senza un piano strategico unitario sottostante - nel corso del tempo sono emerse sovrapposizioni in termini di settori di attività e modalità di intervento. Un riordino di tali entità permetterà un miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle iniziative di promozione industriale e di attrazione degli investimenti.

Nel corso del 1999 l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha avviato le procedure per la sua ristrutturazione presentando un piano che prevede nell’arco di tre anni la trasformazione in società per azioni e di una successiva apertura al mercato.

Infine la costituzione nel 1998 dell’Ente Tabacchi Italiani (ETI) - realizzata scorporando dall’Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato, le attività relative al settore del tabacco, del sale e della relativa logistica - ha costituito la prima fase del processo che porterà, entro il 2001, alla trasformazione dello stesso ETI in una o più società per azioni, in vista di una successiva privatizzazione.

II.2.4 L’efficienza del sistema produttivo

II.2.4.1 Le strategie a sostegno dell’occupazione

Come esaminato nella sezione II.1.2.2, negli anni novanta, i tassi di partecipazione ed i tassi di occupazione nei Paesi dell’Europa continentale sono stati al di sotto di quelli registrati negli altri Paesi industrializzati, e in particolare molto al di sotto di Canada, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America. In Italia, i tassi di partecipazione e di occupazione hanno registrato i valori più bassi fra i Paesi G7 (vedi tavola II.1.5).

Nel Consiglio Europeo di Lussemburgo del dicembre 1997 i Paesi dell’EU hanno stabilito una strategia comune in termini d’occupazione da verificare annualmente nei Piani Nazionali d’Azione per l’Occupazione (NAP) articolati su quattro linee direttrici comuni:

In Italia, i recenti interventi legislativi hanno riguardato soprattutto il primo e il terzo pilastro con importanti innovazioni quali la modifica della regolamentazione dei contratti di formazione e a tempo determinato e l’introduzione dell’istituto del lavoro interinale. In risposta a tali iniziative, i contratti di lavoro atipici sono aumentati considerevolmente. Il ricorso a queste tipologie contrattuali è stato favorito sia dalle modifiche alle contribuzioni assistenziali e agli accantonamenti previdenziali per i lavoratori part-time, sia dall’interruzione degli automatismi che permettevano di trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato.

Per quanto concerne i contratti di formazione e lavoro legati ai progetti formativi di iniziativa privata autorizzati dalle commissioni regionali per l’impiego, nel 1998 si è registrato un incremento del numero dei progetti approvati (139.827 a fronte dei 137.186 approvati nel 1997) e un aumento del numero dei lavoratori interessati.

Per quanto riguarda i contratti di lavoro a tempo parziale, i lavoratori interessati da questa misura nel 1998 sono stati 474.499 (a fronte di 409.732 nel 1997) di cui 142.849 uomini e 331.650 donne, con un incremento del ricorso a questo istituto di 64.767 unità. Il settore maggiormente interessato è stato quello dei servizi.

Dopo un inizio incerto, si è osservato un trend di crescita positivo del lavoro interinale. Nel periodo gennaio-giugno 1998, i lavoratori interessati sono stati circa 13.236 (di cui 6.085 uomini e 7.151 donne) e 10.146 i contratti di fornitura stipulati, con una distribuzione territoriale del 95 per cento al Centro-Nord e del 5 per cento al Sud, e con una distribuzione settoriale dell’80 per cento nell’industria e del 20 per cento negli altri settori.

Per migliorare l’occupabilità della forza lavoro, il Governo ha attuato una vasta riforma del sistema di istruzione. Gli interventi più rilevanti prevedono l’innalzamento dell’obbligatorietà della frequenza scolastica, misure di prevenzione del fenomeno dell’abbandono degli studi, nuove norme sulla formazione del personale docente, e una maggiore autonomia degli istituti di istruzione e delle Università. Inoltre, sono state adottate alcune misure per ampliare le opportunità di formazione sul posto di lavoro e i programmi di formazione esterna.

Gli sforzi volti a sviluppare l’imprenditorialità sono stati diretti ad aumentare gli investimenti infrastrutturali, a creare le condizioni favorevoli in termini di sicurezza del territorio, e a introdurre agevolazioni fiscali mirate alle piccole e medie imprese. Inoltre, si è dato avvio ad un processo di semplificazione amministrativa per ridurre gli oneri gravanti sulle imprese e di liberalizzazione delle attività produttive, in particolare nel settore del commercio e nell’accesso alle professioni.

Riguardo la necessità di incoraggiare l’adattabilità delle imprese e dei loro lavoratori, il confronto tra Governo e parti sociali, messe in atto con la Politica dei redditi del 1993 e confermate nel Patto sociale dal 1999, hanno contribuito ad introdurre nell’ordinamento italiano forme di flessibilità nell’uso del fattore lavoro.

Quanto alle politiche in materia di pari opportunità, va rafforzata la tutela dei soggetti deboli e la riduzione dei divari tra tassi di disoccupazione maschile e femminile. In particolare, le possibilità occupazionali delle donne sono state rafforzate dalla diffusione dei contratti di lavoro part-time e dalle nuove disposizioni legislative in materia di congedi parentali, e misure volte a conciliare vita lavorativa e vita familiare.

II.2.4.2 L’occupazione e la competitività del settore dei servizi

I rilevamenti censuari dell’occupazione italiana (1971-96) evidenziano una crescente terziarizzazione del tessuto produttivo a fronte di una riduzione del numero degli addetti nell’agricoltura e nell’industria. Tuttavia, questo processo di terziarizzazione è insufficiente se comparato con quello delle altre economie più avanzate. Il ritardo del tasso di occupazione (occupazione totale in percentuale della popolazione in età lavorativa) italiano evidenziato nella figura II.2.2 coincide infatti con il ritardo nel settore servizi. In Italia, nel 1997, la percentuale complessiva delle persone in età lavorativa non occupate risultava di 9 punti percentuali superiore a quella media dell’Unione Europea, mentre il nostro ritardo nel solo settore dei servizi era di 8 punti percentuali. Negli Stati Uniti, il tasso d’occupazione complessiva era di 23 punti percentuali superiore a quello italiano, corrispondente nella sua totalità al ritardo del nostro settore dei servizi. I settori italiani dell’industria e dell’agricoltura occupano invece una percentuale della popolazione in età lavorativa simile a quella degli altri paesi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

La distribuzione per comparto dell’occupazione nei servizi mette in luce che il maggiore ritardo nei confronti dei nostri partner internazionali è concentrato nei servizi alla comunità e i servizi alle imprese (vedi figura II.2.3). 

Dall’analisi della bilancia commerciale dei servizi italiana (vedi tavola II.2.4) risulta inoltre che, negli anni novanta, il comparto viaggi è quello che maggiormente ha contribuito alla crescita del saldo commerciale, mentre si è registrato un saldo negativo del comparto trasporti e degli altri comparti, fra i quali spiccano le perdite dei subcomparti tecnologicamente più avanzati quali, in ordine di rilevanza: attività e consulenze professionali, servizi finanziari, licenze, computer e comunicazioni.

Nei servizi, la rimozione delle barriere amministrative e delle rendite di monopolio che ne limitano l’offerta, lo sviluppo dell’occupazione nei servizi alla comunità e alle imprese, la liberalizzazione dell’imprenditorialità nei subcomparti tecnologicamente più avanzati dovranno essere uno degli obiettivi dell’intervento strutturale sull’economia italiana, come il resto del presente Documento mostra, si veda il Capitolo IV.

II. 2.4.3 Le piccole e medie imprese

La comparazione fra paesi dell’Unione Europea evidenzia una caratteristica peculiare dell’economia italiana: l’80 per cento degli occupati italiani lavora in piccole e medie imprese, cioè in imprese con meno di 250 occupati (vedi figura II.2.4).

In particolare, il 55 per cento del totale degli addetti occupati nell’industria e nei servizi lavora in imprese individuali o con meno di 15 occupati (vedi figura II.2.5).

In Italia, agli inizi degli anni novanta, le imprese con meno di 20 addetti assorbivano il 57 per cento del totale degli occupati mentre in Francia, Germania e Regno Unito tale percentuale era intorno al 30 per cento (29, 31 e 33 per cento, rispettivamente). Per quanto riguarda la propensione delle imprese a crescere, si nota che, nelle piccolissime imprese, la crescita dimensionale non oltrepassa una soglia compresa tra dieci e diciannove addetti. La tavola II.2.5 indica, attraverso una matrice di transizione dimensionale, la propensione delle imprese alla crescita.

Nell’arco di un decennio, l’ottanta percento delle imprese con meno di cinque addetti rimane nella propria classe dimensionale e il resto non si spinge oltre la soglia dimensionale compresa tra dieci e diciannove addetti. Tra le imprese che hanno tra dieci e diciannove addetti più della metà (53 per cento) rimane nella propria classe e più di un quarto decide di ridurre la scala dimensionale. In questa classe solo un quinto delle imprese decide di aumentare la scala dimensionale.

La dimensione piccola e media delle imprese può favorire la flessibilità del sistema produttivo e renderlo meno vulnerabile a shock esterni. Tuttavia i rendimenti di scala interni alle imprese risultano meno sfruttati con la piccola dimensione e questo può diventare un freno agli aumenti occupazionali.

Il sottodimensionamento dell’economia italiana rispetto alle altre economie europee è in parte collegato all’esistenza di barriere che impediscono il funzionamento dell’economia italiana come economia di mercato "matura". La graduale rimozione di tali barriere - qui di seguito elencate - rappresenta l’obiettivo delle politiche d’intervento strutturale sull’economia italiana, come evidenziato nel resto del Documento (si veda il capitolo IV). In particolare:

La graduale rimozione delle barriere qui elencate rappresenterà l’obiettivo dell’intervento strutturale sull’economia italiana, come il resto del presente Documento mostra (si veda il Capitolo IV).

III. LE PROSPETTIVE DELLA FINANZA PUBBLICA

III.1 IL QUADRO TENDENZIALE PER IL QUADRIENNIO 2000-2003.

III.1.1 Il quadro tendenziale per il quadriennio 2000-2003: il criterio della legislazione vigente

In accordo con le indicazioni contenute nella recente legge di riforma della legge 468/78, la costruzione dello scenario tendenziale di finanza pubblica avviene, per il quadriennio 2000-2003 sulla base del criterio della "legislazione vigente", integrato nei casi in cui tale criterio non può essere concretamente applicato, dal criterio delle "politiche invariate" e del suo corollario tradizionale "costanza dei comportamenti tenuti in passato dalle amministrazioni".

Le differenze rispetto al passato si rilevano soprattutto per due categorie di spesa, le spese per il personale e le spese per investimenti, per le quali le previsioni a legislazione vigente comportano profili di crescita nel quadriennio meno dinamici di quelli che si sarebbero determinati con l'utilizzo del criterio delle politiche invariate.

Le proiezioni delle spese di personale non includono gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali; le proiezioni delle spese in conto capitale non includono tutte le conseguenze delle nuove autorizzazioni di spesa che saranno espresse nelle leggi finanziarie di ciascuno degli anni del quadriennio. Gli effetti delle recenti modifiche legislative sui quadri previsionali sono rilevanti e verranno messi in evidenza più avanti.

Il gettito delle entrate tributarie e contributive é stato stimato in base alle proiezioni delle basi imponibili dei singoli tributi e contributi valutate in relazione alle proiezioni del quadro macro-economico, con le seguenti specificità:
· le aliquote delle imposte specifiche sono state previste in aumento in relazione alle riduzioni delle aliquote del prelievo contributivo sui redditi da lavoro secondo le indicazioni previste dalle norme sulla carbon-tax; le ridotte aliquote dei contributi sociali sono state applicate a basi imponibili determinate in relazione all'andamento dei redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo;
· il gettito delle imposte indirette include il gettito dell'imposta regionale sulle attività produttive;
· il gettito delle ritenute d'imposta sui redditi da capitale è stato stimato in relazione all'andamento dei tassi d'interesse previsti per il quadriennio.

L'andamento della spesa corrente del conto delle pubbliche amministrazioni è stato stimato separatamente per le diverse componenti della spesa complessiva.

La spesa per le retribuzioni dei dipendenti pubblici è stata stimata sulla base delle seguenti considerazioni:
· le retribuzioni medie unitarie crescono, nel 2000, solo per il trascinamento dell'effetto dei rinnovi contrattuali conclusi lo scorso anno e negli anni successivi solo per la indennità di vacanza contrattuale; fino allo scorso anno, le previsioni della spesa per il personale incorporavano i maggiori costi dovuti al rinnovo dei contratti;
· il numero degli occupati dell'amministrazione centrale (comparto Ministeri), si riduce nel 2000 dello 0,5 per cento in applicazione della legge 449/1997 art. 39 sul controllo programmato delle assunzioni; il numero dei dipendenti negli altri comparti é ipotizzato crescere dell'1 per cento all'anno.

La spesa pensionistica nel 2000 e anni successivi é stata stimata tenendo conto del tasso d'inflazione programmato, dell'aumento del numero dei pensionati e dell'aumento della pensione media che deriva dalla sostituzione delle nuove pensioni alle pensioni che vengono a cessare, essendo le prime più elevate delle seconde.
Le altre spese correnti - che includono le spese per prestazioni sociali non pensionistiche, i consumi intermedi di tutti i comparti della pubblica amministrazione (sanità inclusa), i trasferimenti alle famiglie, ecc. - sono ipotizzate crescere meno della crescita del PIL monetario. Altrettanto dicasi per i contributi alla produzione.

Questi criteri consentono di fornire le previsioni tendenziali per due importanti comparti di spesa, la spesa sanitaria e le spese di regioni e enti locali, così come richiesto dall'art. 3, comma 2 della citata legge di riforma della legge 468/78.

Per le previsioni a legislazione vigente della spesa per l'assistenza sanitaria occorre tenere presente che, per l'anno 2000, il piano sanitario nazionale prevede una crescita della spesa corrente pari al 3 per cento. Tale tasso di crescita include anche gli effetti del possibile rinnovo del contratto per il biennnio 2000-2001. Per gli anni successivi le previsioni scontano l'assenza di rinnovi contrattuali, una crescita delle spese diverse dalla spesa per il personale in linea con il PIL, una crescita dell'1 per cento all'anno nel numero dei dipendenti e un aumento di spesa pari a circa lo 0,4 per cento all'anno per i primi tre anni del quadriennio, legati alla applicazione dell'art. 71 della legge 448/1998.

Le spese correnti di enti locali e regioni (al netto della spesa sanitaria, delle spese per interessi e delle spese per trasferimenti tra enti e per trasferimenti a altri livelli di governo) sono ipotizzate crescere, per tutto il quadriennio, tra 1 e 2 punti percentuali in più del tasso d'inflazione programmato. La spesa per il personale è costruita nella ipotesi di una crescita nel numero degli occupati pari all'1 per cento all'anno, di una crescita delle retribuzioni analoga a quella prevista per il settore delle amministrazioni centrali.

Le previsioni tendenziali sulla spesa in conto capitale sono quelle che risentono maggiormente delle modifiche intervenute nella legislazione. Il passaggio dal criterio delle "politiche invariate" a quello della "legislazione vigente" ha imposto una rivisitazione profonda dei criteri adottati per la previsione dato che, senza alimentazione legislativa, le spese in conto capitale tenderebbero a ridursi drasticamente. Ai fini della formazione delle previsioni le spese in conto capitale sono state ripartite in due grandi gruppi.

Il primo gruppo include quelle spese che, nel corso del quadriennio, si alimenteranno annualmente di nuove autorizzazioni legislative; in particolare: (a) le spese che sono finanziate in via permanente da leggi di spesa, (b) le code finanziarie di tutte le spese autorizzate entro il 1999 per contributi in conto interessi, che si estendono anche oltre il 2003, (c) le spese finanziate con i mezzi generali di bilancio degli enti (stato, regioni, enti locali e enti previdenziali), (d) le spese finanziate con il cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari.

Il secondo gruppo include tutti i programmi di spesa che, tradizionalmente, hanno ricevuto alimentazione legislativa per il tramite della legge finanziaria o del provvedimento ad esso collegato. Tra queste spese si notano: (e) gli investimenti dell'ANAS, (f) le spese in conto capitale finanziate sui fondi delle aree depresse, (g) l'edilizia universitaria, (h) l'edilizia ospedaliera, (i) tutti i programmi di intervento a favore delle imprese e dell'attività produttiva nei settori trasporti, agricoltura e così via.

Per questi tipi di spesa i flussi di pagamento sarebbero sostenuti, negli anni dal 2000 al 2003, solo dallo smaltimento dei residui accumulati al 31 dicembre 1999. Per le spese del primo gruppo si é ipotizzato un tasso di crescita compreso tra il tasso di crescita dei prezzi e il tasso di crescita del PIL, ovvero, quando noto con esattezza, il profilo definito dalle leggi autorizzative. Per le spese del secondo gruppo si è ipotizzato un processo di smaltimento dei residui presunti al 31 dicembre 1999 che porta a flussi di erogazioni progressivamente decrescenti nel tempo che si esauriscono entro il 2005 per le spese pluriennali e entro il 2020 per i contributi in conto interessi o limiti d'impegno.

Le previsioni a legislazione vigente e gli impegni programmatici per la spesa in conto capitale risultano dalla procedura riportata nella Tavola III.1.1. La tavola inizia, alla riga 1 con le spese che sono finanziate direttamente sui bilanci delle singole amministrazioni, stato (inclusi il cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari), regioni e enti locali; queste spese crescono, per ipotesi, secondo il tasso d'inflazione programmato aumentato di un punto percentuale ogni anno. Nella riga 2 è riportata la previsione dello sviluppo di cassa risultante dalle leggi di spesa vigenti alla data di presentazione del documento. Tali spese hanno un andamento decrescente stante che l'entità complessiva delle autorizzazioni di spesa é un dato fisso e si presume che il flusso di spesa, ancora in aumento nel 2000 rispetto al 1999, inizierà progressivamente a ridursi con il passare del tempo. La riga 3 fornisce il totale della previsione che si può definire "a legislazione vigente in senso stretto". La riga 4 riporta le conseguenze di cassa delle nuove autorizzazioni di spesa che sono, ad oggi, programmate sulla prossima legge finanziaria, incluso l'aumento della quota di cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari conseguente alla adozione dell'agenda 2000-2006. La riga 5 individua le spese che sono richieste per garantire un tasso di crescita della spesa in conto capitale invariata in termini reali rispetto al dato dell'anno 2000; tale spesa ammonta a 4.100 miliardi per il solo anno 2003 e concorre a definire l'entità della manovra correttiva proposta con la legge finanziaria per il quadriennio 2000-2003. Il governo ha adottato il criterio che il progetto di legge finanziaria deve, come minimo, garantire per tutto il periodo di programmazione almeno l'invarianza della spesa in conto capitale in termini reali. La riga 6 indica il totale delle spese in conto capitale per le quali é offerta copertura con gli strumenti di intervento indicati nel presente documento. La riga 7 indica l'entità delle erogazioni di cassa che dovranno trovare la propria alimentazione in autorizzazioni di spesa che saranno disposte con le prossime leggi finanziarie ovvero che potranno essere reperite nel miglioramento dei saldi tendenziali per effetto della crescita economica. Tali importi definiscono un impegno programmatico indispensabile per la realizzazione della crescita della quota sul PIL degli investimenti nel lungo periodo. Sarebbe invero impossibile assicurare - ora per tutti gli anni futuri - il finanziamento complessivo della crescita della quota degli investimenti pubblici sul PIL. La riga 10 indica lo sviluppo programmatico complessivo degli investimenti e delle spese in conto capitale per il prossimo quadriennio. Con questa procedura il governo ritiene di avere correttamente e in modo non equivoco individuato la necessaria ripartizione degli impegni tra presente e futuro in materia di sostegno alla accumulazione.

III.1.2 I risultati delle previsioni

Il profilo delle stime sugli andamenti delle entrate e delle spese delle pubbliche amministrazioni nel quadriennio 2000-2003, effettuate utilizzando i criteri sopra riportati (Tavola III.1.2) mostra una progressiva riduzione del disavanzo di bilancio (l'indebitamento netto dei conti della P.A.).
Nel 2000 il deficit di bilancio a legislazione vigente risulta pari al 2,0 per cento, un valore solo leggermente inferiore a quello che si sarebbe avuto utilizzando i criteri previgenti dato che l'effetto della nuova legislazione sui pagamenti per spese in conto capitale é molto modesto. Il rapporto deficit/PIL si riduce gradualmente nel tempo fino quasi ad annullarsi nel 2003. L'avanzo primario, pari al 4,6 per cento del PIL nel 1999, scende al 4,5 per cento del PIL nel 2000 e poi sale gradualmente fino al 5,3 per cento nel 2003. L'aumento dell'avanzo primario nel corso del quadriennio 2000-2003 é legato sia alla mancata considerazione del costo del rinnovo dei contratti di lavoro nel pubblico impiego, sia alla progressiva riduzione della quota delle spese in conto capitale che risulterebbe per effetto della sospensione dell'attività legislativa in materia: la quota delle spese in conto capitale scenderebbe infatti dal 4,0 per cento previsto per il 1999 al 3,4 per cento previsto per il 2003. Entrambe le categorie di spesa troveranno alimentazione aggiuntiva negli interventi programmatici descritti più avanti.

Per quanto riguarda le entrate, tributarie, contributive ed extra-tributarie, le previsioni a legislazione vigente non divergono dai valori che si sarebbero ottenuti con il preesistente criterio delle "politiche invariate". Il totale delle entrate é previsto scendere, nel quadriennio, dal 46,5 per cento nel 1999 al 45,0 per cento nel 2003. La riduzione del gettito contributivo è determinata sia dalla riduzione delle basi imponibili, sia dal progressivo trasferimento del prelievo dalle retribuzioni alle imposte indirette.

Per quanto riguarda le spese correnti si osserva che il loro totale al netto della spesa per interessi é previsto scendere dal 37,9 per cento del PIL nel 1999 al 36,4 per cento nel 2003, con un tasso di crescita medio annuo pari al 3,2 per cento un tasso che supera il tasso medio di inflazione programmata per più di due punti percentuali (si veda Tavola III.1.3). All'interno delle spese correnti al netto degli interessi, sono le spese per pensioni e le spese per l'assistenza sanitaria che presentano tassi di crescita superiori al tasso di crescita medio.

Le spese per interessi continuano il loro trend decrescente, sia in valore assoluto che in quota di PIL passando dal 7,1 per cento previsto per il 1999 al 5,3 per cento previsto per il 2003.

Il saldo di parte corrente, per effetto dei diversi tassi di crescita delle entrate complessive, delle spese correnti al netto degli interessi, della spesa per interessi mostra, nelle previsioni a legislazione vigente, un progressivo aumento nel corso di tutto il quadriennio passando dall'1,2 per cento del PIL previsto per il 1999 al 3,0 per cento previsto per il 2003.

III.2 GLI OBIETTIVI PROGRAMMATICI

Obiettivo primario del Governo è quello di proseguire nell'azione di risanamento dei conti pubblici necessaria al rispetto degli impegni assunti in sede europea sulla progressiva riduzione della crescita dello stock di debito pubblico e sulla riduzione del rapporto deficit/PIL. Quest'ultimo rapporto é programmaticamente fissato all'1,5 per cento nel 2000, all'1 per cento nel 2001, allo 0,6 per cento nel 2002 e prossimo al pareggio nel 2003. Date le previsioni sull'andamento della spesa per interessi, questi obiettivi richiedono un aumento del rapporto tra avanzo primario e PIL dal 4,6 per cento previsto per il 1999, al 5,0 per cento nel 2000, al 5,1 per cento nel 2001-2002 e al 5,2 per cento nel 2003.

Contestualmente, il Governo intende favorire una crescita socialmente equilibrata dell'economia che coincida con la creazione di nuova impresa e nuova occupazione, in particolare nelle aree meno sviluppate del paese. Il Governo si propone pertanto di attivare politiche dirette al sostegno dei processi di sviluppo associate ad interventi intesi a rafforzare la coesione sociale. Il Governo ritiene quindi opportuno che - nel rispetto delle compatibilità finanziarie - la propria azione si indirizzi, da un lato, al sostegno degli investimenti tanto nel settore delle infrastrutture pubbliche quanto, mutando le convenienze ad investire, nel settore privato e, dall'altro, al rafforzamento delle istituzioni che possano contrastare le recenti tendenze ad un ampliamento delle aree di marginalità sociale, sostenere le responsabilità familiari, investire sul futuro del paese.

La correzione richiesta per riportare nel 2000 l'avanzo primario al 5 per cento del PIL é pari quindi allo 0,5 per cento del PIL, cioé 11.500 miliardi di lire. Questo importo corrisponderebbe anche all'entità della manovra correttiva da proporre per la prossima sessione di bilancio se non dovessero essere reperite le risorse che devono finanziare le azioni dirette al sostegno dello sviluppo e al concorso che la politica di bilancio deve offrire per la realizzazione degli obiettivi di politica economica e sociale. L'importo che il governo ritiene minimale, nel 2000, per questi obiettivi é pari a 3.500 miliardi. In tal modo, circa il 40 per cento delle nuove risorse può essere destinato alla riduzione del prelievo tributario e circa il 60 per cento al finanziamento di nuove spese correnti e in conto capitale.

La correzione complessiva da apportare ai conti pubblici nel 2000 è pari quindi a 15.000 miliardi, di cui 3.500 sono destinati ad essere restituiti al sistema economico-sociale sotto forma di maggiori spese o di riduzioni di imposte e 11.500 miliardi sono destinati al riaggiustamento dei conti pubblici. Nel rispetto del metodo della concertazione, ogni ulteriore intervento di razionalizzazione e riqualificazione della spesa sociale che fosse concordato fra Governo e parti sociali troverebbe compensazione al proprio interno, ivi inclusi interventi intesi a sostenere il reddito disponibile nelle fasce più basse. In questo quadro complessivo, la politica di bilancio sarebbe in grado di realizzare l'obiettivo della riduzione del rapporto deficit/PIL e di concorrere, contestualmente, alla formazione di una politica economica orientata allo sviluppo ed ad una più equa politica sociale.

III.2.1 La struttura degli interventi per lo sviluppo

Gli obiettivi della politica di bilancio si indirizzano verso la graduale riduzio ne della pressione tributaria e contributiva, lo sviluppo delle spese in conto capitale e l'adeguamento dell'offerta dei servizi pubblici.

Nel prossimo quadriennio gli indirizzi fondamentali della politica tributaria saranno volti a:
· completare il processo della riforma fiscale volta alla razionalizzazione, all'equità, alla semplificazione e alla neutralità del prelievo tributario, attraverso l'attuazione delle norme previste nella legge 13 maggio 1999 n. 133, nonché attraverso il consolidamento della normativa già operante;
· realizzare, lungo le direttrici già delineate, la riforma dell'amministrazione finanziaria per renderla una organizzazione efficace ed efficiente nei confronti del contribuente;
· proseguire il processo di riduzione del carico contributivo facendo ricorso alle risorse derivanti dalla tassazione ecologica;
· ridurre la pressione tributaria nei limiti compatibili con l'equilibrio finanziario dei conti pubblici anche attraverso il contrasto all'evasione, sia in termini di accertamento, sia in termini di emersione spontanea della base imponibile.

Riguardo a quest'ultimo punto, le priorità assunte, anche in coerenza con il patto sociale siglato nel dicembre 1998, sono le seguenti:
1. garantire la copertura finanziaria per altri 1000 miliardi, per ciascuno degli anni 2000 e 2001, dell'agevolazione agli investimenti già prevista nell'art. 2 della legge 133/1999;
2. provvedere alla accelerazione degli effetti della DIT in termini di riduzione dell'aliquota media gravante sugli utili d'impresa;
3. ridurre l'aliquota dell'IRPEF dal 27 per cento al 26 per cento per il secondo scaglione di reddito;
4. aumentare le detrazioni IRPEF sia a favore dei figli a carico che per i redditi più bassi;
5. consolidare il provvedimento di sgravio sulla prima casa di proprietà e per i fitti, già introdotto per il solo anno 1999;

L'insieme di questi interventi sarà in parte finanziato, per i punti 1, 2 e 3, dalla complessiva manovra di finanza pubblica prevista per il 2000-2003, e, per i punti 4 e 5, dai risultati che si otterranno dall'accrescimento dei gettiti delle entrate derivanti dall'emersione spontanea della base imponibile e dalle misure di contrasto all'evasione. In questo senso, la copertura finanziaria di parte degli interventi suddetti è condizionata al realizzarsi di tali risultati.

La quota sul PIL del prelievo complessivo (entrate tributarie contributive ed extra tributarie) è prevista scendere, con tali interventi, dal 46,5 per cento del 1999 al 44,9 per cento nel 2003.
Il Governo indica uno sviluppo programmatico delle spese in conto capitale che, in quota di PIL, aumentano dal 4 per cento nel 1999 al 4,1 per cento nel 2001 e al 4,2 per cento nel 2002 e successivi (cfr. Tavola III.1.1, riga 8). Per realizzare questo obiettivo la legge finanziaria per il triennio 2000-2002 prevederà nuove autorizzazioni di spesa e investimenti attivabili per circa 30.000 miliardi; successive leggi finanziarie garantiranno, nei prossimi anni, gli ulteriori necessari finanziamenti. Le nuove autorizzazioni saranno destinate agli interventi nelle aree depresse, all'aumento della quota di cofinanziamento nazionale dei programmi d'investimento dell'Unione Europea e ai programmi di spesa in conto capitale che saranno autorizzati dalla legge finanziaria. In termini di cassa, queste autorizzazioni consentiranno di realizzare gli obiettivi programmatici per il quadriennio, con una spesa aggiuntiva pari a 14.500 miliardi.

Le maggiori spese non contemplate dalla legislazione vigente che il Governo destina ai rinnovi contrattuali per la tornata 2000-2001, al personale non contrattualizzato e al potenziamento dell'offerta di servizi pubblici sono pari nel quadriennio a 13.500 miliardi. Gli interventi previsti, che troveranno la loro più precisa individuazione nella legge finanziaria, potranno riguardare l'assistenza agli anziani e all'infanzia, la giustizia e la formazione dei giovani e meno giovani, nei suoi vari aspetti, dalla informatizzazione, alla scuola, all'università e alla ricerca scientifica.

Nel presente Documento, il Governo cifra la spesa per la sanità in risorse corrispondenti alla spesa effettiva (116.000 miliardi nel 2000), in misura perciò significativamente superiore a quelle riconosciute nel passato, ponendo così le premesse per l'attuazione del previsto federalismo fiscale.

III.2.2 Il quadro programmatico e la manovra correttiva

Il quadro programmatico per il quadriennio 2000-2003 prevede la riduzione del disavanzo dei conti pubblici all'1,5 per cento del PIL nel 2000, all'1 per cento nel 2001, allo 0,6 per cento nel 2002 e al sostanziale pareggio nel 2003. Questo risultato é ottenuto grazie a un aumento dell'avanzo primario di 0,6 punti percentuali di PIL nel quadriennio: dal 4,6 per cento del PIL nel 1999 al 5,2 per cento nel 2003. La riduzione del rapporto deficit/PIL si basa anche sulla riduzione dell'incidenza della spesa per interessi sul PIL che passa dal 7,1 per cento nel 1999 al 6,5 per cento nel 2000 e al 5,3 per cento nel 2003. Il pareggio di bilancio programmato per il 2003 definisce, per l'anno terminale dell'orizzonte di programmazione, un risultato di grande rilievo: il sistema di finanza pubblica italiana viene riportato su sentieri da tempo non più frequentati.

Il passaggio dalle previsioni a legislazione vigente al quadro programmatico è ottenuto grazie a interventi correttivi che determinano una riduzione del deficit di bilancio nell'anno 2000 pari a 11.500 miliardi, cioè lo 0,5 per cento del PIL. Includendo le maggiori spese finalizzate al sostegno dello sviluppo, gli interventi correttivi dovranno complessivamente ammontare, per il 2000 e 2001 a 15.000 miliardi, per il 2002 e 2003 a 11.500 miliardi. Il contenuto strutturale della manovra correttiva da realizzare con la prossima legge finanziaria ammonta, quindi, ad almeno 11.500 miliardi. Avanzo primario a legislazione vigente, manovra correttiva, interventi per la crescita, avanzo primario programmatico, spese per interessi e deficit programmatico sono indicati nella tavola III.2.1.

Per effetto della riduzione dell'indebitamento netto prodotta dalla manovra correttiva e dalla prosecuzione del programma di privatizzazioni, il rapporto tra debito pubblico e PIL prosegue la sua discesa nel corso del quadriennio per giungere al 100 per cento nel 2003, come indicato dal patto di stabilità e crescita (si veda Tavola III.2.1).

III.2.3 La struttura degli interventi correttivi

Nella costruzione degli interventi correttivi il Governo si muove dalla constatazione che il progredire della spesa corrente a legislazione vigente ha assunto un ritmo più contenuto rispetto agli anni passati. Per quanto non particolarmente elevati in valore assoluto, i suoi tassi di crescita sono però incompatibili con la dinamica del gettito tributario e con gli obiettivi di riduzione del deficit. Gli interventi correttivi sono quindi diretti a ridurre ulteriormente la velocità della crescita della spesa corrente. Gli interventi correttivi che saranno proposti con la prossima legge finanziaria riguarderanno:
(a) la revisione degli strumenti di programmazione delle assunzioni, incluse quelle del settore scolastico, e dei concorsi interni dei dipendenti della amministrazione pubblica. L'importanza di una accurata programmazione dei nuovi ingressi è essenziale per il controllo della spesa e per la sua riqualificazione;
(b) gli strumenti di sostegno del patto di stabilità interno; l'art. 119, 4° comma della Costituzione indica nel coordinamento della finanza centrale e delle finanza regionale e locale uno degli obiettivi principali di un buon sistema di federalismo fiscale. Attraverso la concertazione, il patto di stabilità interno sarà rafforzato con una più efficace applicazione ai soggetti responsabili della spesa per l'assistenza sanitaria;
(c) il controllo degli acquisti di beni e servizi e delle altre spese di funzionamento delle amministrazioni centrali attraverso il controllo di gestione, e il rafforzamento degli incentivi alla riduzione dei costi;
(d) il potenziamento delle iniziative dirette ad aumentare il concorso dei privati all'esercizio di attività e di servizi pubblici sia attraverso il finanziamento dei progetti di investimento sia attraverso la esternalizzazione di alcuni segmenti di attività pubblica;
(e) la valorizzazione del patrimonio immobiliare dello stato e degli enti pubblici, nonché l'ottimizzazione della gestione delle passività finanziarie della pubblica amministrazione resa possibile dalla discesa dei tassi d'interesse;
(f) ulteriori azioni di razionalizzazione delle istituzioni erogatrici di trattamenti previdenziali e assistenziali e di rafforzamento della previdenza complementare.

III.2.4 Il Bilancio programmatico dello Stato

Il bilancio programmatico dello stato per il triennio 2000-2002 é definito in termini di previsioni iniziali; esso si confronta con il consuntivo per il 1998 e conle previsioni iniziali per il 1999. I confronti nel tempo sul bilancio dello stato tendono a non essere particolarmente significativi se applicati a diverse fasi della gestione, soprattutto per i mutamenti legislativi che intervengono in corso d'anno e per i tempi variabili delle registrazioni contabili delle spese e delle entrate nel bilancio.

Quando vengono trasferite fonti di entrate proprie dallo stato agli enti locali o regionali, si hanno mutamenti strutturali nella dinamica di entrate e spese. Quando un tributo regionale (esempio IRAP) produce un gettito inferiore a quanto previsto, possono aumentare i trasferimenti statali alle regioni per il finanziamento della spesa sanitaria. Andamenti erratici si hanno anche per effetto delle procedure di contabilizzazione delle spese, soprattutto di quelle che si esprimono in operazioni di accreditamento di somme ad enti che operano per il tramite di conti di Tesoreria, come é il caso del pagamento dei contributi previdenziali all'INPDAP o dei trasferimenti erariali a Regioni e enti locali.

Fatte queste avvertenze che rendono problematico il confronto tra il consuntivo del 1998 e le previsioni iniziali per il 1999 e 2000 e anni successivi, si osserva quanto segue (si veda Tavola III.2.2).

Le indicazioni programmatiche sui conti della Pubblica Amministrazione si traducono in obiettivi sulla gestione di competenza del bilancio dello Stato. Si hanno in sintesi le seguenti risultanze programmatiche:
· un saldo netto da finanziare pari a 49.500 miliardi nel 2000, in riduzione a 24.000 nel 2002;
· una pressione tributaria statale in riduzione dal 27,8 per cento del PIL nel 1999 al 26,5 per cento nel 2002; nello stesso periodo, considerando la correzione per l'effetto IRAP, la pressione tributaria scende dal 27,6 per cento al 26,5 per cento;
· una crescita delle spese correnti al netto degli interessi pari all'2,07 per cento medio annuo nel triennio 2000-2002;
· una crescita delle spese in conto capitale che, in quota di PIL, passano dal 3,9 per cento nel 1999 al 4,0 per cento nel 2002.

Nella formazione delle previsioni sugli aggregati propri dei conti della Pubblica Amministrazione si è ipotizzato che gli accantonamenti di tabella B si esauriscano nel corso del triennio, con la eccezione di quelli denominati "limiti di impegno", che si presuppongono di durata quindicennale.

In relazione alle modifiche introdotte dalla legge di riforma della legge 468/78 il disegno di legge finanziaria conterrà, in aggiunta a disposizioni con effetti finanziari diretti di correzione dei flussi, anche norme ordinamentali con effetti a rilevante contenuto finanziario; conterrà altresì norme dirette a realizzare gli obiettivi di sostegno degli investimenti o di sviluppo dei servizi pubblici previsti dal presente documento.

Il Governo si riserva di presentare provvedimenti collegati, da esaminare al di fuori della sessione di bilancio, riguardanti:
- istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tecnologico;
- materia tributaria;
- procedure in materia di appalti, offerta di servizi pubblici e finanziamento di progetto;
- valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici;
- organizzazione e razionalizzazione di uffici, di strutture e organismi pubblici;
- apertura e regolazione dei mercati;

Il Governo si ritiene comunque impegnato a realizzare gli effetti finanziari necessari fin dall'esercizio 2000.

IV. LA POLITICA ECONOMICA

Gli obiettivi fondamentali dell’azione del Governo sono la promozione della crescita, la creazione di nuovi posti di lavoro, l’inclusione delle persone e delle fasce sociali emarginate o a rischio di emarginazione. L'impegno del Governo sarà indirizzato soprattutto alle aree dove più acuti sono questi problemi, e in modo particolare al Mezzogiorno, ove gli effetti delle politiche di sviluppo potranno avere il massimo ritorno.

Il Governo intende perseguire questi obiettivi per concorrere a realizzare una società più aperta e coesa, pienamente partecipe del processo di integrazione europea.

A tal fine, impegno del Governo sarà rivolto, nelle sedi europee, ad una più incisiva azione dell’Unione in tema di politiche per lo sviluppo, l’occupazione e la giustizia sociale. In questo contesto, il Governo intende favorire l’iniziativa multilaterale di ricostruzione e stabilizzazione per i Balcani, anche attraverso il varo di una legge speciale.

IV.1 L’OFFERTA INTEGRATA DI ISTRUZIONE, FORMAZIONE, RICERCA E TRASFERIMENTO TECNOLOGICO

Il rafforzamento dell’offerta integrata di istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tecnologico costituisce un obiettivo strategico del Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione e può da un lato condurre ad un modello sociale più equilibrato e, dall’altro, influenzare significativamente nel medio periodo il livello di efficienza del sistema produttivo italiano.

Il Governo ha già avviato una vasta riforma del sistema di istruzione. Ad essi è necessario associare misure che amplino le opportunità di formazione sul posto di lavoro e i programmi di formazione esterna, configurando la formazione come un processo di continua crescita in grado di accompagnare l’individuo lungo l’arco dell’intera vita. La formazione (non solo quella professionale, ma quella che altrove è nota come education) occupa un posto centrale nella ridefinizione dei meccanismi di welfare. Tale formazione deve avere caratteristiche di flessibilità e deve essere in grado di fornire a tutti i giovani quelle conoscenze, competenze e capacità che sono indispensabili in un mercato del lavoro e in un sistema produttivo in incessante trasformazione. L’insieme di tali misure di trasformazione presuppone una ulteriore valorizzazione del ruolo dei docenti e dei dirigenti scolastici.

Nel contempo, l’obiettivo di favorire un riposizionamento competitivo del sistema produttivo italiano non può prescindere da un necessario potenziamento degli interventi in favore della ricerca e sviluppo. Tale attività costituisce elemento fondamentale non solo per aggredire nuovi mercati, ma anche per consolidare una presenza qualificata delle imprese italiane in quei settori produttivi dove risulta più accentuata la competitività sui costi dovuti alla concorrenza internazionale per accrescere la possibilità di essere presenti nei settori a più elevata potenzialità di sviluppo. Pur potendo rilevare un consistente aumento dell’incidenza delle risorse pubbliche destinate a incentivare la ricerca e sviluppo delle imprese nel periodo 1995/1998 (da meno del 3 per cento gli stanziamenti complessivi ad oltre il 12 per cento nel 1998) gli stanziamenti destinati a tale finalità risultano ancora insufficienti rispetto alla domanda delle imprese e ancora lontani dal livello che si può ritenere ottimale per una completa affermazione della centralità del ruolo dell’innovazione e della ricerca per lo sviluppo dell’apparato produttivo. Gli interventi del Governo in tema di formazione integrata saranno orientati verso i cinque macro-obiettivi individuati, in una logica di sviluppo e di governo integrato del sistema dall’apposito Comitato previsto dal Patto sociale, nel Piano pluriennale delle attività, dei tempi e delle risorse necessarie a realizzare gli obiettivi di riforma e modernizzazione del sistema dell’istruzione, della formazione professionale e della ricerca:

IV.2 INCENTIVI ALLE IMPRESE

Nel quadro della riforma del sistema degli incentivi realizzata del ministero dell'industria negli ultimi due anni, l'intero sistema degli incentivi alle imprese è sottoposto all'azione di due processi: il "decentramento", che comporta nuovi assetti istituzionali e un nuovo ruolo per le amministrazioni pubbliche; la "razionalizzazione e semplificazione" degli interventi che, in un'ottica di riordino dei provvedimenti e di standardizzazione delle procedure, accresce l'importanza delle attività di monitoraggio e di valutazione. In tal modo si migliora l'efficienza amministrativa dei regimi di aiuto alle imprese, riformati dal decreto legislativo 123/98, e si esercita una maggiore selezione degli interventi in favore delle imprese. Il processo di riordino dell'intero sistema degli incentivi è inoltre una opportunità per ridurre il numero dei regimi di aiuto e per semplificarne le procedure di accesso. La proliferazione dei regimi di aiuto determina conseguenze negative per una efficiente allocazione delle risorse pubbliche. Nelle aree depresse e del Mezzogiorno la sovrapposizione degli strumenti risulta particolarmente elevata. Questo aumenta il numero di domande non accolte per esaurimento dei fondi legate ad alcune normative, in particolare alla legge 488/92, e rallenta la capacità di impegno e di spesa degli strumenti inseriti nella programmazione negoziata.

Il processo di riforma avviato con il Decreto legislativo 123/98 dovrebbe da un lato consentire di indirizzare gli investimenti di imprese di piccola o piccolissima dimensione verso strumenti di tipo automatico, utilizzando preferibilmente lo strumento fiscale, sollevando l'impresa da complessi obblighi di documentazione corredo dei programmi e concentrare i compiti dell'Amministrazione soprattutto sulla valutazione successiva alla realizzazione degli investimenti.

Per quanto riguarda invece gli interventi di più consistente rilievo dal punto di vista finanziario e di maggiore rilevanza per lo sviluppo produttivo e occupazionale del mezzogiorno, la positiva esperienza collegata all'attuazione della L.488/92 dovrebbe essere utilizzata come modello di riferimento anche per gli strumenti della programmazione negoziata, quali patti territoriali e contratti d'area. Per favorire la programmazione finanziaria plurienale degli investimenti, ulteriore stabilità è stata fornita dal rifinanziamento della L.488/92 in Tab.C della legge finanziaria.

L'ammontare complessivo delle risorse pubbliche al netto dei fondi strutturali 2000-2006 dell'Unione Europea verrà stabilito per un arco di tempo pluriennale nella legge finanziaria.

IV.3 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: RIFORME E INNOVAZIONE TECNOLOGICA

Gli anni trascorsi hanno visto l'avvio di una vasta opera di riforma del sistema amministrativo, intesa ad adeguare agli standard dei paesi più avanzati le prestazioni e i servizi delle pubbliche amministrazioni e la qualità del sistema della regolazione. Di questa opera di riforma è pressoché compiutamente delineato il quadro legislativo, con la legge di riforma del bilancio dello Stato, le quattro cosiddette leggi Bassanini e i conseguenti decreti legislativi e regolamenti. Non meno impegnativo, e comunque decisivo, è ora il lavoro di attuazione, mediante la realizzazione del federalismo amministrativo, la riorganizzazione del Governo e delle amministrazioni centrali, la accelerazione del lavoro di semplificazione di normative e procedimenti, la qualificazione delle professionalità della Pubblica amministrazione anche ai fini di una più efficace tutela degli interessi del nostro Paese all’estero, l'aziendalizzazione delle amministrazioni pubbliche, l'introduzione del controllo di gestione e della misurazione delle performance, la responsabilizzazione dei dirigenti in relazione ai risultati, l'orientamento alla soddisfazione del cliente.

Le leggi di riforma hanno posto le premesse normative per un ampio utilizzo delle tecnologie informatiche nella P.A., disciplinando il protocollo informatico, il mandato informatico, il telelavoro, la firma ed il documento digitali, la carta di identità elettronica, le carte elettroniche per l'erogazione dei servizi e le procedure informatizzate relative ai servizi per l’estero come il sistema dei visti Schengen. Affinché questo grande disegno divenga operativo è tuttavia necessario integrare in un unico sportello, virtuale o reale, e decentrato sul territorio, i servizi erogati da amministrazioni diverse contribuendo così a rendere superflua tutta una serie di attività lucrative a carico delle amministrazioni e dei cittadini effettuate da operatori privati aventi il solo scopo di "intermediare" tra l'inefficienza dei servizi della P.A. e le esigenze dei cittadini.

Le azioni da intraprendere richiedono di concentrare risorse dedicate alla acquisizione e formazione di nuove professionalità (tecnici, informatici, esperti di controllo di gestione, ecc.), utilizzando il turn over per realizzare un consistente miglioramento della qualità professionale nella Pubblica amministrazione.

IV.4 SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE, TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE, INNOVAZIONE, CULTURA E CITTADINANZA

La nuove tecnologie e i servizi on line sono un fattore fondamentale per lo sviluppo economico, sociale e umano poiché concorrono a determinare una infrastruttura essenziale per la produzione, il lavoro, il commercio, l'istruzione, lo studio e il tempo libero. In Italia esiste ancora un ritardo nella diffusione e nell'uso di tecnologie della comunicazione, che costituiscono l'elemento trainante della nuova economia digitale. E' in corso, tuttavia, una significativa inversione di tendenza. Siamo di fronte ad un settore che sta rivoluzionando anche l'organizzazione sociale. La costruzione dei nuovi diritti di cittadinanza può avvenire soltanto se si garantisce a tutti la possibilità di usufruire dei servizi on line e quindi di Internet. Questa direttrice di sviluppo deve divenire prioritaria al fine di evitare l'emarginazione e la colonizzazione commerciale e culturale del nostro Paese.

Il potenziale è enorme. Solo qualche dato:

IV.4.1 Il Piano di Azione per lo Sviluppo della Società dell’Informazione

Nel decreto del 5 febbraio 1999, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha rilevato che "Il Governo ritiene lo sviluppo della Società dell'Informazione un obiettivo fondamentale della propria azione". Con lo stesso decreto sono state istituite tre strutture che hanno il compito di lavorare per la definizione di un Piano di Azione per lo sviluppo del settore: il Forum per la Società dell'Informazione, il Gruppo di Studio e di Lavoro dei Ministeri e delle Amministrazioni pubbliche, il Comitato dei Ministri.

Il Forum è una sede di lavoro aperta a istituzioni pubbliche, imprese, sindacati, università e istitu-zioni della ricerca, terzo settore, associazioni e cittadini. Per la prima volta è stata costituita all'interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri una struttura operativa a tempo pieno con l'incarico di promuovere e coordinare le attività.

In Italia numerosi Enti territoriali hanno avviato importanti progetti per favorire lo sviluppo della Società dell'Informazione e dei servizi innovativi ai cittadini e alle imprese. Il Governo ha proposto a Regioni, Province e Comuni di creare un Centro di coordinamento delle attività degli Enti Territoriali nella città di Torino. E' operativa una struttura, istituita da Regione Piemonte, Provincia e Città di Torino che ha anche il compito di contribuire ai lavori del Forum.

L'elaborazione di un piano unitario di interventi, capace di definire una strategia complessiva - mirata anche al coordinamento delle numerose attività già da tempo promosse nel Paese e quindi nel territorio - avviene in ritardo, ma con una volontà di recuperare il terreno perduto coinvolgendo l'insieme degli attori della società: per la realizzazione del progetto è certamente necessaria la sinergia tra istituzioni pubbliche, imprese, sindacati, università, enti di ricerca, associazioni, amministrazioni pubbliche.

IV.4.2 Obiettivi, strumenti e destinatari

In questi ultimi anni i Ministeri, le amministrazioni pubbliche e gli Enti territoriali hanno avviato numerosi progetti per lo sviluppo della Società dell'Informazione e dell'ICT (la documentazione è sul sito Internet del Forum). Occorre ricordare inoltre che il settore delle telecomunicazioni è stato interamente liberalizzato. Il Governo ha individuato tre grandi aree per lo studio di misure che hanno lo scopo di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo del settore e che devono essere rivolte a cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni:

- diffusione della cultura informatica e digitale;

- sviluppo dell'uso dell'ICT e delle reti;

- promozione di servizi, i contenuti e la ricerca.

Le proposte, alcune delle quali riguardano progetti già avviati dai singoli Ministeri, amministrazioni o enti territoriali (e descritte in altre parti del documento), possono essere riassunte nei seguenti grandi obiettivi:

IV.5 PROMUOVERE IL LAVORO

A seguito dell'accordo raggiunto al Consiglio Europeo di Amsterdam del giugno 1997, il Consiglio Europeo di Lussemburgo del dicembre 1997 ha stabilito una strategia coordinata in materia di occupazione che i paesi verificano e rettificano annualmente nei Piani Nazionali d'Azione per l'Occupazione (NAP) articolati su quattro linee direttrici comuni:

Negli ultimi anni sono state introdotte in Italia molteplici misure di modernizzazione del mercato del lavoro. È necessario rendere efficaci gli interventi già adottati normativamente, ma non ancora completamente operativi, e rendere più incisive le misure già introdotte laddove esse non risultino sufficienti a garantire gli obiettivi prefissati.

I recenti interventi legislativi hanno riguardato soprattutto il primo ed il terzo pilastro, con importanti innovazioni quali la modifica della regolamenta- zione dei contratti a causa mista, di formazione e a tempo determinato o parziale, e l'introduzione dell'istituto del lavoro interinale. In risposta a tali iniziative, le nuove forme di lavoro sono aumentate considerevolmente, divenendo il volano per la creazione di nuovi posti di lavoro, come confermato anche dagli ultimi dati relativi al mese di aprile. Grazie a questi elementi di flessibilità, si sta riattivando la relazione positiva tra crescita economica ed occupazione, interrottasi negli scorsi anni. Questa ripresa deve essere sostenuta estendendo l'utilizzazione delle forme contrattuali a orario ridotto e quelle a tempo determinato, incentivando lo sviluppo dei programmi di apprendistato, migliorando il sistema di collocamento.

Coerentemente con tali obiettivi, il 31 maggio scorso, il Governo ha presentato alla UE il Piano d'azione nazionale per l'occupazione per il 1999. Il Piano prevede, per il Pilastro I, di allargare il ventaglio di forme contrattuali, di completare il decentramento dei Servizi pubblici per l'impiego, sviluppando contestualmente i servizi privati di collocamento, e di adottare misure per favorire la mobilità regionale dei giovani attraverso forme di collaborazione tra Centri per il lavoro di diverse Regioni. Verranno introdotte misure per favorire lo sviluppo dei servizi privati di collocamento e delle agenzie di interinale. Entro la metà dell'anno 2000 è prevista l'attivazione del nuovo Sistema informativo lavoro (SIL), a disposizione sia del sistema pubblico che delle agenzie private di collocamento, per raccogliere e aggiornare in tempo reale le informazioni sulle caratteristiche dei lavoratori in cerca di occupazione e sui posti disponibili nelle aziende.

Lo sviluppo dell'imprenditorialità (Pilastro II) verrà stimolato attraverso misure di natura fiscale ed incentivato attraverso la semplificazione amministrativa. A tale scopo è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio una struttura dedicata alla delegificazione ed è stato attivato un "Osservatorio sulle semplificazioni" per verificare l'attuazione e l'efficacia delle misure adottate. Vanno inoltre rafforzate le misure per l’emersione dell’economia sommersa. Per il settore non profit, se ne prevede la valorizzazione negli interventi contro l’esclusione sociale, per l’offerta dei servizi culturali, per la tutela del territorio e per l’occupazione dei soggetti svantaggiati.

L'adattabilità delle imprese e dei loro lavoratori (Pilastro III) verrà incoraggiata attraverso l'estensione dei tirocini in tutti i percorsi di istruzione e formazione. Inoltre, verrà resa operativa la Fondazione per la Formazione Continua per sostenere la realizzazione di interventi di formazione previsti dai piani formativi aziendali e territoriali concordati tra le parti sociali. Sarà promosso ulteriormente l'uso del part time e del job sharing, rispetto al quale il Governo ha posto come obiettivo di avvicinare alla media europea il peso di questa forma di contrattazione sul totale dell'occupazione.

Per quanto riguarda le politiche in materia di pari opportunità (Pilastro IV), presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono stati attivati due osservatori: "Osservatorio sulla imprenditorialità femminile", per verificare l’andamento del fenomeno e le misure idonee a promuovere l’impresa femminile; l’"Osservatorio sull’impatto della flessibilità sull’occupazione femminile", per valutare l’effetto degli strumenti di flessibilità sul lavoro delle donne. Per favorire l’incremento della presenza femminile nei luoghi decisionali, è in corso di predisposizione un elenco di donne con alto livello di qualificazione nei diversi settori; così introducendo elementi di trasparenza e promozione delle competenze, tanto nei processi di progressione in carriera, quanto nei percorsi di nomina. Inoltre, il Dipartimento continuerà a svolgere azione di supporto nelle sedi della programmazione dei fondi strutturali per consentire la coerenza dei programmi operativi agli obiettivi del IV Pilastro; a tal fine è stato già predisposto un primo documento contenente "Linee guida per l’attuazione del principio di pari opportunità per uomini e donne e valutazione dell‘impatto equitativo di genere nella programmazione operativa". Proseguirà altresì l’impegno intrapreso nel 1998 a favore di misure orientate a facilitare la riconciliazione tra tempi di vita e di lavoro e la creazione di occupazione femminile. Sarà infine predisposto un piano di azione contenente misure a favore dell’impiego, dell’autoimpiego e dell’im-prenditorialità femminile.

Per rendere più incisive le iniziative di politica del lavoro il Governo è stato delegato a realizzare nel corso dell’anno, attraverso uno o più decreti legislativi, un sistema efficace e organico di strumenti per l’inserimento al lavoro dei giovani e delle persone rimaste prive di occupazione. La delega contempla il riordino degli ammortizzatori sociali, degli incentivi all’occupazione, dei rapporti di lavoro a contenuto formativo e delle altre misure di inserimento non costituenti rapporto di lavoro, come tirocini e stage.

L’insieme dei provvedimenti mira a razionalizzare le tipologie e le misure degli interventi, assumendo come riferimento i diversi destinatari, le condizioni economiche delle aree territoriali e il grado di svantaggio delle diverse component dell’offerta di lavoro. La revisione dei contratti di tipo formativo intende dare alle due tipologie base (apprendistato e formazione-lavoro) una propria specificità come strumenti incentivanti, rispettivamente per il primo inserimento lavorativo e per la normale assunzione al lavoro, compatibile con le direttive europee, anche dei disoccupati di lunga durata. Nel campo degli ammortizzatori sociali, l’intervento comporta anche un rafforzamento delle iniziative di tipo attivo per la gestione delle eccedenze strutturali di manodopera e un collegamento funzionale molto più stretto con la formazione professionale e l’attività dei nuovi servizi locali per l’impiego, pubblici e privati.

Per ragioni di equità e per rendere più efficace l’azione degli ammortizzatori sociali, in particolare nell’ambito dei processi di mobilità del lavoro, il Governo prevede di estendere la loro azione in direzione delle imprese minori e delle categorie che beneficiano di più bassa protezione sociale, oltre che un raccordo più stretto con i nuovi strumenti di sostegno al reddito e al disagio sociale. Queste iniziative possono anche comportare la costituzione di fondi con apporti finanziari plurimi come previsto dall’art. 2, comma 28, della legge 662/96 e ulteriori misure per rafforzare il contenuto dell’art. 13 della legge n. 196/97 riguardante l’incentivazione del part-time da indirizzare in particolare all’inserimento lavorativo dei giovani e alla prosecuzione di carriera dei lavoratori anziani.

La gestione attiva di questi strumenti richiede un complesso intervento sull’attuale struttura degli incentivi al fine di dare ad essi un ruolo più funzionale rispetto agli obiettivi dell’inserimento lavorativo.

IV.6 GARANTIRE SICUREZZA E GIUSTIZIA AI CITTADINI

Gli obiettivi di politica della sicurezza individuati nel documento di programmazione economico-finanziaria dello scorso anno vanno proseguiti e perfezionati, portando ad ulteriore sviluppo i progetti volti a garantire il diritto dei cittadini alla sicurezza, l’attuazione di moderne politiche di sicurezza urbana, efficaci dispositivi di controllo delle frontiere, elevati livelli di protezione alle imprese impegnate nelle aree di sviluppo del Mezzogiorno.

Fra gli obiettivi prioritari del Governo vi è quello di garantire il diritto dei cittadini alla sicurezza e, di conseguenza, forte è l’impegno per un’azione di efficace contrasto alla criminalità diffusa, nonché ai pericoli derivanti dai fenomeni eversivi che nelle ultime settimane si sono evidenziati e che hanno avuto un drammatico momento di emersione con l’omicidio di Massimo D’Antona. L’attenzione delle Forze dell’ordine mira quindi alla realizzazione di moderne politiche di sicurezza urbana e di efficace azione di contrasto alla criminalità nelle campagne.

Sullo sviluppo delle nuove tecnologie si fonda anche la possibilità di proseguire l’impegno per la sperimentazione di nuovi moduli di coordinamento operativo delle Forze di polizia nelle aree urbane e nelle zone interne per una più efficace azione di presidio del territorio e di prevenzione generale, quale risposta alla crescente percezione di insicurezza dei cittadini, giustamente preoccupati per la pressione soprattutto della criminalità diffusa.

Si tratta, in questo campo, soprattutto di moltiplicare gli sforzi per sviluppare ulteriormente ed estendere a tutto il territorio nazionale i progetti per la interconnessione delle sale operative delle Forze di polizia, secondo il modello già positivamente in corso di sperimentazione nella città di Milano.

Più in generale, va prestata attenzione all’ammodernamento tecnologico di sistemi di trasmissione radio e all’adeguamento delle dotazione veicolari ed informatiche. L’impegno per lo sviluppo delle regioni meridionali non può prescindere dall’attuazione di un articolato piano di interventi per la prevenzione e la repressione di ogni tentativo di condizionamento criminale dei progetti di investimento. A tale obiettivo si ispira il Programma Operativo Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, cofinanziato con fondi comunitari e nazionali e già in fase di avanzata realizzazione.

Il Governo intende garantire il necessario sostegno alla prosecuzione e all’estensione del piano di ammodernamento tecnologico degli strumenti di prevenzione e controllo del territorio nelle zone ad alto insediamento produttivo del Mezzogiorno individuate d’intesa con le forze imprenditoriali, creando così le condizioni per la piena realizzazione degli impegni per la sicurezza già assunti e di quelli che saranno decisi nell’ambito dei contratti d’area e dei patti territoriali.

Una delle realizzazioni tecniche più importanti da sviluppare nell’ambito dei programmi operativi cofinanziati dall’Unione Europea è costituita dalla rete di telecomunicazioni denominata "Tetra 25", conforme ad un progetto di aggiornamento tecnologico delle Forze di polizia di livello europeo.

L’estensione della tecnologia "Tetra 25" anche alle regioni del Centro Nord costituisce un obiettivo prioritario del Governo nei prossimi anni. Un rilievo peculiare per le politiche della sicurezza riveste la questione dell’immigrazione, sotto il duplice profilo degli interventi per il controllo delle frontiere e delle iniziative per l’assistenza e l’accoglienza degli stranieri.

Sotto il primo profilo, l’impegno del Governo dovrà essere prioritariamente rivolto anche in questo campo all’acquisizione di nuove tecnologie e di mezzi speciali, necessari per garantire da un lato un’efficace sorveglianza delle frontiere marittime e terresti e, dall’altro, un adeguato potenziamento in particolare delle dotazioni aeronavali delle Forze di polizia.

Una corretta politica dell’immigrazione non può prescindere, inoltre, dalla prosecuzione dell’opera di cooperazione e di assistenza già proficuamente avviata dal Governo con i Paesi di provenienza dei flussi migratori e come avviene, per esempio, con i progetti Interreg.

Nelle complessive finalità di sicurezza perseguite dal Governo rientra anche l’impegno per l’adeguamento di strutture e mezzi di protezione civile, prestando attenzione alle esigenze di potenziamento degli strumenti di prevenzione e di rafforzamento della capacità di intervento nelle diverse situazioni di emergenza.

Una mirata strategia di sviluppo delle politiche di sicurezza richiede, infine, politiche di qualificazione professionale e valorizzazione delle risorse umane anche attraverso un aggiornamento degli ordinamenti del personale.

Restituire efficienza e rapidità alla macchina della Giustizia, soprattutto alla luce della profonda riforma strutturale del giudice unico, già avviata il 2 giugno 1999, è obiettivo primario del Governo che, per questa ragione, intende includere, nell’ambito delle pur limitate disponibilità per nuove spese correnti, la giustizia. Priorità della stessa giustizia sono: aumentare l’organico della magistratura ordinaria, in particolare quella del lavoro, per fronteggiare adeguatamente i nuovi compiti della magistratura onoraria, per meglio attrezzare le strutture giudiziarie, per intervenire con profonde innovazioni in tema di gratuito patrocinio e difesa dei non abbienti.

IV.7 COMBATTERE L'ESCLUSIONE SOCIALE E PROSEGUIRE LA RIQUALIFICAZIONE DEL SISTEMA SOCIO-SANITARIO

La ridefinizione delle politiche sociali ed il sostegno delle responsabilità familiari è una priorità dell'azione di Governo anche per le conseguenze occupazionali di una espansione dei servizi sociali. In questo campo il Governo è impegnato a dare efficacia agli interventi sperimentali e parziali realizzati in questi anni quali il reddito minimo d'inserimento per contrastare la povertà e le politiche per la promozione dei diritti dell'infanzia. In particolare, il Governo intende favorire una pronta approvazione della riforma della legge quadro dell'assistenza e delle politiche sociali, per qualificare la spesa sociale puntando sulla creazione di una rete integrata di interventi e servizi alla persona ed alla famiglia capace di offrire su tutto il territorio nazionale opportunità per la piena integrazione dei soggetti deboli e di quelli esposti a rischio di povertà. Il Governo punta, inoltre, sulle politiche a sostegno della famiglia soprattutto per quanto attiene la cura e la crescita dei figli attivando una pluralità di interventi.

Gli interventi in campo assistenziale, associati ai provvedimenti già citati in tema di riqualificazione della spesa sociale, di sostegno al reddito, di politiche attive del lavoro, di istruzione e formazione, potranno contribuire significativamente a riequilibrare il nostro stato sociale, rendendolo più aperto verso i più deboli, più attento alle domande dei singoli, più giusto nel rapporto fra le generazioni, più equo e moderno.

In campo sanitario l’azione del Governo si muoverà lungo le seguenti direttrici:
attuazione della riforma del Servizio sanitario nazionale recentemente approvata dal Governo attraverso il completamento del processo di aziendalizzazione e di regionalizzazione del servizio, anche in relazione ai principi introdotti in materia di federalismo fiscale; riorganizzazione dell’amministrazione centrale sanitaria, per renderla più funzionale alle esigenze di un sistema fortemente decentrato; qualificazione professionale e formazione manageriale, anche per responsabilizzare i dirigenti rispetto agli obiettivi; riqualificazione dell’edilizia sanitaria, ammodernamento tecnologico e sicurezza delle strutture; integrazione del sistema informativo sanitario con gli altri sistemi della Pubblica amministrazione.

IV.8 L'AMMODERNAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE E L'INTERVENTO SUL TERRITORIO

Il sistema dei trasporti è un fattore fondamentale e ineludibile dello sviluppo. Come è noto, il nostro paese soffre di una serie di carenze strutturali, dovute anche alla particolare morfologia del territorio. Con il Nuovo Piano Generale dei Trasporti, il Governo si propone di indicare un insieme di interventi infrastrutturali e di regolamentazione che diano un impulso rilevante alla qualità ed efficienza della mobilità di persone e merci.

Obiettivo primario è la realizzazione di un sistema integrato dei trasporti che sia in grado di facilitare l'attività imprenditoriale e aumentare il benessere della comunità, migliorando qualità e sicurezza delle infrastrutture. Il finanziamento pubblico ai trasporti è oggi sostanzialmente in linea con la media europea, ma deve scontare ritardi storici nell'uso razionale delle risorse. La politica dei trasporti ha privilegiato, fino alla seconda metà degli anni ottanta, le infrastrutture per il trasporto su gomma rispetto al trasporto su rotaia. Occorre invece affermare il principio della qualità dei servizi con una allocazione efficiente e diversificata delle risorse rispettando le priorità ambientali. A riguardo va segnalato che, nel processo di integrazione europea e di crescente globalizzazione dei mercati, la riduzione dei costi connessi allo spostamento delle merci è una variabile determinante per la competitività del sistema paese. Una significativa riduzione di questi costi sarà possibile soltanto adottando misure di liberalizzazione regolata e sviluppando la dimensione intermodale e logistica del nostro sistema trasporti.

Per quanto riguarda gli investimenti infrastrutturali, il dualismo territoriale italiano impone scelte di diversa natura. Nelle aree più sviluppate e dinamiche del Paese, occorre adeguare l'offerta infrastrutturale e renderla più aderente alle diverse esigenze della struttura produttiva. Nelle aree meno sviluppate, e in particolare nel Mezzogiorno, il deficit infrastrutturale costituisce un fattore che aggrava i costi per le imprese e disincentiva l'insediamento di nuove attività produttive. I nuovi investimenti nei settori ferroviario, portuale ed aeroportuale devono Essere fondati su una domanda reale o effettivamente attesa di mobilità e sul contributo duraturo che possono dare allo sviluppo economico e sociale del territorio.

Il federalismo dei trasporti iniziato con il D. Lgs 422/97 costituisce il concreto avvio della riforma dell'intero settore del trasporto locale, che affida alle regioni il compito di programmare in maniera integrata il sistema dei trasporti collettivi nell'ambito territoriale. Decentramento delle responsabilità e apertura alla concorrenza determineranno risparmi di gestione, più servizi e di migliore qualità. Si separa la pianificazione dalla gestione affidando la prima alle autonomie locali e la seconda alle aziende; si introduce il contratto di servizio come elemento di trasparenza e garanzia sulla gestione delle imprese; si attua il principio della concorrenza per l'affidamento dei servizi tramite gara pubblica.

La risoluzione dei problemi della mobilità nei grandi centri urbani e metropolitani del Paese costituisce uno degli obiettivi prioritari all'interno del problema della mobilità delle persone e delle merci. In queste aree si genera circa il 70 percento degli spostamenti quotidiani e vengono prodotte oltre il 50 percento delle emissioni inquinanti. E' necessario predisporre un programma straordinario di intervento per la realizzazione e gestione di infrastrutture di trasporto che amplino l'offerta di servizi di trasporto collettivi e riducano le emissioni inquinanti dovute alla mobilità urbana.

L'Italia sconta ritardi sia nella manutenzione e sviluppo del sistema idrico ed idrogeologico, sia, più in generale, nella salvaguardia del suolo. La Legge 183/89, relativa alla difesa del suolo, realizzerà, accanto agli interventi più urgenti previsti dalla Legge 267/98, il complesso degli interventi di risanamento idrogeologico previsti dalla pianificazione di bacino. Anche in queste aree dunque l'azione pubblica deve migliorare la propria capacità di pianificazione e d'intervento. Gli assi prioritari di intervento dovranno tradursi in attività operative miranti a sostenere un coinvolgimento più articolato di risorse pubbliche e private, con effetti positivi anche di natura occupazionale.

Per migliorare la mobilità nei grandi centri urbani, il decreto ministeriale 8 ottobre 1998 (modificato ed integrato con D.M. 28 maggio 1999) ha permesso l'avvio dei PRUSST (programmi innovativi per la riqualificazione urbana e lo sviluppo sostenibile del territorio in attuazione del d.leg.vo 112/98). Tali programmi operano un salto di qualità ed avviano un processo di trasformazione del territorio che coniuga il riequilibrio ambientale con lo sviluppo economico. Inoltre, per agevolare la mobilità territoriale in relazione all'offerta di lavoro, occorre rendere più efficace la nuova disciplina sul regime delle locazioni. Per aumentare la sicurezza sulle strade, il Governo si impegna a raggiungere gli obiettivi indicati dall'Unione europea (riduzione della mortalità del 40% entro il prossimo decennio, come previsto nel "Programma per la sicurezza stradale 1997 - 2001"). Il raggiungimento di questo obiettivo permetterà anche di ridurre la spesa sanitaria determinata dagli incidenti stradali (Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, DPR 23 luglio 1998). In questo quadro appare necessario dare piena attuazione a quanto previsto dall'art. 32 della Legge 17 maggio 1999, n. 144 relativa al Piano Nazionale della Sicurezza Stradale. Per le opere marittime, occorre colmare il "gap" dei porti italiani rispetto a quelli del Nord-Europa, e rendere competitivo il traffico marittimo italiano attraverso una migliore gestione dei porti stessi e un adeguamento delle loro infrastrutture.

Nel settore delle risorse idriche risulta ormai avviato il complesso adeguamento istituzionale alla riforma del 1994, nella quasi totalità del territorio nazionale. Le azioni devono essere ora indirizzate alla semplificazione dei meccanismi decisionali, allo sviluppo delle funzioni di programmazione e controllo da parte degli Enti locali associati negli "ato" (Ambiti territoriali ottimali, Legge n.36 del 5 gennaio 1994), alla promozione di livelli servizio uniformi sul territorio nazionale, all'insediamento di gestioni imprenditoriali. In questo quadro risulta opportuno il rafforzamento e l'evoluzione degli attuali organismi preposti alla regolazione tariffaria, al trasparente equilibrio dei rapporti tra "ato" (Ambiti territoriali ottimali, Legge n.36 del 5 gennaio 1994) e gestore del servizio, nell'interesse ed a garanzia degli utenti. La definizione dei meccanismi di governo dell'uso delle risorse idriche per i sistemi territoriali complessi deve dare luogo ad un sistema decisionale rapido ed efficiente. A conferma di questi intenti è in corso l'attuazione del Programma Operativo Risorse Idriche cofinanziato dall'Unione Europea.

Nell'ambito della difesa del suolo e della salvaguardia del sistema idrogeologico, l'azione intrapresa a partire dal 1997, ha conseguito un importante recupero dei ritardi accumulati nel passato nella costituzione delle Autorità di Bacino. Si dovrà proseguire l'impegno per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna.

IV.9 LA STRATEGIA DI CRESCITA DEL SETTORE DEI SERVIZI

Come analizzato nella sezione II.2.4.2, il ritardo del tasso di occupazione italiano rispetto a quello degli altri paesi industrializzati coincide con il ritardo italiano nel settore servizi, ed in particolare nei comparti dei servizi alla comunità e dei servizi alle imprese (vedi anche Figura II.2.3). In questi comparti, il Governo si impegna a varare riforme tendenti a rafforzare la libera concorrenza e la tutela dell’utente, attraverso l’eliminazione delle procedure amministrative superflue e l’autocertificazione all’interno di liberistici codici deontologici e l’abolizione delle tariffe minime. Si estenderà così a tutti i servizi quei principi di liberalizzazione e di rafforzamento della concorrenza presenti nelle riforme del commercio e delle imprese di pubblica utilità già avviate, e nel disegno di legge delega per la riforma degli ordini professionali, già al vaglio del Parlamento.

IV.9.1 I servizi alla comunità e la crescita dei mercati di qualità sociale

A livello europeo, il Libro Bianco di Delors, pubblicato nel 1993, e l’inchiesta della Commissione Europea "Iniziative Locali di Sviluppo e Impiego" del 1995, indicano sostanziali necessità sociali e possibilità di sviluppo economiche nell’area dei servizi alla comunità, ed, in particolare, nei servizi a domicilio, nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nei servizi culturali e ricreativi e nei servizi ambientali.

In Italia, il ritardo nei confronti dei nostri partner internazionali nei servizi alla comunità è particolarmente preoccupante nei comparti sanità e servizi sociali, istruzione, e servizi ricreativi, vedi Figura IV.9.1.

Per quanto riguarda i servizi sociali, in Italia non è stato ancora risolto il problema dello sviluppo dei servizi per la cura delle persone non autosufficienti (bambini, anziani e disabili). Mentre nei principali paesi europei, come la Germania e la Francia, questo problema è stato affrontato attraverso l'istituzione di sistemi specifici di tutela (assicurazione obbligatoria in Germania, adozione di "buoni servizio" in Francia), in Italia non è stato ancora definito un efficace e completo meccanismo di protezione dal rischio. L'onere resta pertanto largamente a carico della famiglia, che deve farvi fronte attraverso l'acquisto di servizi a pagamento o attraverso l'impegno personale di uno o più familiari, nella maggior parte dei casi i membri adulti femminili.

L'analisi della domanda di questi servizi, analizzata nella tavola IV.9.1, indica una quota di domanda soddisfatta estremamente ristretta rispetto a quelli che possono essere considerati come i bisogni potenziali. Questa ristrettezza sembra particolarmente stringente nei segmenti dei servizi domestici, dell'assistenza ai bambini, agli anziani e ai disabili. L'invecchiamento della popolazione e una eventuale ripresa del tasso di natalità aumenteranno questi bisogni rendendo un intervento di programmazione pubblica ancor più impellente.

La minor rilevanza dei servizi alla comunità in Italia, rispetto agli altri paesi industrializzati, sembra legata tanto alla tipologia dell'offerta, fortemente canalizzata in Italia nel settore pubblico, quanto alla tipologia della domanda, legata alla minore capacità di spesa delle categorie socialmente più deboli, la popolazione giovane, femminile e anziana. I bisogni insoddisfatti di questi segmenti della popolazione sono parte della domanda di benessere che va emergendo nella società avanzata e che stentano a trovare soddisfazione entro i tradizionali meccanismi del mercato da un lato e dello Stato sociale dall'altro. Si tratta quindi di impostare una strategia che incoraggi l'irrobustimento della domanda e di promozione dell'offerta e consenta a tutti i cittadini di poter scegliere efficientemente quali servizi domandare e in quale quantità. Un simile modello di consumi e di liberalizzazione dell'offerta può costituire un sistema trainante di domanda per nuove attività produttive e per nuove occupazioni. Il risultato sarebbe un allargamento del mercato che ridurrebbe la quota generale dell'impegno di risorse pubbliche.

Il Governo promuoverà processi economici di liberalizzazione dell'offerta tendenti a rafforzare la libera concorrenza e la tutela dell'utente attraverso l'eliminazione dei tramiti amministrativi superflui e delle rendite di monopolio derivanti da limiti quantitativi all'offerta o da tariffe minime. Gli interventi potranno assumere forme diverse: la promozione d'imprese di servizi di qualità sociale, anche attraverso il potenziamento e l’integrazione con le imprese del settore del volontariato e, in genere, delle iniziative non profit; la liberalizzazione dei vincoli amministrativi e burocratici per l'esercizio di alcuni servizi; l'autocertificazione e il controllo sociale della qualità del servizio prestato.

Le misure di promozione della domanda di servizi di qualità sociale possono assumere forme diverse, per esempio: deducibilità fiscale, credito agevolato, promozione di mutue volontarie, polizze assicurative, vouchers. La minimizzazione dell'esclusione può, in certi casi, richiedere una politica di differenziazione di prezzi a favore degli utenti con redditi più bassi. L'obiettivo di questi strumenti non è quello di garantire a tutti un certo servizio ma di sostenere la domanda di quanti effettivamente ne avvertono il bisogno e sono disposti a dedicarvi una parte delle proprie risorse personali.

Gli interventi proposti implicano un trasferimento di risorse a favore dei servizi che pongono naturalmente il problema del finanziamento, per la parte a carico dell'intervento pubblico. Va comunque notato che l'intervento pubblico ha una funzione di promozione e volano per un'attivazione ben più ampia di risorse private sia dal lato della domanda, realizzando un riproporzionamento della domanda aggregata attraverso una modifica della convenienza di spesa dei privati, che dal lato dell'offerta, favorendo l'aumento dell'offerta di risorse private e di lavoro a favore dei servizi.

Si tratta quindi di realizzare una nuova strategia d'intervento pubblico volta a fornire il quadro normativo, le regole, gli incentivi, gli strumenti di controllo e i soggetti che li sappiano gestire, in modo da determinare una modifica del sistema di convenienze entro cui gli operatori effettuano le loro scelte e attivare nuovi mercati, sollecitando e accompagnando l'iniziativa privata. L'impianto proposto ha anche una valenza più generale, indicando una direzione di marcia per l'evoluzione del rapporto tra l'intervento pubblico e il mercato e costituisce una componente essenziale di una più' complessiva riforma del sistema del welfare.

IV.9.2 Crescita dei servizi alle imprese e outsourcing

Il Governo si impegna a sviluppare condizioni favorevoli per lo sfruttamento del potenziale occupazionale del settore dei servizi, in particolare nella società dell'informazione e del settore ambientale, così come indicato nel Piano Nazionale per l'Occupazione 1999.

In termini d'occupazione, il comparto italiano dei servizi alle imprese è di gran lunga inferiore a quella degli altri grandi paesi industrializzati: al 2,8 per cento del nostro paese si contrappone il 7,8 per cento degli Stati Uniti e il 4,6 per cento media negli EU15. In questo comparto è maggiore solamente, tra i quindici paesi dell'Unione Europea, a quello della Grecia, vedi Figura IV.9.2.

Data la crescente integrazione produttiva tra settore secondario e quello terziario, il comparto dei servizi alle imprese è cruciale per la diffusione dell'innovazione tecnologica, in virtù della sua permeabilità alle innovazioni tecnologiche e della sua capacità di tempestivi adeguamenti alle condizioni di domanda.

Inoltre, la produzione di servizi viene assorbita in misura significativa dai diversi settori produttivi in termini di input, seppure con un'incidenza diversa sui costi di ciascun settore.

All'interno del comparto dei servizi alle imprese, particolarmente importante è il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in cui si registra un aumento consistente della domanda di prodotti informatici da parte delle imprese dell'industria (25,7 per cento) e dei servizi (credito e assicurazioni: 23,5 per cento; commercio e pubblici esercizi: 18,2 per cento; trasporti e comunicazioni: 6,7 per cento; altri servizi: 10 per cento), nonché, anche se in misura inferiore, da parte della pubblica amministrazione (10,7 per cento).

La domanda delle imprese è prevalentemente indirizzata all'introduzione di procedure gestionali (contabilità automatizzata, trattamento dati fiscali etc…) e alla creazione di sistemi informativi nell'area dell'organizzazione, del marketing, delle vendite e simili.

Lo sviluppo dei sistemi informativi e del commercio elettronico rappresenta un'opportunità importante per accrescere la competitività del nostro sistema produttivo caratterizzato da una forte presenza di piccole e medie imprese. Il Governo è impegnato a sostenerne la promozione e diffusione presso le imprese e gli operatori, nonché ad assicurare un contesto giuridico che garantisca la sicurezza delle transazioni e la riservatezza dei dati.

Il Governo intende intervenire con forza, da un lato, sulla domanda di prodotti e servizi, favorendo gli investimenti in determinate tipologie di soluzioni software o in servizi dell' information and communication technology in settori considerati strategici per lo sviluppo del paese e dall'altra, sull'offerta di prodotti e servizi stimolando la costituzione di gruppi di imprese, joint ventures o consorzi e creando così le condizioni per il rafforzamento del tessuto produttivo.

IV.10 BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Nell’arco dell’ultimo triennio, le politiche pubbliche hanno contribuito in misura significativa al rilancio dei consumi e delle produzioni culturali, e hanno sostenuto il buon andamento del ciclo turistico nazionale, che ha avuto come principali beneficiarie le città d’arte.

Le politiche dello Stato hanno avuto tre obiettivi, che si vuole mantenere per il futuro. Primo, l’aumento degli investimenti nelle infrastrutture e nelle produzioni culturali del Paese, perseguito sia in via diretta, con l’incremento della spesa destinata al restauro, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico, sia in via indiretta, con l’introduzione di nuove regole per l’investimento dei privati nelle attività di spettacolo e per l’aumento delle produzioni nazionali ed europee di prodotti audiovisivi e cinematografici da parte delle emittenti televisive. Secondo, l’introduzione di rilevanti innovazioni giuridiche e amministrative che aprono il campo a modelli più avanzati di gestione delle attività, delle istituzioni e delle imprese culturali (autonomia delle istituzioni culturali statali, Fondazioni liriche, Fondazioni culturali). Terzo, una spinta all’innovazione gestionale e all’efficienza all’interno del settore statale, che ha avuto come risultati, tra gli altri, l’apertura di numerose nuove sedi museali ed espositive, il prolungamento degli orari di apertura, l’aumento dell’occupazione diretta e indotta nel settore per fare fronte ai fabbisogni connessi all’aumento dell’offerta culturale e ai servizi aggiuntivi.

Nel periodo di programmazione 2000-2003, il consolidamento dei risultati raggiunti passa innanzittutto attraverso il pieno raggiungimento dei benefici connessi alle riforme introdotte, e in primo luogo alla riforma del Ministero per i beni e le attività culturali. Il nuovo Ministero dovrà, al tempo stesso, approfondire i suoi legami con il territorio e il rapporto di partenariato con gli enti locali e regionali, e rafforzare le capacità centrali di coordinamento, programmazione, promozione e impulso di nuove attività. A questo fine, all’investimento in conto capitale finora effettuato dovrà corrispondere un nuovo investimento sul capitale umano, volto a consolidare il patrimonio di professionalità esistente, ad aprirsi alle nuove professionali di cui il settore ha bisogno, a soddisfare le esigenze di formazione per l’inserimento e di formazione continua.

In secondo luogo, il Governo intende sostenere e rafforzare gli interventi affinché il settore dei beni e delle attività culturali possa continuare a sostenere un ruolo dinamico per l’accoglienza dei flussi turistici e per la crescita della domanda di cultura. Più a lungo termine, l’introduzione di un asse prioritario dedicato alle risorse culturali nel Programma di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006 permetterà una rilevante crescita delle risorse disponibili per gli interventi di conservazione,valorizzazione e gestione del patrimonio culturale e del turismo culturale nei territori depressi del Paese.

In terzo luogo, il Governo ha aperto una riflessione sulle forme di finanziamento dei beni e delle attività culturali, attraverso l’uso di appropriati sistemi di incentivazione fiscale. La disciplina sulle Onlus, quella sulle Fondazioni liriche e teatrali, quella sulle Fondazioni bancarie convergono tutte a stimolare la crescita di un settore non profitnel campo delle attività culturali e di conservazione del patrimonio.

I finanziamenti privati alla cultura - da parte delle imprese e da parte degli individui, oltre che da parte delle Fondazioni bancarie - sono probabilmente sottodimensionati in Italia, al confronto con altri sistemi economici avanzati e la loro crescita potrebbe ridurre, in prospettiva, la domanda di spesa pubblica da parte del settore. A questo fine, e necessaria una riflessione globale sulle forme di incoraggiamento, sul piano tributario, dell’intervento dei privati nel settore dei beni e delle attività culturali. Sono inoltre necessari interventi di carattere amministrativo e normativo volti alla razionalizzazione e alla semplificazione delle procedure e a fornire e a fornire un quadro di maggiori certezze alle istituzioni culturali e ai privati finanziatori. Si tratta di interventi che vanno studiati a fondo, per controllarne il merito e l’efficacia, sul piano tecnico, in modo da costituire un’agenda di intervento graduale e da aprire, su di essa, un’ampio confronto programmatico e politico.

IV.11 LA STRATEGIA DI SVILUPPO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Per promuovere lo spirito imprenditoriale occorre creare condizioni favorevoli alla nascita, alla crescita e al trasferimento delle imprese. Questo richiede azioni prioritarie sia per promuovere la cultura d'impresa sia per migliorare il contesto in cui le imprese operano. Come analizzato nella sezione II.2.4.3, la struttura produttiva italiana si caratterizza per una elevata densità di imprese di dimensione contenuta e con bassa propensione alla crescita. Il fenomeno della polverizzazione delle imprese è controbilanciato, ma solo in parte, dalla formazione dei distretti industriali, che, attraverso l'agglomerazione di una quota significativa di imprese, realizzano - a livello di sistema locale - economie di scala non appropriabili dalla singola impresa. La diffusione dei distretti industriali è soprattutto concentrata nel Nord-Est e nel Centro mentre è modesta nel Mezzogiorno. Le imprese italiane si caratterizzano, rispetto alla media europea, per una forte concentrazione nelle attività commerciali e nelle costruzioni, settori caratterizzati da lavorazioni a bassa intensità di capitale e processi produttivi di medio valore aggiunto.

Alla luce di queste considerazioni è rilevante chiedersi se la scelta di non crescere sia volontaria o indotta da vincoli di diversa natura: finanziari, normativi e istituzionali, che possano condizionare le imprese a mantenere stabilmente bassa la propria dimensione. Questa sezione propone diversi interventi di politica economica per ridurre questi vincoli e favorire una più ampio sviluppo dell'imprenditorialità.

IV.11.1 Vincoli finanziari allo sviluppo delle piccole e medie imprese

Secondo le elaborazioni su dati di bilancio delle singole imprese raccolti nel- l'archivio BACH e riferiti al 1991-95, la struttura finanziaria delle piccole e medie imprese italiane è più fragile e sbilanciata rispetto alle piccole e medie imprese di Francia, Germania e Spagna. In particolare, le piccole e medie imprese italiane hanno: un leverage relativamente elevato; un elevato rapporto tra debiti bancari e debiti finanziari; il più elevato rapporto tra debiti bancari a breve e debiti bancari totali; la più elevata incidenza degli oneri finanziari sul MOL; il più elevato costo implicito del debito. L'elevato leverage, unito alla forte dipendenza dal credito a breve termine evidenzia un fattore di vulnerabilità finanziaria che espone le piccole e medie imprese italiane a fluttuazioni negli oneri finanziari più intense che in altri paesi. A rendere molto elevato il costo implicito del debito contribuiscono i forti ricorsi al credito a breve e a quello bancario. Se comparate con le imprese maggiori, le imprese di piccola e media dimensione hanno più probabilità di trovarsi in alcune fasi del ciclo di vita dell'impresa (avvio, rapida crescita, trasformazione) che esigono supporti finanziari specifici quali i prestiti partecipativi e la cessione di quote di capitale aziendale. Questi strumenti finanziari hanno potenzialmente grande importanza sia perché possono contribuire alla riduzione del leverage delle piccole e medie imprese, sia perché si configurano come necessario terreno interstiziale tra le forme tradizionali di finanziamento bancario e forme più sofisticate come la quotazione in Borsa.

Particolare importanza, soprattutto nei settori innovativi, assume il finanziamento tramite il venture capital, tipicamente legato alla raccolta operata dai fondi chiusi. Infatti, apportando nuovo capitale di rischio, il venture capital contribuisce non solo ad ampliare le risorse finanziarie a disposizione delle piccole e medie imprese, ma anche a ribilanciarne la struttura finanziaria, riducendone gli elementi di vulnerabilità. Secondo recenti dati AIFI, gli investimenti in capitale di rischio del venture capital hanno toccato i 1.800 miliardi di lire nel 1998. Ciò costituisce una crescita significativa rispetto ai 1.100 miliardi dell'anno precedente e ai 1.000 del 1996, quando il rapporto tra tali investimenti e il valore aggiunto era pari allo 0,1 per cento per le imprese italiane, valore analogo a quello delle imprese tedesche ma più basso di quello delle francesi (0,2 per cento) e nettamente inferiore a quello delle inglesi (0,8 per cento). Il decollo della Borsa per le piccole e medie imprese dovrebbe inoltre porre le basi per un ulteriore crescita del venture capital e dei fondi chiusi, i quali saranno incentivati dall'accresciuta liquidità dei loro investimenti nelle piccole e medie imprese.

La dimensione delle piccole e medie imprese è troppo contenuta per consentire loro in tempi brevi l'accesso diretto ai mercati finanziari. Ciò rende necessaria un'opera di aggregazione (pooling dei rischi) da parte degli intermediari che può essere svolta dalle banche che vantano rapporti consolidati con le imprese. I Confidi (Consorzi fidi) hanno finora agevolato l'accesso delle piccole e medie imprese al credito bancario ma, in prospettiva, potrebbero costituire uno snodo centrale anche al fine di accedere ai mercati finanziari.

Un ruolo importante può essere svolto dalla cartolarizzazione dei crediti, un attività finanziaria molto sviluppata negli USA. L’approvazione della legge 130/99, consentirà lo sviluppo del mercato dei titoli asset-backed arricchendo la tipologia di titoli presenti nella piazza finanziaria italiana. In particolare la legge riduce alcuni vincoli patrimoniali che gravavano sulla società che realizza le operazioni di cartolarizzazione.

IV.11.2 Il rapporto tra le piccole e medie imprese e la pubblica amministrazione

Il coordinamento delle politiche comunitarie incoraggia ogni paese membro ad adottare un modello di pubblica amministrazione che rafforzi la libertà d'impresa in una economia aperta e integrata alla competitività internazionale. Le politiche di semplificazione dei procedimenti amministrativi che regolano i rapporti tra imprese e amministrazione svolgono un ruolo primario in questo senso. La semplificazione di questi obblighi aiuta a recuperare trasparenza e efficienza della pubblica amministrazione, a realizzare la fusione dei mercati nazionali in un unico mercato europeo e, in particolare, ad aumentare la contendibilità nei mercati dei prodotti e servizi, riducendo le barriere correlate all'attività d'impresa. La semplificazione dei rapporti con la pubblica amministrazione, agendo sulla struttura dei costi espliciti e dei costi opportunità, può rendere l'impresa più competitiva nel contesto europeo e internazionale.

Secondo uno studio dell'Istat-Unioncamere del 1997 (Costi delle imprese per gli oneri burocratici imposti dalla Pubblica Amministrazione) l'incidenza dei costi amministrativi assume un valore complessivo di 22.500 miliardi di lire pari, in media, a circa l'un percento del totale dei costi aziendali e all'1,2 percento in termini di PIL calcolato a prezzi di mercato. L'area dove l'incidenza degli oneri amministrativi è particolarmente accentuata è il commercio con l'estero, in cui la presenza delle rigidità burocratiche riduce la competitività internazionale delle piccole e medie imprese italiane: le esportazioni italiane sono gravate per il 2 per cento da costi amministrativi rispetto a una media dei paesi europei intorno allo 0,5 per cento. Secondo la Commissione Europea, l'Italia è il paese dell'Unione che, insieme alla Grecia, ha il più alto numero di procedure richieste per la registrazione di un'impresa (venticinque), mentre il tempo richiesto per la registrazione è molto alto (almeno quindici settimane). Poiché gran parte di questi costi amministrativi è fissa e non recuperabile, la loro incidenza è più alta nelle piccole imprese. Si stima che l'incidenza dei costi amministrativi sia pari al 1,3 per cento circa sul totale dei costi aziendali del lavoro per le imprese da tre a cinque addetti, mentre per le imprese con più di 200 dipendenti incide per lo 0,2 per cento.

Come disposto dalla legge delega 59/97 il Governo ha presentato la prima legge per la delegificazione e la semplificazione amministrativa, la legge 50/99. Uno dei principali obiettivi di queste leggi è migliorare la qualità dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni ai cittadini ed alle imprese, attraverso la semplificazione, la riduzione ed il riordino dei procedimenti con i quali le amministrazioni svolgono le loro funzioni e prestano i loro servizi. L'eliminazione di passaggi inutili da un ufficio all'altro e la riduzione dei tempi di risposta e di decisione, debbono consentire di ottenere senza spreco di tempo e di denaro, quanto richiesto agli uffici pubblici dai cittadini. Il metodo della delegificazione permette di sostituire la legge con i regolamenti governativi, certamente più idonei a realizzare una costante e rapida razionalizzazione, semplificazione ed adeguamento a contesti in evoluzione.

La decorrenza dei regolamenti e dei suoi effetti abrogativi è stata fissata nel termine di 15 giorni dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (art.2 co.1 lett.b L.50/99) e non più 60 giorni come prevedeva la normativa precedente (art.20 co.4 L.59/97). Di particolare rilevanza è l'emanazione del D.P.R. 403 del 20 ottobre 1998 "Regolamento di attuazione degli articoli 1, 2, e 3 della legge 15 maggio 1997, n.127" che ha ampliato e innovato in materia organica il ricorso all'autocertificazione cercando di superare le non poche resistenze incontrate nell'applicazione delle disposizioni normative. In molti casi l'esito della semplificazione si traduce nella eliminazione di veri e propri vincoli allo sviluppo delle attività produttive, contribuendo al rilancio del sistema economico e del mercato del lavoro. Per garantire l'effettiva realizzazione della semplificazione amministrativa e sull'esempio di altri paesi membri dell'Unione Europea, il governo ha attivato un costante monitoraggio per la verifica dello stato di attuazione della riforma attraverso il nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure.

Particolare rilievo per le piccole e medie imprese assume l'attuazione dello sportello unico per le attività produttive che svolge una duplice funzione di semplificazione delle procedure - con una sostanziale riduzione degli oneri burocratici per le imprese - insieme a una funzione informativa, di consulenza e di supporto alle imprese che intendano avviare un'attività industriale. La funzione di semplificazione delle procedure ha come obiettivo l'unificazione di tutti i procedimenti di autorizzazione necessari per la realizzazione, ampliamento, riconversione di impianti produttivi in un solo procedimento, con il rilascio di un solo provvedimento da parte di un unico interlocutore in termini funzionali e di responsabilità e l'individuazione di tempi certi di conclusione del procedimento stesso.

Per quanto riguarda la funzione informativa e di consulenza, è previsto l'accesso gratuito, anche in via telematica, all'archivio informatico predisposto dalla struttura dello sportello unico alle informazioni sulle procedure di autorizzazione. Il governo ha stabilito che entro il 27 maggio 1999 i Comuni erano tenuti a realizzare la struttura dello sportello o nominare almeno il responsabile del procedimento. A partire da questa data l'imprenditore ha comunque diritto a ottenere il servizio e il Comune ha l'obbligo di erogarlo. Entro tre mesi dalla richiesta, l'imprenditore potrà, salvo le eccezioni previste dalla legge, considerare l'eventuale silenzio dell'amministrazione come una risposta positiva e procedere all'investimento progettato. Tuttavia, dai risultati di una indagine del Formez per conto del Dipartimento della Funzione Pubblica è emerso che, a una settimana dalla scadenza, gli sportelli unici risultano pienamente operativi solo nel sette percento dei Comuni capoluoghi di provincia e di quelli sopra i trentamila abitanti. In tempi molto brevi l'indagine prevede un incremento degli sportelli unici fino al 13,9 percento nei capoluoghi di provincia e del 31 percento nei comuni sopra i trentamila abitanti.

Il Governo si riserva di potenziare i programmi già in atto di sostegno all'attuazione dello Sportello Unico e di impartire opportune direttive alle Amministrazioni statali al fine di incentivare e stimolare un rapido ed efficiente utilizzo dello Sportello stesso da parte di tutte le imprese. Il Governo conferma l’impegno - assunto con il patto per lo sviluppo e l’occupazione - di procedere, sulla base del monitoraggio e delle proposte formulate dall’Osservatorio sulle semplificazioni costituito in collaborazione con le parti sociali, le Regioni e gli enti locali, alle eventuali correzioni e integrazioni da apportare al regolamento sullo Sportello Unico che si riveleranno necessarie.

IV.11.3 Sostenere l'internazionalizzazione del sistema

Con oltre 450.000 miliardi di esportazioni e un saldo attivo di 47.000 miliardi, anche nel 1998 la proiezione del Sistema Italia sui mercati esteri ha fornito un contributo rilevante alla crescita dell’economia italiana.

Tuttavia la crisi che ha colpito importanti mercati - in particolare il Far East, l’America Latina e la Russia - si è fatta sentire, determinando una contrazione delle esportazioni.

Il fatto poi che le esportazioni italiane siano particolarmente forti in molti settori che producono beni di consumo finale - più sensibili alle oscillazioni dei mercati e alla concorrenzialità dei paesi in via di sviluppo - spiega perché l’Italia abbia conosciuto un incremento delle esportazioni inferiore all’incremento registrato dal commercio mondiale.

D’altra parte sono venuti meno i margini di competitività derivanti da una moneta debole, mentre i vantaggi di stabilità conseguiti con l’Euro sono ancora ostacolati da una insufficiente modernizzazione del nostro sistema creditizio e delle strategie di impresa.

L’internazionalizzazione investe oramai tutto il sistema produttivo italiano, anche quello di ridotte dimensioni. Il numero delle imprese esportatrici italiane supera le 171.000 unità; di queste, oltre 165.000 possono essere considerate di piccole e medie dimensioni, perché realizzano un fatturato all’esportazione non superiore a 15 miliardi; il 98% delle 171.000 citate, inoltre, ha meno di 200 addetti e il 56% un fatturato annuo che non supera i 3,5 miliardi.

Grazie alla flessibilità e creatività che queste imprese hanno saputo incorporare sia nei prodotti sia nel ciclo produttivo, esse sono riuscite ad uscire con successo dal recinto nazionale.

Una conferma della crescita di internazionalizzazione del Sistema Italia viene anche dalla composizione geografica dei portafogli-ordine. Cresce, infatti, il numero delle imprese - anche minori - che diversifica la propria proiezione su più mercati: l’Unione europea compare tra i mercati di sbocco per il 60% delle imprese esportatrici italiane, i Paesi in transizione dell’Est europeo - Russia compresa – per il 35%, il Medio Oriente e il Mediterraneo per il 25%, il Nordamerica per il 20%, l’Asia per il 17%, l’Africa e l’America Latina per il 16%.

Ma proprio perché tanta parte della produzione nazionale si indirizza nel mondo ed a farlo sono per lo più piccole e medie imprese, è importante individuare l’asse di una strategia di internazionalizzazione in una "logica di sistema", capace di far interagire poteri pubblici e operatori privati e di mettere a disposizione delle imprese strumenti promozionali, finanziari, di sostegno, formativi che consentano alle imprese stesse di proiettarsi sui mercati come Sistema-Paese e di ottimizzare la loro competitività. Ciò è tanto più necessario per le piccole e medie imprese, proprio perché le ragioni alla base del loro successo sono oggi messe in dubbio dalle nuove dinamiche legate al processo di globalizzazione e di costante tecnologizzazione degli scambi commerciali. La possibilità di consolidare e allargare la proiezione dell’Italia sui mercati esteri con una strategia di sistema-Paese - per il cui indirizzo è stata istituita da qualche mese la Cabina di regia CIPE per l’internazionalizzazione - appare perciò legata alla capacità di perseguire le seguenti azioni:

· investire sempre di più in qualità e innovazione

· favorire un innalzamento delle dimensioni di impresa

· sostenere le attività di promozione

· adeguare le leggi di agevolazione e sostegno alle esportazioni

· attivare strumenti a sostegno delle nuove forme di commercializzazione

· incentivare il mercato e il sistema bancario all’attivazione di nuovi strumenti finanziari

IV.11.4 Il mercato del lavoro e la struttura dimensionale delle imprese

Secondo un recente studio dell'OCSE, l'Italia risulta tra i paesi con la più alta protezione del lavoro e la maggiore difficoltà a licenziare. Da uno studio della Commissione Europea, risulta inoltre che nei paesi con forti tutele alla protezione del lavoro, le imprese individuano nei costi di assunzione e di licenziamento il vincolo maggiore all'assunzione di un numero maggiore di lavoratori: a questo fa riscontro un basso turnover tra disoccupato e occupato: in Italia nel 1994 sette disoccupati su dieci erano in tale posizione da più di un anno.

La presenza delle rigidità normative della protezione del lavoro in Italia produce un effetto "duale" anche sulla mobilità del lavoro. Sono le imprese da uno a nove addetti a sostenere la quota più rilevante del turnover occupazionale complessivo rispetto alle imprese di maggiore dimensione: nella classe da uno a cinque addetti il turnover è di 19,8; nella classe da sei a nove addetti è di 10,4. Il processo riformatore avviato dal legislatore italiano negli ultimi anni ha avuto come finalità principale l'introduzione di principi di flessibilità nel mercato del lavoro. L'ordinamento italiano, come in altri paesi europei, differenzia l'applicabilità della normativa a seconda del numero di addetti nell'impresa, prevedendo generalmente una tutela vincolistica "forte" a carico delle imprese con più di quindici dipendenti (includendo l'occupazione nel settore del pubblico impiego, a fine 1995 la percentuale dei lavoratori protetti da tutela piena è stimata intorno al 35 percento della forza-lavoro). Inoltre, l'ordinamento italiano conserva dei fattori di rigidità nell'applicazione della normativa sulla protezione del lavoro che non hanno la stessa intensità nel contesto europeo.

IV.12 AGRICOLTURA E TECNOLOGIA

L'innovazione tecnologica non sarà soltanto cruciale per la creazione di nuovi posti di lavoro e valore aggiunto nei settori a più alto tasso di crescita e contenuto tecnologico ma anche per conservare e potenziare i livelli di PIL e occupati nel più tradizionale settore dell'agricoltura. Sotto l’aspetto tecnologico è infatti necessario stimolare la capacità di "innovazione del settore" che, proprio per la sua grande diversificazione, offre sicure garanzie in termini di capacità di innovare per passare in tempi rapidi dalla dipendenza tecnologica alle esportazione di processi produttivi.

Il comparto agroalimentare italiano si caratterizza per un’alta varietà di imprese e di prodotti e per un’immagine di qualità e tipicità dalle quali non è possibile prescindere nella definizione di politiche indirizzate al settore, proprio per rafforzare la competitività e consolidare la leadership del sistema italiano nei mercati europeo ed internazionale. Dunque l’innovazione, anche quella biotecnologica nel rispetto dell’ambiente e della salute del consumatore, dovrà considerare con attenzione tali specificità, identificando percorsi appropriati alle nostre realtà produttive e di mercato finalizzati ad affrontare la produzione di nuovi alimenti o a consolidare, anche attraverso le biotecnologie, la qualità di quelli già prodotti. Le problematiche affrontate per il settore dei servizi e quello industriale legate alla importanza degli investimenti in R&S sono quindi cruciali anche per lo sviluppo futuro delle aziende agricole.

Al fine di superare i tradizionali fattori di freno allo sviluppo competitivo delle produzioni agricole, vanno affiancate alle tradizionali politiche finalizzate all'abbattimento dei costi altre politiche che incentivino la creazione di imprese con adeguate dimensioni economiche e la realizzazione di prodotti e servizi ad alto contenuto di differenziazione, accrescendo l'integrazione verticale e le capacità sistemiche ed organizzative già presenti nel settore agroalimentare. Un altro problema che il settore agricolo ha in comune con il resto dell'economia è il problema della dimensione delle aziende. Le aziende agricole italiane sono spesso troppo piccole per poter implementare economie di scala e vantaggi organizzativi ed incorrono in problemi finanziari ed economici simili a quelli affrontati da PMI di altri settori (si veda, a questo proposito, le sezioni II.4 e IV.11precedente).

La salvaguardia del territorio, la produzione di esternalità positive ambientali e paesaggistiche, il mantenimento e la crescita dell'occupazione agricola e rurale, sono tutte funzioni di una agricoltura moderna e presuppongono l'esistenza di "sistemi di produzione agricola". A questo proposito, il Governo è stato protagonista del cambiamento di direzione della politica comunitaria, espresso dalla riforma della politica agricola contenuta nell’Agenda 2000 che mette a disposizione circa 40,5 miliardi di euro annui per il periodo 2000-2006, verso una riduzione del sostegno dei mercati ed una allocazione a favore degli interventi mirati al rafforzamento strutturale delle imprese e allo sviluppo e della crescita rurale.

Inoltre, il settore agroindustriale, che nel periodo più recente ha mostrato una notevole adattabilità ai cambiamenti nello scenario competitivo europeo ed internazionale, mantiene ancora rilevanti ed inesplorate potenzialità di crescita stimolata anche dalla necessità di qualificare e tipicizzare il prodotto, a tutela della salute del consumatore e delle necessità ambientali per uno sviluppo sostenibile.

Lo sviluppo di sistemi informativi che colleghino i principali mercati dell’offerta a quelli di sbocco nonché le reti di servizi reali innovativi avrà ricadute positive tanto sull’industria che sull’agricoltura.

Gli obiettivi immediati del Governo sono la semplificazione ed il riordino delle norme legislative e le regole che disciplinano il settore agricolo, in un quadro di modernizzazione del settore, e la razionalizzazione degli interventi, anche nell’ottica di specifici piani settoriali, per assicurare coerenza programmatica e continuità pluriennale in armonia con la programmazione comunitaria.

IV.13 TARIFFE E REGOLAZIONE DEI SERVIZI DI PUBBLICA UTILITA’

Come analizzato nella sezione II.2.2.4, negli ultimi anni si è andata articolando una complessa strategia di riforma nel campo dei servizi di pubblica utilità. Si è per prima cosa puntato a distinguere più nettamente le responsabilità di programmazione e regolamentazione proprie dei pubblici poteri dalle responsabilità di gestione dei servizi, generalizzando la trasformazione delle aziende in società di diritto privato, conferendo autonomia imprenditoriale al management, avviando importanti processi di privatizzazione. Il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico è stato affidato allo strumento dei contratti di programma e di servizio, cui è demandata la definizione dei corrispondenti trasferimenti di bilancio. L'accento si è via via spostato sull'attività di regolamentazione, attraverso la costituzione di autorità indipendenti nei settori dell'energia elettrica e del gas e nelle telecomunicazioni e, negli altri settori, attraverso una più coerente azione dei ministeri competenti coordinata e sostenuta dal CIPE. Passi avanti importanti sono stati compiuti attraverso la generalizzazione della metodologia di regolazione tariffaria basata sul price cap e, più di recente, l'apertura graduale di meccanismi di concorrenza "nel mercato" e "per il mercato".

Le tariffe stanno così assumendo sempre più il ruolo loro proprio di prezzi regolamentati in funzione dell'allocazione efficiente delle risorse e dello stimolo al contenimento dei costi da parte delle aziende, razionalizzando e migliorando in questo contesto anche le funzioni redistributive più tradizionalmente loro affidate. Si stanno creando le condizioni di redditività e in prospettiva di contendibilità del mercato che consentano di convogliare verso i servizi di pubblica utilità risorse finanziarie e capacità imprenditoriali private, con effetti positivi sulle prospettive di investimento e di miglioramento della qualità. Per svolgere il ruolo di incentivo per l'impresa a guadagni di efficienza interna e a scelte allocative coerenti con gli obiettivi di benessere sociale, il price cap richiede che l'impresa avverta come stringente il vincolo di bilancio. Per questo è essenziale che i trasferimenti da bilancio pubblico siano strettamente connessi alla definizione degli oneri di servizio pubblico che gravano sull'azienda, siano predeterminati ex ante per un arco di tempo pluriennale in sede di contratto di programma (o di servizio) e non vengano "accomodati" ex post per ripianare eventuali perdite: è questa la condizione affinché sull'azienda gravi il rischio d'impresa e affinché dia i suoi effetti benefici la funzione parametrica della tariffa di price cap. Perciò preoccupa il ritardo con cui fin qui sono stati negoziati i contratti di programma e di servizio, l'efficacia insufficiente del vincolo di bilancio che da questo ritardo deriva, la carenza di quantificazioni affidabili degli oneri di servizio pubblico. Il Governo è impegnato a superare queste difficoltà e a costruire un assetto più adeguato di rapporti tra pubblica amministrazione e imprese di pubblica utilità. In questa prospettiva, il Governo ribadisce 1' importanza di una adeguata implementazione dei contratti di programma e di servizio e l'esigenza di attuare in misura generalizzata la regolazione tariffaria basata sul price cap.

Per dare spazio a meccanismi di concorrenza nel mercato, è prioritario delimitare correttamente in ogni settore le componenti del processo di produzione e di erogazione del servizio che, nelle condizioni tecnologiche odierne, possiedono effettive caratteristiche di monopolio naturale e il grado di integrazione verticale che realmente minimizza i costi per la collettività. E' quanto il Governo ha già fatto nel settore elettrico e in quello delle telecomunicazioni con le normative di recepimento delle direttive UE, e quanto si accinge a fare nel settore del gas naturale, applicando la delega attribuitagli dal Parlamento, e nel settore ferroviario, dove con la recente direttiva del Presidente del Consiglio ha sollecitato l'azienda a portare avanti il processo di divisionalizzazione e poi di divisione societaria tra infrastruttura e servizi. Una volta delimitata l'area del monopolio naturale, sta all'azione di regolamentazione delle Autorità o, in loro assenza, dei Ministeri competenti definire tariffe di accesso alle reti orientate ai costi in modo da garantire condizioni non discriminatorie di utilizzo della rete per tutti i concorrenti.

In presenza di monopolio naturale, il Governo è andato approntando alcune rilevanti innovazioni normative che tendono a configurare adeguati meccanismi di concorrenza per il mercato e a sollecitare la loro più ampia diffusione. Oltre a garantire una fase di transizione che consenta alle aziende di attrezzarsi per competere, il Governo è impegnato a definire un quadro esplicito e un termine inequivocabile di quello che sarà a regime l'assetto di tali mercati, compresi meccanismi di subentro nella gestione e periodi massimi di affidamento differenziati a seconda delle caratteristiche dei settori e tali da non "ingessare" il mercato. In questa direzione vanno la direttiva del Presidente del Consiglio in materia ferroviaria con riferimento alla regionalizzazione dei servizi, lo sviluppo applicativo della legge 422 del 1997 in materia di trasporto locale, il disegno di riforma dei servizi pubblici locali recentemente presentato al Parlamento. Quest'ultimo offre agli enti locali una gamma di opzioni per il governo dei servizi: dalla gara per l'affidamento di rete e servizio insieme, alla gara per l'affidamento di rete e impianti separatamente dal servizio (con risvolti importanti per attivare la concorrenza nel mercato), alla costituzione di società per la progettazione della rete e degli impianti che affidino a gara la gestione del servizio; dal rilievo dato alla qualità nella definizione delle condizioni di gara, al ruolo dei contratti di servizio come strumenti di programmazione e regolazione sia nei servizi posti a gara sia negli altri; incluso, la possibilità per comuni e province di costituire organismi di alta qualificazione tecnica per gestire gare e contratti di servizio. La fase di transizione prevede la trasformazione in società di capitali delle aziende speciali e delle gestioni dirette e, dopo un periodo di tempo necessario al loro rafforzamento come soggetti di mercato, I'avvio a regime del nuovo assetto.

V. LA POLITICA DI SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

V.1 UNA POLITICA NAZIONALE PER IL MEZZOGIORNO

Lo sviluppo del Mezzogiorno è la grande priorità, la "missione", della politica economica italiana; così come lo è stato il raggiungimento dei parametri di convergenza per la moneta unica. Assicurare una crescita economica accelerata al Mezzogiorno è la condizione necessaria per una duratura, forte crescita dell’intera economia nazionale (1) . Nel Mezzogiorno si concentrano infatti risorse naturali, culturali, umane, produttive ancora insufficientemente sfruttate. Il loro efficace utilizzo è condizione necessaria per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e occupazione delineati a livello nazionale per il prossimo quadriennio. Come sottolineato in sede di Consiglio europeo (2) e nel Patto europeo per l’occupazione, gli stati membri sono impegnati a perseguire obiettivi di crescita non inflazionistica ad alto contenuto di occupazione. La creazione di una domanda di lavoro aggiuntiva di tipo permanente richiede una forte crescita della produttività e del prodotto. Obiettivo generale, verificabile, dell’azione di politica economica è allora avere nel Mezzogiorno tassi di crescita significativamente più elevati di quelli medi dell’Unione europea. Attraverso lo sviluppo e le politiche strutturali, ottenere una drastica riduzione del disagio sociale, un forte aumento dell’occupazione regolare e una diminuzione della disoccupazione.

Un obiettivo così ambizioso non può essere raggiunto attraverso una strategia di domanda, basata sull’incremento quantitativo della spesa pubblica. Esso richiede piuttosto una strategia di offerta. Conseguire un miglioramento permanente del contesto economico e sociale. Ottenere una discontinuità nei comportamenti di investimento degli operatori locali ed esterni all’area; cambiare le aspettative; instaurare un clima di fiducia nello sviluppo; mobilitare e moltiplicare anche le risorse e gli investimenti privati; provocare così un balzo nel tasso di crescita della produttività.

Si tratta di un obiettivo possibile, ma difficile. Vi sono, nella situazione economica del Mezzogiorno, forti segni di cambiamento che si manifestano nell’apertura al resto del mondo e nella capacità di cogliere nuove opportunità di sviluppo; ma persiste il rischio di un ulteriore arretramento, con l’uscita dall’area delle risorse più mobili: risparmi, capacità imprenditoriali, lavoro specializzato.

Sia l’opportunità che il rischio sono accentuati dal nuovo contesto della Unione Economica e Monetaria, fortemente concorrenziale, dove le risorse mobili possono muoversi rapidamente alla ricerca di rendimenti e redditi più elevati. Per conseguire, dunque, l’obiettivo di sviluppo è necessario che le risorse mobili, interne o esterne all’area, percepiscano il Mezzogiorno come una localizzazione con opportunità di alti profitti, e di lavoro e salari di qualità. Alcune opportunità sono già esistenti: sono nei sistemi locali di sviluppo delineatisi negli anni più recenti, nelle città in cui si è avviato un processo di riqualificazione e rilancio, nell’uso multifunzionale delle aree rurali, nelle risorse naturali e culturali.

Ai risparmi, alle capacità imprenditoriali, al lavoro specializzato, il Governo intende offrire uno scenario certo e articolato per i prossimi anni, attraverso una politica-missione nazionale articolata su cinque politiche "settoriali", distinte ma non indipendenti.

La prima è una politica di miglioramento permanente del contesto economico e sociale. Essa è volta all’incremento della dotazione di capitale sociale - in infrastrutture, in tutela e fruibilità del patrimonio naturale e culturale, in giustizia e ordine pubblico - per creare economie esterne, di contesto, che valorizzino le "risorse immobili", naturali, culturali e umane (quelle la cui produttività, privata e sociale, è maggiore nel contesto locale), sviluppino nuove occasioni di investimento e favoriscano un balzo della produttività. Si tratta di una politica di "nuova programmazione", di accelerazione e riqualificazione degli investimenti pubblici, concepiti come un fondamentale strumento di offerta.

La seconda comprende le azioni per la promozione dello sviluppo locale attraverso un utilizzo mirato degli incentivi agli investimenti e attraverso l’attuazione degli strumenti di programmazione negoziata. Obiettivo è favorire direttamente gli investimenti delle imprese, singole e organizzate in sistemi, anche dall’esterno dell’area e promuovere la cooperazione e l’investimento congiunto di soggetti locali, privati e pubblici.

Attraverso la liberalizzazione dei mercati, dei beni e dei servizi, l’azione delle Autorità indipendenti, la riforma del governo societario di imprese e banche, la terza politica mira a rafforzare la concorrenza nei mercati. L’intensificazione della concorrenza nei grandi servizi di rete, nei servizi locali di pubblica utilità, nei servizi pubblici e privati per le imprese, è condizione necessaria affinché la politica di offerta esplichi i suoi effetti. Progressi si mira a ottenere nella qualità dei servizi finanziari, indispensabili per assicurare l’afflusso delle risorse private ai progetti meritevoli, e nella creazione di condizioni adatte allo sviluppo di servizi per le persone.

Le politiche per il mercato del lavoro mirano a rendere più flessibili i meccanismi allocativi fra domanda e offerta di lavoro; a consentire, attraverso le nuove forme contrattuali, di sfruttare tutte le occasioni di lavoro esistenti; a legare livelli e dinamica delle retribuzioni, in modo articolato, alle condizioni di produttività, consentendo l’instaurarsi di circoli virtuosi di aumento dei salari e della produttività del lavoro. Esse mirano altresì a favorire la rapida creazione di moderni servizi per l’impiego, pubblici e privati; a legare fortemente la formazione professionale alle esigenze della domanda.

Queste linee di intervento non potranno avere effetto senza una accelerazione nell’ammodernamento dell’Amministrazione pubblica (4) . Si intende accompagnare il decentramento delle competenze alle amministrazioni locali con il rafforzamento tecnico di tutte le amministrazioni, la loro razionalizzazione e riorganizzazione, la responsabilizzazione della dirigenza, l’attuazione di sistemi premianti dei dipendenti pubblici orientati al merito e al conseguimento dei risultati. L’intensificazione dell’impegno per fare rispettare le regole urbanistico-edilizie e di sicurezza del lavoro, assieme al rafforzamento e alla modernizzazione - già in atto - della tutela della sicurezza di persone e imprese potranno favorire un deciso rafforzamento del clima di legalità.

All’attuazione congiunta di queste cinque politiche è mirata l’impostazione di questo DPEF, secondo il documento comune Camera-Senato (5) . Dopo un breve quadro delle tendenze economiche degli anni novanta, che consente di individuare i punti concreti di una possibile rottura della stagnazione del Mezzogiorno, si presenta un quadro conoscitivo essenziale circa lo stato di attuazione degli interventi in corso. Si prospettano quindi gli obiettivi delle cinque politiche settoriali. In particolare, la fissazione di obiettivi verificabili per gli interventi di investimento pubblico - sulla scia di quanto è avvenuto per gli obiettivi finanziari nella politica di risanamento - assieme a una chiara attribuzione delle responsabilità, potrà assicurare i corretti incentivi per il conseguimento dei risultati e per la stessa ragionevolezza degli obiettivi fissati.

V.2 - IL QUADRO ECONOMICO E LE PROSPETTIVE

V.2.1 - Tendenze economiche degli anni novanta

Alla fine degli anni novanta il contesto macroeconomico del Mezzogiorno è ancora contrassegnato da una sensibile debolezza. Una lettura attenta delle cifre consente però di cogliere i prodromi di una possibile svolta.

La debolezza del Mezzogiorno è ben rappresentata da un tasso di crescita medio annuo che a partire dalla recessione del 1993 è rimasto significativamente al di sotto di quello nazionale. Solo nel biennio 1997-98 (secondo le stime SVIMEZ) con un incremento dell’1,1 per cento si è attenuata la tendenza al peggioramento della posizione relativa del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese. Nel 1999 la crescita sarebbe simile a quella del Paese (1,2 per cento).

In un quadro dove il peso delle risorse trasferite in percentuale di quelle disponibili è sceso dal 15,5 per cento del 1992 all’11,7 per cento nel 1997, gli investimenti fissi lordi rappresentano soltanto il 16,6 per cento (1998) del PIL meridionale, contro il 22 per cento all’inizio del decennio. Una forte flessione si registra soprattutto negli investimenti in costruzioni e in opere pubbliche (che decrescono in termini reali dal 1992).

Il mercato del lavoro meridionale resta caratterizzato da tre fenomeni fortemente negativi: bassi tassi di occupazione, alta disoccupazione, elevata quota di occupazione sommersa.

Il tasso di occupazione del Mezzogiorno, misurato della quota di occupati regolari e non regolari sulla popolazione in età di lavoro, è più basso nel 1998 di circa 13 punti percentuali rispetto al Centro-Nord. Il tasso di disoccupazione, particolarmente elevato per le donne e i giovani, nella media del 1998 raggiunge valori pari a circa il doppio del dato europeo (22,8 per cento contro 10,6 per cento). Fra il 1993 e il 1998 l’occupazione è diminuita a un tasso medio annuo dell’1,0 per cento, risentendo anche della ristrutturazione e del risanamento, ritardati rispetto al Centro-Nord, di molte grandi imprese industriali e terziarie. L’inversione di tendenza del 1998 non appare consolidata all’inizio del 1999, nonostante un ritmo sostenuto di crescita nel terziario (67 mila occupati in più fra aprile 1998 e aprile 1999, pari all’1,8 per cento) e apprezzabile (0,9 per cento) nell’industria in senso stretto e una riduzione del tasso di disoccupazione (da 23,1 a 22,7 per cento ad aprile 1999). Le unità di lavoro irregolari (al netto dei secondi lavori) sono stimate nel Mezzogiorno in 1,5 milioni, pari a circa un terzo del volume complessivo di lavoro nella produzione di beni e servizi destinabili alla vendita.

Anche nel Mezzogiorno le rigidità del mercato del lavoro riducono le opportunità di cogliere le occasioni di lavoro regolare. Tuttavia, vi è un crescente ricorso al part-time, ai contratti a tempo determinato e atipici; ciò costituisce un importante elemento di innovazione dei meccanismi di entrata nel mercato del lavoro "regolare". Vi è una più alta flessibilità anche nell’organizzazione del lavoro. Il minore livello dei salari (circa 9 per cento in meno della media italiana, nel settore manifatturiero, attorno a 5 a parità di altri fattori - settore, genere, ecc.) accomoda solo in parte il differenziale negativo di produttività. Condizioni salariali di particolare favore per le imprese sono oggi previste in determinate aree, legate all’erogazione di sovvenzioni pubbliche. A contenere il differenziale Mezzogiorno-Italia, in termini di costo del lavoro per unità di prodotto, è il permanere (fino al 2001) di una parziale fiscalizzazione degli oneri sociali.

A questo quadro fanno riscontro segnali e novità positivi, che consentono di indirizzare le nuove azioni della politica economica.

Il peso dell’export di beni agricoli e industriali sul PIL meridionale passa dal 5 per cento circa del 1992 a oltre il 10 per cento nel 1998. In particolare la crescita dell’export è determinata da un forte aumento nei beni tradizionali di consumo (abbigliamento, calzature, mobili, prodotti principalmente da imprese meridionali concentrate in alcuni distretti produttivi), e nella meccanica e nei mezzi di trasporto, con un forte calo del peso relativo dei prodotti agricoli e dell’industria di base.

Anche all’inizio del 1999, a fronte di un calo dell’export registrato a livello nazionale, alcune regioni (Campania, Puglia e Basilicata), presentano variazioni positive.

A partire dal 1992 il numero di presenze turistiche, in particolare straniere, nelle regioni meridionali cresce notevolmente - dal 12,8 per cento del totale nazionale al 13,6 per cento nel 1997 - in modo particolare in alcuni distretti : intorno a Napoli, nella Sicilia Orientale, in Sardegna. Cresce fortemente il numero delle aziende agrituristiche raggiungendo nel 1998 circa il 30 per cento dell’offerta complessiva italiana.

Aumenta significativamente, più che nella media nazionale, il numero totale delle imprese (cresce dell’8,9 per cento fra il 1993 e il 1998 il numero delle imprese non agricole registrate, in particolare nel terziario). Cresce sensibilmente il numero di imprese esportatrici: 6.200 in più tra il 1992 e il 1996, con un netto incremento nell’industria meccanica (6) . Decresce fortemente il peso delle imprese a partecipazione statale.

Pure in un quadro di afflusso assolutamente inadeguato di capitali dall’estero, vengono realizzati significativi investimenti esteri, 38 nel triennio 1996-98, di cui 30 nell’industria (principalmente metalmeccanica, mezzi di trasporto ed elettronica) e 8 nei servizi (commercio e trasporti).

Fra il 1994 e il 1997 vengono rinnovati gli assetti proprietari e il management delle principali banche meridionali. Al risanamento finanziario potrà corrispondere solo col tempo un recupero di capacità di affidamento alle imprese.

Si realizza una significativa diminuzione della criminalità, in particolare nelle aree maggiormente colpite da fenomeni di delinquenza organizzata. Il totale dei delitti denunciati dalle forze dell’ordine si riduce del 19,5 per cento nel periodo 1991-97; la tendenza positiva sembra perdurare nel 1998. La quota di famiglie del Mezzogiorno che ha percezione di un rischio di criminalità si riduce costantemente passando dal 38,3 per cento del 1993 al 34,2 per cento del 1997 (7) .

Il tasso di scolarità passa dal 62,5 per cento del 1990-91 al 79,4 per cento nel 1997-98 per la scuola secondaria e dal 25,2 per cento al 35,6 per cento per l’Università. Preoccupante permane tuttavia il fenomeno dell’abbandono scolastico, con un divario crescente rispetto alle dinamiche nazionali man mano che si passa dall’istruzione elementare a quella superiore (8) .

V.2.2. - Le prospettive per il 2000-2006: la biforcazione

Nel 2000 il Mezzogiorno potrà trarre vantaggio dagli effetti positivi della più favorevole congiuntura prevista a livello europeo e nazionale e dall’entrata a regime degli interventi di politica economica territoriale messi in atto nel biennio 1998-99 (cfr. par. V.3). L’accelerazione degli investimenti privati, la realizzazione di nuovi investimenti pubblici, il rafforzarsi dei sistemi industriali più aperti verso l’estero potranno assicurare un tasso di crescita del PIL di poco superiore al 2 per cento nel 2000.

Ma una crescita del 2 per cento non è sufficiente per il Mezzogiorno. È largamente al di sotto delle sue possibilità.

Il disegno di uno scenario programmatico di medio termine deve muovere dalla percezione che il Mezzogiorno presenta i tratti di un’economia in bilico, tra il rischio di un arretramento e l’occasione di un balzo dello sviluppo. È questa la biforcazione cui il Mezzogiorno si trova di fronte.

Lo scenario negativo vede, in un ambiente fortemente concorrenziale e di moneta unica, le risorse mobili - i risparmi, le capacità imprenditoriali, il lavoro specializzato - uscire dal Mezzogiorno alla ricerca di guadagni più elevati. Permanendo nell’area rendimenti finanziari più rischiosi, profitti più incerti e - a parità di tecnologia – più bassi (per via dei costi di contesto) e soddisfazione retributiva più modesta (sempre per via dei costi di contesto), la concorrenza di altre aree sarebbe perdente per il Mezzogiorno. Tale scenario è caratterizzato da alto tasso di disoccupazione; elevata occupazione irregolare; un’industria di dimensioni ancora molto ridotte; divari ampi, se non crescenti, di produttività e di reddito pro capite con il resto del Paese.

Simmetricamente è configurabile uno scenario positivo, in cui il cambiamento di aspettative di guadagno da parte delle risorse mobili determina una forte discontinuità nei comportamenti di investimento, in capitale fisco e umano, l’avvio di un circolo virtuoso, un vero e proprio balzo nella crescita. Imprese locali ed estere investono sulle risorse naturali, sociali, culturali e umane del Mezzogiorno, valorizzandole. Il risparmio resta, anzi affluisce, nell’area. Crescono l’occupazione, totale e regolare, e i tassi di attività.

I punti di rottura di un simile scenario positivo sono segnati dal consolidamento e dalla accentuazione delle tendenze che negli anni recenti il mercato e la società del Mezzogiorno hanno già indicato:

  1. crescono le esportazioni, verso l’estero e il resto d’Italia, favorite dai miglioramenti di produttività;
  2. crescono i consumi dei non residenti, legati a un forte aumento dei flussi turistici, indotto da una valorizzazione e da una maggior fruibilità del patrimonio culturale e naturale;
  3. crescono gli investimenti privati, favoriti dal miglioramento del contesto economico e sociale e dal connesso miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro;
  4. crescono, in particolare, gli investimenti diretti, soprattutto dall’estero, grazie alla "politica di contesto" e ad azioni mirate di marketing territoriale;
  5. si regolarizzano quote crescenti dell’occupazione sommersa, grazie al miglioramento della qualità delle imprese e del contesto ambientale, organizzativo e formativo;
  6. si riqualifica il settore agricolo, in un contesto di sviluppo rurale multifunzionale che combina crescita e valorizzazione industriale di produzioni tipiche, agriturismo, disegno di itinerari culturali e ambientali;
  7. si rafforza la capacità di ricerca, innovazione e alta formazione del sistema meridionale;
  8. aumentano i servizi alla persona, con un ruolo attivo del volontariato, delle imprese sociali, del terzo settore, e alle imprese, nella consulenza tenica, nel marketing, nell’utilizzo delle reti informatiche, nella progettualità, ecc.;
  9. si razionalizzano i servizi tradizionali, mantenendo e rafforzando la loro capacità di diffondere prodotti fortemente locali;
  10. si ammoderna la Pubblica amministrazione, nei tempi e nella qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese.

Nello scenario positivo il tasso di crescita del Mezzogiorno potrebbe raggiungere entro la metà del settennio 2000-2006 un valore significativamente superiore a quello medio dell’Unione europea, compreso nella fascia indicata nella figura V.2.3.

Affinché un simile scenario possa realizzarsi è necessario che di fronte alla biforcazione che il Mezzogiorno fronteggia, intervenga una politica economica nazionale, univoca e chiara. E che tale politica assuma quei punti di rottura come suoi espliciti obiettivi. Tale politica è descritta nel paragrafo V.4.

V.3 LO STATO DI ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI

I fondamenti di una nuova politica nazionale per il Mezzogiorno vanno innanzitutto trovati nei segnali di cambiamento che vengono dalla quantità e dalla qualità degli interventi già in corso.

Nel periodo più recente si è avuta una ripresa degli interventi rivolti al Mezzogiorno. I suoi effetti sono in parte manifesti, in parte potranno avvertirsi durante l'anno in corso.

La ripresa riguarda in primo luogo il volume delle erogazioni finanziarie per spese in conto capitale, incentivi e investimenti infrastrutturali. Riguarda poi la realizzazione di accordi fra Amministrazioni centrali e Regioni per l'avvio di piani pluriennali di intervento; assegnazioni finanziarie per il completamento di opere a lungo incompiute; il finanziamento di progettazione e di studi di fattibilità; l'attuazione di incentivi finanziari e il prolungamento e l’articolazione di incentivi al lavoro; erogazioni finalmente significative per i patti territoriali, l’avvio di quelle per i contratti d'area.

V.3.1 - Erogazioni nelle aree depresse e attuazione del programma comunitario 1994-99

Le informazioni disponibili per il complesso delle aree depresse, fra le quali il Mezzogiorno raccoglie circa l'80 per cento della spesa, mostrano che le risorse specificamente destinate a queste aree (9) , in aggiunta, dunque, alle risorse ordinarie, sono aumentate nel 1998 ben oltre il 20 per cento rispetto all'anno precedente, un tasso di crescita più che doppio di quello della spesa totale per investimenti della Pubblica amministrazione (circa il 10 per cento) (cfr. fig. V.3.1). I dati relativi al primo trimestre 1999 confermano la tendenza positiva.

L'accelerazione dei pagamenti riguarda le risorse sia di origine nazionale che comunitaria. In particolare, per queste ultime, dopo l'esperienza insoddisfacente dei primi anni del programma comunitario 1994-99, causata principalmente dalle carenze qualitative della sua impostazione, a partire dal 1997 si è proceduto a una significativa revisione procedurale, attuando una profonda riprogrammazione degli interventi.

Si è potuto così ottenere, fra il 1996 e il 1998, un incremento dall'8 al 55 per cento della quota dei fondi strutturali comunitari per il Mezzogiorno effettivamente erogata, assicurando il rispetto dell'obiettivo fissato nel DPEF dello scorso anno. Per la fine del 1999 l’equivalente obiettivo di spesa è fissato nella misura del 70 per cento.

V.3.2. - Intese istituzionali fra Amministrazioni centrali e Regioni

Le Intese istituzionali di programma costituiscono un mezzo per indirizzare risorse finanziarie di varia origine, anche quelle del bilancio ordinario centrale, a priorità territoriali. Esse prevedono accordi tra Amministrazioni centrali e singole Regioni o Province Autonome per la realizzazione di piani pluriennali di intervento, sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie disponibili e dell'individuazione dei principali fabbisogni economici e sociali.

Dopo una lunga fase di avvio, nel marzo 1999 sono state stipulate le prime intese, definendo immediatamente in modo articolato le parti già in grado di dare luogo ad accordi operativi. A oggi sono state stipulate cinque intese istituzionali: quattro nel Centro-Nord e una nel Mezzogiorno.

Le Intese stipulate con le regioni Lombardia, Toscana, Umbria e Marche prevedono interventi soprattutto in materia di investimenti sanitari, di difesa del suolo e di messa in sicurezza, di infrastrutturazione viaria e ferroviaria.

L'Intesa con la Regione Sardegna prevede interventi che riguardano: la viabilità; i trasporti ferroviari; l'energia, con il "progetto preliminare per l'ottimizzazione della metanizzazione dell'isola" mirato alla pronta realizzazione di infrastrutture energetiche polifunzionali (utilizzabili in diversi scenari tecnici di riferimento) valutando la scelta tecnicamente migliore; la valorizzazione della lingua e della cultura sarda; l’apprendimento su rete tecno-educativa. La chiusura delle intese con le altre Regioni del Mezzogiorno è stata lievemente posposta rispetto ai programmi originari per consentirne il pieno coordinamento con la programmazione dei fondi comunitari (cfr. paragrafo V.4).

V.3.3 - I completamenti di opere incompiute e gli studi di fattibilità

Nell'aprile 1999, con delibera CIPE, è stato disposto il finanziamento per il completamento di 248 opere infrastrutturali incompiute localizzate nel Mezzogiorno. Dei 2.914 miliardi messi a disposizione, 377 sono stati riservati al completamento di 16 opere commissariate ai sensi della legge 135/97 ("sblocca cantieri"), richieste dai commissari straordinari.

Le altre 232 opere sono state selezionate a partire da 815 proposte presentate dalle amministrazioni locali, regionali e centrali. Sulla base dell'autocertificazione dei requisiti di ammissibilità da parte delle amministrazioni proponenti, la selezione è avvenuta applicando criteri pre-definiti che premiavano le opere con progettazione più avanzata, con un minor rapporto fra costi da sostenere e costi già sostenuti e che fossero ancora capaci di rispondere a una domanda effettivamente presente sul territorio .

Il 60 per cento degli interventi finanziati fa riferimento a opere orientate a innalzare il livello di qualità ambientale (depuratori, reti fognarie, beni culturali, ecc.); l'80 per cento degli interventi finanziati è in possesso di progettazione esecutiva. Nell'arco di tre anni le amministrazioni proponenti si impegnano a portare a compimento oltre l'80 per cento degli interventi.

Il 30 per cento dei finanziamenti è stato assegnato ad Amministrazioni centrali e locali mediante il criterio della premialità, attribuendo cioè risorse a quei progetti che presentavano un punteggio più elevato in base ai criteri pre-definiti.

All'innovazione del metodo seguito per l'assegnazione delle risorse corrisponderà particolare attenzione alla fase di attuazione, con un monitoraggio della capacità delle amministrazioni proponenti di attuare i progetti finanziati e la previsione di criteri per la eventuale cancellazione dei finanziamenti. L’affermazione dei criteri di premialità e la selezione delle opere potrà giovarsi in future assegnazioni di questi risultati e di una più chiara e piena responsabilità delle regioni.

Per il potenziamento della fase di progettazione degli investimenti sono state ampliate le risorse a disposizione delle Amministrazioni, specie locali, per la valutazione ex ante ed ex post dei progetti. Si è ottenuto un crescente utilizzo del Fondo rotativo per la progettualità (500 miliardi di lire). Si è proceduto all'assegnazione di 100 miliardi per la realizzazione di studi di fattibilità su progetti di intervento integrato (cfr. Tav. V.4.3).

V.3.4 - Gli incentivi al lavoro

Nel settembre 1998 è stata ottenuta la proroga per il Mezzogiorno degli sgravi fiscali e contributivi su base capitaria, fino al 2001. Analogamente, fino al 2001, le piccole e medie imprese interessate da patti territoriali e quelle nelle aree urbane svantaggiate e in alcune aree specificamente previste, che assumono a tempo indeterminato nuovi dipendenti, potranno beneficiare di un credito di imposta. Gli individui di età inferiore ai 32 anni che inizino una propria attività di lavoro autonomo nei settori artigianali e del commercio, possono inoltre dimezzare i contributi previdenziali dovuti nel primo biennio d'attività.

Nel 1998 sono state sperimentate alcune forme di occupazione sussidiata destinate ai disoccupati di lungo termine, fra cui: 1) borse di lavoro, della durata massima di un anno, finalizzate al temporaneo inserimento di persone fino a 32 anni, residenti nel Mezzogiorno e in regioni dove il tasso di disoccupazione è maggiore della media nazionale, e iscritte al collocamento da almeno 30 mesi; 2) progetti per lavori di pubblica utilità (LPU), per lavoratori socialmente utili attraverso la promozione dell'autoimprenditorialità, in particolare nel terzo settore.

Per rafforzare l’efficacia degli incentivi e promuovere strumenti di avvicinamento al mercato del lavoro, il Governo è stato delegato a procedere a un riordino dell’intera materia riformando entro il 1999 gli incentivi all'occupazione, gli ammortizzatori sociali, i contratti di lavoro a contenuto formativo e le esperienze di lavoro (borse, stages, tirocini).

V.3.5 - Gli incentivi finanziari agli investimenti

Nella ripresa dell'intervento nel Mezzogiorno particolare rilievo hanno avuto gli incentivi volti a compensare le imprese per gli svantaggi di localizzazione prodotti dalle diseconomie esterne e dalle carenze infrastrutturali e amministrative dell'area.

Delle 84 forme di incentivo nazionale rilevate dal Ministero dell'Industria, 45 presentano disponibilità finanziaria; 26 sono operanti; 8 sono specificamente orientate allo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse.

L'ammontare complessivo di risorse erogate per il 1998 nell’intera Italia, pari a 10.900 mld (0,5 per cento del Pil), ha cofinanziato investimenti per circa 33.000 miliardi. La distribuzione territoriale delle somme erogate nel 1998 mostra una prevalenza di risorse destinate al Mezzogiorno (66 per cento).

Le risorse finanziarie si concentrano su pochi provvedimenti: il 45 per cento degli stanziamenti si riferisce alla legge 488/92 la quale, attravArso i primi quattro bandi di applicazione, ha agevolato iniziative che comportano la realizzazione di circa 57.000 miliardi di investimenti, dei quali 34.600 nel Mezzogiorno.

Una verifica sullo stato di attuazione del primo e secondo bando della legge 488 evidenzia che sono stati realizzati investimenti per oltre 18.300 miliardi (9.740 miliardi nel Mezzogiorno) e che sono state completate circa 5.000 iniziative. L’effetto territoriale di tale legge, la cui efficacia è legata alla certezza dei tempi di erogazione (5 mesi dalla chiusura del bando) e alla standardizzazione del procedimento valutativo, mostra - secondo una ricerca Ministero Industria-IPI-Istituto Tagliacarne sui dati dei primi due bandi - una concentrazione delle incentivazioni in aree a significativa presenza di piccole e medie imprese locali e in aree scarsamente industrializzate. In base alla stessa indagine l’80 per cento delle imprese agevolate dichiara di avere raggiunto gli obiettivi del programma.

V.3.6 - La programmazione negoziata: patti e contratti

Gli strumenti della programmazione negoziata (che comprendono anche le Intese istituzionali prima richiamate) combinano gli interventi tradizionali di compensazione degli svantaggi localizzativi con interventi di contesto volti a eliminarne le cause.

Il primo obiettivo è ottenuto attraverso l'incentivazione finanziaria degli investimenti. Il secondo, potenziando l'infrastrutturazione immateriale e materiale, e coinvolgendo soggetti pubblici e privati in accordi bilaterali e in iniziative integrate per lo sviluppo socio-economico e la creazione di nuova occupazione.

Attraverso le iniziative di "nuova programmazione" sono stati superati i gravi ritardi accumulati nel 1997-98 nell'attuazione dei patti e dei contratti. Gli effetti sulla selezione delle aree beneficiarie sono già pienamente visibili; quelli sulle erogazioni si stanno pienamente manifestando proprio in questi mesi centrali del 1999.

Con riguardo ai 12 patti approvati sin dal 1997 con la vecchia procedura, le iniziative industriali per le quali è avvenuta l'erogazione dell'anticipazione sono 128 (a febbraio 1999 erano 70, a marzo 1998 non era stato emanato alcun decreto di pagamento: vedi grafico), per un importo di 110 miliardi. Le agevolazioni così concretamente avviate corrispondono al 60 per cento delle agevolazioni complessive di quei 12 patti.

Il lavoro effettuato ha evidenziato una notevole disparità fra i patti, nella loro qualità, e nella capacità dei soggetti responsabili locali (scelti dai soggetti pubblici e privati che il patto compongono). Per alcuni patti (Lecce, Brindisi, Enna) le iniziative avviate costituiscono la grande maggioranza di quelle esistenti.

Grazie alla nuova e trasparente procedura introdotta nel luglio 1998 e all'affidamento alle banche dell'istruttoria delle singole iniziative si è proceduto con rapidità, attraverso due bandi (con scadenza il 30 novembre '98 e il 10 aprile '99), alla selezione di 39 nuovi patti, relativi a oltre 2000 iniziative per un totale di investimenti programmati pari a circa 5.300 mld e 23.000 nuovi occupati.

Complessivamente, includendo i 9 patti comunitari e il patto pluriregionale "Appennino centrale", risultano oggi attivi 61 patti (cfr. fig. V.3.2).

Le innovazioni procedurali e normative introdotte consentiranno tempi di erogazione delle agevolazioni più rapidi che in passato. Con il Collegato procedurale alla Legge finanziaria 1999 (L. 144/99, art.43) si è consentito il trasferimento delle risorse direttamente al Soggetto responsabile, secondo criteri e modalità che diverranno operativi durante l'estate. Da subito, inoltre, le erogazioni relative ai nuovi patti potranno essere avviate grazie alla cospicua riduzione della relativa documentazione a fronte di una contestuale estensione della attività di certificazione da parte del Soggetto responsabile nonché alla definizione e diffusione via Internet della modulistica necessaria alle diverse fasi del patto; semplificazioni procedurali frutto di una fattiva e costante concertazione con le parti sociali e i rappresentanti dei patti territoriali.

In prospettiva, si mira a un rafforzamento dei patti esistenti e a una più forte loro integrazione nella politica regionale di sviluppo locale.

I patti saranno considerati il punto di partenza per una piena valorizzazione dei sistemi locali a essi collegati, promuovendo a tal fine le sinergie con gli strumenti di pianificazione territoriale e le azioni tese a promuovere le relazioni locali - di natura economica, sociale e istituzionale - e a modificare il contesto così da rafforzare la competitività delle iniziative imprenditoriali a prescindere dalle agevolazioni pubbliche. (Cfr Riquadro "I sistemi territoriali come dimensione della politica di sviluppo").

Per far ciò, oltre ad avvalersi del supporto tecnico di Sviluppo Italia (cfr par. V.3.7), è prevista un'integrazione con la programmazione regionale. Questa potrà trarre forza dalla scelta di ricondurre i patti territoriali nell'ambito delle linee di intervento "a stretta valenza regionale" per quanto concerne i fondi strutturali comunitari 2000-2006. Sulle aree del patto territoriale potranno così più coerentemente convergere le azioni regionali, o nazionali a scala regionale, sia di incentivazione sia di investimento pubblico.

Con riferimento ai contratti d'area, ai tre che risultavano stipulati nel 1998 (Crotone, Manfredonia e area Torrese-Stabiese) si sono aggiunti ulteriori otto contratti e otto Protocolli aggiuntivi. Si è dato inoltre avvio alle erogazioni a valere sui cospicui fondi disponibili.

Restano da sottoscrivere i contratti d'area di La Spezia, Sulcis Iglesiente, Molise Interno e Potenza per i quali è stata conclusa l'istruttoria bancaria. Gli altri contratti d'area da firmare sono relativi a Salerno, Avellino e Montalto di Castro. Con le nuove regole, che saranno definite dal CIPE, saranno valutati i protocolli aggiuntivi in corso di istruttoria.

Per quanto riguarda, infine, i contratti di programma, accanto alla stipula di nuovi contratti, è stata impressa una accelerazione alle erogazioni dei vecchi. Per alcuni di questi ultimi sono in corso trattative volte a garantire una evoluzione dello strumento più rispondente alle nuove esigenze, dettate dalla nascita dell'euro e imposte dall'evolversi della tecnologia, o a rinegoziare con nuove imprese le agevolazioni.

I nuovi contratti sono volti a stimolare interventi, anche modulari, in settori ad alta tecnologia che non necessitano di elevati interventi infrastrutturali.

I contratti di programma vedono ampliarsi il loro ambito di intervento anche al settore turistico. A riguardo si stanno definendo regole di assegnazione volte a favorire iniziative in grado di valorizzare il patrimonio naturalistico e culturale locale e a rendere più trasparenti le procedure. Analogamente, anche l'estensione dello strumento del contratto di programma al settore agricolo richiederà l'adattamento dei meccanismi dello strumento ai nuovi settori di intervento.

V.3.7 - La Società Sviluppo Italia

Con la costituzione della società Sviluppo Italia, il Governo si è dotato di uno strumento di sostegno allo sviluppo produttivo del Paese diretto, in particolare, alle esigenze provenienti dalle aree depresse.

In base al Decreto Legislativo n. 1/99, la Società è stata costituita nel gennaio 1999 ed è entrata in operatività. E' stata creata una struttura societaria holding in cui sono state ricollocate le partecipazioni nelle società di promozione - Itainvest, Insud, Ribs, Ig, Spi, Finagra, Ipi - sorte nel corso degli ultimi anni, con il fine di eliminare le sovrapposizioni funzionali che ne ostacolavano l'unitarietà d'azione.

Le diverse realtà societarie sono state riorganizzate in due società operative - Investire Italia e Progetto Italia - facenti capo alla società madre: la prima specializzata nella prestazione di servizi finanziari destinati alle imprese; la seconda nella promozione di nuova imprenditorialità, con particolare attenzione alla crescita dei sistemi locali di piccole e medie imprese.

Con direttiva del 9 giugno 1999, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha affidato alla Società Sviluppo Italia, oltre alle funzioni di coordinamento e controllo, il compito di progettare e avviare nuove attività nei seguenti ambiti: (a) settori produttivi innovativi, con specifico riferimento a quelli indicati dal V Programma Quadro UE; (b) valorizzazione e trasferimento di innovazione nei settori agroindustriale, moda, turismo, logistica e ambiente; (c) valorizzazione delle risorse naturali, ambientali, culturali e umane e delle vocazioni presenti sul territorio; (d) valorizzazione del potenziale imprenditoriale femminile e giovanile.

Nell'attuazione di questi compiti Sviluppo Italia opererà in stretto raccordo con le Amministrazioni centrali responsabili per l'indirizzo e il monitoraggio. In questo ambito, è stata siglata una convenzione con il Ministero del Tesoro per la realizzazione da parte della Società di un'azione volta alla promozione dei sistemi locali d'impresa, con specifica attenzione ai patti territoriali e ai contratti d'area esistenti. Simili iniziative verranno intraprese per l’intervento nell’area della ricerca e innovazione e per l’attività di marketing territoriale.

V. 4 - LA STRATEGIA PER LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

L’insieme delle azioni già in atto potrà trarre efficacia e al tempo stesso costituisce il presupposto per una politica nazionale per il Mezzogiorno che in questo documento viene delineata. Questa strategia comprende cinque politiche settoriali, fra loro fortemente integrate.

Due politiche - miglioramento permanente del contesto economico, ambientale e sociale; promozione dello sviluppo locale - riguardano il rilancio e la riqualificazione degli investimenti pubblici. Il Programma di Sviluppo del Mezzogiorno (PSM) per l'utilizzo dei fondi comunitari 2000-2006 è lo strumento per programmare questa politica (cfr. paragrafo V.4.1).

Obiettivo generale della politica nazionale per il Mezzogiorno e del PSM è il

conseguimento entro la metà del periodo di programmazione di un tasso di crescita significativamente superiore a quello medio europeo con una drastica riduzione del disagio sociale e un aumento dell’occupazione regolare.

Il successo del PSM dipende dalla contestuale attuazione di altre tre politiche settoriali: rafforzamento della concorrenza; miglioramento e maggiore efficacia dei meccanismi allocativi del mercato del lavoro; miglioramento di efficienza dell'Amministrazione pubblica (cfr. par. V.4.2).

V.4.1 - Indirizzi per il Programma di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006

Si è scelto di articolare la nuova politica attorno alla programmazione dei Fondi strutturali comunitari per gli anni 2000-2006: per l'orizzonte temporale lungo che essi assicurano; perché essi costituiscono una quota elevata delle risorse pubbliche complessive impiegabili nell'area; perché le "regole europee" che ne governano l'uso possono aiutare la programmazione anche delle risorse nazionali.

Gli Orientamenti per il Programma di sviluppo del Mezzogiorno (PSM) e gli indirizzi successivamente approvati dal CIPE (delibera del 14-5-99) (12) possono essere di guida per l'utilizzo di tutte le risorse per investimenti pubblici nel Mezzogiorno del prossimo settennio. Offrono anche un punto di riferimento metodologico per l’utilizzo dei fondi strutturali comunitari nelle aree del Centro Nord e in generale per una riqualificazione degli investimenti pubblici in questa area del Paese.

V.4.1.1 L'esperienza del passato

Alla base dei nuovi indirizzi sta una valutazione dei principali problemi della programmazione degli investimenti pubblici in Italia, che in passato hanno influenzato negativamente la qualità e la stessa dimensione della spesa in conto capitale, specie nel Mezzogiorno. Essi possono essere così riassunti:

1) la responsabilità dei livelli locali di governo e segnatamente delle Regioni è stata parziale, non chiaramente distinta da quella delle Amministrazioni centrali, specie nella fase di programmazione, nella quale ci si assume davanti ai cittadini il compito di selezionare le priorità (di dire i "sì" e i "no");

2) il partenariato è stato carente, addirittura assente nella fase di programmazione, sia per quanto riguarda le Autonomie locali (invece decisive in un processo di sviluppo autopropulsivo), sia per quanto riguarda le parti economiche e sociali (necessarie per interpretare i fabbisogni dei territori);

3) il ricorso alla valutazione ex-ante per la selezione degli obiettivi programmatici e dei progetti è stato assolutamente inadeguato. E' venuta così a mancare l'identificazione degli obiettivi secondo indicatori quantificati e verificabili e la scelta degli interventi è avvenuta senza una conoscenza e un giudizio sul loro ritorno economico e sociale; ciò ha sistematicamente impedito che non solo l'attuazione ma anche l'efficacia delle azioni fossero soggette a monitoraggio e non ha dunque consentito l’operare del mercato politico come strumento di selezione della dirigenza politica;

4) è mancato, infine, un piano finanziario di medio-lungo termine che definisse per l'intero Mezzogiorno e per le sue singole regioni l'intero volume di risorse disponibili, aggiuntive e ordinarie. Ne è derivata l'impossibilità di una programmazione unitaria e la spinta a una ripetuta "contrattazione" da parte di singole istanze istituzionali del territorio, senza vaglio trasparente, né di priorità né di qualità progettuale.

Sulla base di questa esperienza, il PSM viene ora costruito attorno ad alcuni "paletti" (approvati dal CIPE nella seduta del 14 maggio 1999), che possono assicurare una netta discontinuità rispetto a questi gravi problemi del passato.

V.4.1.2 I dieci "paletti" della buona amministrazione dei fondi

Tre "paletti" riguardano specificamente gli obiettivi del programma:

i) Viene fissato un obiettivo generale di crescita economica: un tasso di crescita del Mezzogiorno significativamente superiore, entro il 2003, a quello medio dell’Unione europea.

ii) Viene perseguita la concentrazione degli interventi. Si mira alle opportunità che risultano dalle tendenze economiche e sociali positive già emerse, che vengono colte attraverso l'identificazione di "punti di rottura" (cfr. ancora par. V.2.2), e che sono misurate da indicatori verificabili.

iii) Viene perseguita l'integrazione degli interventi. Si supera la tradizionale programmazione settoriale; il riferimento programmatico è al territorio e segnatamente alle sue risorse immobili - naturali, culturali e umane - alle sue aree di agglomerazione - città e sistemi locali di sviluppo - e alle sue reti diffuse (di comunicazione, telecomunicazione e sicurezza).

Altri sei "paletti" riguardano il metodo con cui i programmi e i progetti sono disegnati e attuati.

iv) Viene attuato un forte decentramento delle responsabilità di programmazione ai livelli locali di governo. Vi corrisponde l'attivazione di un forte partenariato istituzionale. Alle Regioni è, in particolare, assegnata larga parte delle competenze di programmazione, con un potenziamento del ruolo dei Dipartimenti per la programmazione e un rafforzamento tecnico di tutte le Direzioni coinvolte. Alle Amministrazioni centrali viene affidato un forte ruolo di indirizzo, di supporto tecnico e di monitoraggio; in alcuni specifici casi, dettati da considerazioni di efficienza e di efficacia, le Amministrazioni centrali conservano responsabilità di programmazione. Alle Autonomie locali spetta, oltre alla partecipazione all'attività programmatica delle Regioni, l'identificazione delle opportunità locali, la formulazione di proposte progettuali, spesso la realizzazione degli interventi. Le autonomie funzionali (Camere di commercio e Università) possono assicurare i collegamenti a rete tra i diversi livelli territoriali, con particolare riferimento al monitoraggio e alla valutazione degli interventi.

v) Si attua un forte partenariato economico-sociale. Una concertazione trasparente, responsabile e operativa, da parte di soggetti economici e sociali operanti nel territorio, che dà attuazione alla logica di "confronto preventivo" prevista dal Patto sociale, favorisce la corretta identificazione degli interessi dei beneficiari finali, che può manifestarsi rigorosamente nel sistema di valutazione ex ante. Il partenariato concorre quindi, attivamente, al monitoraggio dell’attuazione e dell’efficacia degli interventi.

vi) Viene costruito un quadro finanziario unico settennale per tutte le risorse pubbliche disponibili nel Mezzogiorno. Esso raccoglie tanto le risorse ordinarie che quelle aggiuntive (comunitarie, di cofinanziamento nazionale e nazionali); garantisce l'effettiva aggiuntività delle seconde; assicura la base per una ripartizione certa fra le singole Regioni (secondo la chiave di riparto concordata dalle Regioni del Mezzogiorno in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-Città del 6 maggio 1999).

vii) Viene assicurata centralità alla progettazione, alla valutazione ex ante e al monitoraggio. Solo una appropriata verifica di fattibilità economico/sociale/ambientale, e una progettazione di qualità consentono di quantificare gli obiettivi che si intendono raggiungere. Solo tale quantificazione può assicurare che gli investimenti pubblici mirino effettivamente all’aumento di produttività del sistema economico e può garantire un controllo sull'operato delle Amministrazioni che programmano e attuano gli interventi. La verificabilità dei risultati (e l'aspettativa che la verifica avrà effettivamente luogo) induce una selezione degli interventi fondata su una valutazione del loro impatto. Viene avviata la costruzione di un sistema di indicatori di attuazione e di impatto e di un metodo di monitoraggio continuo che dia conto alla collettività, specie locale, dell'efficacia amministrativa e che dia, quindi, attuazione al principio di responsabilità.

viii) Viene data anticipazione, per quanto possibile, alle valutazioni relative alla compatibilità ambientale e alla tutela del paesaggio. Ciò avviene anche attraverso l'integrazione degli obiettivi di sostenibilità ambientale nell'azione di tutte le amministrazioni. Questa scelta è garanzia, a un tempo, della sostenibilità degli interventi e della rimozione di ostacoli nella loro attuazione.

ix) Viene previsto il coinvolgimento della finanza privata nel finanziamento degli interventi infrastrutturali e nell'apporto di capitale di rischio alle imprese. La logica stessa del PSM, incentrata sull'obiettivo di attrarre risorse nell'area, rende il coinvolgimento del capitale privato, dei risparmi gestiti dalle istituzioni finanziarie e del credito, parte essenziale del Programma. La centralità della progettazione e della valutazione ex ante lo rende possibile (cfr. riquadro su Misure per la diffusione della finanza di progetto).

A questi paletti se ne aggiunge un ultimo che riguarda l'urgenza del programma.

x) L'avvio immediato dall'inizio del 2000 di un gruppo di interventi, visibili, simbolici della nuova qualità degli investimenti pubblici e tali da essere completati nei tempi prestabiliti. E' infatti necessario che il segnale che si è veramente avviata una politica di trasformazione del contesto economico e sociale del Mezzogiorno arrivi presto. Agli obiettivi di medio-lungo termine si vengono così ad affiancare obiettivi di più breve periodo, rapidamente monitorabili.

V.4.1.3 Il quadro finanziario unico settennale

Il disegno di un piano finanziario unico (integrato per tutte le risorse pubbliche disponibili nel medio-lungo termine, sia nazionali che comunitarie) costituisce la condizione di una programmazione unica. Affinché il Piano di sviluppo per il Mezzogiorno sia pienamente efficace è, infatti, necessario:

i) disporre di risorse finanziarie pubbliche (sia ordinarie che specificamente destinate alle aree depresse) che eccedono quelle dei fondi strutturali comunitari;

ii) che i fondi strutturali (e il loro cofinanziamento) e le risorse per le aree depresse siano effettivamente aggiuntive rispetto alle risorse ordinarie e siano da esse separate, trattandosi di fondi espressamente destinati a un obiettivo temporaneo di riduzione del divario di reddito e di condizioni sociali.

Il quadro finanziario viene riferito a una definizione di Mezzogiorno comprensiva di tutte le sue otto regioni; ciò avviene in considerazione: delle caratteristiche che ancora accomunano quelle aree; del fatto che a tutte esse (anche al Molise, collocato dalla Commissione in regime di "sostegno transitorio", e all'Abruzzo, collocato già da tempo fuori dalle aree obiettivo 1) restano estesi gli "interventi infrastrutturali per il Mezzogiorno" finanziati con le risorse per le aree depresse; del percorso programmatico unitario che quelle regioni stanno compiendo (13) .

Le previsioni programmatiche di cassa vengono distinte in quattro principali fonti di finanziamento: le risorse ordinarie e le tre risorse aggiuntive volte al conseguimento di obiettivi temporanei di risanamento e recupero di aree del Paese:

Le previsioni fanno esclusivo riferimento alla spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione. Essa è costituita dagli investimenti fissi (per infrastrutture e opere pubbliche, circa i due terzi del totale), dai contributi agli investimenti e da altre uscite; è invece al netto delle partite finanziarie spurie o estranee al concetto di investimento pubblico (rimborsi crediti d'imposta, restituzione eurotassa). Le previsioni programmatiche non riguardano quindi le altre "risorse per lo sviluppo" (nell'accezione di cui al cap. III), che includono alcune risorse di natura corrente (ad es. spese per la formazione (14) , stanziamenti a copertura di sgravi fiscali e contributivi ecc.), e riduzioni di entrate erariali (agevolazioni fiscali, minori aliquote, ecc.)

Al fine di ricostruire il profilo programmatico della spesa in conto capitale per il Mezzogiorno nel 2000-2006, si muove dalle previsioni complessive di spesa della P.A. esposte al precedente cap. III in coerenza con gli impegni assunti dal Governo. In termini di PIL si passa dal 3,8 per cento nel 1999, al 4,1 per cento nel 2000 fino al 4,2 nel 2001, livello che rimane costante fino al 2006.

Per ognuna delle quattro diverse risorse si può quindi procedere: i) a misurarne la specifica entità; ii) a misurarne la quota destinata al Mezzogiorno, applicando per ogni risorsa l'appropriata chiave di riparto territoriale; iii) a ripartire le risorse complessive per anno.

Per quanto riguarda le risorse comunitarie, l'accordo globale su Agenda 2000 raggiunto nel Consiglio Europeo di Berlino il 24 e 25 Marzo 1999, consente di misurare l'ammontare delle risorse dei Fondi strutturali attribuite all'Italia (15) (tav. V.4.1).

La modulazione dell'importo fra i singoli anni del periodo di programmazione è basata sulle seguenti ipotesi:

La quota di cofinanziamento è stata quindi costruita per la nuova fase di programmazione per il totale Mezzogiorno e per i singoli anni in base all'ipotesi semplificatrice di uguaglianza fra flusso comunitario e flusso di cofinanziamento pubblico nazionale. Quest'ultimo sarebbe costituito per il 70 per cento da risorse centrali e per il 30 per cento da risorse regionali. (17)

Relativamente alle risorse per le aree depresse, quantificate con legge finanziaria e assegnate dal CIPE per anni e destinazione, si utilizzano per il 1998 i dati dei pagamenti effettuati dal bilancio e dei tiraggi dai conti di tesoreria interessati, al netto della parte esplicitamente utilizzata per il cofinanziamento statale. Per gli anni successivi si è ipotizzata una crescita pari al tasso di incremento della spesa in conto capitale. Dal 2002, peraltro, attuandosi, con l'esaurimento del vecchio ciclo di programmazione comunitario, la piena separazione fra risorse per le aree depresse e risorse per il cofinanziamento nazionale, si determina un balzo nelle erogazioni.

La quota delle risorse per le aree depresse destinate al Mezzogiorno si ipotizza pari all'85 per cento.

Le risorse ordinarie vengono infine quantificate in modo coerente con il quadro di compatibilità finanziaria. La quota di esse destinata alle regioni meridionali è quindi ottenuta come somma di due componenti, entrambe espresse in percentuale delle risorse ordinarie totali: una prima ottenuta in modo proporzionale al PIL (circa 24 per cento nel 2000, circa 27 per cento a fine periodo, stante la riduzione del divario implicita nel quadro programmatico); una seconda, di tipo "perequativo" (pari al 6,1 per cento nel 2000, e al 4,7 per cento a fine periodo) ottenuta tenendo conto della ripartizione della popolazione.

Su queste basi, le risorse da assegnare al Mezzogiorno vengono ottenute in modo certo e trasparente. Secondo le proiezioni che così si ottengono (cfr. Tav. V.4.2), nel periodo 2000-2006 la quota delle spese in conto capitale del Mezzogiorno sul totale Italia salirebbe da circa il 44 per cento del 2000 a circa il 47 per cento del 2002 per poi riscendere gradualmente fino a meno del 45 per cento nel 2007.

Rispetto alle informazioni disponibili sul passato (18) , peraltro inadeguate e datate, la quota di spesa relativa all'avvio del periodo di programmazione appare lievemente superiore a quella che si aveva all'inizio degli anni novanta. Tale livello di partenza e il suo profilo temporale corrispondono alla natura nazionale della missione contenuta nel Programma di sviluppo del Mezzogiorno e al suo obiettivo generale di ottenere attorno alla metà del periodo di programmazione l'avvio di un circolo virtuoso, capace, a quel punto, di autoriprodursi.

V.4.1.4 Obiettivi, interventi immediati e interventi di medio termine

Al fine di orientare gli interventi alla valorizzazione delle risorse "immobili" del territorio e di impostare azioni altamente integrate, il Programma è stato articolato in sei grandi assi. All'interno di ciascuno di essi sono stati individuati obiettivi specifici, a cui vengono associati indicatori di efficacia da sottoporre a monitoraggio.

Per tutti gli obiettivi assume rilievo centrale la vocazione alla internazionalizzazione, all'apertura ai flussi di idee, di persone, di beni e servizi con il resto del mondo - tanto quello "occidentale" che quello mediterraneo - che emerge chiaramente dai segnali di ripresa recenti della società meridionale. Questa vocazione verrà assecondata nel merito e nel metodo degli interventi.

Il primo degli assi riguarda le risorse naturali. La strategia individuata per la loro valorizzazione si basa su un sistema di obiettivi specifici sintetizzabile in:

Il secondo asse si riferisce alle risorse culturali:

Il terzo asse riguarda le risorse umane: la strategia per le risorse umane non si esaurisce negli obiettivi esplicitamente collegati a questo asse, ma trova completamento nell’intero programma.

Il quarto asse concerne i sistemi locali di sviluppo:

Il quinto asse riguarda città, istituzioni locali e vita associata:

Il sesto e ultimo asse si riferisce a reti e nodi di servizio. La logica dell'asse è di assicurare i collegamenti materiali e immateriali necessari per lo sviluppo e per il consolidamento delle iniziative imprenditoriali sul territorio:

L'attuazione di questi obiettivi richiede una elevata qualità progettuale che consenta di integrare a livello territoriale interventi diversi (infrastrutturali, di incentivazione industriale o commerciale, ambientale, di formazione) funzionali a uno stesso obiettivo.

Proprio per avviare in modo appropriato questa progettazione integrata e di verificarne la capacità di impatto sui "punti di rottura" del programma e quindi sull’obiettivo di crescita, sono state assegnate alle amministrazioni risorse destinate al finanziamento di studi di fattibilità. (cfr. par. V.3.3). Nella tavola V.4.3 vengono indicati, per alcuni degli obiettivi del Programma - quelli individuati come prioritari dal documento sugli "Orientamenti del PSM" fatto proprio dal CIPE - alcuni progetti di particolare rilievo per i quali verrà avviata l’analisi di fattibilità economica, sociale e ambientale. La loro realizzazione e il loro modo di realizzazione saranno subordinati all’esito di queste valutazioni.

Questi interventi hanno evidentemente natura di medio termine. A essi, coerentemente con l'urgenza di dare avvio immediato al Programma, vengono affiancati altri interventi che:

  1. siano dotati di progettazione sufficientemente avanzata da essere avviati sin dall'inizio del 2000;
  2. perseguano in modo visibile e chiaramente misurabile obiettivi prioritari del Programma;
  3. intervengano su una chiara e percepita opportunità di sviluppo;
  4. possano avere impatto su una o più delle variabili di rottura del Programma di sviluppo del Mezzogiorno.

Nella tavola V.4.3 vengono indicate anche le tipologie progettuali di questi "interventi immediati", per i quali una ricognizione effettuata presso le Amministrazioni regionali e centrali ha indicato l'esistenza di progetti rispondenti ai requisiti indicati. Queste azioni diverranno così il primo test, concreto e operativo, della nuova politica. Si dovrà valutare la possibilità di concentrare su tali interventi uno speficico sforzo di semplificazione procedurale.

Al fine di assicurare condizioni attrattive per le imprese anche nella prima fase del Programma, quando ancora non saranno efficaci gli interventi di contesto, è stato infine previsto che nel biennio 2000-2001 il volume degli incentivi rimanga elevato. Verrà valutata una riprogrammazione di fondi strutturali 1994-1999 a favore della l. 488/92 e una parallela concentrazione degli interventi per incentivi a valere sui nuovi fondi 2000-2006. Accompagnandosi a una ridotta intensità di aiuto, questi interventi potranno consentire una forte diffusione dell'incentivazione. Il miglioramento del contesto potrà invece consentire che nel complesso del periodo di programmazione l’incentivazione abbia un peso assai inferiore rispetto alla programmazione 1994-1999.

V.4.2 - Le politiche per i mercati e l'Amministrazione pubblica

V.4.2.1 - Il mercato dei servizi alle imprese e alle persone

La qualità del contesto economico, oltre che dalla qualità delle infrastrutture, dipende dal modo in cui esse sono gestite. Il conseguimento degli obiettivi del PSM richiede quindi che nel campo dei servizi di pubblica utilità si proceda più decisamente alla costruzione di un assetto di regolazione che stimoli la concorrenza, secondo le linee indicate nel cap. II.

E' essenziale che soprattutto in sede locale si superi il sistema della gestione diretta esercitata da aziende pubbliche. Per le attività con caratteristica di monopolio naturale occorrono sistemi tariffari remunerativi per le imprese, ma che ne sollecitino al tempo stesso l'efficienza.

E' importante che, laddove possibile - servizi pubblici di trasporto ferroviario e marittimo, autostrade, servizi pubblici locali - ci si avvii verso l'abbandono della pratica degli affidamenti diretti, adottando procedure a evidenza pubblica.

Per la regolazione dell'access pricing, si tratta di delimitare correttamente i segmenti di rete rilevanti e di stabilire i casi in cui è opportuna la divisione tra società di gestione di tali segmenti e società di gestione del servizio finale all'utenza.

La metodologia di price cap costituisce uno strumento da generalizzare. Per i servizi in cui si registrano pesanti ritardi negli investimenti infrastrutturali, si può prevedere una componente specifica della formula tariffaria che consenta all'impresa di reperire risorse per il finanziamento degli investimenti.

L’evoluzione economica e sociale ha portato via via in primo piano nuovi bisogni relativi ai servizi alla persona e all’assetto dei luoghi in cui si vive, si consuma, si lavora.

Per i servizi di riqualificazione del tessuto urbano, la valenza di governo delle esternalità che è loro propria rende necessario un intervento pubblico che assuma come proprio compito la costruzione del contesto di convenienze entro cui risorse e capacità private possano convergere nella gestione di una rete capillare di servizi che fornisca il tessuto reale delle interdipendenze.

Per i "servizi di qualità sociale" è necessario in primo luogo sviluppare i servizi legati alla cura delle persone, all'educazione e alla cultura, alla fruizione del patrimonio ambientale, all'uso del tempo di non lavoro, al supporto domestico. In questo campo l'intervento pubblico deve puntare a incoraggiare la domanda pagante e a promuovere l'offerta dei servizi stessi.

Nel Mezzogiorno vi sono rilevanti ostacoli allo sviluppo di servizi di riqualificazione dei tessuti urbani. Al superamento di questi ostacoli possono concorrere politiche volte a rendere effettiva la domanda potenziale di servizi, sollecitando l'impegno responsabile dei cittadini-utenti e sostenendo lo sviluppo di vere e proprie attività imprenditoriali.

Dal lato dell'offerta, un ruolo di rilievo può essere svolto dal terzo settore: le imprese non profit sono particolarmente "adatte" a fornire servizi che hanno forte incidenza sulla qualità della vita. Dal lato della domanda potranno essere sperimentati strumenti quali: buoni-servizio; detraibilità fiscale delle spese per i servizi; promozione di mutue volontarie e/o di polizze assicurative che, dietro pagamento di un premio da parte dell'utente, finanzino il consumo di servizi al momento del bisogno.

Per i servizi finanziari vanno previsti interventi volti a rafforzare il ruolo degli intermediari nella fornitura di credito, capitale di rischio e consulenza/assistenza alle imprese meridionali, anche attraverso un migliore coinvolgimento e una maggiore responsabilizzazione delle banche nella selezione e nella realizzazione dei progetti destinatari di aiuti pubblici.

Saranno inoltre promossi gli strumenti che consentono di superare le difficoltà legate alla disponibilità e al costo del capitale (es. Confidi e Fondi di Garanzia); di finanziare la creazione di imprese e l'espansione di attività ad alto contenuto innovativo (venture capital e altri strumenti di partecipazione al rischio d'impresa); di superare le fasi di discontinuità nella vita delle imprese (fondi chiusi).

 V.4.2.2 - Il mercato del lavoro

Il Piano nazionale per l'occupazione del 1999 (cfr. cap. IV) ha riconosciuto l'importanza delle disparità regionali nel mercato del lavoro italiano, sottolineando l'urgenza di perseguire nel Mezzogiorno una politica per l'occupazione attenta alle specifiche condizioni di partenza dell'area.

E' perciò essenziale garantire un elevato grado di coerenza tra le politiche del lavoro e il complesso delle politiche di sviluppo, accentuando il carattere di intervento di accompagnamento delle prime.

Si mira a definire azioni volte a indirizzare l’offerta di lavoro laddove il mercato o l'intervento di sviluppo danno luogo ad opportunità; per consentire una piena partecipazione al processo di sviluppo del maggior numero di individui, con particolare attenzione per quelli in condizioni di maggiore debolezza.

Si tratta anche di rivedere le caratteristiche delle politiche formative, identificando gli interventi a partire da un'attenta analisi dei fabbisogni impliciti nelle scelte di sviluppo territoriali.

E' inoltre necessario assicurare servizi di informazione, orientamento e sostegno alla ricerca di lavoro per accrescere rapidamente la capacità degli individui di cogliere le occasioni di lavoro disponibili e quelle che il complesso degli interventi mira a produrre nell’area. Il completamento del processo di decentramento alle Regioni e agli Enti locali di importanti funzioni in materia di servizi all'impiego ne costituirà il nuovo quadro di riferimento.

Il riordino degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all'occupazione punta a una progressiva armonizzazione dei trattamenti di disoccupazione e a un allargamento dei soggetti beneficiari. Da una riforma di carattere generale, potranno trarre particolare vantaggio proprio lavoratori e imprese del Mezzogiorno, dove si concentra una forza lavoro più giovane e oggi meno protetta. La riforma si accompagna anche al superamento dei vecchi meccanismi di certificazione dello stato di disoccupazione sulla base della mera anzianità di iscrizione alle liste, che avevano generato distorsioni anche incentivando lavoro non regolare.

Forme contrattuali innovative, quali il lavoro interinale, il part-time e i contratti a termine hanno avuto negli anni recenti un ruolo rilevante nell’aumentare il "contenuto occupazionale" della crescita. Specie nel Mezzogiorno è allora opportuno che in previsione di una crescita economica assai maggiore, ma non necessariamente omogenea, nei prossimi anni non si consideri con sfavore un aumento di queste forme di impiego. Ciò consentirà di cogliere tutte le occasioni di lavoro regolare che si presenteranno e di allocare rapidamente l’offerta di lavoro nelle aree territoriali più dinamiche e nei settori e nelle imprese di successo.

V.4.2.3 - L'Amministrazione pubblica nel Mezzogiorno

La strategia per lo sviluppo tracciata nei paragrafi precedenti è percorribile a condizione che si realizzino decisi progressi nell'ammodernamento dell'Amministrazione pubblica. Ma il processo può essere circolare: la missione nazionale del PSM può dare obiettivi concreti alla riforma dell'Amministrazione; motivarla; sostenerla.

Alle Amministrazioni pubbliche spetta innanzitutto di compiere progressi nello svolgimento dei loro compiti essenziali: offrire una qualità dignitosa ai servizi pubblici fondamentali, veri e propri diritti di cittadinanza; sradicare il crimine organizzato e la "microcriminalità"; instaurare un clima di legalità, facendo rispetta re le regole del vivere civile, urbanistico-edilizie, fiscali, contributive e di sicurezza sul lavoro.

E' necessario accrescere quantitativamente e qualitativamente le competenze tecniche nelle Amministrazioni centrali, nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni.

Ogni Amministrazione dovrà dotarsi di strutture tecnico-amministrative adeguate alla gestione di procedure diverse da quelle tradizionali e incentrate sulla valutazione dell'efficienza e dell'efficacia. A tale risultato concorrerà l'istituzione dei Nuclei di valutazione e verifica regionali già previsti dal "Collegato procedurale" alla finanziaria per il 1999.

Il potenziamento e la qualificazione delle strutture tecniche delle amministrazioni locali assume particolare rilievo in materia di abusi urbanistico-edilizi ampiamente diffusi nel Mezzogiorno (19) .

Appare poi necessario individuare un responsabile del procedimento (project manager), istituto ormai diffusosi in tutti i procedimenti amministrativi di programmazione delle opere pubbliche (legge Merloni) o con riflessi sullo sviluppo locale; così come appare necessario rafforzare il coordinamento interassessorile e fra dirigenti di vari settori, integrato anche da tecnici delle province, oggi massimi referenti delle funzioni attuative. Tale struttura potrebbe svolgere un ruolo di supporto alla nuova funzione di partenariato delle amministrazioni locali.

E' altresì necessario realizzare forti progressi nella semplificazione e nell'accelerazione delle procedure, sia dando attuazione allo sportello unico, sia prevedendo limitazioni alla possibilità di concedere, in sede di giurisdizione amministrativa, la sospensione dei provvedimenti riguardanti alcuni interventi di particolare interesse strategico per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Il successo del processo di riforma organizzativa non potrà prescindere dall’ulteriore responsabilizzazione del personale, ai diversi livelli, strettamente collegata all’applicazione di sistemi premiali e di altre forme di incentivazione commisurate ai risultati conseguiti.

TAVOLE

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FIGURE

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RIQUADRI

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ALLEGATI STATISTICI

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