CAMERA DEI DEPUTATI
XIV LEGISLATURA
Resoconto stenografico
Seduta n. 263
11 febbraio 2003
Discussione del disegno di legge:
(3387) Delega al Governo per la
definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale
ANGELA NAPOLI, Relatore per la maggioranza.
Signor Presidente, onorevole ministro, signor sottosegretario,
colleghi, la forte permeabilità dei mercati, la riduzione degli spazi
geografici e l'alto livello di interazione fra le singole comunità
rappresentano i risultati di maggiore rilievo che hanno qualificato
l'ultimo decennio del XX secolo. Di fronte, quindi, ad un mondo sempre
più piccolo, dove le leggi della finanza e le crisi dei relativi
mercati superano i confini, avvicinando gli Stati e le comunità più di
quanto nessuna progettualità politica sia riuscita a fare, diventa
importante individuare quali siano, oggi, gli spazi che il sistema
formativo italiano deve affrontare in una realtà geopolitica e
geoeconomica rivolta a realizzare un mercato globale.
Il riconoscimento del ruolo strategico che l'istruzione e la
formazione assumono per il consolidamento di un comune spazio
economico, sociale e culturale a livello comunitario è, ormai da molti
anni, patrimonio delle classi dirigenti europee.
Il frutto più immediato e tangibile dell'affermarsi di tale
consapevolezza è, sul piano politico-istituzionale, l'introduzione,
all'atto di revisione del Trattato istitutivo della Comunità europea
operata con il Trattato di Maastricht, di norme volte a ricondurre a
pieno titolo l'istruzione tra le competenze politiche comunitarie.
Sulla carta, però, non esiste un modello scolastico «disegnato»
dall'Unione europea al quale ogni paese membro dovrebbe adeguarsi.
Peraltro, gli articoli 149 e 150 del Trattato istitutivo della
Comunità europea attribuiscono all'Unione una competenza generale per
la deliberazione degli indirizzi ed azioni incentivanti in materia di
istruzione e formazione professionale, escludendo esplicitamente
«qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e
regolamentari degli Stati membri». In particolare, l'articolo 149
prevede il contributo della Comunità allo sviluppo di un'istruzione di
qualità, sostenendo ed integrando l'azione degli Stati membri sul
contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di
istruzione, nel rispetto della loro diversità culturale e linguistica.
L'articolo 150 prevede, invece, l'attuazione di una politica di
formazione professionale che rafforzi ed integri le azioni degli Stati
membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi
quanto al contenuto e all'organizzazione della formazione
professionale.
Il Consiglio europeo di Lisbona, del 23 e 24 marzo 2000, ha fissato
per l'Unione un obiettivo strategico fondamentale: divenire l'economia
della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo,
introducendo un nuovo metodo di coordinamento aperto, associato al
potenziamento del ruolo di guida e di coordinamento del Consiglio
europeo.
A seguito dell'incontro di Lisbona, il Consiglio, nel febbraio del
2002, ha adottato un programma di lavoro per i sistemi di istruzione e
di formazione, individuando tre obiettivi strategici:
migliorare la qualità e l'efficacia dei sistemi di istruzione e di
formazione dell'Unione europea; agevolare l'accesso delle categorie di
persone più vulnerabili ai sistemi di istruzione e di formazione;
aprire i sistemi di istruzione e di formazione al resto del mondo.
Il Consiglio europeo di Barcellona, del 15 e 16 marzo 2002, ha
invitato ad intraprendere una serie di azioni, tra le quali:
introdurre strumenti volti a garantire la trasparenza dei diplomi e
delle qualifiche ed una più stretta cooperazione in materia di diplomi
universitari (un'azione analoga dovrebbe essere promossa nel settore
della formazione professionale); migliorare la padronanza delle
competenze di base, segnatamente mediante l'insegnamento di almeno due
lingue straniere sin dall'infanzia; sviluppo dell'alfabetizzazione
digitale; generalizzazione di un brevetto informatico e Internet per
gli allievi delle scuole secondarie; promuovere, entro il 2004, la
dimensione europea dell'insegnamento e la sua integrazione nelle
competenze di base degli allievi.
Il Consiglio ha poi approvato, il 12 novembre 2002, un progetto di
risoluzione sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in
materia di istruzione e formazione professionale, nel quale si
individua, tra le priorità, il rafforzamento della dimensione europea
dell'istruzione e della formazione professionale.
Infine, la Commissione europea, nel 20 novembre 2002, ha adottato una
comunicazione sui criteri di riferimento per l'istruzione e la
formazione, in cui invita il Consiglio dell'Unione europea a fissare
alcuni criteri di riferimento da conseguire entro il 2010, tra i quali
quello di ridurre almeno della metà, rispetto al 2000, il tasso dei
giovani che lasciano prematuramente la scuola, per raggiungere un
tasso medio nell'Unione europea del 10 per cento.
Se l'evoluzione del quadro comunitario deve costituire un dato
orientativo di indiscutibile significato, non meno importante è
l'analisi comparativa del settore educativo nei maggiori paesi
europei. La disponibilità di indicatori internazionali sull'istruzione
forniti da fonti ufficiali, tra cui l'OCSE, consentono di trarre
alcune considerazioni sul livello di efficienza e di efficacia del
sistema formativo italiano. Per maggiore chiarezza, occorre subito
dire che l'analisi comparativa tra più paesi richiede particolare
accortezza, a causa delle differenze esistenti tra i singoli sistemi
formativi nazionali; tuttavia, il punto di questa analisi sta proprio
nel verificare le caratteristiche comuni dei vari paesi, non soltanto
nei cicli formativi, ma anche nella loro durata.
Pertanto, da un'analisi territoriale disaggregata, è possibile
verificare che: dappertutto è previsto un momento di scuola
dell'infanzia, i cui tempi variano, anche se il termine ad quem è per
lo più costituito dal sesto anno di età; elemento comune ai sistemi
scolastici europei è ormai quello di distinguere due cicli; l'inizio
del primo dei due cicli varia: in molti casi esso coincide con il
sesto anno di età, ma ci sono paesi come l'Irlanda del Nord dove
l'obbligo scolastico è anticipato a 4 anni ed altri paesi, come
l'Olanda, l'Inghilterra, il Galles e la Scozia, dove l'obbligo è
anticipato a 5 anni; di conseguenza, diversificato è pure l'inizio del
secondo ciclo, anche se, per lo più, esso si pone all'undicesimo o al
dodicesimo anno di età; in genere, l'obbligo scolastico si conclude a
15 o a 16 anni, fatto salvo il caso del sistema belga e di quello
tedesco che, pur ponendo la conclusione dell'obbligo a 18 anni,
dispongono che esso possa essere soddisfatto anche attraverso alcune
forme di integrazione con il mondo del lavoro; nei Paesi europei la
scuola secondaria si conclude a 18 o a 19 anni.
La disponibilità di indicatori internazionali sull'istruzione, forniti
da fonti ufficiali, tra cui l'OCSE, consentono di trarre alcune
considerazioni sul livello di efficienza e di efficacia del sistema
formativo italiano, nel quale risaltano in particolare punti deboli e
deficienze strutturali di lunga data, che condizionano la qualità dei
processi formativi ed i risultati finali in termini di apprendimenti.
Passando all'analisi di qualche dato comparativo, ad esempio si rileva
che su un insieme di trentadue Paesi, gli studenti italiani si trovano
al ventesimo posto per competenze linguistiche, al ventiquattresimo
posto per le scienze e al ventiseiesimo per la matematica, mentre
sussistono grossi problemi persino per il perfetto uso della lingua
italiana. Anche istituzioni internazionali di sicuro prestigio
evidenziano da anni la necessità di interventi di riforma, volti ad
adeguare i sistemi educativi alle esigenze che si legano alla rapidità
ed alle peculiari forme evolutive dei processi di modernizzazione
economica.
Per quanto attiene alla questione del ruolo della formazione
professionale, oggetto di annose e spesso inconcludenti dispute
ideologiche, non si può non prendere atto che l'intero settore versa
oggi in una situazione di estrema difficoltà. Si registra, infatti,
una percentuale altissima di respinti nelle prime classi, mentre la
rilevanza quantitativa dei corsi regionali è assai limitata. Il
risultato finale è che un'alta percentuale di giovani non arriva a
conseguire un titolo o una qualifica che gli consentano di entrare, in
tempi ragionevoli, nel mondo del lavoro. Ben diversa, su questo piano,
è, come è noto, la situazione della grande maggioranza degli altri
paesi europei, dove il canale della formazione professionale svolge
una reale ed efficace funzione di preparazione al lavoro, senza per
questo trascurare gli aspetti formativi di carattere generale.
In Europa esistono quattro tipi di «alternanza formativa», ma mi
interessa evidenziare che a livello statale in Germania vige un
sistema duale che offre ampie possibilità agli studenti di fare
pratica presso le aziende. Si tratta di un modello che ha registrato
ampi consensi, in quanto rivelatosi efficace nel contemperare le
esigenze, solo apparentemente opposte, di rafforzare la cultura
generale e di fornire una preparazione tecnica immediatamente
spendibile sul mercato del lavoro.
In Inghilterra gli studenti possono conseguire un diploma sia nelle
discipline di carattere generale che in quelle di ambito
professionale, o in una combinazione di materie che afferiscono ad
entrambi gli indirizzi. Da ultimo, anche in un paese come la Francia,
le forze politiche, comprese quelle della sinistra socialista, hanno
preso coscienza della necessità di sviluppare sistemi di alternanza,
nonché, di assicurare che nessun percorso di studio sia concluso senza
la possibilità di accedere ad un titolo professionalizzante. In
Europa, conclusivamente, la formazione professionale è riconosciuta
come parte legittima e non marginale dell'offerta formativa
complessiva con pari dignità rispetto all'istruzione.
Nell'attuale contesto storico, il sistema educativo e formativo
italiano non è in grado di garantire il raggiungimento delle
necessarie abilità per l'inserimento nel mondo del lavoro. Da ciò la
necessità di una riforma che punti sulla nozione di competenza,
delineata come il patrimonio di conoscenze, abilità e comportamenti
dell'individuo nel contesto di lavoro. Nella sua definizione più
autorevole, il concetto trova collocazione nei tre assi fondamentali
individuati dall'Unesco: sapere, sapere essere, saper fare. Il sapere
è il processo attraverso il quale la persona sviluppa la vera forma
del suo essere come uomo. Tale processo si compie proprio mediante la
trasmissione da docente a discente di informazioni orientate verso i
valori. Un docente ed un sistema scolastico, infatti, mentre cercano
di adattarsi al nuovo, devono affermare e salvaguardare il significato
della verità e dei valori perenni, valori solidi e duraturi, che
possano dare significato e scopo alla vita e costruire un terreno
solido, un punto elevato su cui attestarsi, una direzione di marcia
che dia senso e finalità alla vita.
Nella vexata quaestio tra sapere umanistico e tecnico, tra mondo
classico o del pensiero e mondo moderno e della scienza, ritengo ci
sia una complementarietà tra le due posizioni del pensiero e
dell'operare, anche perché ogni campo specifico è indispensabile come
elemento naturale del sapere. Alla cultura razionale e classica, dei
valori e del pensiero spetta, infatti, la scelta dei fini; all'altra,
quella tecnica, la scelta e l'uso dei mezzi per raggiungere quei fini.
La dimensione del «saper essere» si declina nella capacità di
interpretare il contesto nel quale si andrà ad agire e poiché l'azione
è anche relazione fra soggetti, l'interpretazione del contesto implica
necessariamente interpretazione di sé (il saper porsi, il saper
riconoscersi) e interpretazione degli altri (saper capire, saper
riconoscere i ruoli, saper leggere i comportamenti).
Questa dimensione, complementare a quella del «saper fare», rinvia
soprattutto ai processi di apprendimento culturale di ciascun
individuo. Ma sta proprio nella padronanza di questi saperi generici
la possibilità di arricchire e di illuminare con ulteriori contenuti
le singole abilità.
La struttura profonda del «saper essere», dunque, dopo il momento
centrale dell'attività interpretativa, si ramifica in una serie di
ulteriori attività che cercano connessione con la dimensione del
«fare», cioè delle capacità e delle abilità individuali finalizzate ad
una determinata azione. Questa multivalenza del «saper fare» ha
dirette implicazioni sulle procedure di accreditamento delle
competenze in uscita, o in transito, dai diversi percorsi scolastici.
A conclusione di questo ragionamento, è perciò, essenziale che,
uscendo da una prospettiva meramente funzionale dell'economia, la
costruzione di una competenza realmente fondata sul « sapere, saper
essere e saper fare» dipenda da un intreccio molto forte e, purtroppo,
non scontato, tra scuola e società.
Il rapporto Censis del 2000 sottolinea, purtroppo, il rischio di una
società italiana rinchiusa in se stessa, alla ricerca di un'emozione
individuale, o della propria personalissima visione del mondo
dimenticando spesso condivisioni valoriali vissute in dimensioni
collettive allargate.
Che la dimensione sulla quale impostare la nostra analisi sia ormai
quella europea e globale, credo sia cosa pacifica e stabilita, ma
occorre fare molta attenzione perché, accettare la sfida europea non
significa cancellare i tratti indelebili della propria identità, della
propria storia, della propria cultura e delle proprie tradizioni.
Accanto al contesto europeo, non va dimenticato che la ridefinizione
del ruolo dello Stato e delle autonomie locali, stabilita dalla
modifica del titolo V della Costituzione italiana, rende
indispensabile ed urgente la riforma del nostro sistema di istruzione
e di formazione.
Il disegno di legge n. 3387, trasmesso dal Senato ed assunto dalla
Commissione istruzione della Camera dei deputati come testo base,
definisce una disciplina generale in materia di istruzione; il
provvedimento è composto da sette articoli e fa ricorso, in alcuni
casi, allo strumento della delega legislativa.
Il disegno di legge in questione parte da alcuni essenziali
presupposti: il rispetto della Costituzione, che sancisce il diritto
allo studio per tutti; il rispetto delle specifiche competenze
legislative sulla materia, ripartite tra Stato, regioni, province e
comuni; il rispetto del diritto dei giovani a formarsi attraverso il
sistema educativo di istruzione e di formazione professionale, dando
pari dignità ai due percorsi che, attraverso diverse modalità,
giungono allo stesso obiettivo: quello di favorire la crescita e la
valorizzazione della persona umana.
Il rispetto di questi basamenti strutturali, insieme alle modalità
previste per l'attuazione del riordino, garantiscono un'integrazione
nel panorama scolastico europeo, ma altresì la costruzione di un
sistema utile ad assicurare un'elevata qualità culturale e
professionale.
L'articolo 1, comma 1, delega il Governo ad emanare - entro
ventiquattro mesi - uno o più decreti legislativi per la definizione
delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. I
decreti dovranno essere adottati nel rispetto delle competenze
costituzionali delle regioni, comuni e province e dell'autonomia delle
istituzioni scolastiche.
Il comma 2 dell'articolo 1 stabilisce la procedura per l'adozione dei
citati decreti legislativi affidandone l'iniziativa al Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle
Commissioni parlamentari competenti, e per i soli decreti in materia
di istruzione e formazione professionale è richiesta anche l'intesa
con la Conferenza unificata.
Il comma 3 dell'articolo 1 prevede un piano programmatico di
interventi finanziari per la realizzazione delle finalità della legge,
che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca
predispone, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della
legge stessa, da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei
ministri, previa intesa con la Conferenza unificata. Il piano, in
particolare, è volto al sostegno della riforma degli ordinamenti e
degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo
dell'autonomia; dell'istituzione del servizio nazionale di valutazione
del sistema scolastico; dello sviluppo delle tecnologie multimediali e
della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche; dello sviluppo
dell'attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli
studenti; della valorizzazione professionale del personale docente;
delle iniziative di formazione iniziale e continua del personale; del
rimborso delle spese di autoaggiornamento sostenute dai docenti; della
valorizzazione professionale del personale amministrativo, tecnico ed
ausiliario; degli interventi di orientamento contro la dispersione
scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto-dovere (...)
Vorrei solo puntualizzare due aspetti: il primo si riferisce
all'articolo 5 che prevede la nuova forma di reclutamento del
personale docente. Vorrei evidenziare in merito che, nell'ambito della
predisposizione dei decreti legislativi attuativi, sarebbe opportuno
predisporre anche la rivisitazione dello stato giuridico del personale
docente della scuola che è retrodatato in quanto è disciplinato
dall'ex decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974 (si
tratta, quindi, di un provvedimento decisamente superato).
Vorrei, altresì, rilevare (credo sia dovuto come relatrice) che sono
stati espressi pareri favorevoli al provvedimento da parte delle
Commissioni I, II, IV, IX, XI, XII e XIV. La Commissione bilancio si
deve ancora esprimere, ma sento il dovere di relatrice di fare
riferimento al parere espresso dalla V Commissione permanente del
Senato. Faccio riferimento ad essa solo ed esclusivamente perché il
provvedimento non ha subito in questa sede alcuna modifica rispetto a
quelle del Senato. Richiamo l'espressione del parere favorevole della
Commissione programmazione economica e bilancio del Senato, con
riferimento all'impianto generale del provvedimento, come meccanismo
di copertura a tutti i finanziamenti iscritti annualmente nella legge
finanziaria. Questa previsione è considerata da quella Commissione
ragionevole.
È stato, inoltre, considerato l'ambito di intervento della legge
finanziaria, confinato alla modulazione degli aspetti innovativi della
riforma, senza ovviamente inerire alla componente consolidata del
sistema a livello sia di istituti che di relative conseguenze sui
bilanci a legislazione vigente.
Vorrei operare un ultimo richiamo al parere espresso dal Comitato per
la legislazione. Il suddetto comitato ha espresso un parere vincolante
le cui condizioni non sono state accolte dalla Commissione istruzione
perché ritenute non vincolanti a norma dell'articolo 16-bis del
regolamento poiché il provvedimento è stato discusso in sede
redigente. Lo stesso Comitato fa, peraltro, richiamo al disegno di
legge di revisione costituzionale il cui esame è in corso presso la I
Commissione, mentre il provvedimento in discussione fa riferimento al
dettato costituzionale vigente, unico attualmente da considerare
valido.
Il provvedimento n. 3387 disciplina esclusivamente materie che
rientrano nella potestà legislativa esclusiva statale, ai sensi
dell'articolo 117 della Costituzione, nel testo modificato dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001.
Onorevole Presidente, onorevoli ministro, onorevoli colleghi, al
termine della mia ampia relazione, ritengo di dover ribadire che il
provvedimento in esame punta a costruire una scuola per la persona,
una scuola moderna ed europea, una scuola nazionale e locale, una
scuola per il lavoro, una scuola capace di formare intelligenze, nella
consapevolezza che esse rappresentano un capitale per l'intera
collettività. Non mi stanco mai di dire che vi è sempre in gioco il
futuro del nostro paese e che molto di questo futuro dipende dalla
scuola.
Per tale motivo, sento il dovere di richiamare i colleghi della
maggioranza (...) ad un dibattito scevro da pregiudizi - signor
Presidente, ho davvero chiuso - ma proficuo e costruttivo, in
un'Italia in cui cresce l'esigenza di un grande progetto educativo che
parta dalla realtà e dal concreto agire del presente.
TITTI DE SIMONE, Relatore di minoranza.
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli
colleghi, dai primi passi, tutto il percorso relativo agli interventi
nel settore scolastico compiuti da questo Governo ha visto agire i
suoi rappresentanti e questo esecutivo in un totale sprezzo del ruolo
del Parlamento, senza alcun coinvolgimento del mondo della scuola, sul
quale ricadrà il delicato compito di dare attuazione a questa riforma.
La scelta di uno strumento come quello della delega per intervenire e
modificare le norme generali sull'istruzione si inserisce
perfettamente in questo contesto. Sarebbe stato auspicabile inserire
un intervento legislativo in materia di istruzione in un ampio ed
aperto dibattito che coinvolgesse realmente i diretti protagonisti
interessati, cioè il mondo della scuola.
Di fatto questa delega ha sottratto alla potestà parlamentare una
materia di estrema importanza per un paese democratico, in quanto
risulta essere estremamente ampia ed indeterminata nella definizione
dei confini degli interventi che verranno successivamente previsti con
i decreti attuativi.
È alla forma, ma la forma è essa stessa sostanza, che si rivolge la
nostra prima forte e netta critica. Una delega estremamente ampia dal
punto di vista della materia, ma anche dal punto di vista
dell'intervallo di tempo previsto per la sua attuazione; in effetti,
il Governo non soltanto prende 24 mesi, due anni, per adottare i
decreti legislativi relativi, ma prevede anche un ulteriore termine di
18 mesi in cui si riserva la possibilità di modificare i decreti
legislativi eventualmente già emanati sulla base della stessa delega
legislativa, andando, in questa previsione, anche oltre la fine
dell'attuale legislatura. In realtà, con il ricorso alla delega, il
Governo manifesta soltanto la volontà di agire nella totale
discrezionalità, sottraendosi all'espressione di un voto di merito e
lasciando al Parlamento soltanto il compito di esprimere un semplice
parere di congruità, peraltro non vincolante, sui decreti legislativi.
Il disegno di legge delega si inserisce in un contesto di attacchi ai
diritti, al sistema dell'istruzione, come al lavoro, come alla
previdenza e, come si evince già dal titolo, rivendica per lo Stato
soltanto lo spazio dei livelli minimi, cancellando in tal modo risorse
ed energie già in movimento.
La genericità della terminologia non deve trarre in inganno: essa
trova compiuta definizione alla luce dei numerosi provvedimenti e
della elaborazione che ha portato a questa iniziativa di legge. Ciò a
cui si tende non ha nulla a che vedere con individuazione dei nuclei
fondanti delle conoscenze, questi sì essenziali. Tutto spinge per
l'appunto in direzione di una forte riduzione dei contenuti, del tempo
e della qualità dell'istruzione, che dev'essere garantita a tutte e a
tutti, come dice la nostra Costituzione.
Ci sembra evidente quale sia il modello sociale di organizzazione del
sistema scolastico che sottende la proposta avanzata da voi: nulla a
che fare con l'idea del sapere come formazione critica,
dell'educazione e dell'istruzione come un diritto di cittadinanza e ad
oggi, con la legge sulla devoluzione, si potrebbe dire che non ha
nulla a che fare anche con l'idea di unicità del sistema scolastico su
tutto il territorio nazionale.
Non una scuola che sia il luogo della relazione fra soggetti
attraverso la quale si esplica e si sviluppa il processo formativo ed
educativo del singolo; al contrario, una scuola ridotta al minimo, una
scuola piegata alla cura dei particolarismi, della quale viene
esaltato l'aspetto confessionale e di parte.
Il disegno di legge del Governo, - è ormai chiaro -, tende a sganciare
l'amministrazione pubblica centrale da qualsiasi responsabilità che
non sia meramente di indirizzo; tende a spingere il sistema verso la
privatizzazione, a considerare la scuola come una merce che può essere
acquistata dalle famiglie, sulla base delle disponibilità economiche,
e a considerare l'istruzione, non come un diritto, ma come un bene di
consumo.
Una scuola che non è più un diritto della persona, ma diventa un
servizio a domanda individuale che viene organizzato sul modello
aziendale: gerarchizzazione e competizione tra gli insegnanti,
mercificazione del sapere. Una scuola completamente subalterna al
mondo del lavoro, come si può vedere espressamente dalla previsione
della possibile alternanza scuola-lavoro già a 15 anni che, di fatto,
abbassa il limite legale da 15 a 16 anni previsto per il lavoro
minorile.
Nelle idee di istruzione e di sapere del Governo l'impresa diventa
luogo formativo, il che la dice lunga sul concetto di sapere, di
apprendimento, di cultura e di scuola che si vuole affermare. I
soggetti sapranno fin dall'inizio quale posto è stato riservato per
loro sulla base del censo, del luogo di nascita, dell'estrazione
sociale e del livello culturale della famiglia di appartenenza.
L'introduzione di una precoce canalizzazione tra formazione e
istruzione, oggetto di una scelta da operare già a 12 anni -12 e 5
mesi per chi opera l'anticipo -, significa indirizzare verso
un'opzione di apprendimento debole le fasce più a rischio dell'utenza
scolastica, cioè quegli studenti che appaiono meno motivati, meno
sicuri, meno preparati. Nei fatti, opererà una sorta di selezione
naturale, che funzionerà più a monte rispetto all'esito finale
dell'insuccesso e dell'abbandono. Ci saranno studenti di serie A e di
serie B, il cui curriculum sarà già contrattato in anticipo,
determinando in tal modo un impoverimento dell'apparato culturale di
base e della strumentazione critica, componenti essenziali della
coscienza civile che la scuola dovrebbe considerare oggetto essenziale
della trasmissione del sapere. La scissione sociale dei destini
formativi è base di un disegno classista che voi state portando
avanti, che favorisce pochi e mette nell'angolo i più, che favorisce
le famiglie ricche e istruite.
L'obbligo scolastico come principio giuridico viene abolito e si
trasforma in un diritto-dovere di cui si può fruire. Riteniamo
estremamente grave e pericoloso che il Governo introduca nel sistema
una modifica costituzionale con una legge ordinaria. L'obbligo
scolastico previsto dal secondo comma dell'articolo 34 della
Costituzione diventa diritto-dovere del cittadino: una formulazione
debole che snatura il principio originario per farlo assurgere nel
campo dei servizi alla persona.
Inoltre, l'abrogazione della legge n. 9 nel 1999 - che aveva innalzato
l'obbligo scolastico a dieci anni, pur prevedendone una prima
applicazione a 9 - riconduce l'obbligo scolastico agli 8 anni
precedenti, riportando il paese indietro di anni. L'Italia è il primo
paese occidentale che prevede una riduzione dell'obbligo scolastico.
Non è dato sapere quali siano le motivazioni sul piano pedagogico che
abbiano fatto propendere per la soluzione dell'anticipo. Sembra solo
di trovarsi di fronte ad un puro espediente tecnico, escogitato con
l'unico scopo di rendere praticabile il traguardo dei 18 anni di età
come soglia di uscita dal percorso scolastico. Da varie parti questo
obiettivo è stato giustificato con la necessità di adeguare il nostro
paese alla maggior parte degli altri paesi industrializzati, nei quali
la formazione secondaria - e, di conseguenza, quella universitaria -
si conclude in età più precoce. Si dimentica che l'assetto dei sistemi
scolastici nei vari paesi è frutto di processi molto lunghi,
determinati da peculiari contesti culturali, economici, produttivi e
sociali, senza contare che la durata formale del percorso scolastico
degli studenti italiani spesso non ha riscontro nella durata reale, a
fronte di gravi fenomeni di dispersione scolastica, cioè di evasione
dell'obbligo, di abbandoni, di selezione. Bisognerebbe quindi, più che
lanciarsi in spericolate acrobazie ingegneristiche, interrogarsi su
come contrastare efficacemente questi fenomeni che - è bene ricordarlo
- colpiscono sempre le classi sociali più deboli.
Nel quadro della proposta di sistema scolastico delineato dal progetto
governativo è evidente che l'anticipo non contempla alcuna
considerazione dei tempi e dei bisogni dei bambini e delle bambine. Si
vuole proporre una visione familistica, che finisce con l'assegnare
alla scuola il compito di assecondare e proseguire l'azione educativa
delle famiglie. Una visione miope, poco attenta alla realtà, che non
coglie l'importanza, anche sul piano educativo, dell'affidamento da
parte dei genitori delle bambine e dei bambini ad un luogo
eminentemente pubblico, in cui la pluralità di modelli educativi
familiari viene portata a sintesi in un progetto educativo fondato su
valori condivisi.
Quello che si persegue, invece, è l'addestramento dei più piccoli, la
preparazione della futura massa di lavoratori flessibili, la totale
subordinazione del mondo della scuola alla produzione e all'economia,
senza contare il fatto di fondamentale rilevanza che le iscrizioni
anticipate comporteranno situazioni tali per cui, in una stessa
classe, si potranno trovare bambini con differenze di età anche di 20
mesi, che sono davvero tanti a quell'età e che comprometterebbero la
possibilità di svolgere un lavoro serio.
Riteniamo che si inserisca nel contesto generale di attacco al mondo
del lavoro, ai lavoratori ed alle lavoratrici, anche la parte relativa
al reclutamento degli insegnanti, per i quali si esplicita ormai il
progetto della chiamata diretta.
La questione del reclutamento degli insegnanti e della loro relativa
formazione appare troppo complessa per essere affrontata e risolta con
lo strumento della legge delega, che prevede, tra l'altro, una
modificazione del sistema e che, per di più, rimanda a successivi
decreti delegati la definizione articolata del sistema stesso.
Non condividiamo la presenza nel testo della legge di elementi che
prefigurano un'indebita interferenza in materie riservate alla
contrattazione tra le parti, come avviene, invece, nell'articolo 5.
Sappiamo, infatti, che dietro l'apparente neutralità di termini quali
«valorizzazione professionale» si celano ipotesi di stratificazione
degli insegnanti, con interventi sullo stato giuridico e sulla
retribuzione: questioni, per l'appunto, non disponibili per il
legislatore.
La legge finanziaria per il 2003 e gli interventi legislativi di
questo Governo hanno dimostrato tutta l'intenzione di proseguire nella
politica di disinvestimento e di dequalificazione della scuola
pubblica, inaugurata da questa maggioranza fin dal suo insediamento e
perseguita con determinazione degna di miglior causa. Lo stesso si può
dire per quanto sta accadendo sul terreno del rinnovo contrattuale del
comparto scuola, dove si sconta l'assoluta inadeguatezza degli
stanziamenti economici rispetto alle richieste di equiparazione dei
livelli retributivi degli insegnanti italiani a quelli europei
avanzate da tutte le organizzazioni sindacali del settore.
Riteniamo, quindi, sbagliato introdurre nella delega elementi di
questo tipo e, allo stesso tempo, ribadiamo che il Governo avrebbe
tutti gli strumenti per intervenire sul piano economico, anche se
dubitiamo fortemente che il suo vero interesse sia quello di
«valorizzare la professionalità» dei docenti.
Il personale docente e non docente della scuola attende da tempo ben
altre riforme: soprattutto, quella di un riconoscimento anche sul
piano economico del loro ruolo sociale e culturale; riconoscimento che
non può più essere procrastinato nel tempo e che preveda certezza
delle norme e rispetto dei diritti acquisiti. Pensiamo, infatti, anche
alla politica condotta rispetto ai precari storici della scuola. Non
aiuta certo il continuo intervento teso a sconvolgere i criteri e le
modalità di formazione e di reclutamento dei docenti, le quali
determinano, invece, incertezza, insicurezza e preoccupazione.
Nel tempo, la scuola, come spazio educativo e formativo, si è
modificata: dall'obiettivo minimalista di insegnare a leggere, a
scrivere e a far di conto, è diventata territorio di pluralismo, luogo
della conoscenza intesa come sviluppo delle capacità di accedere agli
strumenti al fine di ampliare, di approfondire, di affinare le
capacità, di costruire abilità e competenze, di accrescere i saperi.
La scuola italiana, con le sue energie, è riuscita a progredire sul
piano qualitativo ed a rendere pratica quotidiana i valori ed i
principi dettati dalla Carta costituzionale. Solo quando le riforme
hanno valorizzato le spinte positive al cambiamento che venivano dalla
società si sono avuti risultati positivi che hanno lasciato tracce
persistenti. È accaduto negli anni sessanta con la riforma della
scuola media unica, che ha accompagnato la crescita culturale e
sociale del paese; nel 1974, con la legge degli organi collegiali, che
ha avviato una straordinaria stagione di partecipazione democratica;
pochi anni dopo, veniva stabilito il diritto dei disabili ad essere
integrati nella scuola e non sono assistiti; nel 1990, infine, la
riforma della scuola elementare. Tappe fondamentali, quelle appena
elencate, di un processo di crescita che, con questo disegno di legge
delega, come con tutti gli altri provvedimenti varati dal Governo, si
vuole definitivamente arrestare per riportare la scuola italiana
indietro di quarant'anni!
Noi pensiamo, invece, che questa scuola vada difesa ed ulteriormente
migliorata, che essa debba diventare, ancora di più, la scuola dei
saperi, la scuola che permetta a tutti ed a tutte di potere, anche
autonomamente e singolarmente, continuare ad espandere, ad affinare e
ad arricchire le proprie conoscenze, una scuola che si proponga
l'innalzamento del livello generale di istruzione, il luogo in cui ci
si riconosce uguali e differenti, plurali e singoli, liberi nella
possibilità di toccare saperi diversi e di integrarli criticamente,
per una società più ricca dal punto di vista culturale e più
democratica.
In questo senso, riteniamo sia necessario che la scuola resti il luogo
dell'incontro e della considerazione, su basi paritarie, con il
riconoscimento delle diversità e delle differenze tra singoli, dei
soggetti fra loro altri. Se le differenze diventano motivo di
discriminazioni e si affermano e si esplicano già dalla programmazione
scolastica, come voi prevedete, è certo che non inviteremo i giovani e
le giovani a considerarsi, essi stessi, soggetti portatori di diritti
inalienabili.
La declinazione...
La declinazione delle finalità che si intendono perseguire attraverso
un intervento legislativo organico e complessivo sul sistema
scolastico non può che partire, a nostro giudizio, dalla
riaffermazione della funzione istituzionale che la Costituzione
assegna alla scuola. Pensiamo che sia sbagliato ipotizzare un sistema
che si preoccupa unicamente di offrire pari opportunità ai giovani e
che non si ponga programmaticamente l'obiettivo di rimuovere gli
ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che impediscono,
soprattutto a chi proviene dagli strati sociali più deprivati, di
raggiungere i più alti livelli di istruzione.
Ci sembra importante sottolineare la necessità della valorizzazione
delle persone e del rispetto delle differenze e delle identità di
ciascuno. È un richiamo forte ai principi costituzionali, quello che
noi lanciamo al Parlamento, di cui la scuola pubblica italiana degli
ultimi quarant'anni è diventato luogo di pratica concreta e principale
punto di garanzia.
Pensiamo che il presupposto indispensabile anche per l'inserimento nel
mondo del lavoro sia il raggiungimento di adeguati, alti, livelli
culturali; con le proposte emendative presentate lo abbiamo voluto
sottolineare. L'idea che noi sosteniamo è quella dell'estensione
dell'obbligo scolastico fino al diciottesimo anno di età e della
conclusione del ciclo secondario, come già oggi avviene,
ordinariamente il diciannovesimo anno di età, ben sapendo, ovviamente,
che perché questo obiettivo sia realizzabile si rendono necessari
adeguati interventi di sostegno all'effettivo esercizio del diritto
all'istruzione, anche sul piano economico e delle riforme sociali.
Vogliamo affermare il carattere unitario del ciclo secondario, contro
l'ipotesi di separazione dei percorsi scolastici in due distinti e
separati percorsi: quello dell'istruzione e quello della formazione.
Per questo proponiamo di raggruppare sotto una denominazione unica
tutti gli istituti, evitando, anche nelle formulazioni linguistiche,
l'odiosa discriminazione tra tipologie di istituti ai quali
corrispondono, inevitabilmente, destini sociali differenziati.
Prevediamo la definizione di un sistema nazionale di educazione e di
istruzione per affermare una concezione del sistema scolastico
nazionale diversa e contrapposta rispetto al vostro disegno di legge.
(...)
Pensiamo che la scuola debba avere un carattere fortemente unitario.
Gli aspetti principali della nostra proposta sono chiari; li
presenteremo domani nel corso del dibattito parlamentare attraverso i
nostri emendamenti. Il carattere nazionale del sistema scolastico;
l'inserimento a pieno titolo del segmento educativo costituito dalla
scuola dell'infanzia nel sistema nazionale (un punto per noi
assolutamente irrinunciabile). L'eliminazione di ogni ambiguità nel
rapporto tra istituzione e formazione. Pensiamo che non possa esserci
vera preparazione al lavoro senza una adeguata formazione sia
culturale sia tecnico professionale. L'inserimento degli asili nido
nel sistema di istruzione nazionale, l'introduzione della seconda
lingua già dalle elementari, oltre quella madre, l'introduzione della
seconda lingua comunitaria nelle medie. Questo è il nostro progetto
alternativo alla vostra brutta riforma, che scrive un modello di
società attraverso un modello di scuola. È evidente che il disegno di
legge delega - e concludo - in materia di istruzione esprime
chiaramente il progetto di questa maggioranza per quanto concerne il
ruolo di uno dei settori più strategici per lo sviluppo sociale,
economico e culturale e civile del nostro paese: la scuola, la scuola
pubblica. Di fronte a questa politica di impoverimento, Rifondazione
comunista ribadisce il valore di una scuola finalizzata al massimo
sviluppo della persona, all'affermazione del valore universale del
concetto di diritto allo studio, affinché sia garantito a tutti e a
tutte l'accesso al sapere nei suoi punti più alti e per tutto l'arco
della vita. Su questo terreno noi crediamo che voi possiate essere
battuti, nella società, nel mondo della scuola. E crediamo che potrete
essere battuti attraverso un percorso di riforma democratica dal basso
che vogliamo contribuire a costruire nel paese con la partecipazione
diretta di studenti ed insegnanti. È una sfida che lanciamo a questo
vostro brutto progetto di società, a questo vostro orrendo progetto di
scuola. È un impegno che ci assumiamo per il paese.
LETIZIA MORATTI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca.
Signor Presidente, gentili onorevoli, vorrei, in primo luogo,
rivolgere un ringraziamento alla VII Commissione, che ha preparato con
competenza e grande serietà i lavori per l'Assemblea, nonché a tutti i
deputati che sono intervenuti in questo dibattito, in maniera
particolare alle relatrici di maggioranza e di minoranza, onorevoli
Angela Napoli e Titti De Simone.
Le questioni che sono fin qui emerse, grazie a tutti gli interventi,
mi consentono di richiamare le ragioni di fondo che ci hanno portato
al disegno di legge di riforma che oggi discutiamo, dopo un
approfondito esame anche al Senato. Al di là delle divergenze e delle
diverse opinioni dettate da un confronto di tipo politico, mi auguro
che il Parlamento ed il paese possano riconoscersi nei principi, nei
valori di fondo che ispirano questo disegno di legge. Vorrei
ricordarlo anche perché il suddetto provvedimento si richiama
fortemente al lavoro parlamentare lungo ed al dibattito molto ampio
che vi è stato nella scorsa legislatura, in maniera particolare anche
con riferimento ai principi contenuti nella legge n. 30 del 2000.
In questo senso vorrei rassicurare l'onorevole Titti De Simone:
possiamo avere visioni diverse sui mezzi e sugli strumenti per
realizzare la riforma del sistema scolastico, ma credo che possiamo
riconoscerci nelle finalità generali del sistema, quelle che lei
stessa ha definito, facendo riferimento al valore di una scuola
finalizzata al massimo sviluppo della persona, all'affermazione del
valore universale del concetto di diritto allo studio, affinché sia
garantito a tutti e a tutte l'accesso al sapere nei suoi punti più
alti e per tutto l'arco della vita.
Credo ci si possa anche naturalmente riconoscere nell'importante
obiettivo dell'integrazione europea che l'onorevole Angela Napoli,
relatrice per la maggioranza, ha sviluppato ampiamente, in modo
particolare arricchendo il dibattito di quegli elementi di
comparazione tra i diversi sistemi europei, richiamandoci anche al
rispetto di un confronto dialettico che, anche in sede europea, sta
avvenendo.
Credo che, in merito a tale aspetto, ciascun paese naturalmente potrà
e dovrà mantenere la propria identità culturale e nazionale, ma non si
potrà rinunciare ad individuare strategie di convergenza
sull'efficacia e sugli esiti dei percorsi di istruzione e formazione e
ciò non solo per garantire effettivamente una reale mobilità
professionale all'interno della nuova Europa, ma soprattutto perché,
senza una nuova cultura europea, sarà molto difficile costruire
l'Europa politica.
Le scelte contenute nel disegno di legge hanno tenuto conto di questi
scenari, sempre però partendo dalla tradizione culturale e pedagogica,
dalle nostre radici classiche, cristiane e umanistiche che pongono al
centro del sistema scolastico la persona umana e ci portano a
riaffermare l'importanza del patto educativo con le famiglie.
Sul piano organizzativo ed ordinamentale, abbiamo dovuto declinare
questi principi con vincoli conseguenti alle modifiche costituzionali
introdotte dalla legge n. 3 del 2001. Questa legge ha, infatti,
modificato sostanzialmente la natura e la struttura delle decisioni
legislative dello Stato che, d'ora in avanti, dovrà stabilire
esclusivamente i principi generali e le norme fondamentali del sistema
ai quali si dovranno necessariamente ispirare le legislazioni delle
autonomie locali.
È per tali motivi che abbiamo quindi incluso i livelli essenziali di
prestazione del sistema di istruzione e formazione professionale e
così facendo abbiamo inteso assicurare, sia pure in un sistema
diverso, in un sistema pluralistico di decisioni, l'unitarietà e la
pari dignità degli standard e degli obiettivi di tutti i percorsi del
sistema formativo a garanzia di tutti i cittadini.
La complessità del nuovo quadro istituzionale ci ha portato a fare
ricorso allo strumento della legge delega per garantire
successivamente, nella fase di decretazione delegata, il massimo
coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti in
materia. Ricordo peraltro che lo strumento della legge delega è stato
ampiamente utilizzato negli interventi di riforma scolastica fin dagli
anni settanta e più recentemente anche nella scorsa legislatura.
La legge delega per noi è allo stesso tempo una norma di principio ed
uno strumento efficiente per accompagnare le tappe del processo di
attuazione che dovranno essere graduali, flessibili e sottoposte ad
una sistematica valutazione dei risultati, come peraltro da molti di
voi è stato richiesto.
Vorrei rispondere anche agli onorevoli che sono intervenuti circa la
compatibilità delle scelte contenute in questo disegno di legge di
riforma con quelle della devoluzione avanzate recentemente dal
Governo. Ribadisco nuovamente che non c'è contraddizione tra questa
legge di riforma e le modifiche costituzionali in esame al Parlamento:
si tratta di due livelli diversi di intervento legislativi, il primo
di tipo ordinamentale, ovvero la legge delega al nostro esame, l'altro
istituzionale.
Tornando al tema dei principi generali, vorrei soffermarmi su un'altra
scelta caratterizzante la proposta di legge in discussione e che ha
anche animato il dibattito sia al Senato sia qui alla Camera, vale a
dire il diritto-dovere all'istruzione ed alla formazione che ha
sostituito sul piano formale il concetto di obbligo scolastico e
formativo. Innanzitutto, vorrei chiarire che non vi è nessuna
riduzione di obbligo scolastico se riferito al diritto-dovere di
frequenza di corsi di istruzione o formazione professionale. Il
disegno di legge, al contrario, pone tra gli obiettivi prioritari del
sistema il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per almeno
12 anni o sino al conseguimento di una qualifica. Per questo motivo,
questo nuovo concetto comprende e ridefinisce quello dell'obbligo
scolastico e formativo, che peraltro si è rivelato inefficace nel
raggiungere lo scopo di eliminare la dispersione scolastica - grave
problema che molti di voi, quasi tutti, hanno richiamato -,
l'abbandono e l'insuccesso scolastico, che ancora oggi nel nostro
paese sono presenti a livelli assolutamente intollerabili.
D'altra parte, nel nostro paese la mancanza di un'alternativa valida
al sistema dei licei, alternativa che negli altri paesi d'Europa è
presente, ha privato e continua a privare troppi giovani delle
opportunità formative che possano valorizzare le loro inclinazioni, le
loro attitudini, le loro vocazioni, le loro capacità, consentendo loro
di realizzarsi come persona e come cittadino ed inserirsi nel mondo
del lavoro e delle professioni con un adeguato bagaglio di competenza
certificato.
Noi vogliamo lasciarci alle spalle la cultura dell'obbligo come
funzione coercitiva dello Stato per affermare una nuova cultura in cui
istruzione e formazione sono considerati i nuovi diritti-doveri di
cittadinanza e nel contempo vi è il dovere delle istituzioni nel
garantire ai cittadini l'esercizio di tali diritti.
In questo senso l'opportunità di iscriversi al sistema dell'istruzione
e formazione professionale al termine del primo ciclo non esclude,
anzi valorizza, la necessità di conciliare il percorso
professionalizzante con la conquista dei saperi di base e di
cittadinanza, importantissimi, così che coloro che si qualificano in
questo percorso possano affrontare anche i livelli più alti di
istruzione e formazione superiore e universitaria.
E al tavolo della Conferenza Stato-regioni lavoreremo insieme perché
per questi percorsi si raggiunga l'effettiva pari dignità dei tre
sistemi pubblici, quello nazionale, quello statale e quello regionale,
attraverso alcuni strumenti che già abbiamo delineato nel disegno di
legge delega. Li ricordo: la circolarità tra istruzione e formazione
professionale; il profilo in uscita unitario; l'innalzamento dei
livelli qualitativi dell'istruzione e della formazione professionale;
la garanzia, per entrambi i sistemi, di esiti superiori, professionali
e accademici; il potenziamento della formazione tecnica superiore;
infine, la valorizzazione della formazione lungo tutto l'arco della
vita.
Si è discusso molto nel dibattito anche di un'altra innovazione nel
secondo ciclo: l'introduzione dell'alternanza scuola-lavoro. Ai
deputati che hanno manifestato perplessità su questo punto della
legge, vorrei ribadire che si tratta di una modalità di apprendimento
già presente peraltro in moltissimi altri paesi dell'Unione europea,
modalità che prevede, all'interno di percorsi scolastici e formativi,
lo svolgimento di stage nel mondo produttivo e del lavoro e nel campo
del sociale, inseriti coerentemente nei piani di studio personalizzati
dei ragazzi e valutati dalle istituzioni scolastiche e formative
frequentate.
D'altra parte, penso che la rigida scansione temporale della vita,
secondo cui ad un periodo di formazione iniziale ne segue uno
lavorativo, sia una separazione che vada superata e sostituita da un
continuo processo circolare interattivo dei due momenti. Questo è
anche il concetto della formazione durante tutto l'arco della vita, il
lifelong learning. In tal senso, quindi, l'alternanza scuola-lavoro e
il lifelong learning sono risposte complementari ad un'unica esigenza.
Riteniamo che l'attuale netta separazione tra scuola e lavoro non
prepari i ragazzi al loro futuro, perché non consente loro di
sperimentare attraverso periodi di stage le loro inclinazioni, le loro
vocazioni, le loro attitudini, per essere meglio preparati nel momento
in cui saranno chiamati a fare una scelta rispetto all'ingresso nel
mondo del lavoro. L'obiettivo che vogliamo perseguire con queste
misure, quindi, è quello di favorire la realizzazione di tutti i
ragazzi, nessuno escluso, attraverso una molteplicità di luoghi, di
modi e di soggetti formativi, certificati nel portfolio delle
competenze di ciascuno dei ragazzi.
Con riferimento a questa pluralità di percorsi del secondo ciclo,
vorrei ricordare all'Assemblea che nel passaggio al Senato abbiamo
accolto la proposta delle forze di opposizione di mantenere anche
l'integrazione tra i due sistemi, quello dell'istruzione e quello
della formazione professionale. Riteniamo che ciò riduca la distanza
tra la visione contenuta nella legge di un secondo ciclo fortemente
diversificato ancorché unitario e quella delle forze di opposizione
che puntano invece all'integrazione dei percorsi. Ma io credo che la
migliore garanzia di unitarietà, e quindi di integrazione dei due
sistemi, resti comunque il fatto che questa legge mira a definire la
qualità, le garanzie, i diritti, i doveri nazionali e universali in
materia di istruzione e formazione che dovranno essere rispettati in
ogni sede deputata alla funzione educativa delle giovani generazioni.
Questi standard saranno il legame che potrà assicurare una continua
comunicazione tra le varie parti del sistema stesso. Con tali
strumenti di regolazione, assieme al nuovo sistema di valutazione
nazionale, noi pensiamo di poter meglio garantire da una parte il
pluralismo, la diversificazione, la flessibilità e, dall'altra,
l'integrazione, l'unità e la qualità dei percorsi.
Ritornando ora al dibattito, molti deputati si sono soffermati sugli
elementi di flessibilità strutturale introdotti dalla legge, con
particolare attenzione all'età di ingresso e di uscita dal sistema.
Intendo riconfermare, anche in questa sede, che la facoltà di
anticipare l'ingresso nella scuola dell'infanzia e nella scuola
primaria è un'opportunità offerta a sostegno delle famiglie che
decideranno liberamente se utilizzarla in accordo con le istituzioni
scolastiche. E non abbiamo mai sottovalutato, peraltro - su ciò voglio
rassicurare l'Assemblea -, la delicatezza dei problemi connessi
all'anticipo, specie nella scuola dell'infanzia, e la complessità
della sua realizzazione.
A questo riguardo, voglio richiamare l'attenzione sul fatto che,
recependo le indicazioni dell'ANCI e del Senato, il disegno di legge
ha previsto che il processo di attuazione dell'anticipo previsto in
questo ordine di scuola sia graduale e subordinato ad alcune precise
condizioni: l'intesa con gli enti locali, l'adeguatezza delle
strutture, la scelta delle famiglie, il consenso degli organi
decisionali delle istituzioni scolastiche e la presenza di figure
specializzate.
La realizzazione di questa innovazione, come, peraltro, l'attuazione
di tutte le altre previste dal disegno di legge, sarà soggetta ad un
monitoraggio specifico in base al quale verranno assunte le successive
decisioni.
Il sistema educativo definito dal disegno di legge è, d'altra parte,
caratterizzato dalla flessibilità dei percorsi. Sono certa che le
istituzioni scolastiche, nella loro autonomia didattica ed
organizzativa, in raccordo con gli studenti, con le famiglie e con il
territorio, sapranno utilizzare al meglio tutti gli strumenti e tutte
le opportunità formative che il disegno di legge prevede.
Se un sistema educativo fortemente accentrato richiede docenti che
siano esecutori di procedure amministrative prestabilite, certamente
il sistema educativo prospettato dal disegno di legge, per le sue
caratteristiche di flessibilità e di personalizzazione, esalta la
figura del docente quale professionista dell'insegnamento. Siamo
assolutamente consapevoli che non esiste una scuola di qualità senza
insegnanti di qualità.
Il dibattito alla Camera si è particolarmente distinto per le
osservazioni e le proposte sul tema della formazione, sia della
formazione iniziale sia della formazione continua degli insegnanti.
Con questa consapevolezza, il disegno di riforma prevede nuovi
percorsi di formazione iniziale, coerenti con il nuovo ordinamento
universitario, e percorsi di formazione in servizio, finalizzati ai
nuovi compiti ed alle nuove figure di docente previste dalla riforma.
La formazione specialistica del docente direttamente abilitante e
l'attività di tirocinio riteniamo siano efficaci strumenti di
qualificazione del personale docente che includeranno, anche per tutti
gli insegnanti, moduli formativi sulle varie tipologie di disturbi di
apprendimento, considerato anche l'estendersi di questo fenomeno.
Il disegno di legge, nel prospettare i docenti di domani, non trascura
chi, già oggi, sta operando nella scuola. In questo senso, voglio
rassicurare gli onorevoli deputati che, nella fase di attuazione della
legge, verranno considerate con estrema attenzione tutte le
sollecitazioni pervenuteci dalla VII Commissione e, ora, da numerosi
ordini del giorno. Sono previsti, infatti, itinerari di
riqualificazione professionale tra vecchi e nuovi percorsi abilitanti.
In tale contesto, una specifica attenzione sarà riservata ai docenti
di sostegno, perché essi svolgono un ruolo particolarmente delicato
all'interno della scuola e perché, più di ogni altra categoria di
insegnanti, sono stati oggetto di numerose modifiche legislative.
Sono altrettanto degne di considerazione e di accoglimento le proposte
relative alla formazione degli insegnanti finalizzate al recupero di
particolari difficoltà di apprendimento, su cui molti deputati hanno
richiesto il nostro intervento. Il percorso formativo dei futuri
docenti dovrà riservare uno spazio adeguato a queste problematiche, in
modo da contribuire a realizzare una scuola dove l'accoglienza, la
disponibilità degli adulti, la capacità di ascolto e la capacità di
guida dei docenti stessi siano coniugate con l'efficacia degli
apprendimenti e dove i risultati siano adeguati alle capacità degli
allievi ed alle aspettative dei genitori, alle sfide del mondo, alle
sfide della vita.
Intendo rassicurare tutti i deputati circa l'attenzione che il disegno
di legge riserva alle fasi transitorie di formazione, reclutamento,
organizzazione e gestione del personale docente. Quest'attenzione,
naturalmente dovuta per le situazioni contingenti, non ci può far
trascurare l'importanza di un tema posto con particolare importanza
dalla relatrice, onorevole Angela Napoli: la riformulazione dello
stato giuridico dei docenti.
Anche in questo il confronto con l'Europa, dove da anni si dibattono i
problemi di una nuova professionalità docente, ci stimola ad aprire
una discussione a tutto campo, a prendere l'iniziativa con il
contributo delle associazioni, dei sindacati, delle università, del
mondo del lavoro e naturalmente del Parlamento. Onorevoli deputati, io
credo che l'approvazione di questo disegno di legge apra per il modo
della scuola, per il paese, una sfida, una sfida di lungo respiro, cui
ciascuno, per il ruolo ed i doveri che competono, dovrà rispondere. La
scuola di oggi è inadeguata alle sfide della società, alle sfide di un
mondo - già è stato già ricordato da molti onorevoli - che cambia a
ritmi vertiginosi.
Pensiamo ai cambiamenti istituzionali, dalla costruzione politica
della nuova Europa al suo allargamento, pensiamo ai grandi problemi
sociali, dalla multiculturalità ai grandi cambiamenti climatici,
pensiamo agli scenari di una economia che è alla ricerca di nuovi
modelli organizzativi per essere più competitiva, pensiamo alle sfide
poste dalla scienza, poste dall'innovazione tecnologica.
Questo mondo richiede una scuola diversa, una scuola capace di dare ai
ragazzi l'idea di sé, che si costruisce solo radicando il presente
nella comprensione della propria storia; una scuola capace di motivare
i giovani, troppo spesso demotivati e disinteressati rispetto alla
scuola stessa; una scuola capace di insegnare ai giovani a ragionare,
a liberare la loro creatività, una scuola capace di crescere persone
libere e responsabili che sappiano realizzarsi come uomini e donne,
come cittadini pronti a dare il proprio contributo alla costruzione di
una società che possa creare maggior benessere economico e sociale, ma
anche una società più equa e più solidale.
Questa è la scuola che vogliamo costruire e lo faremo con tutte le
forze del paese che condividono questi obiettivi.
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