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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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CAMERA DEI DEPUTATI
XIV  LEGISLATURA
Resoconto stenografico
Seduta n. 263
11 febbraio 2003

Discussione del disegno di legge:
(3387) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

ANGELA NAPOLI, Relatore per la maggioranza.

Signor Presidente, onorevole ministro, signor sottosegretario, colleghi, la forte permeabilità dei mercati, la riduzione degli spazi geografici e l'alto livello di interazione fra le singole comunità rappresentano i risultati di maggiore rilievo che hanno qualificato l'ultimo decennio del XX secolo. Di fronte, quindi, ad un mondo sempre più piccolo, dove le leggi della finanza e le crisi dei relativi mercati superano i confini, avvicinando gli Stati e le comunità più di quanto nessuna progettualità politica sia riuscita a fare, diventa importante individuare quali siano, oggi, gli spazi che il sistema formativo italiano deve affrontare in una realtà geopolitica e geoeconomica rivolta a realizzare un mercato globale.
Il riconoscimento del ruolo strategico che l'istruzione e la formazione assumono per il consolidamento di un comune spazio economico, sociale e culturale a livello comunitario è, ormai da molti anni, patrimonio delle classi dirigenti europee.
Il frutto più immediato e tangibile dell'affermarsi di tale consapevolezza è, sul piano politico-istituzionale, l'introduzione, all'atto di revisione del Trattato istitutivo della Comunità europea operata con il Trattato di Maastricht, di norme volte a ricondurre a pieno titolo l'istruzione tra le competenze politiche comunitarie.
Sulla carta, però, non esiste un modello scolastico «disegnato» dall'Unione europea al quale ogni paese membro dovrebbe adeguarsi. Peraltro, gli articoli 149 e 150 del Trattato istitutivo della Comunità europea attribuiscono all'Unione una competenza generale per la deliberazione degli indirizzi ed azioni incentivanti in materia di istruzione e formazione professionale, escludendo esplicitamente «qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri». In particolare, l'articolo 149 prevede il contributo della Comunità allo sviluppo di un'istruzione di qualità, sostenendo ed integrando l'azione degli Stati membri sul contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nel rispetto della loro diversità culturale e linguistica. L'articolo 150 prevede, invece, l'attuazione di una politica di formazione professionale che rafforzi ed integri le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi quanto al contenuto e all'organizzazione della formazione professionale.
Il Consiglio europeo di Lisbona, del 23 e 24 marzo 2000, ha fissato per l'Unione un obiettivo strategico fondamentale: divenire l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, introducendo un nuovo metodo di coordinamento aperto, associato al potenziamento del ruolo di guida e di coordinamento del Consiglio europeo.
A seguito dell'incontro di Lisbona, il Consiglio, nel febbraio del 2002, ha adottato un programma di lavoro per i sistemi di istruzione e di formazione, individuando tre obiettivi strategici:
migliorare la qualità e l'efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione dell'Unione europea; agevolare l'accesso delle categorie di persone più vulnerabili ai sistemi di istruzione e di formazione; aprire i sistemi di istruzione e di formazione al resto del mondo.
Il Consiglio europeo di Barcellona, del 15 e 16 marzo 2002, ha invitato ad intraprendere una serie di azioni, tra le quali: introdurre strumenti volti a garantire la trasparenza dei diplomi e delle qualifiche ed una più stretta cooperazione in materia di diplomi universitari (un'azione analoga dovrebbe essere promossa nel settore della formazione professionale); migliorare la padronanza delle competenze di base, segnatamente mediante l'insegnamento di almeno due lingue straniere sin dall'infanzia; sviluppo dell'alfabetizzazione digitale; generalizzazione di un brevetto informatico e Internet per gli allievi delle scuole secondarie; promuovere, entro il 2004, la dimensione europea dell'insegnamento e la sua integrazione nelle competenze di base degli allievi.
Il Consiglio ha poi approvato, il 12 novembre 2002, un progetto di risoluzione sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale, nel quale si individua, tra le priorità, il rafforzamento della dimensione europea dell'istruzione e della formazione professionale.
Infine, la Commissione europea, nel 20 novembre 2002, ha adottato una comunicazione sui criteri di riferimento per l'istruzione e la formazione, in cui invita il Consiglio dell'Unione europea a fissare alcuni criteri di riferimento da conseguire entro il 2010, tra i quali quello di ridurre almeno della metà, rispetto al 2000, il tasso dei giovani che lasciano prematuramente la scuola, per raggiungere un tasso medio nell'Unione europea del 10 per cento.
Se l'evoluzione del quadro comunitario deve costituire un dato orientativo di indiscutibile significato, non meno importante è l'analisi comparativa del settore educativo nei maggiori paesi europei. La disponibilità di indicatori internazionali sull'istruzione forniti da fonti ufficiali, tra cui l'OCSE, consentono di trarre alcune considerazioni sul livello di efficienza e di efficacia del sistema formativo italiano. Per maggiore chiarezza, occorre subito dire che l'analisi comparativa tra più paesi richiede particolare accortezza, a causa delle differenze esistenti tra i singoli sistemi formativi nazionali; tuttavia, il punto di questa analisi sta proprio nel verificare le caratteristiche comuni dei vari paesi, non soltanto nei cicli formativi, ma anche nella loro durata.
Pertanto, da un'analisi territoriale disaggregata, è possibile verificare che: dappertutto è previsto un momento di scuola dell'infanzia, i cui tempi variano, anche se il termine ad quem è per lo più costituito dal sesto anno di età; elemento comune ai sistemi scolastici europei è ormai quello di distinguere due cicli; l'inizio del primo dei due cicli varia: in molti casi esso coincide con il sesto anno di età, ma ci sono paesi come l'Irlanda del Nord dove l'obbligo scolastico è anticipato a 4 anni ed altri paesi, come l'Olanda, l'Inghilterra, il Galles e la Scozia, dove l'obbligo è anticipato a 5 anni; di conseguenza, diversificato è pure l'inizio del secondo ciclo, anche se, per lo più, esso si pone all'undicesimo o al dodicesimo anno di età; in genere, l'obbligo scolastico si conclude a 15 o a 16 anni, fatto salvo il caso del sistema belga e di quello tedesco che, pur ponendo la conclusione dell'obbligo a 18 anni, dispongono che esso possa essere soddisfatto anche attraverso alcune forme di integrazione con il mondo del lavoro; nei Paesi europei la scuola secondaria si conclude a 18 o a 19 anni.
La disponibilità di indicatori internazionali sull'istruzione, forniti da fonti ufficiali, tra cui l'OCSE, consentono di trarre alcune considerazioni sul livello di efficienza e di efficacia del sistema formativo italiano, nel quale risaltano in particolare punti deboli e deficienze strutturali di lunga data, che condizionano la qualità dei processi formativi ed i risultati finali in termini di apprendimenti.
Passando all'analisi di qualche dato comparativo, ad esempio si rileva che su un insieme di trentadue Paesi, gli studenti italiani si trovano al ventesimo posto per competenze linguistiche, al ventiquattresimo posto per le scienze e al ventiseiesimo per la matematica, mentre sussistono grossi problemi persino per il perfetto uso della lingua italiana. Anche istituzioni internazionali di sicuro prestigio evidenziano da anni la necessità di interventi di riforma, volti ad adeguare i sistemi educativi alle esigenze che si legano alla rapidità ed alle peculiari forme evolutive dei processi di modernizzazione economica.
Per quanto attiene alla questione del ruolo della formazione professionale, oggetto di annose e spesso inconcludenti dispute ideologiche, non si può non prendere atto che l'intero settore versa oggi in una situazione di estrema difficoltà. Si registra, infatti, una percentuale altissima di respinti nelle prime classi, mentre la rilevanza quantitativa dei corsi regionali è assai limitata. Il risultato finale è che un'alta percentuale di giovani non arriva a conseguire un titolo o una qualifica che gli consentano di entrare, in tempi ragionevoli, nel mondo del lavoro. Ben diversa, su questo piano, è, come è noto, la situazione della grande maggioranza degli altri paesi europei, dove il canale della formazione professionale svolge una reale ed efficace funzione di preparazione al lavoro, senza per questo trascurare gli aspetti formativi di carattere generale.
In Europa esistono quattro tipi di «alternanza formativa», ma mi interessa evidenziare che a livello statale in Germania vige un sistema duale che offre ampie possibilità agli studenti di fare pratica presso le aziende. Si tratta di un modello che ha registrato ampi consensi, in quanto rivelatosi efficace nel contemperare le esigenze, solo apparentemente opposte, di rafforzare la cultura generale e di fornire una preparazione tecnica immediatamente spendibile sul mercato del lavoro.
In Inghilterra gli studenti possono conseguire un diploma sia nelle discipline di carattere generale che in quelle di ambito professionale, o in una combinazione di materie che afferiscono ad entrambi gli indirizzi. Da ultimo, anche in un paese come la Francia, le forze politiche, comprese quelle della sinistra socialista, hanno preso coscienza della necessità di sviluppare sistemi di alternanza, nonché, di assicurare che nessun percorso di studio sia concluso senza la possibilità di accedere ad un titolo professionalizzante. In Europa, conclusivamente, la formazione professionale è riconosciuta come parte legittima e non marginale dell'offerta formativa complessiva con pari dignità rispetto all'istruzione.
Nell'attuale contesto storico, il sistema educativo e formativo italiano non è in grado di garantire il raggiungimento delle necessarie abilità per l'inserimento nel mondo del lavoro. Da ciò la necessità di una riforma che punti sulla nozione di competenza, delineata come il patrimonio di conoscenze, abilità e comportamenti dell'individuo nel contesto di lavoro. Nella sua definizione più autorevole, il concetto trova collocazione nei tre assi fondamentali individuati dall'Unesco: sapere, sapere essere, saper fare. Il sapere è il processo attraverso il quale la persona sviluppa la vera forma del suo essere come uomo. Tale processo si compie proprio mediante la trasmissione da docente a discente di informazioni orientate verso i valori. Un docente ed un sistema scolastico, infatti, mentre cercano di adattarsi al nuovo, devono affermare e salvaguardare il significato della verità e dei valori perenni, valori solidi e duraturi, che possano dare significato e scopo alla vita e costruire un terreno solido, un punto elevato su cui attestarsi, una direzione di marcia che dia senso e finalità alla vita.
Nella vexata quaestio tra sapere umanistico e tecnico, tra mondo classico o del pensiero e mondo moderno e della scienza, ritengo ci sia una complementarietà tra le due posizioni del pensiero e dell'operare, anche perché ogni campo specifico è indispensabile come elemento naturale del sapere. Alla cultura razionale e classica, dei valori e del pensiero spetta, infatti, la scelta dei fini; all'altra, quella tecnica, la scelta e l'uso dei mezzi per raggiungere quei fini.
La dimensione del «saper essere» si declina nella capacità di interpretare il contesto nel quale si andrà ad agire e poiché l'azione è anche relazione fra soggetti, l'interpretazione del contesto implica necessariamente interpretazione di sé (il saper porsi, il saper riconoscersi) e interpretazione degli altri (saper capire, saper riconoscere i ruoli, saper leggere i comportamenti).
Questa dimensione, complementare a quella del «saper fare», rinvia soprattutto ai processi di apprendimento culturale di ciascun individuo. Ma sta proprio nella padronanza di questi saperi generici la possibilità di arricchire e di illuminare con ulteriori contenuti le singole abilità.
La struttura profonda del «saper essere», dunque, dopo il momento centrale dell'attività interpretativa, si ramifica in una serie di ulteriori attività che cercano connessione con la dimensione del «fare», cioè delle capacità e delle abilità individuali finalizzate ad una determinata azione. Questa multivalenza del «saper fare» ha dirette implicazioni sulle procedure di accreditamento delle competenze in uscita, o in transito, dai diversi percorsi scolastici.
A conclusione di questo ragionamento, è perciò, essenziale che, uscendo da una prospettiva meramente funzionale dell'economia, la costruzione di una competenza realmente fondata sul « sapere, saper essere e saper fare» dipenda da un intreccio molto forte e, purtroppo, non scontato, tra scuola e società.
Il rapporto Censis del 2000 sottolinea, purtroppo, il rischio di una società italiana rinchiusa in se stessa, alla ricerca di un'emozione individuale, o della propria personalissima visione del mondo dimenticando spesso condivisioni valoriali vissute in dimensioni collettive allargate.
Che la dimensione sulla quale impostare la nostra analisi sia ormai quella europea e globale, credo sia cosa pacifica e stabilita, ma occorre fare molta attenzione perché, accettare la sfida europea non significa cancellare i tratti indelebili della propria identità, della propria storia, della propria cultura e delle proprie tradizioni.
Accanto al contesto europeo, non va dimenticato che la ridefinizione del ruolo dello Stato e delle autonomie locali, stabilita dalla modifica del titolo V della Costituzione italiana, rende indispensabile ed urgente la riforma del nostro sistema di istruzione e di formazione.
Il disegno di legge n. 3387, trasmesso dal Senato ed assunto dalla Commissione istruzione della Camera dei deputati come testo base, definisce una disciplina generale in materia di istruzione; il provvedimento è composto da sette articoli e fa ricorso, in alcuni casi, allo strumento della delega legislativa.
Il disegno di legge in questione parte da alcuni essenziali presupposti: il rispetto della Costituzione, che sancisce il diritto allo studio per tutti; il rispetto delle specifiche competenze legislative sulla materia, ripartite tra Stato, regioni, province e comuni; il rispetto del diritto dei giovani a formarsi attraverso il sistema educativo di istruzione e di formazione professionale, dando pari dignità ai due percorsi che, attraverso diverse modalità, giungono allo stesso obiettivo: quello di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana.
Il rispetto di questi basamenti strutturali, insieme alle modalità previste per l'attuazione del riordino, garantiscono un'integrazione nel panorama scolastico europeo, ma altresì la costruzione di un sistema utile ad assicurare un'elevata qualità culturale e professionale.
L'articolo 1, comma 1, delega il Governo ad emanare - entro ventiquattro mesi - uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. I decreti dovranno essere adottati nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni, comuni e province e dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.
Il comma 2 dell'articolo 1 stabilisce la procedura per l'adozione dei citati decreti legislativi affidandone l'iniziativa al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, e per i soli decreti in materia di istruzione e formazione professionale è richiesta anche l'intesa con la Conferenza unificata.
Il comma 3 dell'articolo 1 prevede un piano programmatico di interventi finanziari per la realizzazione delle finalità della legge, che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca predispone, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata. Il piano, in particolare, è volto al sostegno della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo dell'autonomia; dell'istituzione del servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico; dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche; dello sviluppo dell'attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli studenti; della valorizzazione professionale del personale docente; delle iniziative di formazione iniziale e continua del personale; del rimborso delle spese di autoaggiornamento sostenute dai docenti; della valorizzazione professionale del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario; degli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto-dovere (...)
Vorrei solo puntualizzare due aspetti: il primo si riferisce all'articolo 5 che prevede la nuova forma di reclutamento del personale docente. Vorrei evidenziare in merito che, nell'ambito della predisposizione dei decreti legislativi attuativi, sarebbe opportuno predisporre anche la rivisitazione dello stato giuridico del personale docente della scuola che è retrodatato in quanto è disciplinato dall'ex decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974 (si tratta, quindi, di un provvedimento decisamente superato).
Vorrei, altresì, rilevare (credo sia dovuto come relatrice) che sono stati espressi pareri favorevoli al provvedimento da parte delle Commissioni I, II, IV, IX, XI, XII e XIV. La Commissione bilancio si deve ancora esprimere, ma sento il dovere di relatrice di fare riferimento al parere espresso dalla V Commissione permanente del Senato. Faccio riferimento ad essa solo ed esclusivamente perché il provvedimento non ha subito in questa sede alcuna modifica rispetto a quelle del Senato. Richiamo l'espressione del parere favorevole della Commissione programmazione economica e bilancio del Senato, con riferimento all'impianto generale del provvedimento, come meccanismo di copertura a tutti i finanziamenti iscritti annualmente nella legge finanziaria. Questa previsione è considerata da quella Commissione ragionevole.
È stato, inoltre, considerato l'ambito di intervento della legge finanziaria, confinato alla modulazione degli aspetti innovativi della riforma, senza ovviamente inerire alla componente consolidata del sistema a livello sia di istituti che di relative conseguenze sui bilanci a legislazione vigente.
Vorrei operare un ultimo richiamo al parere espresso dal Comitato per la legislazione. Il suddetto comitato ha espresso un parere vincolante le cui condizioni non sono state accolte dalla Commissione istruzione perché ritenute non vincolanti a norma dell'articolo 16-bis del regolamento poiché il provvedimento è stato discusso in sede redigente. Lo stesso Comitato fa, peraltro, richiamo al disegno di legge di revisione costituzionale il cui esame è in corso presso la I Commissione, mentre il provvedimento in discussione fa riferimento al dettato costituzionale vigente, unico attualmente da considerare valido.
Il provvedimento n. 3387 disciplina esclusivamente materie che rientrano nella potestà legislativa esclusiva statale, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, nel testo modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
Onorevole Presidente, onorevoli ministro, onorevoli colleghi, al termine della mia ampia relazione, ritengo di dover ribadire che il provvedimento in esame punta a costruire una scuola per la persona, una scuola moderna ed europea, una scuola nazionale e locale, una scuola per il lavoro, una scuola capace di formare intelligenze, nella consapevolezza che esse rappresentano un capitale per l'intera collettività. Non mi stanco mai di dire che vi è sempre in gioco il futuro del nostro paese e che molto di questo futuro dipende dalla scuola.
Per tale motivo, sento il dovere di richiamare i colleghi della maggioranza (...) ad un dibattito scevro da pregiudizi - signor Presidente, ho davvero chiuso - ma proficuo e costruttivo, in un'Italia in cui cresce l'esigenza di un grande progetto educativo che parta dalla realtà e dal concreto agire del presente.

TITTI DE SIMONE, Relatore di minoranza.

Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, dai primi passi, tutto il percorso relativo agli interventi nel settore scolastico compiuti da questo Governo ha visto agire i suoi rappresentanti e questo esecutivo in un totale sprezzo del ruolo del Parlamento, senza alcun coinvolgimento del mondo della scuola, sul quale ricadrà il delicato compito di dare attuazione a questa riforma.
La scelta di uno strumento come quello della delega per intervenire e modificare le norme generali sull'istruzione si inserisce perfettamente in questo contesto. Sarebbe stato auspicabile inserire un intervento legislativo in materia di istruzione in un ampio ed aperto dibattito che coinvolgesse realmente i diretti protagonisti interessati, cioè il mondo della scuola.
Di fatto questa delega ha sottratto alla potestà parlamentare una materia di estrema importanza per un paese democratico, in quanto risulta essere estremamente ampia ed indeterminata nella definizione dei confini degli interventi che verranno successivamente previsti con i decreti attuativi.
È alla forma, ma la forma è essa stessa sostanza, che si rivolge la nostra prima forte e netta critica. Una delega estremamente ampia dal punto di vista della materia, ma anche dal punto di vista dell'intervallo di tempo previsto per la sua attuazione; in effetti, il Governo non soltanto prende 24 mesi, due anni, per adottare i decreti legislativi relativi, ma prevede anche un ulteriore termine di 18 mesi in cui si riserva la possibilità di modificare i decreti legislativi eventualmente già emanati sulla base della stessa delega legislativa, andando, in questa previsione, anche oltre la fine dell'attuale legislatura. In realtà, con il ricorso alla delega, il Governo manifesta soltanto la volontà di agire nella totale discrezionalità, sottraendosi all'espressione di un voto di merito e lasciando al Parlamento soltanto il compito di esprimere un semplice parere di congruità, peraltro non vincolante, sui decreti legislativi.
Il disegno di legge delega si inserisce in un contesto di attacchi ai diritti, al sistema dell'istruzione, come al lavoro, come alla previdenza e, come si evince già dal titolo, rivendica per lo Stato soltanto lo spazio dei livelli minimi, cancellando in tal modo risorse ed energie già in movimento.
La genericità della terminologia non deve trarre in inganno: essa trova compiuta definizione alla luce dei numerosi provvedimenti e della elaborazione che ha portato a questa iniziativa di legge. Ciò a cui si tende non ha nulla a che vedere con individuazione dei nuclei fondanti delle conoscenze, questi sì essenziali. Tutto spinge per l'appunto in direzione di una forte riduzione dei contenuti, del tempo e della qualità dell'istruzione, che dev'essere garantita a tutte e a tutti, come dice la nostra Costituzione.
Ci sembra evidente quale sia il modello sociale di organizzazione del sistema scolastico che sottende la proposta avanzata da voi: nulla a che fare con l'idea del sapere come formazione critica, dell'educazione e dell'istruzione come un diritto di cittadinanza e ad oggi, con la legge sulla devoluzione, si potrebbe dire che non ha nulla a che fare anche con l'idea di unicità del sistema scolastico su tutto il territorio nazionale.
Non una scuola che sia il luogo della relazione fra soggetti attraverso la quale si esplica e si sviluppa il processo formativo ed educativo del singolo; al contrario, una scuola ridotta al minimo, una scuola piegata alla cura dei particolarismi, della quale viene esaltato l'aspetto confessionale e di parte.
Il disegno di legge del Governo, - è ormai chiaro -, tende a sganciare l'amministrazione pubblica centrale da qualsiasi responsabilità che non sia meramente di indirizzo; tende a spingere il sistema verso la privatizzazione, a considerare la scuola come una merce che può essere acquistata dalle famiglie, sulla base delle disponibilità economiche, e a considerare l'istruzione, non come un diritto, ma come un bene di consumo.
Una scuola che non è più un diritto della persona, ma diventa un servizio a domanda individuale che viene organizzato sul modello aziendale: gerarchizzazione e competizione tra gli insegnanti, mercificazione del sapere. Una scuola completamente subalterna al mondo del lavoro, come si può vedere espressamente dalla previsione della possibile alternanza scuola-lavoro già a 15 anni che, di fatto, abbassa il limite legale da 15 a 16 anni previsto per il lavoro minorile.
Nelle idee di istruzione e di sapere del Governo l'impresa diventa luogo formativo, il che la dice lunga sul concetto di sapere, di apprendimento, di cultura e di scuola che si vuole affermare. I soggetti sapranno fin dall'inizio quale posto è stato riservato per loro sulla base del censo, del luogo di nascita, dell'estrazione sociale e del livello culturale della famiglia di appartenenza. L'introduzione di una precoce canalizzazione tra formazione e istruzione, oggetto di una scelta da operare già a 12 anni -12 e 5 mesi per chi opera l'anticipo -, significa indirizzare verso un'opzione di apprendimento debole le fasce più a rischio dell'utenza scolastica, cioè quegli studenti che appaiono meno motivati, meno sicuri, meno preparati. Nei fatti, opererà una sorta di selezione naturale, che funzionerà più a monte rispetto all'esito finale dell'insuccesso e dell'abbandono. Ci saranno studenti di serie A e di serie B, il cui curriculum sarà già contrattato in anticipo, determinando in tal modo un impoverimento dell'apparato culturale di base e della strumentazione critica, componenti essenziali della coscienza civile che la scuola dovrebbe considerare oggetto essenziale della trasmissione del sapere. La scissione sociale dei destini formativi è base di un disegno classista che voi state portando avanti, che favorisce pochi e mette nell'angolo i più, che favorisce le famiglie ricche e istruite.
L'obbligo scolastico come principio giuridico viene abolito e si trasforma in un diritto-dovere di cui si può fruire. Riteniamo estremamente grave e pericoloso che il Governo introduca nel sistema una modifica costituzionale con una legge ordinaria. L'obbligo scolastico previsto dal secondo comma dell'articolo 34 della Costituzione diventa diritto-dovere del cittadino: una formulazione debole che snatura il principio originario per farlo assurgere nel campo dei servizi alla persona.
Inoltre, l'abrogazione della legge n. 9 nel 1999 - che aveva innalzato l'obbligo scolastico a dieci anni, pur prevedendone una prima applicazione a 9 - riconduce l'obbligo scolastico agli 8 anni precedenti, riportando il paese indietro di anni. L'Italia è il primo paese occidentale che prevede una riduzione dell'obbligo scolastico.
Non è dato sapere quali siano le motivazioni sul piano pedagogico che abbiano fatto propendere per la soluzione dell'anticipo. Sembra solo di trovarsi di fronte ad un puro espediente tecnico, escogitato con l'unico scopo di rendere praticabile il traguardo dei 18 anni di età come soglia di uscita dal percorso scolastico. Da varie parti questo obiettivo è stato giustificato con la necessità di adeguare il nostro paese alla maggior parte degli altri paesi industrializzati, nei quali la formazione secondaria - e, di conseguenza, quella universitaria - si conclude in età più precoce. Si dimentica che l'assetto dei sistemi scolastici nei vari paesi è frutto di processi molto lunghi, determinati da peculiari contesti culturali, economici, produttivi e sociali, senza contare che la durata formale del percorso scolastico degli studenti italiani spesso non ha riscontro nella durata reale, a fronte di gravi fenomeni di dispersione scolastica, cioè di evasione dell'obbligo, di abbandoni, di selezione. Bisognerebbe quindi, più che lanciarsi in spericolate acrobazie ingegneristiche, interrogarsi su come contrastare efficacemente questi fenomeni che - è bene ricordarlo - colpiscono sempre le classi sociali più deboli.
Nel quadro della proposta di sistema scolastico delineato dal progetto governativo è evidente che l'anticipo non contempla alcuna considerazione dei tempi e dei bisogni dei bambini e delle bambine. Si vuole proporre una visione familistica, che finisce con l'assegnare alla scuola il compito di assecondare e proseguire l'azione educativa delle famiglie. Una visione miope, poco attenta alla realtà, che non coglie l'importanza, anche sul piano educativo, dell'affidamento da parte dei genitori delle bambine e dei bambini ad un luogo eminentemente pubblico, in cui la pluralità di modelli educativi familiari viene portata a sintesi in un progetto educativo fondato su valori condivisi.
Quello che si persegue, invece, è l'addestramento dei più piccoli, la preparazione della futura massa di lavoratori flessibili, la totale subordinazione del mondo della scuola alla produzione e all'economia, senza contare il fatto di fondamentale rilevanza che le iscrizioni anticipate comporteranno situazioni tali per cui, in una stessa classe, si potranno trovare bambini con differenze di età anche di 20 mesi, che sono davvero tanti a quell'età e che comprometterebbero la possibilità di svolgere un lavoro serio.
Riteniamo che si inserisca nel contesto generale di attacco al mondo del lavoro, ai lavoratori ed alle lavoratrici, anche la parte relativa al reclutamento degli insegnanti, per i quali si esplicita ormai il progetto della chiamata diretta.
La questione del reclutamento degli insegnanti e della loro relativa formazione appare troppo complessa per essere affrontata e risolta con lo strumento della legge delega, che prevede, tra l'altro, una modificazione del sistema e che, per di più, rimanda a successivi decreti delegati la definizione articolata del sistema stesso.
Non condividiamo la presenza nel testo della legge di elementi che prefigurano un'indebita interferenza in materie riservate alla contrattazione tra le parti, come avviene, invece, nell'articolo 5. Sappiamo, infatti, che dietro l'apparente neutralità di termini quali «valorizzazione professionale» si celano ipotesi di stratificazione degli insegnanti, con interventi sullo stato giuridico e sulla retribuzione: questioni, per l'appunto, non disponibili per il legislatore.
La legge finanziaria per il 2003 e gli interventi legislativi di questo Governo hanno dimostrato tutta l'intenzione di proseguire nella politica di disinvestimento e di dequalificazione della scuola pubblica, inaugurata da questa maggioranza fin dal suo insediamento e perseguita con determinazione degna di miglior causa. Lo stesso si può dire per quanto sta accadendo sul terreno del rinnovo contrattuale del comparto scuola, dove si sconta l'assoluta inadeguatezza degli stanziamenti economici rispetto alle richieste di equiparazione dei livelli retributivi degli insegnanti italiani a quelli europei avanzate da tutte le organizzazioni sindacali del settore.
Riteniamo, quindi, sbagliato introdurre nella delega elementi di questo tipo e, allo stesso tempo, ribadiamo che il Governo avrebbe tutti gli strumenti per intervenire sul piano economico, anche se dubitiamo fortemente che il suo vero interesse sia quello di «valorizzare la professionalità» dei docenti.
Il personale docente e non docente della scuola attende da tempo ben altre riforme: soprattutto, quella di un riconoscimento anche sul piano economico del loro ruolo sociale e culturale; riconoscimento che non può più essere procrastinato nel tempo e che preveda certezza delle norme e rispetto dei diritti acquisiti. Pensiamo, infatti, anche alla politica condotta rispetto ai precari storici della scuola. Non aiuta certo il continuo intervento teso a sconvolgere i criteri e le modalità di formazione e di reclutamento dei docenti, le quali determinano, invece, incertezza, insicurezza e preoccupazione.
Nel tempo, la scuola, come spazio educativo e formativo, si è modificata: dall'obiettivo minimalista di insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto, è diventata territorio di pluralismo, luogo della conoscenza intesa come sviluppo delle capacità di accedere agli strumenti al fine di ampliare, di approfondire, di affinare le capacità, di costruire abilità e competenze, di accrescere i saperi.
La scuola italiana, con le sue energie, è riuscita a progredire sul piano qualitativo ed a rendere pratica quotidiana i valori ed i principi dettati dalla Carta costituzionale. Solo quando le riforme hanno valorizzato le spinte positive al cambiamento che venivano dalla società si sono avuti risultati positivi che hanno lasciato tracce persistenti. È accaduto negli anni sessanta con la riforma della scuola media unica, che ha accompagnato la crescita culturale e sociale del paese; nel 1974, con la legge degli organi collegiali, che ha avviato una straordinaria stagione di partecipazione democratica; pochi anni dopo, veniva stabilito il diritto dei disabili ad essere integrati nella scuola e non sono assistiti; nel 1990, infine, la riforma della scuola elementare. Tappe fondamentali, quelle appena elencate, di un processo di crescita che, con questo disegno di legge delega, come con tutti gli altri provvedimenti varati dal Governo, si vuole definitivamente arrestare per riportare la scuola italiana indietro di quarant'anni!
Noi pensiamo, invece, che questa scuola vada difesa ed ulteriormente migliorata, che essa debba diventare, ancora di più, la scuola dei saperi, la scuola che permetta a tutti ed a tutte di potere, anche autonomamente e singolarmente, continuare ad espandere, ad affinare e ad arricchire le proprie conoscenze, una scuola che si proponga l'innalzamento del livello generale di istruzione, il luogo in cui ci si riconosce uguali e differenti, plurali e singoli, liberi nella possibilità di toccare saperi diversi e di integrarli criticamente, per una società più ricca dal punto di vista culturale e più democratica.
In questo senso, riteniamo sia necessario che la scuola resti il luogo dell'incontro e della considerazione, su basi paritarie, con il riconoscimento delle diversità e delle differenze tra singoli, dei soggetti fra loro altri. Se le differenze diventano motivo di discriminazioni e si affermano e si esplicano già dalla programmazione scolastica, come voi prevedete, è certo che non inviteremo i giovani e le giovani a considerarsi, essi stessi, soggetti portatori di diritti inalienabili.
La declinazione...
La declinazione delle finalità che si intendono perseguire attraverso un intervento legislativo organico e complessivo sul sistema scolastico non può che partire, a nostro giudizio, dalla riaffermazione della funzione istituzionale che la Costituzione assegna alla scuola. Pensiamo che sia sbagliato ipotizzare un sistema che si preoccupa unicamente di offrire pari opportunità ai giovani e che non si ponga programmaticamente l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che impediscono, soprattutto a chi proviene dagli strati sociali più deprivati, di raggiungere i più alti livelli di istruzione.
Ci sembra importante sottolineare la necessità della valorizzazione delle persone e del rispetto delle differenze e delle identità di ciascuno. È un richiamo forte ai principi costituzionali, quello che noi lanciamo al Parlamento, di cui la scuola pubblica italiana degli ultimi quarant'anni è diventato luogo di pratica concreta e principale punto di garanzia.
Pensiamo che il presupposto indispensabile anche per l'inserimento nel mondo del lavoro sia il raggiungimento di adeguati, alti, livelli culturali; con le proposte emendative presentate lo abbiamo voluto sottolineare. L'idea che noi sosteniamo è quella dell'estensione dell'obbligo scolastico fino al diciottesimo anno di età e della conclusione del ciclo secondario, come già oggi avviene, ordinariamente il diciannovesimo anno di età, ben sapendo, ovviamente, che perché questo obiettivo sia realizzabile si rendono necessari adeguati interventi di sostegno all'effettivo esercizio del diritto all'istruzione, anche sul piano economico e delle riforme sociali. Vogliamo affermare il carattere unitario del ciclo secondario, contro l'ipotesi di separazione dei percorsi scolastici in due distinti e separati percorsi: quello dell'istruzione e quello della formazione. Per questo proponiamo di raggruppare sotto una denominazione unica tutti gli istituti, evitando, anche nelle formulazioni linguistiche, l'odiosa discriminazione tra tipologie di istituti ai quali corrispondono, inevitabilmente, destini sociali differenziati.
Prevediamo la definizione di un sistema nazionale di educazione e di istruzione per affermare una concezione del sistema scolastico nazionale diversa e contrapposta rispetto al vostro disegno di legge. (...)
Pensiamo che la scuola debba avere un carattere fortemente unitario. Gli aspetti principali della nostra proposta sono chiari; li presenteremo domani nel corso del dibattito parlamentare attraverso i nostri emendamenti. Il carattere nazionale del sistema scolastico; l'inserimento a pieno titolo del segmento educativo costituito dalla scuola dell'infanzia nel sistema nazionale (un punto per noi assolutamente irrinunciabile). L'eliminazione di ogni ambiguità nel rapporto tra istituzione e formazione. Pensiamo che non possa esserci vera preparazione al lavoro senza una adeguata formazione sia culturale sia tecnico professionale. L'inserimento degli asili nido nel sistema di istruzione nazionale, l'introduzione della seconda lingua già dalle elementari, oltre quella madre, l'introduzione della seconda lingua comunitaria nelle medie. Questo è il nostro progetto alternativo alla vostra brutta riforma, che scrive un modello di società attraverso un modello di scuola. È evidente che il disegno di legge delega - e concludo - in materia di istruzione esprime chiaramente il progetto di questa maggioranza per quanto concerne il ruolo di uno dei settori più strategici per lo sviluppo sociale, economico e culturale e civile del nostro paese: la scuola, la scuola pubblica. Di fronte a questa politica di impoverimento, Rifondazione comunista ribadisce il valore di una scuola finalizzata al massimo sviluppo della persona, all'affermazione del valore universale del concetto di diritto allo studio, affinché sia garantito a tutti e a tutte l'accesso al sapere nei suoi punti più alti e per tutto l'arco della vita. Su questo terreno noi crediamo che voi possiate essere battuti, nella società, nel mondo della scuola. E crediamo che potrete essere battuti attraverso un percorso di riforma democratica dal basso che vogliamo contribuire a costruire nel paese con la partecipazione diretta di studenti ed insegnanti. È una sfida che lanciamo a questo vostro brutto progetto di società, a questo vostro orrendo progetto di scuola. È un impegno che ci assumiamo per il paese.

LETIZIA MORATTI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Signor Presidente, gentili onorevoli, vorrei, in primo luogo, rivolgere un ringraziamento alla VII Commissione, che ha preparato con competenza e grande serietà i lavori per l'Assemblea, nonché a tutti i deputati che sono intervenuti in questo dibattito, in maniera particolare alle relatrici di maggioranza e di minoranza, onorevoli Angela Napoli e Titti De Simone.
Le questioni che sono fin qui emerse, grazie a tutti gli interventi, mi consentono di richiamare le ragioni di fondo che ci hanno portato al disegno di legge di riforma che oggi discutiamo, dopo un approfondito esame anche al Senato. Al di là delle divergenze e delle diverse opinioni dettate da un confronto di tipo politico, mi auguro che il Parlamento ed il paese possano riconoscersi nei principi, nei valori di fondo che ispirano questo disegno di legge. Vorrei ricordarlo anche perché il suddetto provvedimento si richiama fortemente al lavoro parlamentare lungo ed al dibattito molto ampio che vi è stato nella scorsa legislatura, in maniera particolare anche con riferimento ai principi contenuti nella legge n. 30 del 2000.
In questo senso vorrei rassicurare l'onorevole Titti De Simone: possiamo avere visioni diverse sui mezzi e sugli strumenti per realizzare la riforma del sistema scolastico, ma credo che possiamo riconoscerci nelle finalità generali del sistema, quelle che lei stessa ha definito, facendo riferimento al valore di una scuola finalizzata al massimo sviluppo della persona, all'affermazione del valore universale del concetto di diritto allo studio, affinché sia garantito a tutti e a tutte l'accesso al sapere nei suoi punti più alti e per tutto l'arco della vita.
Credo ci si possa anche naturalmente riconoscere nell'importante obiettivo dell'integrazione europea che l'onorevole Angela Napoli, relatrice per la maggioranza, ha sviluppato ampiamente, in modo particolare arricchendo il dibattito di quegli elementi di comparazione tra i diversi sistemi europei, richiamandoci anche al rispetto di un confronto dialettico che, anche in sede europea, sta avvenendo.
Credo che, in merito a tale aspetto, ciascun paese naturalmente potrà e dovrà mantenere la propria identità culturale e nazionale, ma non si potrà rinunciare ad individuare strategie di convergenza sull'efficacia e sugli esiti dei percorsi di istruzione e formazione e ciò non solo per garantire effettivamente una reale mobilità professionale all'interno della nuova Europa, ma soprattutto perché, senza una nuova cultura europea, sarà molto difficile costruire l'Europa politica.
Le scelte contenute nel disegno di legge hanno tenuto conto di questi scenari, sempre però partendo dalla tradizione culturale e pedagogica, dalle nostre radici classiche, cristiane e umanistiche che pongono al centro del sistema scolastico la persona umana e ci portano a riaffermare l'importanza del patto educativo con le famiglie.
Sul piano organizzativo ed ordinamentale, abbiamo dovuto declinare questi principi con vincoli conseguenti alle modifiche costituzionali introdotte dalla legge n. 3 del 2001. Questa legge ha, infatti, modificato sostanzialmente la natura e la struttura delle decisioni legislative dello Stato che, d'ora in avanti, dovrà stabilire esclusivamente i principi generali e le norme fondamentali del sistema ai quali si dovranno necessariamente ispirare le legislazioni delle autonomie locali.
È per tali motivi che abbiamo quindi incluso i livelli essenziali di prestazione del sistema di istruzione e formazione professionale e così facendo abbiamo inteso assicurare, sia pure in un sistema diverso, in un sistema pluralistico di decisioni, l'unitarietà e la pari dignità degli standard e degli obiettivi di tutti i percorsi del sistema formativo a garanzia di tutti i cittadini.
La complessità del nuovo quadro istituzionale ci ha portato a fare ricorso allo strumento della legge delega per garantire successivamente, nella fase di decretazione delegata, il massimo coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti in materia. Ricordo peraltro che lo strumento della legge delega è stato ampiamente utilizzato negli interventi di riforma scolastica fin dagli anni settanta e più recentemente anche nella scorsa legislatura.
La legge delega per noi è allo stesso tempo una norma di principio ed uno strumento efficiente per accompagnare le tappe del processo di attuazione che dovranno essere graduali, flessibili e sottoposte ad una sistematica valutazione dei risultati, come peraltro da molti di voi è stato richiesto.
Vorrei rispondere anche agli onorevoli che sono intervenuti circa la compatibilità delle scelte contenute in questo disegno di legge di riforma con quelle della devoluzione avanzate recentemente dal Governo. Ribadisco nuovamente che non c'è contraddizione tra questa legge di riforma e le modifiche costituzionali in esame al Parlamento: si tratta di due livelli diversi di intervento legislativi, il primo di tipo ordinamentale, ovvero la legge delega al nostro esame, l'altro istituzionale.
Tornando al tema dei principi generali, vorrei soffermarmi su un'altra scelta caratterizzante la proposta di legge in discussione e che ha anche animato il dibattito sia al Senato sia qui alla Camera, vale a dire il diritto-dovere all'istruzione ed alla formazione che ha sostituito sul piano formale il concetto di obbligo scolastico e formativo. Innanzitutto, vorrei chiarire che non vi è nessuna riduzione di obbligo scolastico se riferito al diritto-dovere di frequenza di corsi di istruzione o formazione professionale. Il disegno di legge, al contrario, pone tra gli obiettivi prioritari del sistema il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o sino al conseguimento di una qualifica. Per questo motivo, questo nuovo concetto comprende e ridefinisce quello dell'obbligo scolastico e formativo, che peraltro si è rivelato inefficace nel raggiungere lo scopo di eliminare la dispersione scolastica - grave problema che molti di voi, quasi tutti, hanno richiamato -, l'abbandono e l'insuccesso scolastico, che ancora oggi nel nostro paese sono presenti a livelli assolutamente intollerabili.
D'altra parte, nel nostro paese la mancanza di un'alternativa valida al sistema dei licei, alternativa che negli altri paesi d'Europa è presente, ha privato e continua a privare troppi giovani delle opportunità formative che possano valorizzare le loro inclinazioni, le loro attitudini, le loro vocazioni, le loro capacità, consentendo loro di realizzarsi come persona e come cittadino ed inserirsi nel mondo del lavoro e delle professioni con un adeguato bagaglio di competenza certificato.
Noi vogliamo lasciarci alle spalle la cultura dell'obbligo come funzione coercitiva dello Stato per affermare una nuova cultura in cui istruzione e formazione sono considerati i nuovi diritti-doveri di cittadinanza e nel contempo vi è il dovere delle istituzioni nel garantire ai cittadini l'esercizio di tali diritti.
In questo senso l'opportunità di iscriversi al sistema dell'istruzione e formazione professionale al termine del primo ciclo non esclude, anzi valorizza, la necessità di conciliare il percorso professionalizzante con la conquista dei saperi di base e di cittadinanza, importantissimi, così che coloro che si qualificano in questo percorso possano affrontare anche i livelli più alti di istruzione e formazione superiore e universitaria.
E al tavolo della Conferenza Stato-regioni lavoreremo insieme perché per questi percorsi si raggiunga l'effettiva pari dignità dei tre sistemi pubblici, quello nazionale, quello statale e quello regionale, attraverso alcuni strumenti che già abbiamo delineato nel disegno di legge delega. Li ricordo: la circolarità tra istruzione e formazione professionale; il profilo in uscita unitario; l'innalzamento dei livelli qualitativi dell'istruzione e della formazione professionale; la garanzia, per entrambi i sistemi, di esiti superiori, professionali e accademici; il potenziamento della formazione tecnica superiore; infine, la valorizzazione della formazione lungo tutto l'arco della vita.
Si è discusso molto nel dibattito anche di un'altra innovazione nel secondo ciclo: l'introduzione dell'alternanza scuola-lavoro. Ai deputati che hanno manifestato perplessità su questo punto della legge, vorrei ribadire che si tratta di una modalità di apprendimento già presente peraltro in moltissimi altri paesi dell'Unione europea, modalità che prevede, all'interno di percorsi scolastici e formativi, lo svolgimento di stage nel mondo produttivo e del lavoro e nel campo del sociale, inseriti coerentemente nei piani di studio personalizzati dei ragazzi e valutati dalle istituzioni scolastiche e formative frequentate.
D'altra parte, penso che la rigida scansione temporale della vita, secondo cui ad un periodo di formazione iniziale ne segue uno lavorativo, sia una separazione che vada superata e sostituita da un continuo processo circolare interattivo dei due momenti. Questo è anche il concetto della formazione durante tutto l'arco della vita, il lifelong learning. In tal senso, quindi, l'alternanza scuola-lavoro e il lifelong learning sono risposte complementari ad un'unica esigenza.
Riteniamo che l'attuale netta separazione tra scuola e lavoro non prepari i ragazzi al loro futuro, perché non consente loro di sperimentare attraverso periodi di stage le loro inclinazioni, le loro vocazioni, le loro attitudini, per essere meglio preparati nel momento in cui saranno chiamati a fare una scelta rispetto all'ingresso nel mondo del lavoro. L'obiettivo che vogliamo perseguire con queste misure, quindi, è quello di favorire la realizzazione di tutti i ragazzi, nessuno escluso, attraverso una molteplicità di luoghi, di modi e di soggetti formativi, certificati nel portfolio delle competenze di ciascuno dei ragazzi.
Con riferimento a questa pluralità di percorsi del secondo ciclo, vorrei ricordare all'Assemblea che nel passaggio al Senato abbiamo accolto la proposta delle forze di opposizione di mantenere anche l'integrazione tra i due sistemi, quello dell'istruzione e quello della formazione professionale. Riteniamo che ciò riduca la distanza tra la visione contenuta nella legge di un secondo ciclo fortemente diversificato ancorché unitario e quella delle forze di opposizione che puntano invece all'integrazione dei percorsi. Ma io credo che la migliore garanzia di unitarietà, e quindi di integrazione dei due sistemi, resti comunque il fatto che questa legge mira a definire la qualità, le garanzie, i diritti, i doveri nazionali e universali in materia di istruzione e formazione che dovranno essere rispettati in ogni sede deputata alla funzione educativa delle giovani generazioni.
Questi standard saranno il legame che potrà assicurare una continua comunicazione tra le varie parti del sistema stesso. Con tali strumenti di regolazione, assieme al nuovo sistema di valutazione nazionale, noi pensiamo di poter meglio garantire da una parte il pluralismo, la diversificazione, la flessibilità e, dall'altra, l'integrazione, l'unità e la qualità dei percorsi.
Ritornando ora al dibattito, molti deputati si sono soffermati sugli elementi di flessibilità strutturale introdotti dalla legge, con particolare attenzione all'età di ingresso e di uscita dal sistema. Intendo riconfermare, anche in questa sede, che la facoltà di anticipare l'ingresso nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria è un'opportunità offerta a sostegno delle famiglie che decideranno liberamente se utilizzarla in accordo con le istituzioni scolastiche. E non abbiamo mai sottovalutato, peraltro - su ciò voglio rassicurare l'Assemblea -, la delicatezza dei problemi connessi all'anticipo, specie nella scuola dell'infanzia, e la complessità della sua realizzazione.
A questo riguardo, voglio richiamare l'attenzione sul fatto che, recependo le indicazioni dell'ANCI e del Senato, il disegno di legge ha previsto che il processo di attuazione dell'anticipo previsto in questo ordine di scuola sia graduale e subordinato ad alcune precise condizioni: l'intesa con gli enti locali, l'adeguatezza delle strutture, la scelta delle famiglie, il consenso degli organi decisionali delle istituzioni scolastiche e la presenza di figure specializzate.
La realizzazione di questa innovazione, come, peraltro, l'attuazione di tutte le altre previste dal disegno di legge, sarà soggetta ad un monitoraggio specifico in base al quale verranno assunte le successive decisioni.
Il sistema educativo definito dal disegno di legge è, d'altra parte, caratterizzato dalla flessibilità dei percorsi. Sono certa che le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia didattica ed organizzativa, in raccordo con gli studenti, con le famiglie e con il territorio, sapranno utilizzare al meglio tutti gli strumenti e tutte le opportunità formative che il disegno di legge prevede.
Se un sistema educativo fortemente accentrato richiede docenti che siano esecutori di procedure amministrative prestabilite, certamente il sistema educativo prospettato dal disegno di legge, per le sue caratteristiche di flessibilità e di personalizzazione, esalta la figura del docente quale professionista dell'insegnamento. Siamo assolutamente consapevoli che non esiste una scuola di qualità senza insegnanti di qualità.
Il dibattito alla Camera si è particolarmente distinto per le osservazioni e le proposte sul tema della formazione, sia della formazione iniziale sia della formazione continua degli insegnanti. Con questa consapevolezza, il disegno di riforma prevede nuovi percorsi di formazione iniziale, coerenti con il nuovo ordinamento universitario, e percorsi di formazione in servizio, finalizzati ai nuovi compiti ed alle nuove figure di docente previste dalla riforma.
La formazione specialistica del docente direttamente abilitante e l'attività di tirocinio riteniamo siano efficaci strumenti di qualificazione del personale docente che includeranno, anche per tutti gli insegnanti, moduli formativi sulle varie tipologie di disturbi di apprendimento, considerato anche l'estendersi di questo fenomeno.
Il disegno di legge, nel prospettare i docenti di domani, non trascura chi, già oggi, sta operando nella scuola. In questo senso, voglio rassicurare gli onorevoli deputati che, nella fase di attuazione della legge, verranno considerate con estrema attenzione tutte le sollecitazioni pervenuteci dalla VII Commissione e, ora, da numerosi ordini del giorno. Sono previsti, infatti, itinerari di riqualificazione professionale tra vecchi e nuovi percorsi abilitanti.
In tale contesto, una specifica attenzione sarà riservata ai docenti di sostegno, perché essi svolgono un ruolo particolarmente delicato all'interno della scuola e perché, più di ogni altra categoria di insegnanti, sono stati oggetto di numerose modifiche legislative.
Sono altrettanto degne di considerazione e di accoglimento le proposte relative alla formazione degli insegnanti finalizzate al recupero di particolari difficoltà di apprendimento, su cui molti deputati hanno richiesto il nostro intervento. Il percorso formativo dei futuri docenti dovrà riservare uno spazio adeguato a queste problematiche, in modo da contribuire a realizzare una scuola dove l'accoglienza, la disponibilità degli adulti, la capacità di ascolto e la capacità di guida dei docenti stessi siano coniugate con l'efficacia degli apprendimenti e dove i risultati siano adeguati alle capacità degli allievi ed alle aspettative dei genitori, alle sfide del mondo, alle sfide della vita.
Intendo rassicurare tutti i deputati circa l'attenzione che il disegno di legge riserva alle fasi transitorie di formazione, reclutamento, organizzazione e gestione del personale docente. Quest'attenzione, naturalmente dovuta per le situazioni contingenti, non ci può far trascurare l'importanza di un tema posto con particolare importanza dalla relatrice, onorevole Angela Napoli: la riformulazione dello stato giuridico dei docenti.
Anche in questo il confronto con l'Europa, dove da anni si dibattono i problemi di una nuova professionalità docente, ci stimola ad aprire una discussione a tutto campo, a prendere l'iniziativa con il contributo delle associazioni, dei sindacati, delle università, del mondo del lavoro e naturalmente del Parlamento. Onorevoli deputati, io credo che l'approvazione di questo disegno di legge apra per il modo della scuola, per il paese, una sfida, una sfida di lungo respiro, cui ciascuno, per il ruolo ed i doveri che competono, dovrà rispondere. La scuola di oggi è inadeguata alle sfide della società, alle sfide di un mondo - già è stato già ricordato da molti onorevoli - che cambia a ritmi vertiginosi.
Pensiamo ai cambiamenti istituzionali, dalla costruzione politica della nuova Europa al suo allargamento, pensiamo ai grandi problemi sociali, dalla multiculturalità ai grandi cambiamenti climatici, pensiamo agli scenari di una economia che è alla ricerca di nuovi modelli organizzativi per essere più competitiva, pensiamo alle sfide poste dalla scienza, poste dall'innovazione tecnologica.
Questo mondo richiede una scuola diversa, una scuola capace di dare ai ragazzi l'idea di sé, che si costruisce solo radicando il presente nella comprensione della propria storia; una scuola capace di motivare i giovani, troppo spesso demotivati e disinteressati rispetto alla scuola stessa; una scuola capace di insegnare ai giovani a ragionare, a liberare la loro creatività, una scuola capace di crescere persone libere e responsabili che sappiano realizzarsi come uomini e donne, come cittadini pronti a dare il proprio contributo alla costruzione di una società che possa creare maggior benessere economico e sociale, ma anche una società più equa e più solidale.
Questa è la scuola che vogliamo costruire e lo faremo con tutte le forze del paese che condividono questi obiettivi.


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