CAMERA DEI DEPUTATI
COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE
Resoconto stenografico
Seduta di martedì 1° ottobre 2002
Audizione del ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca, Letizia Moratti, sugli orientamenti
del Governo in materia di istruzione, università e ricerca
(...) Anche per me l'audizione odierna costituisce un'occasione preziosa
per fare il punto sulle iniziative che sono all'esame del Parlamento
e, più in generale, sul primo anno di attività del Governo. Intendo
riferire sulle quattro aree sulle quali il ministero ha competenza: la
scuola, l'università, l'alta formazione, la ricerca.
Per quanto riguarda la scuola, vorrei sottolineare che sia lo scorso
anno sia quest'anno abbiamo assicurato la regolarità dell'inizio
delle lezioni e dell'avvio dell'anno scolastico, prevedendo la
presenza nella classe dei docenti che devono poter accompagnare i
ragazzi per tutto l'anno scolastico fin dall'inizio, sia insegnanti di
ruolo sia supplenti. Lo scorso anno, come sapete, l'obiettivo era
spostato in attuazione del decreto-legge n. 255 del 3 luglio 2001,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 333 del 20 agosto 2001,
che ha consentito l'avvio regolare delle lezioni. Quest'anno le
operazioni di avvio dell'anno scolastico sono state completate in nove
regioni entro il 31 luglio ed in tutte le altre regioni entro il 31
agosto; solo a Roma le operazioni di avvio dell'anno scolastico sono
terminate il 10 settembre. Le lezioni sono state assicurate agli
studenti in modo regolare fin dall'inizio e quest'anno le supplenze
sono state complessivamente 90 mila.
Un punto delicato è rappresentato dal sostegno agli alunni portatori
di handicap, assicurato anche con i posti in deroga: risultano in
servizio 74 mila docenti, di cui 43 mila di ruolo, per 140 mila
alunni. Abbiamo realizzato questo obiettivo nonostante alcune sentenze
dei tribunali amministrativi regionali avrebbero potuto comportare
qualche problema; tra l'altro, esse confliggevano l'una con l'altra.
Alcuni soggetti aventi diritto chiedevano un trattamento nelle
graduatorie permanenti ed altri chiedevano l'opposto. Per la
delicatezza e la complessità della materia abbiamo preferito
riferirci al Consiglio di Stato, che ci fornirà le linee alle quali
ci atterremo.
Riguardo alle operazioni di nomina e alle difficoltà a ricoprire i
posti previsti a causa del problema degli aventi diritto e del
sostegno ai soggetti portatori di handicap che necessitano di
personale specializzato, voglio ringraziare la Commissione perché ha
sostenuto l'azione del ministero rispetto alla qualificazione del
personale, anche con la risoluzione approvata il 17 luglio scorso:
questa indicazione è stata recepita nell'articolo 5 del disegno di
legge che è in discussione presso la Commissione cultura del Senato.
Il Dipartimento dell'università sta predisponendo l'ammissione in
sovrannumero degli insegnanti di sostegno privi di abilitazione in
modo che possano frequentare le scuole di specializzazione
all'insegnamento secondario, al fine di favorire in tempi brevissimi
l'immissione in ruolo di personale qualificato: si tratta di un punto
che la Commissione aveva sollevato e da noi ritenuto estremamente
qualificante. Nel ringraziarvi di ciò, vorrei fornirvi
l'assicurazione che ho appena esplicitato.
Un'altra criticità ha riguardato la copertura dei posti vacanti dei
dirigenti scolastici. Per i presidi incaricati abbiamo superato tutte
le difficoltà che hanno determinato il ritardo nelle procedure
concorsuali ed il concorso verrà presentato durante il prossimo
Consiglio dei ministri che si terrà, credo, alla fine della
settimana. Mi corre l'obbligo di compiere una riflessione anche sulla
conclusione delle operazioni di inizio anno, perché questo ci ha dato
modo di ricostruire e considerare le consistenze effettive degli
organici del personale e il loro utilizzo nell'insegnamento o in
compiti diversi. Abbiamo dovuto constatare, purtroppo, l'esistenza di
un numero molto elevato di docenti che, a diverso titolo, sono adibiti
a funzioni diverse da quella dell'insegnamento (oltre 18 mila).
Abbiamo iniziato a razionalizzare questo elevato numero di docenti al
fine di farli confluire, laddove ovviamente possibile e con tutte le
garanzie che devono essere fornite in questo senso ai docenti e agli
studenti (ad esempio sulla corrispondenza delle qualifiche), in modo
tale da poter «asciugare» questo numero di docenti che non è
destinato alla funzione primaria dell'insegnamento. Avendo completato
l'opera di ricognizione su una materia così importante e solo dopo
averlo fatto, avendo stabilito il modo in cui far fronte ad una
riorganizzazione più efficace, abbiamo richiesto le immissioni in
ruolo. Abbiamo, dunque, provveduto anche quest'anno a richiedere le
immissioni in ruolo, che abbiamo quantificato dopo aver esaminato il
modo migliore di utilizzare anche il personale che in questo momento
non è dedicato alla funzione docente.
Un altro punto significativo a cui prestare attenzione è quello del
rinnovo contrattuale.
Fin dall'inizio di quest'anno abbiamo avviato, con i sindacati, un
intenso confronto in materia, a seguito del quale si sono delineati
dei principi condivisi dalla totalità dei sindacati medesimi. In
relazione a ciò, il Dipartimento della funzione pubblica, unitamente
al Ministero dell'economia e delle finanze - è notizia di queste ore
- ha emanato l'atto di indirizzo da inviare all'ARAN. Possono dunque
avere inizio le trattative contrattuali. L'atto di indirizzo prevede
la contrattazione relativa al quadriennio 2002-2005 ed al biennio
economico 2002-2003, e contiene aspetti molto qualificanti:
dall'articolazione differenziata tra funzione docente e quella
relativa al personale ATA, sino a percorsi di valorizzazione del
personale legati anche a dinamiche retributive.
Ricordo che è all'esame del Parlamento la legge di delega sulla
definizione delle norme generali dell'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni, in materia di istruzione e formazione
professionale. Il testo, che contiene la strategia di più ampio
respiro del Governo in materia di istruzione, una volta approvato
consentirà di proseguire nella costruzione di una scuola sempre più
moderna ed europea, maggiormente rispondente alle diverse esigenze e
vocazioni personali degli alunni e delle famiglie. Sottolineo che il
suddetto provvedimento corrisponde pure al nuovo assetto
costituzionale dello Stato, con una valorizzazione dei diversi
protagonisti che compongono la Repubblica, con particolare riferimento
agli enti regionali.
Abbiamo deciso di accompagnare il disegno di legge richiamato con una
sperimentazione nazionale, già avviata, relativa alla scuola
dell'infanzia e al primo anno di quella primaria. Il campo di
riferimento è didattico-pedagogico nonché organizzativo; ma tale
iniziativa è diretta anche a verificare un altro punto contenuto
nella riforma: mi riferisco all'iscrizione anticipata dei bambini sia
alla scuola dell'infanzia sia a quella primaria.
Le motivazioni che ci hanno portato a volere la sperimentazione
risiedono nell'esigenza di verificare - con l'apporto costruttivo
delle scuole - quali siano i modi migliori per articolare
l'organizzazione scolastica, al fine di superare anche quei punti di
criticità già evidenziati, in particolare, dal Consiglio nazionale
della pubblica istruzione. Nella sperimentazione sono coinvolte circa
duecentocinquanta scuole, in tutte le regioni. Essendo il numero di
scuole interessate molto superiore a quello degli istituti per cui
prospettammo inizialmente la possibilità di sperimentazione, abbiamo
proceduto individuando le condizioni di fattibilità, quindi la
disponibilità di strutture sia logistiche sia di personale, nonché
finanziarie, attenendoci - per quanto riguarda in particolare la
scuola dell'infanzia -, ai criteri suggeritici dall'ANCI. Con essa,
infatti, si è provveduto ad istituire un tavolo permanente di
consultazione, proprio perché gli aspetti relativi all'area di
competenza comunale sono fondamentali, soprattutto per le scelte
inerenti alla scuola dell'infanzia.
Sempre riguardo alla sperimentazione, i piani regionali - della cui
formalizzazione sono stati incaricati i direttori regionali -
risultano in fase di attuazione.
In ordine alle risorse finanziarie, preciso che esse sono già
disponibili nei fondi istituiti ai sensi della legge n. 440 del 1997,
per quella parte riservata - nell'ambito del 10 per cento delle
disponibilità del fondo stesso -, alle iniziative regionali di
innovazione didattica e di progetto.
Preciso, inoltre, che non ci sarà nessun taglio di organico per
quanto riguarda la sperimentazione: al contrario, in questo campo
stiamo investendo molto anche per quanto riguarda la formazione dei
docenti. Voglio ricordare che l'anno scorso siamo partiti con un piano
di formazione alquanto rilevante: per la prima volta si è fatto
ricorso al sistema dell'e-learning e sono stati previsti anche dei
moduli di presenza. Si è trattato del piano più ampio mai realizzato
in Europa nel campo specifico della formazione dei docenti. Preciso,
altresì, che all'INDIRE è spettata la formazione di tutti i 65 mila
docenti immessi in ruolo l'anno precedente. Si è trattato di un
processo ritenuto estremamente positivo: anche quest'anno partiremo
pertanto con un'iniziativa analoga, che coinvolgerà di nuovo una
percentuale significativa di insegnanti.
Per quanto riguarda il relativo piano di formazione, il percorso si
articolerà su tutto l'anno scolastico e verterà su contenuti
specifici: tra l'altro, sono previste anche due settimane di full
immersion in università europee, per la parte relativa
all'insegnamento della lingua inglese, elemento integrante del
progetto di sperimentazione.
Sempre nell'ambito dei progetti richiamati, si colloca un'altra
importante iniziativa relativa ai protocolli di intesa con le regioni:
ne abbiamo firmati con le regioni Lombardia, Piemonte, Lazio, Molise e
Puglia. Sotto la responsabilità della scuola, e quindi del settore
istruzione, i menzionati progetti sono volti essenzialmente a
sperimentare dei percorsi alternativi di formazione professionale, in
modo tale da dare attuazione a quest'importante parte della riforma
che ritiene, appunto, necessario rafforzare il canale formativo, al
fine di garantire a questo dignità pari a quello dell'istruzione.
Ripeto, per sgombrare il campo da ogni dubbio, l'opportunità di
sperimentare la formazione professionale per l'assolvimento
dell'obbligo scolastico sarà garantita, ma ciò avverrà sotto la
responsabilità del settore istruzione.
Riteniamo che questo ci consentirà, tra l'altro, anche di ovviare ad
un nostro grande problema relativo a quei 3 milioni di studenti in
Italia - ragazzi dai 15 ai 18 anni di età -, dei quali 500 mila non
arrivano ad ottenere né un diploma né una qualifica professionale.
Un percorso alternativo in più rispetto a quelli attuali, potrà
offrire nuove opportunità a ragazzi attualmente al di fuori del
circuito di istruzione e formazione.
Da ultimo vorrei affrontare due aspetti a mio parere essenziali. Siamo
partiti con un progetto pilota per la valutazione del servizio
scolastico che ha riguardato circa 2 mila scuole, autocandidatesi per
tale iniziativa. Due sono i tipi di valutazione adottati: la prima è
diretta a misurare la coerenza dell'offerta didattica rispetto al
piano di offerta formativa; la seconda è relativa ai livelli di
apprendimento, sulla base dei criteri stabiliti con le classifiche
internazionali (in particolare mi riferisco alla metodologia PISA).
Questa iniziale fase di sperimentazione della valutazione è stata
sicuramente molto positiva. Numerosissime sono le richieste
pervenuteci dagli istituti scolastici - non solo da parte degli
istituti che hanno partecipato al primo anno di sperimentazione -,
quindi proseguiremo tale iniziativa anche per l'anno corrente,
affinando un processo di autovalutazione che nasce dalla volontà
delle scuole: riteniamo che a ciò si accompagni la crescita
qualitativa complessiva del sistema.
Voglio soffermarmi ora, poiché è di precipuo interesse del
Parlamento, sul disegno di legge riguardante lo stato giuridico degli
insegnanti di religione, che ha terminato il proprio iter in
Commissione lavoro: molte osservazioni sono nate dall'apporto di tale
Commissione e dunque vorrei ringraziare chi ha contribuito alla
definizione di una problematica - che ha visto impegnato il Parlamento
per tanti anni - che ci auguriamo possa oggi risolversi rapidamente
con l'approvazione del provvedimento.
Spero, inoltre, che possa essere discussa ed approvata in tempi brevi
dall'Assemblea la riforma degli organi collegiali d'istituto, altro
tema importante che deve accompagnare il processo di riforma degli
ordinamenti; naturalmente, il Governo non tralascerà di sollecitare
la Presidenza della Camera affinché tale provvedimento possa essere
discusso.
Il Parlamento è inoltre chiamato ad esaminare il decreto-legge n. 212
del 25 settembre 2002, recante misure urgenti per la scuola,
l'università, la ricerca scientifica e tecnologica; esso, per quanto
riguarda la scuola, contiene solo alcuni punti che riguardano la
razionalizzazione del personale, alla quale facevo riferimento in
precedenza.
Mi vorrei, inoltre, soffermare brevemente sul disegno di legge
finanziaria, che comprende misure riguardanti la scuola profondamente
diverse da quelle che apparivano nei giorni scorsi, quando sembrava
che esso potesse contenere misure attinenti a problematiche didattiche
o contrattuali. Si tratta, e non poteva essere altrimenti, di pure
norme di riorganizzazione, che perseguono una linea già tracciata
dalla precedente legge finanziaria, proseguita con il decreto che ho
citato e con la nuova legge finanziaria; si tratta di norme
finalizzate a rendere più efficace e razionale l'investimento nella
scuola, peraltro prevedendo che i risparmi della razionalizzazione
siano investiti nella scuola stessa e quindi nella valorizzazione del
personale docente.
Vorrei ora affrontare la parte della mia relazione che riguarda
l'università, tracciando un bilancio del primo anno di lavoro. Il
Governo ha deciso di non bloccare la riforma che era stata varata dal
precedente Governo, la cosiddetta riforma del 3 più 2, che nasceva da
una volontà comune dell'Europa di definire i percorsi universitari su
due cicli. Si tratta di un iter voluto dai diversi paesi europei che
aveva trovato nelle varie dichiarazioni - citerò quella di Bologna,
considerata l'atto di nascita di questa suddivisione - un orientamento
comune in questa direzione. Negli altri paesi tale riforma è stata
portata avanti in maniera diversa rispetto all'Italia: si è proceduto
alla definizione del sistema universitario su due cicli, ma non si è
definito il settore con una formula rigida come quella adottata in
Italia, dove abbiamo stabilito 3 più 2 per tutte le fasi
universitarie. Negli altri paesi si è impiegata una flessibilità
molto maggiore, iniziando in forma sperimentale, mentre in Italia, al
contrario, tutti i settori sono stati trattati nello stesso modo,
agendo in maniera indifferenziata.
Quando abbiamo assunto la responsabilità del Governo, la riforma era
avviata al punto tale che non ci è sembrato opportuno fermarla;
peraltro, essa prevede la possibilità di aggiustamenti. Gli atenei
sono ormai pronti ad attuarla e gli studenti orientati a seguire nuovo
ordinamento, così abbiamo lasciato che tale processo venisse
completato. Durante il primo anno abbiamo assistito al pericoloso
fenomeno della proliferazione dei corsi di laurea (circa 2.900 corsi
di laurea di primo livello, quindi corsi triennali), purtroppo non
sempre rispondenti alle esigenze degli studenti ma, piuttosto, del
corpo docente. Oltre a ciò, si è verificata una mancanza di
chiarezza rispetto ai percorsi formativi e, cosa ancora più grave,
rispetto agli sbocchi professionali, una assenza di coerenza tra il
percorso e lo sbocco professionale successivo. Nonostante la legge
prescrivesse all'università un obbligo in tal senso, le consultazioni
che il mondo universitario aveva svolto con il mondo delle professioni
erano state solo formali, non sostanziali.
Abbiamo, dunque, attivato una serie di azioni per fornire una maggiore
chiarezza ed informazione agli studenti e per creare un collegamento
tra studenti e mondo produttivo, in modo tale che di ogni percorso
fosse chiaro lo sbocco. Abbiamo attivato una banca dati dell'offerta
formativa, che contiene tutti i corsi di studio universitari, lo
sbocco professionale e le attività didattiche, i servizi agli
studenti e l'entità delle risorse messe a disposizione dei singoli
atenei, in modo tale da rendere chiara l'offerta formativa, talmente
ampia da creare grandissima confusione agli studenti.
Abbiamo definito requisiti minimi che ogni corso di studio deve
possedere: stiamo studiando quest'anno, con il comitato nazionale di
valutazione universitaria, i requisiti qualitativi, e quindi credo che
verso la fine dell'anno saranno definiti i requisiti che stabiliscono
la qualità dei corsi anche se, naturalmente, è più difficile
fissare i requisiti qualitativi rispetto a quelli strutturali; i
criteri riguardanti i requisiti strutturali tengono conto delle aule,
del numero dei docenti e degli studenti, dei posti disponibili, delle
biblioteche e dei laboratori. Sulla base di questi requisiti minimi
abbiamo già bocciato 400 corsi di laurea, che non verranno
finanziati. Anche le università, autonomamente, hanno riesaminato la
propria offerta formativa e, assistite dai criteri che abbiamo
definito, hanno provveduto ad accorpare molte corsi di laurea,
fornendo sicuramente maggiore garanzia di qualità agli studenti
stessi. Alcuni corsi universitari non avevano studenti o docenti e
versavano in una situazione sinceramente non accettabile; in alcuni
casi, corsi erano state attivati per esigenze diverse rispetto a
quelle degli studenti.
Abbiamo provveduto a definire l'offerta annuale dell'offerta formativa
degli atenei, da sottoporre agli studenti prima dell'inizio
dell'università, in modo tale da poter consentire le preiscrizioni
universitarie con una maggiore informazione: abbiamo anche consentito
che l'iscrizione universitarie potesse avvenire in modo
informatizzato. Ciò costituisce un grande aiuto fornito agli
studenti.
Abbiamo definito una guida dell'università in sintonia con le
attività professionali, coinvolgendo le università e il consiglio
nazionale degli studenti; essa è in corso di stampa e sarà
presentata a breve, entro la fine di novembre, e distribuita
gratuitamente a tutte le scuole, in modo tale da fornire agli studenti
una guida certa rispetto all'offerta universitaria.
Siamo nella fase di avvio dei corsi di laurea specialistica, i primi
dei quali sono già stati attivati dalle università italiane. Quelli
attualmente istituiti ammontano a circa 800. In tal senso verifichiamo
un maggior rigore da parte delle università rispetto a quanto non era
avvenuto con le lauree triennali, l'anno scorso.
Altro punto importante è stata la costituzione di un gruppo di
lavoro, presieduto dal professor De Maio, ai fini di una riflessione
sull'organizzazione attuale dei percorsi di studio universitario, in
modo particolare di una rivisitazione del meccanismo del 3 più 2. Si
badi bene, i due cicli rimarranno, non essendovi alcuna volontà di
modificarli. Questa commissione sta invece studiando delle formule per
assicurare maggiore flessibilità al sistema, per quanto riguarda sia
il 3 più 2 appena menzionato, sia le classi di laurea, allo stato
molto numerose e quindi fonte di certa rigidità.
Allo studio della commissione è anche il sistema dei crediti, anche
questo piuttosto rigido, con l'intento di individuare la soluzione
più appropriata per rendere il sistema esistente più flessibile di
quello attuale (ciò sarebbe possibile mantenendo, in ipotesi, un 50
per cento dei crediti a vantaggio della formazione di base, sulle
discipline caratterizzanti, e l'altro 50 per cento a disposizione
dell'autonomia delle università). Si tratta, però, lo ripeto, di uno
studio ancora in corso, di cui ora anticipo soltanto le prime
riflessioni.
Analogamente questa commissione sta individuando linee e principi
relativi a stato giuridico e reclutamento dei docenti. Le ipotesi
vagliate prevedono un sistema di finanziamento degli atenei impostato
sulla preventiva definizione di linee guida da parte del Ministero,
nel cui rispetto ogni ateneo dovrebbe poi poter elaborare propri
programmi triennali scorrevoli, con riferimento ad offerta didattica,
ricerca, servizi agli studenti, risorse del personale e finanziarie
acquisibili, maggiore flessibilità nella programmazione. Le altre
ipotesi al vaglio della commissione sono relative allo stato giuridico
e al reclutamento del personale. In particolare, riguardano
l'introduzione del giudizio di idoneità scientifica nazionale ai fini
del reclutamento dei professori di prima e di seconda fascia, da parte
di commissioni nazionali giudicatrici, ivi incluse procedure per la
copertura - da parte delle università - di professori in possesso
dell'idoneità sulla base di contratti di durata non superiore a
cinque anni, rinnovabili per un altro quinquennio successivo per un
massimo di dieci anni, al cui termine il rapporto potrà trasformarsi
a tempo indeterminato oppure risolversi.
Si prevedono nuove modalità per la chiamata sui posti di prima e di
seconda fascia per gli studiosi stranieri o italiani impegnati
all'estero in attività didattiche e di ricerca, con contratti a tempo
indeterminato e determinato, su un contingente stabilito ogni tre
anni. È allo studio l'aspetto inerente a esecuzione di appositi
programmi di ricerca, definizione di specifiche procedure, stipula di
contratti di ricerca a tempo indeterminato con laureati o studiosi in
possesso di idonea qualificazione scientifica.
Altro punto essenziale riguarda la valutazione di compatibilità del
rapporto di lavoro dei professori universitari con l'attività
professionale e di consulenza esterna, nonché la direzione di
organismi pubblici e privati di ricerca. Infine, una questione di
rilievo riguarda la definizione del trattamento economico dei
professori sulla base dell'impegno universitario.
Queste sono riflessioni che la commissione sta facendo e che ci
trasmetterà: una volta esaminate, rielaborate, riviste, esse si
dovranno tradurre in un disegno di legge al fine di assicurare una
nuova disciplina alla materia esaminata.
Passando alla formazione artistica e musicale, ricordo che con legge
21 dicembre n. 508, del 1999, si è prevista la trasformazione delle
accademie e dei conservatori in istituti di alta formazione artistica,
musicale e coreutica.
Nella predisposizione del quadro generale di attuazione di questa
legge erano e sono previsti dei regolamenti governativi chiamati ad
intervenire in materia. Sono peraltro emersi alcuni punti di
criticità proprio nella fase attuativa. La prima questione di rilievo
è la mancanza di un raccordo con la formazione musicale e coreutica
di base. Vorrei ricordare che mentre le accademie di belle arti,
l'accademia di arte drammatica e l'ISIA sono già istituti di
formazione post-secondaria, i conservatori e l'accademia nazionale di
danza svolgono ancora oggi le funzioni di istituti di formazione di
base. Quindi, la trasformazione dei conservatori e dell'accademia
nazionale di danza in alta formazione avrebbe lasciato un vuoto
proprio nel settore della formazione di base. Pertanto, si è reso
necessario intervenire in proposito.
Il secondo punto di criticità è legato al valore dei titoli di
studio. La legge n. 508 ha collocato le istituzioni di alta formazione
a livello delle università. La normativa ha previsto però che il
valore dei titoli venisse riconosciuto a seguito di corsi integrativi,
da tenersi dopo la riforma degli ordinamenti degli studi.
Voglio ricordare, in merito, che la riforma degli ordinamenti delle
università ha richiesto, per essere introdotta in ciascun ateneo,
più di quattro anni. Si è creata perciò una sorta di vacatio
rispetto all'equipollenza dei titoli rilasciati dalle accademie e dai
conservatori nei confronti delle lauree, impedendo ai possessori dei
titoli suddetti di accedere, ad esempio, alle lauree specialistiche o
di accedere a posizioni di pubblico impiego.
Un terzo aspetto riguarda le risorse, in modo particolare quelle
relative all'edilizia. La legge n. 508 ha richiamato, in proposito, le
norme dettate per l'edilizia universitaria, prevedendo che con i
regolamenti attuativi venissero dettate le modalità di programmazione
e di sviluppo dell'alta formazione. Peraltro, essendo norme soltanto
di principio, non entravano nel dettaglio della materia. Non è stata,
ad esempio, prevista la cessione, in uso gratuito, alle istituzioni di
alta formazione, degli immobili da essi stessi utilizzate, come invece
è disposto per le università.
Questi immobili sono dunque tuttora in uso gratuito alle province
senza che ne sia stato previsto il trasferimento ai soggetti
richiamati. E non sono stati istituiti nel bilancio dello Stato
neppure i capitoli per finanziare tali stanziamenti.
Per quanto riguarda la prima questione affrontata, per sanare la
differenza tra la trasformazione in alte istituzioni e la formazione
di base abbiamo costituito una commissione di studio composta da
esponenti illustri del mondo dei conservatori, che ha esaminato il
problema, suggerendo come integrare la riforma degli ordinamenti,
particolarmente con riferimento alla formazione di base, con la
trasformazione dei conservatori in istituti di alta formazione.
Quindi, nella riforma degli ordinamenti, stiamo trasferendo norme e
soprattutto programmi che la commissione ci ha dettato, in modo da
prevedere progressivamente la possibilità che all'interno del sistema
istruzione venga fornita la formazione di base che, in questo momento,
viene assicurata dai conservatori.
Il secondo punto ha riguardato l'attuazione dell'autonomia statutaria
e regolamentare delle accademie che, come l'università, si devono
dotare di un regolamento. Ci sono stati alcuni problemi: il
regolamento era stato già predisposto dal precedente Governo, il
Consiglio di Stato non aveva accettato la formulazione del testo,
così l'abbiamo riformulato e sottoposto all'approvazione delle
Commissioni competenti, che hanno espresso un parere diverso da quello
del Consiglio di Stato. In questo momento, il problema è ancora
aperto; un coordinamento tecnico presso la Presidenza del Consiglio
sta verificando le soluzioni per corrispondere da un lato alle
richieste del Consiglio di Stato e dall'altro alle indicazioni che ci
provengono dal Parlamento e dalle Commissioni competenti.
Al fine di risolvere con urgenza il problema del valore legale delle
lauree triennali, che avrebbe richiesto tempi lunghi, abbiamo inserito
il riconoscimento dell'equipollenza nel decreto-legge n. 212 del 2002:
il valore legale delle lauree triennali è lo stesso dei titoli
rilasciati dalle accademie e dai conservatori. Abbiamo sanato il
problema di ragazzi che escono dai conservatori che, come quelli che
hanno conseguito la laurea triennale, possono accedere alle lauree
specialistiche.
Per quanto riguarda gli altri regolamenti previsti dalla legge n. 508
del 21 dicembre 1999, stiamo mettendo a punto un testo unico, così
come era stato auspicato dal Consiglio di Stato, che definisce gli
ordinamenti didattici, i requisiti di idoneità dei docenti e delle
sedi, la programmazione e lo sviluppo del settore.
Riteniamo che lo schema cosiddetto del 3 più 2 non debba essere
imposto alle istituzioni di alta formazione artistica nazionale, le
accademie ed i conservatori, senza adeguata sperimentazione e senza
che ciò corrisponda ad esigenze specifiche dei diversi insegnamenti,
poiché i corsi presentano differenze specifiche anche dal punto di
vista della durata: i corsi delle accademie durano quattro anni, i
corsi di livello superiore dei conservatori tre anni, i corsi post
diploma degli istituti presentano una durata che varia da due a
quattro anni. La nostra intenzione è assicurare flessibilità al
sistema, senza iniziare con una flessibilità eccessiva, ma
verificando l'organizzazione migliore per l'equiparazione dei titoli
delle accademie a quelli universitari.
Per quanto riguarda la ricerca, siamo stati impegnati essenzialmente
su due fronti; il primo è stato quello europeo, poiché iniziavano
due programmi importanti: il VI programma quadro di ricerca e il
programma dell'agenzia aerospaziale europea. Abbiamo lavorato prima
sui programmi europei e poi su quelli nazionali. Per quanto riguarda
il VI programma quadro, quando abbiamo iniziato a trattare con gli
altri paesi europei siamo partiti da una posizione molto difficile,
perché molti settori di estrema importanza per il nostro paese erano
stati esclusi da tale programma, in modo particolare quelli dei
trasporti, dell'elicotteristica, delle scienze marine, dell'agroindustria,
della conservazione del patrimonio culturale, dello studio della
prevenzione dei disastri naturali per la gestione del territorio e le
tematiche energetiche ad alto potenziale per lo sviluppo tecnologico,
quali le celle a combustibile, all'idrogeno.
Siamo riusciti a far inserire nel VI programma quadro queste aree
specifiche, che sono di estremo interesse per il nostro paese. Al di
là delle aree tematiche citate, che rientrano nelle otto aree
tematiche del piano europeo, un altro punto molto importante escluso
dal VI programma quadro riguarda il finanziamento alle piccole e medie
imprese. Siamo riusciti ad conseguire due risultati: abbiamo ottenuto
un'area tematica specifica dedicata alle medie e piccole imprese ed il
fatto di poter dedicare, all'interno delle altre aree, il 15 per cento
delle risorse alle piccole e medie imprese. Credo che questi siano
stati successi molto importanti per il nostro paese: quando abbiamo
iniziato a questa battaglia in Europa eravamo assolutamente isolati,
abbiamo trovato alleati su diversi temi e siamo riusciti a far
inserire queste aree nell'ambito del VI programma quadro.
Anche riguardo all'approvazione del programma aerospaziale abbiamo
conseguito risultati positivi; tale programma ci vedeva impegnati in
ambito europeo con un rapporto di investimento senza contropartite (il
ricavato per le nostre industrie era equivalente all'investimento). In
particolare, per certi settori, aiutavamo alcuni paesi senza avere
nulla in cambio. Siamo riusciti, invece, a creare il presupposto per
agire in reciprocità con altri paesi; ad esempio, nel settore dei
lanciatori abbiamo acconsentito a continuare ad investire nel
programma francese Arianne (si tratta di un grande lanciatore), ma
abbiamo ottenuto che la Francia investisse nei nostri programmi. La
nostra industria ha sviluppato un medio-piccolo lanciatore che si
chiama Vega; siamo riusciti ad ottenere che più investiamo nel
settore francese, tanto più loro investono nel nostro.
Inizialmente, la battaglia è stata difficilissima, poiché abbiamo
dovuto porre un veto al programma aerospaziale, ma in seguito lo
sviluppo dell'attività di collaborazione con la Francia è stato
molto positivo, dato che Arianne si sta dimostrando un settore ad alto
assorbimento di risorse, mentre Vega è un lanciatore che sta
manifestando potenzialità molto elevate, anche rispetto alle
differenze che in questo momento si stanno creando tra piccoli, medi e
grandi satelliti. Sicuramente anche la Francia, che in origine aveva
acconsentito perché forzata a farlo, adesso è contenta di questa
nuova collaborazione con l'Italia.
Questi sono stati i due primi impegni a cui abbiamo assolto nel campo
della ricerca. Abbiamo individuato, credo per la prima volta, linee
guida attraverso uno studio condotto sull'impatto dei settori delle
tecnologie abilitanti, nell'ambito della possibilità di creare
occupazione e sviluppo. Per quanto riguarda la ricerca di base
applicata - non quella pura, che ci porta verso le frontiere della
conoscenza, che è finanziata in quanto tale e riguardo cui non
abbiamo la necessità di calcolare i vantaggi immediati - abbiamo
focalizzato le risorse sui settori che arrecano maggiore occupazione e
maggiore sviluppo, in quanto si riferiscono a tecnologie abilitanti, e
a settori nei quali esiste un'alta crescita, un'alta potenzialità di
valore aggiunto. Una volta definite, le linee guida sono state
approvate dal CIPE: si prevede, lo ricordo per chiarezza, nell'arco
della legislatura, un aumento delle risorse dallo 0,6 all'1 per cento
del PIL. Ciò costituisce dunque un impegno del Governo nel campo
della ricerca.
Un altro tema importante, per quanto riguarda tale materia, è la
valorizzazione di un nuovo rapporto tra università, regioni ed enti
locali, per la creazione di distretti industriali ad alta tecnologia.
Abbiamo studiato un modello di riferimento - attualmente applicato
soltanto in un altro paese europeo, la Spagna, con un sistema analogo
al nostro - con il fine di costituire, attraverso accordi di
programma, i distretti industriali nei settori di alta tecnologia, con
il coinvolgimento degli enti locali, delle fondazioni, delle
università, delle imprese. L'iniziativa è stata avviata con la
creazione di un primo distretto a Torino, nel settore wireless, che
prevede il coinvolgimento del Ministero non solo nell'attività di
ricerca, ma anche nella creazione di imprese innovative.
Voglio ricordare, in proposito, che il nostro paese, nella creazione,
negli start up di imprese innovative, è molto arretrato rispetto agli
altri in Europa. In Italia si creano circa duecento nuove imprese
all'anno nel settore innovativo, mentre in Francia o in Germania ci si
attesta intorno alle seicento per lo stesso periodo. La soglia del
migliaio di unità è raggiunta, invece, in Inghilterra. Probabilmente
il caso inglese è diverso, perché in tale area vi è un apporto di
adventure capitalists di cui il nostro paese è privo. Questo spiega
anche le differenze fra il caso inglese e quello degli altri paesi
europei.
Ripeto, però, che il nuovo modello da noi studiato - ed è questo
l'elemento caratterizzante - prevederà, una volta a regime, il
coinvolgimento del Ministero proprio nella creazione degli start up,
contribuendo a rivitalizzare significativamente il settore. È un
piano che la Spagna ha già presentato a Bruxelles, che è stato
esaminato favorevolmente, senza venire interpretato come un sostegno
alle imprese. Pare dunque possibile attuarlo. Riteniamo che questo
creerà sicuramente un grande sviluppo anche a livello territoriale.
Sono numerosissime al momento le richieste da parte degli istituti
universitari - cuore di questo nuovo approccio -, in tutta Italia (la
richiesta è stata avanzata dalle università di Padova, Modena, della
Sicilia, di Milano).
Da ultimo voglio solo citare alcuni investimenti importanti
realizzati, in modo particolare nel Mezzogiorno, per la ricerca. In
questo settore si prevedono interventi per un ammontare di 2.038,7
milioni di euro (1.195,5 per risorse comunitarie e 847,2 per risorse
nazionali) focalizzati su quattro specifici settori tecnologici:
agroindustria, ambiente, beni culturali e trasporti. Altro ruolo
rilevante riveste la formazione per il Mezzogiorno, nel campo della
ricerca. È operativo un PON, approvato nei primi giorni di agosto,
che ha assegnato fondi per la realizzazione di attività di alta
formazione: in particolare sono stati finanziati 176 master e 123
interventi, proposti specificatamente per le donne.
Complessivamente i progetti cofinanziati prevedono l'attribuzione di 5
mila borse di studio con un impegno finanziario complessivo per il
nostro Ministero di duecentocinquanta milioni di euro. Abbiamo poi
previsto e sono state assegnate risorse per il sostegno alla
realizzazione di infrastrutture di ricerca per il sistema scientifico
pubblico: si tratta di 74 progetti, per un importo di 84 milioni di
euro, sempre per il Mezzogiorno.
Ho citato soltanto alcuni dei molti interventi promossi nel settore,
cioè quelli rivolti ai territori del meridione, per sottolineare la
volontà di dare una attenzione particolare ad un'area del paese che
sicuramente lo merita: l'apporto di ricerca e formazione potranno
allora costituire un volano per lo sviluppo complessivo dell'area
stessa.
COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE
Resoconto stenografico
Seduta di martedì 15 ottobre 2002
Seguito dell'audizione del ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Letizia Moratti,
sugli orientamenti del Governo in materia di istruzione, università e
ricerca
GIUSEPPE GAMBALE. Signor ministro, avremmo avuto bisogno di
discutere immediatamente i temi posti dalla sua relazione, prima della
presentazione del disegno di legge finanziaria; sono trascorsi 15
giorni dalla svolgimento della prima parte dell'audizione, è stato
presentato il disegno di legge finanziaria e questa mattina sono state
effettuate le votazioni sul testo. Verrebbe spontaneo affermare che
abbiamo poco da dirci, poiché molte questioni sono già state
sollevate durante la discussione del disegno di legge finanziaria,
anche oggi in sede di Commissione.
Più di un anno fa, in Commissione, il ministro annunciò molti
progetti in cantiere, ma debbo constatare che poco si è realizzato,
anche se, sicuramente, non per colpa del ministro stesso: la scorsa
volta, scherzando con il presidente Adornato, dicevamo che sarebbe
necessario tenere un'audizione del ministro Tremonti, poiché siete, e
siamo, tutti sotto la sua scure; abbiamo tutti potuto constatare le
modalità di definizione del disegno di legge finanziaria e conosciamo
bene le pressioni che il Tesoro svolge durante la sua
preparazione.
Come dicevo, tra tanti annunci, pochi sono stati realizzati: la stessa
sperimentazione mi pare ben poca cosa rispetto alla riforma
annunciata. Signor ministro, vorrei chiederle di prendere veramente in
mano il futuro della scuola. Nella seduta di questa mattina,
l'onorevole Garagnani nel suo intervento ha detto, non so quanto
volutamente, che ciò sarebbe servito a realizzare punte di
eccellenza. Siamo d'accordo, ma ci preoccupa il resto, che non
costituisce punta di eccellenza; la nostra sensazione è che sia in
atto un processo di dequalificazione e si stia generalizzando un basso
livello della scuola pubblica, magari in presenza di qualche punta di
eccellenza. Siamo preoccupati della qualità complessiva della scuola
pubblica, dall'edilizia scolastica al taglio delle cattedre. Ci
auguriamo che in corso d'opera, durante la sessione di bilancio, si
possano recuperare alcune problematiche: mi sembra difficile,
considerato l'impianto generale e l'atteggiamento della maggioranza,
ma siamo fiduciosi e continueremo a fare la nostra parte.
La maggioranza ha smontato una riforma in corso approvata nella
precedente legislatura, senza sostituirla con una riforma concreta e
propositiva, ma promuovendo piccoli o grandi tagli, il cui risultato
finale consiste in una dequalificazione totale della scuola
pubblica.
Utilizzando la cosiddetta legge Frattini, sono stati cambiati
moltissimi dirigenti, al centro ed in periferia; credo che sia un
diritto della maggioranza, consentito dalla legge, e personalmente
sono favorevole allo spoils system, non lo considero una condanna
della democrazia. Noto, però, una difficoltà rispetto al fatto che
sono stati cambiati moltissimi dirigenti regionali, in seguito alla
riforma del titolo V della Costituzione, senza concordarlo con i
presidenti delle regioni (almeno, per quanto mi risulta, in alcune
regioni governate dal centrosinistra). Vorrei ricordare che quando ci
siamo trovati nella situazione di dover intervenire, a livello
regionale, riguardo al dimensionamento scolastico nelle regioni
meridionali che non avevano svolto i propri compiti, concordammo la
nostra azione con tutti i presidenti di regione (anche con Fitto e
Chiaravallotti), perché il ruolo dell'assessore regionale alla
pubblica istruzione è fondamentale e non può essere assolutamente
scavalcato da un direttore regionale imposto dal centro che non sia,
in qualche maniera, collegato e funzionale al territorio. Non si
tratta di applicare il regime bipolare anche a livello locale, ma è
necessario concordare nomine senza imporle dall'alto.
Questa mattina alcuni emendamenti presentati dall'onorevole Sasso
hanno posto il tema - a cui il Governo, né il sottosegretario Caldoro
né il viceministro Possa, non è stato in condizione di rispondere -
sull'utilizzo dei finanziamenti per la scuola non statale, che si
intendono trasferire dal centro alle direzioni scolastiche
regionali.
Secondo noi, quei fondi vanno invece dati alle regioni, perché in un
regime di federalismo applicato, come quello che noi intendiamo
seguire dopo la riforma del titolo V, alcune questioni vanno affidate
agli assessori regionali e non ai direttori scolastici regionali,
perché sarebbe una forma surrogata di nuovo centralismo: non è
questo il federalismo che vogliamo e che abbiamo approvato riformando
la nostra Costituzione.
Affronto ora due questioni. Questa mattina - l'ho già detto al
sottosegretario Caldoro in mattinata - sulla stampa napoletana sono
apparsi alcuni articoli in cui i docenti e la dirigente scolastica
della scuola di Sogliano, che sovrintende al carcere di Poggioreale,
si sono rivolti al Presidente Ciampi per garantire che l'attività da
ventun anni svolta nel carcere di Poggioreale possa continuare. Mi
riferisco all'istruzione ai detenuti, perché con i tagli che ci sono
stati non sono state autorizzate alcune classi in deroga nel carcere
di Poggioreale (se lo desidera posso fornirle alcuni articoli di
stampa al riguardo). Tutto ciò è accaduto grazie alla cosiddetta
razionalizzazione, un termine che a me non è mai piaciuto molto,
perché, se pure capisco che ci sono esigenze di bilancio, capisco
anche che il bene istruzione, in quanto tale, non è sempre
quantificabile con gli stessi parametri.
Lo ripeto, per quanto riguarda i detenuti di Poggioreale, ci troviamo
in una situazione nella quale non riusciamo neppure a garantire, a chi
vuole studiare, la possibilità di conseguire il titolo di terza
media. Ritengo che questo sia un fatto estremamente grave, così come
ritengo che sia un fatto altrettanto grave - si tratta di una
questione che ho già sottoposto all'attenzione del sottosegretario
Aprea durante la discussione sulla finanziaria - ciò che state per
fare con gli insegnati di sostegno. Non sì può affermare di voler
mantenere la normativa vigente, mettendo un tetto alle deroghe: se una
deroga è tale, non può avere un altro tetto!
Dobbiamo allora magari ristabilire insieme i parametri con i quali si
fanno le deroghe, ma per fare ciò dobbiamo stabilirlo insieme, con
una legge, oppure dovete venire qui, in sessione di bilancio, e
proporre dei parametri diversi. Di sicuro, però, non potete affermare
di lasciare tutto così com'è, con la previsione che a fare deroghe
non saranno più i dirigenti scolastici ma i dirigenti regionali,
mantenendo poi ferma la riserva del Governo di impartire i criteri per
stabilire un tetto a tali deroghe. Questo è un nuovo tetto, non è
più il rapporto 1 a 138, è un'altra cosa! Sosteniamo da più di un
anno, a livello governativo e a livello parlamentare, che il rapporto
1 a 138 va rivisto; sosteniamo che va rivisto il sistema delle
certificazioni, insomma che questa materia, così com'è, non
funziona, perché in alcune realtà quel rapporto è anche eccessivo,
mentre in altre, come per esempio in Campania, in Sicilia, in Puglia,
dove c'è una platea scolastica molto più numerosa, quel rapporto non
tiene e per questo si ricorre al regime di deroga.
Tuttavia, per affrontare questa materia secondo me c'è bisogno di un
approfondimento più serio, al quale peraltro possiamo contribuire
tutti, così come abbiamo già dimostrato di potere fare (il
sottosegretario Aprea ricorderà che nell'ambito di questa Commissione
abbiamo raggiunto l'unanimità su più di una questione e una di
queste era proprio la vicenda del sostegno). Per questo motivo,
ritengo che sul problema in esame non possiamo agire applicando il
meccanismo della scure, per cui si lasciano ferme le cose e poi il
Governo deciderà un sistema diverso per le deroghe.
Ritengo che vi sia il tempo necessario per agire; ci siamo impegnati a
fare una proposta di merito diversa in Commissione bilancio - non
abbiamo fatto in tempo a prepararla per la seduta di oggi - e mi
auguro che, almeno su questo punto (essendo tutti d'accordo che le
certificazioni così come sono non funzionano e che il rapporto 1 a
138, in alcune realtà, non ha dato le risposte che desideravamo), si
trovi una soluzione diversa.
Creiamo insieme condizioni per le quali si possa garantire ai disabili
di avere gli insegnanti di sostegno laddove sono veramente necessari,
altrimenti rischiamo di trovarci in una situazione poco piacevole e di
perdere terreno rispetto ad altri paesi. Questo è infatti uno dei
pochi settori della scuola italiana in cui siamo veramente
all'avanguardia rispetto al resto dell'Europa: sarebbe un peccato fare
dei passi indietro in questo senso.
Abbiamo anche presentato, anche qui in sessione di bilancio, degli
emendamenti e ritengo che, una volta conclusa quest'ultima, dovremmo
avere la possibilità di ritornare sulle grandi questioni relative
alla riforma e cercare insieme di capire come affrontarle. Mi pare
infatti che delle tante promesse fatte, non da lei ma dal Presidente
del Consiglio, in campagna elettorale, sia rimasta ben poca cosa,
perché per fare le riforme ci vogliono i soldi e questo è il
problema, lo sappiamo! Al di là di questo dato - che conosciamo -
rimane ben poca cosa delle promesse annunciate.
Ritengo che, da questo punto di vista, il rischio di una
dequalificazione concreta della scuola pubblica sia molto forte (noi
come tale lo sentiamo). Per questo, su ciò cercheremo di fare fino in
fondo, e anche con durezza quando necessario, la nostra parte.
PIERA CAPITELLI. Ho ascoltato con molta attenzione ed interesse
l'intervento del ministro - il secondo da quando si è insediata - e
devo dire che ho notato accenti molto diversi da quelli della sua
prima audizione. In un certo senso sono soddisfatta ma in un altro
temo che, anche per quanto riguarda il ministro, si sia smorzato un
po' l'entusiasmo iniziale nell'affrontare la riforma (perlomeno questa
è l'impressione che ho avuto).
Sarei contenta se si aprissero spazi per un maggiore dialogo rispetto
a quanto avvenuto finora. Fare le riforme in Parlamento è una cosa
molto complicata e dura, alle volte, ma ancor più difficile è
riuscire a concretizzare poi queste ultime in tempi rapidi.
Ho anche notato molto orgoglio per il lavoro svolto. Sicuramente, dal
punto di vista del raggiungimento degli obiettivi che il ministro si
era prefissato, tali obiettivi - dal suo punto di vista - sono stati
raggiunti. Ritengo però che la situazione prodottasi con l'emanazione
di provvedimenti come per esempio la legge n. 333 abbia cambiato tante
cose, dando più responsabilità ai dirigenti scolastici, ma con
scarse possibilità poi di gestire tali responsabilità. La stessa
legge ha cambiato anche le regole per quanto riguarda l'accesso alle
supplenze; insomma, credo che nel mondo della scuola vi sia un grande
disagio proprio perché si sono cambiate alcune regole, di punto in
bianco, strada facendo, in corso d'opera.
Pertanto, la situazione che si è creata da un anno di governo ad oggi
non è di grande entusiasmo - è un'opinione personale - perché si
nota nel mondo della scuola un certo disagio dovuto all'incertezza:
legge 30 sì, legge 30 no, la si ritira. Disegno di legge delega: si
promette in tempi brevi, ma i tempi parlamentari sono quelli che sono
e gli insegnanti e la gente di scuola, che non li conoscono bene, sono
molto a disagio, sono disorientati, anche in considerazione delle
riforme portate avanti con grande entusiasmo dal Governo precedente e
rimaste a metà o in sospeso (mi riferisco soprattutto all'autonomia,
ma poi tornerò su questo punto).
Certo, il ministro può vantare di aver dato maggiore regolarità
all'inizio dell'anno scolastico, ma la domanda che mi pongo è: a
quale prezzo? Al prezzo di cambiare le regole! Pensiamo, per esempio,
alla vicenda - non di quest'anno - del riconoscimento dello stesso
punteggio a chi ha prestato servizio nelle scuole non statali (ricordo
che con la legge n. 333 si è avuta l'equiparazione). Si tratta solo
di un esempio ma è indicativo.
Per quanto riguarda l'aspetto della regolarità, non vi sono state le
immissioni in ruolo che avremmo dovuto avere. Ci sono stati 60 mila
docenti immessi in ruolo, e sono stati motivo di vanto per questo
Governo; ma si è trattato di un motivo di vanto che forse essi
avrebbero dovuto riconoscere al precedente Governo, perché a quest'ultimo
spetta la paternità dei decreti per l'immissione in ruolo! Peraltro,
l'ultima tranche di queste immissioni la stiamo ancora attendendo ma,
soprattutto, la attendono con ansia coloro che hanno sostenuto i
concorsi e si aspettano quindi delle risposte.
Abbiamo delle domande e delle risposte in sospeso. Il ministro ha
detto bene, si bandirà un concorso per presidi incaricati. Certo,
però i posti vacanti sono molti di più di quelli che dovranno essere
coperti dai presidi incaricati; dunque, a quando gli altri concorsi e
con quali regole? Il ministro ha promesso 21 mila docenti in ruolo:
speriamo. Ma dovrebbero essere molti di più; personalmente, al fine
di evitare di fare ogni anno un decreto per l'immissione in ruolo,
credo dovremmo apprestare un meccanismo tale che siano coperti
automaticamente i posti vacanti, con una percentuale che si aggiri
almeno tra il 50 ed il 70 per cento. Ribadisco che non possono
costituire motivo di soddisfazione 90 mila supplenze (cito il dato
fornito dal ministro). Abbiamo bisogno di una scuola che dia senso di
sicurezza e stabilità; vogliamo, infatti, potenziare la scuola
statale e anche non statale. Vogliamo che, affinché il sistema
continui a funzionare nel migliore dei modi, si ricerchino meccanismi
di efficienza; al riguardo, il non avere personale stabile sicuramente
non garantisce l'efficienza.
Vorrei, però, fare un passo indietro, chiarendo la mia convinzione
circa la politica di questo Governo: è una convinzione corrispondente
all'impressione che noi ne abbiamo riportato, anche se spero di essere
smentita dal percorso parlamentare che avrà il disegno di legge
delega. Ebbene, la politica del Governo si è dispiegata nella massima
chiarezza in due occasioni, la prima costituita dalla legge
finanziaria dello scorso anno. Questa, purtroppo, si è
caratterizzata, drammaticamente, per i grandi tagli nonché per le
premesse strutturali affinché quest'anno si potesse continuare ad
operare tagli, soprattutto sul personale, ma incidendo anche su
argomenti come l'organico funzionale; ricordiamoci che quest'anno non
ne abbiamo discusso perché l'argomento è stato affrontato lo scorso
anno. L'organico funzionale, di fatto, lo scorso anno è stato
annullato da un decreto del 1998 sugli organici.
L'altra occasione per il dispiegamento della politica del Governo è
stata sicuramente offerta dalla presentazione agli stati generali
della famosa relazione Bertagna. Al riguardo, chiederei al ministro,
con molto interesse...
FABIO GARAGNANI. Ma il progetto Bertagna non è più di moda.
PIERA CAPITELLI. Lo so. Però, ad oggi, non ho ancora avuto il
piacere di leggere un altro documento ufficiale tale che riassuma la
strategia complessiva, pedagogica ed educativa, del Governo; è per
tale motivo che continuiamo a ragionare intorno a quel progetto.
Subito dopo, infatti, è stato presentato il disegno di legge delega,
provvedimento che non voglio definire, con una frase fatta, «una
scatola vuota». Al contrario, esso ha dei contenuti, sicuramente,
però non sufficienti per un confronto serio su come vogliamo la
scuola del futuro. Ha detto bene il ministro quando ha sottolineato
che il disegno di legge contiene una strategia per una scuola che
vogliamo più europea, più moderna, più adatta, più rispondente al
principio costituzionale giusta il quale dovrebbe essere meno di Stato
e più della Repubblica. Ma nel disegno di legge delega non si
contiene una strategia di carattere educativo o, quanto meno, noi non
riusciamo ad individuarla; riusciamo soltanto ad individuare
l'ossatura del sistema. Un'ossatura dalla quale, però, non ricaviamo
le sufficienti garanzie per avere le possibilità in questa sede
(quella naturale) di confrontarci sui temi di contenuto. Il percorso
della legge quadro - ben altra cosa, infatti, era la legge n. 30 del
2000 - è stato completamente diverso. Un percorso che ha avuto in
questa sede grandissime possibilità; se fosse stata attuata, inoltre,
ne avrebbe avute successivamente, poiché prevedeva momenti di
verifica.
La situazione, a mio parere, è tanto più preoccupante poiché il
complesso progetto Bertagna - lo chiamo così perché non ho altri
termini per definirlo - vedeva una scuola che progressivamente veniva
un po' spogliata di alcuni momenti a mio avviso fondamentali per
l'arricchimento. Per esempio, veniva diminuita, «smagrita» anche nel
numero di ore e nella possibilità di fare delle esperienze
complessive ed organiche nella scuola. Dal progetto Bertagna deducevo,
e deduco tuttora, che il modello scuola a tempo pieno diventa
residuale anziché fondamentale. Personalmente, credo invece che esso
dovrebbe essere assunto sia per la scuola dell'infanzia - già in
parte attuata, peraltro - sia per la scuola elementare. A mio parere
non si devono aggiungere ore ai curricula, ma neanche si debbono
diminuire; razionalizzarle sì, sicuramente.
Il problema, se mai, è un altro; si deve riprendere la provocazione -
perché fu tale, allora - portata avanti dal ministro Berlinguer con
la commissione dei 44 saggi. Si volevano davvero enucleare i saperi
fondamentali, le discipline e gli assi culturali sui quali costruire
nuovi curricula. Credo che tale operazione manchi ancora; lo dico con
tanta apprensione, aspettandomi anche delle risposte. Quando
cominceremo a parlare di contenuti veri? La scuola ne ha bisogno; sta
languendo, da tale punto di vista. Vi è una grande preoccupazione,
nella scuola e nelle persone di scuola che credono in essa come mezzo
anche di promozione sociale. Gli insegnanti, purtroppo - e i genitori
già da tempo -, si stanno ponendo delle domande di senso. Quanto
valore si sta dando alla scuola come strumento non solo per formare ma
anche per il continuo arricchimento delle conoscenze, vale a dire per
dare una strumentalità affinché le conoscenze si arricchiscano
sempre di più? In questa società della conoscenza, quale posto ha la
scuola? Ha il primo o ha un posto marginale? È una domanda di senso
che incomincia a porsi in modo abbastanza radicale, anche se, in
qualche situazione, in modo fin troppo sommesso. Credo che abbiamo il
dovere di precisare questi temi. Mi riferisco sì agli intellettuali
di questo paese, ma anche a noi che facciamo questo lavoro un po'
collateralmente, insieme ovviamente al ministro ed a tutto il Governo.
Si ha l'impressione che si vogliano privilegiare altre fonti della
conoscenza rispetto alla scuola che, a nostro avviso, ha il dovere di
dare sistematicità ed organicità al sapere. È una questione della
quale è bene che prima o poi si cominci a parlare.
Della finanziaria non parlo quasi più. Spero che siamo ad un punto
«di ritorno», visto che la finanziaria è in corso di esame. Però
per modificarla e per fare in modo che la scuola non sia soltanto
oggetto di risparmi e razionalizzazioni - soprattutto di risparmi -
bisognerebbe agire con un'azione emendativa incentrata sulla
finanziaria di quest'anno. Manovra che, a sua volta, si innesta sulla
finanziaria dello scorso anno e che magari, lo dico con un po' di
autocritica, presenta qualche problema che affonda anche nelle
finanziarie dei Governi precedenti.
Noi presenteremo alcuni emendamenti fra i quali ve ne è uno
finalizzato a ripristinare l'organico funzionale che di fatto, grazie
alla finanziaria dello scorso anno e a quella di quest'anno non
abbiamo. Sull'organico funzionale si regge l'autonomia. L'autonomia ha
bisogno dell'organico funzionale, senza il quale manca quella
flessibilità nell'utilizzo dei docenti che è la condizione primaria
per poter fare della sperimentazione e dell'innovazione didattica.
Quando l'autonomia non esisteva, queste cose si facevano lo stesso ma
rischiando. I dirigenti scolastici - allora erano direttori didattici
o presidi - utilizzavano il personale a loro rischio e pericolo. Da
questo sono però nate pagine di esperienza e di innovazione che anche
all'estero guardano, se non con invidia, direi con un certo
rispetto.
Non ritorno su alcuni temi, già affrontati dal collega Gambale, quali
l'handicap. Però francamente farei un passo indietro, il rapporto 1 a
138 non è funzionale. Credo che insieme all'osservatorio (sarebbe
bene che cominciasse a funzionare) abbiamo il dovere di individuare
delle strade nuove. E non credo che una strada nuova sia quella di
togliere alla periferia la potestà di stabilire le deroghe per darla
al centro. Forse va superato anche il sistema delle deroghe. Certo,
non ho una ricetta, non ho mai avuto la ricetta facile, ma credo che
questo debba rappresentare uno dei nostri momenti principali di
confronto: nelle scuole non si sta bene.
È vero comunque che in Italia abbiamo grosse difficoltà ad
utilizzare razionalmente le risorse per diverse cause, per tante
ragioni, compresa quella geografica.
Mi auguro che si possa migliorare l'utilizzo dei docenti. I problemi
sono certo molti: l'Italia è fatta un po' a macchia di leopardo, con
una dorsale appenninica molto grande, con le Alpi, e per le
difficoltà di comunicazione la montagna e l'alta collina si stanno
spopolando. Dico ciò in modo accorato perché vengo da una zona che
presenta proprio questi problemi. Ma ve ne sono tanti altri. Colleghi,
quando si vuole cercare di rendere migliore la rete scolastica ci si
scontra poi con i problemi della distanza e con la necessità di
mantenere le scuole come punto di riferimento e di identificazione
delle istituzioni.
Credo di aver di fronte persone che conoscono questi temi. Vorrei
avere davanti a me il ministro Tremonti così come in passato
reclamavo la presenza di altri ministri: i ministri del tesoro non
hanno mai capito fino in fondo queste questioni. Quando si taglia,
quando si razionalizza, almeno si dovrebbe farlo bene. Credo che nella
finanziaria di quest'anno vi siano alcune finzioni. Non si può
pensare di avere delle economie di bilancio razionalizzando il ruolo e
le posizioni del personale ritenuto inidoneo. Vi sono alcuni commi
nell'articolo che ci interessa (i commi 1, 4 e 6) che dovrebbero
garantire i recuperi previsti già per il 2002, attraverso i risparmi,
le economie derivanti dai posti di sostegno e dagli inidonei. Ma se
gli idonei hanno tempo cinque anni per transitare ad altra
amministrazione, come si fa allora calcolare le economie per il
2003?
Per il sostegno potrebbe configurarsi una situazione per la quale il
ministro non avrebbe cuore - lo dico in modo un po' deamicisiano - a
tagliare. Infatti potrebbe esservi anche un aumento dei posti in
deroga e anche un aumento dei casi gravi.
È vero che vi sono ricerche statistiche di carattere epidemiologico
che non affermano che c'è una situazione di handicap più gravi,
però sono cambiate le condizioni delle famiglie nelle quali vivono
gli alunni, è cambiato il contesto sociale, per cui spesso la scuola
diventa l'unica occasione di socializzazione; questo non è l'unico
obiettivo ma per l'integrazione è comunque un obiettivo
importante.
Credo che sia difficile lavorare su questo argomento. Ribadisco
l'appello: riparliamone con grande serietà e non all'interno della
finanziaria ma in un altro contesto. Ho evidenziato che presenteremo
degli emendamenti alla finanziaria sull'organico funzionale, sul
sostegno, sulla legge n.440 del 1997. Ebbene, la legge
sull'arricchimento per l'offerta formativa è stata utilizzata quasi
come una palla di gomma: è stata tirata da una parte e dall'altra
anche per far fronte al finanziamento delle sperimentazioni. Credo che
si debba ritornare a dare un senso alla legge n.440 per il significato
che effettivamente possiede: finanziare le esperienze di autonomia
scolastica e null'altro.
L'altra questione che affronteremo con i nostri emendamenti sarà la
valorizzazione dei docenti. Vi è troppo poco in questa finanziaria al
riguardo. I soldi per il contratto non coprono nemmeno l'inflazione.
Forse mi sbaglio e spero di essere smentita, ma credo che sul tema
degli stipendi degli insegnanti sia necessaria una valorizzazione; non
parlo della valorizzazione della professionalità, che pure dovrebbe
essere fatta, e riconosco al ministro di essersi espressa in tal
senso, e cioè che si dovrebbe valorizzare la professionalità docente
non soltanto dal punto di vista del maggior carico di lavoro ma anche
dal punto di vista della qualità del lavoro stesso. Credo, però, che
davvero siamo di fronte alla necessità di una valorizzazione di tutto
il personale e di tutti gli stipendi.
Edilizia scolastica, edilizia universitaria, fondi per il diritto allo
studio e per l'università sono tutte questioni che ci vedono in prima
linea su questa finanziaria. Così non si può andare avanti. Anche la
ricerca è stata in qualche modo penalizzata, penalizzando i
«gioielli di famiglia», che credo di potere individuare anche nel
CNR. Vedo ogni tanto lo sguardo severo del presidente ma avrei ancora
tante altre cose da dire.
PRESIDENTE. Prosegua pure, onorevole Capitelli.
PIERA CAPITELLI. Vorrei ritornare sul disegno di legge delega, che
attendo con molta ansia perché, come il ministro ha ribadito, esso
indica una strategia complessiva: una scuola europea, più moderna,
più adatta alle esigenze dei giovani di oggi, più rispondente al
principio costituzionale di una scuola meno di Stato e più della
Repubblica. Non ho ravvisato elementi di tale natura nel disegno di
legge delega e chiedo spiegazioni in questo senso; se ho ragione,
vorrei sapere se è in preparazione qualche altro provvedimento. Non
c'è niente di male se la scuola sarà davvero più della Repubblica:
credo però che la tradizione di un sistema fortemente incentrato
sulle regole basate sui principi costituzionali debba essere
assolutamente tutelata e salvaguardata.
Mi sta cuore la scuola, ma non sono d'accordo con il sistema della
sperimentazione, finalizzata soprattutto ad anticipare i contenuti
della riforma: credo che questa legislatura abbia di fronte a se
ancora tanto tempo e che il Governo disponga di una solida maggioranza
e del tempo necessario ad impostare un vero e proprio assetto di
riforme. Non c'era bisogno di mettere insieme due o tre
sperimentazioni semplicemente per vincere la sfida del tempo, ad
esempio quella sul maestro prevalente (peraltro mai annunciata) e
soprattutto quella che anticipa l'ingresso all'asilo dei bambini a due
anni e mezzo. Semmai, era necessario varare una legge di
regolamentazione degli asili nido, che finalmente trasformasse una
situazione a carattere assistenziale in una a carattere educativo (per
ragioni finanziarie, alla fine della scorsa legislatura, non abbiamo
potuto vararla). Era necessario, inoltre, finanziare gli asili nido,
così come si finanziano le scuole dell'infanzia, e generalizzare la
scuola materna.
Mi rendo conto di sollevare tante questioni, ma non ho avuto nessuna
risposta dal Governo: mi domando quale sia la ragione da cui nasce la
sperimentazione, considerato che l'ingresso a due anni e mezzo non ha
nessun presupposto di carattere pedagogico, tanto che si è fatto una
grande fatica a trovare l'adesione delle scuole. Nella mia regione,
nessuna adesione è stata avanzata in intere province. La
sperimentazione, che nella mia regione prevederebbe l'interazione tra
scuola e formazione professionale (finalizzata ad anticipare uno dei
contenuti del disegno di legge delega) non mi convince, perché si ha
l'impressione che la scuola appalti gli studenti ai centri di
formazione professionale, nel momento in cui le risorse, e soprattutto
i curricula, sono gestiti interamente dai centri di formazione. Si
vuole arrivare al doppio canale, ma continua ad essere vigente la
legge n. 9 del 1999, che si basa sul modello dell'obbligo scolastico
fino a 15 anni, con l'integrazione e non la separazione del canale
della formazione professionale. Spero che potremo discutere
approfonditamente riguardo a tale argomento quando il disegno di legge
delega verrà sottoposto alla nostra attenzione.
Vorrei aggiungere molto altro riguardo alla riforma degli organi
collegiali e sul disegno di legge concernente gli insegnanti di
religione: quest'ultimo ha generato una situazione di sconforto, che
nasce non tanto dall'assegnazione dello status giuridico agli
insegnanti di religione - che ritengo corretto - ma dalla possibilità
di transitare ad altre situazioni di insegnamento in caso di revoca.
Questa situazione mette in grande imbarazzo quei precari che da anni
aspettano immissione in ruolo e che sospettano che per alcuni esistano
delle scorciatoie. Ripeto, non si tratta di una scelta sbagliata, ma
andrebbe riconsiderata con il contributo delle opposizioni.
Mi auguro, riguardo agli organi collegiali, che si vogliano davvero
attuare e spero che si riapra, trascorso un po' di tempo, una
discussione in Commissione: non potevamo essere d'accordo sul testo
finale.
PRESIDENTE. In questa sede non sarà possibile, perché il
provvedimento è già all'esame dell'Assemblea.
PIERA CAPITELLI. Mi scuso con il ministro per alcuni accenti un po'
duri, ma ritengo di aver dato prova della disponibilità del mio
gruppo ad un confronto effettivo e, finalmente, sui contenuti di
merito che riguardano il mondo della scuola.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Capitelli, se non le appare un
complimento inutile, in particolare per il tipo di contributo fornito
alla Commissione; non tanto per i contenuti (se non dovessi presiedere
obbietterei su alcuni punti), ma per il modulo costruttivo utilizzato,
che ritengo ideale in un rapporto corretto tra il Governo e
opposizione.
ANDREA MARTELLA. Desidero ringraziare il ministro Moratti per aver
dato seguito all'audizione in tempi relativamente brevi e di ciò
vorrei dare atto anche al presidente Adornato.
Devo però dire, e vorrei che non sembrasse un atto di scortesia, che
ritengo l'incontro con la nostra Commissione ed il pieno
coinvolgimento del Parlamento un atto dovuto, necessario e purtroppo
un po' tardivo, poiché avviene dopo la presentazione del disegno di
legge finanziaria; mi auguro, comunque, che la nostra discussione
possa essere utile. Si tratta di un atto tardivo, che mi auguro possa
essere utile perché, come ha detto l'onorevole Capitelli, nel paese,
tra le famiglie, tra gli studenti, tra gli operatori del settore vi è
una grande preoccupazione sullo stato della scuola, dell'università e
della ricerca: essa riguarda il futuro di questi comparti, strategici
per la vita del nostro paese, e nasce dalle scelte che il Governo ha
messo in campo e da quelle che non ha messo in campo, in particolare
riferimento al Ministero dell'istruzione, dell'università e della
ricerca.
Vorrei soffermarmi sulle problematiche relative all'università, dove
lo stato di sofferenza e di disagio è dovuto, a mio parere,
principalmente a due questioni. La prima è connessa all'incertezza
dovuta a voci e notizie riguardanti provvedimenti di revisione della
riforma didattica.
Lei, signor ministro, ha in parte chiarito questo aspetto ma non ci ha
detto, nella sua relazione, che cosa succederà poi. Non abbiamo
ancora un documento, né abbiamo preso visione di alcun provvedimento
e da molti mesi il sottosegretario Caldoro, che partecipa più
frequentemente alle sedute della Commissione, ci annuncia un
provvedimento del Governo di revisione della riforma. Vi è
un'incertezza dovuta alle politiche di riordino della ricerca, alle
scelte che si possono mettere in campo per quanto riguarda il
reclutamento e lo stato giuridico dei docenti universitari.
La seconda questione che genera disagio, allarme e preoccupazione è
connessa invece alla situazione finanziaria in cui versa il mondo
dell'università. In quest'ambito, purtroppo, le preoccupazioni sono
aumentate dopo aver preso visione del disegno di legge finanziaria per
il 2003 e, purtroppo, i dubbi non sono stati dissipati dalla sua
relazione, nel corso del nostro precedente incontro.
La legge finanziaria, lo abbiamo ripetuto discutendone in questa
Commissione e anche presentando degli emendamenti, presenta, per le
università, scelte molto negative che confermano di fatto quella
riduzione, contrazione di risorse di finanziamenti, già operata con
la legge finanziaria dello scorso anno.
Abbiamo presentato degli emendamenti, gran parte ovviamente non sono
stati approvati, alcuni lo sono stati dopo che la maggioranza ne ha
presentato di simili, ma comunque si tratta di emendamenti che non
rispondono adeguatamente alle politiche di cui il settore avrebbe
bisogno. Il bilancio, insomma, signor ministro, è molto diverso,
purtroppo, da quello che lei ha tracciato, ad un anno dal suo
insediamento, nella sua relazione: è ben diverso, ce lo dicono i
fatti, i quali, purtroppo, sono inequivocabili.
Lo stato di attuazione della riforma non è stato adeguatamente
finanziato. Sono diminuiti i fondi per il diritto allo studio,
interrompendo un trend di crescita degli ultimi anni (e ciò
nonostante sia aumentata la platea degli aventi diritto). Il fondo di
finanziamento per le università risulta assolutamente inadeguato (poi
dirò il perché). Sono state ridotte le risorse per l'edilizia
universitaria, per l'innovazione didattica degli atenei, per
l'incentivazione della ricerca universitaria, della ricerca di base.
Si continua con una politica di blocco delle assunzioni, quando invece
bisognerebbe sviluppare una politica per rinnovare il corpo docente
dell'università che, come lei sa probabilmente meglio di noi, avrebbe
invece bisogno di un turn over, di un rinnovamento, avendo un'età
media piuttosto alta.
Purtroppo, anche questa mattina abbiamo tentato di presentare un
emendamento all'articolo 21, il quale prevedeva di dare una corsia
preferenziale alla deroga per l'università e per gli enti di ricerca
per quanto riguarda le assunzioni, prevedendo, nel fondo che voi avete
previsto, un fondo specifico. Ho visto il viceministro e il
sottosegretario non completamente in disaccordo ma l'esito del nostro
emendamento è stato negativo.
Tutto ciò è reso ancora più grave dal fatto che nelle sue
dichiarazioni programmatiche, lei, un anno fa - devo dire che l'ho
ascoltata allora con grande attenzione e con l'attesa di risultati ed
esiti più positivi - aveva preso impegni precisi, come quello di far
crescere il fondo di finanziamento ordinario delle università e come
quello, ancora più importante, di far crescere il rapporto tra
investimenti per la ricerca e prodotto interno lordo, che nel nostro
paese è meno della metà rispetto a quello degli altri paesi europei
(per non parlare del Giappone e degli Stati Uniti), nei quali il
volume di risorse che la comunità destina per ogni studente
universitario è certamente più elevato che da noi.
La realtà che ci siamo trovati di fronte è invece ben diversa e per
questo diciamo che il nostro bilancio è, purtroppo, negativo ed è
reso ancor più negativo dalle attese che le sue dichiarazioni
programmatiche avevano in noi acceso. Per questo, la domanda di fondo
che adesso le rivolgerò consiste nel chiederle se per il Governo il
settore dell'università, rimane, è, continua ad essere, sarà un
comparto strategico per il futuro del nostro paese, per la sua
competitività, per il suo sviluppo, per la sua innovazione o se
invece continuerà ad essere - come sembra - un'occasione di
contenimento della spesa, che riduce la qualità dell'offerta; se non
diverrà, insomma, un settore assolutamente marginale rispetto ad
altri, per così dire, da «gestire», rischiando continuamente di
poter essere liquidato.
Desidero ora rivolgerle alcune domande specifiche, innanzitutto a
proposito della riforma universitaria. La riforma degli studi
universitari, sicuramente complessa ed impegnativa, radicale rispetto
alla nostra tradizione accademica, anche se non è stata ufficialmente
osteggiata dal Governo, non è stata in alcun modo sostenuta nella sua
attuazione, né da un punto di vista di indirizzo politico
amministrativo, né, tantomeno, sul piano finanziario (lei stessa,
signor ministro, ha affermato presso questa Commissione che la riforma
era avviata e che non poteva essere bloccata e ricordo il suo paragone
con una macchina partita che non si può fermare).
Tuttavia, tale riforma non è stata sostenuta, anzi i tagli al
finanziamento statale delle università, operati con la legge
finanziaria del 2002, hanno costretto queste ultime a destinare alla
gestione ordinaria le risorse aggiuntive che erano state assegnate dai
precedenti Governi per l'attuazione della riforma.
I ritardi nell'approvazione dei corsi di laurea specialistica e,
soprattutto, i reiterati, ondivaghi messaggi ministeriali sulla
cosiddetta «riforma della riforma», hanno privato della necessaria
certezza i nuovi percorsi degli studi, disorientando ed allarmando le
famiglie e gli studenti, che pure hanno dimostrato di credere nella
riforma, vedendovi la possibilità di poter conseguire, finalmente, un
titolo di studi universitari in tempi non biblici (ne è una prova
l'inversione di tendenza rispetto alle immatricolazioni universitarie,
con l'incremento registrato l'anno precedente e che, dai primi dati,
sembra sussistere anche per l'anno 2002-2003).
Tali ritardi e annunci hanno scoraggiato il corpo docente, che in
larghissima maggioranza si è impegnato fortemente non
nell'implementazione della riforma, ma anzi nell'alimentare il
disimpegno di chi sostiene che tanto cambierà tutto di nuovo.
Voglio stare alle cose che lei ha affermato sulla riforma nella sua
relazione. Non c'è dubbio che nella sua prima applicazione ci sono
state, soprattutto in alcune aree disciplinari, delle smagliature e
che in futuro possano rendersi necessari opportuni ritocchi della
riforma stessa, tuttavia ritengo che ciò debba avvenire sulla base di
precise condizioni, sulle quali le chiedo di poter chiarire
responsabilmente e pubblicamente la sua posizione.
La prima questione riguarda la legge n.127 del 1997, la quale ha
delegificato l'intera materia degli ordinamenti didattici
universitari, rendendo possibile l'autonomia degli atenei e il
tempestivo adeguamento, nel tempo, dei corsi di studi in relazione al
mutare della situazione e delle esigenze formative. Andrebbe quindi
escluso ogni intervento legislativo in materia che ci riportasse alle
rigidità paralizzanti del passato.
In secondo luogo, va lasciato un tempo congruo per la sperimentazione
di nuovi ordinamenti e per l'assestamento del sistema. Il regolamento
n. 509 del 1999 prevede che non si introducano variazioni almeno per
un triennio. Mi sembra quindi un po' irresponsabile parlare di
modifiche - come dalle notizie lette sui giornali - nelle intenzioni
della commissione ministeriale De Maio, della quale anche lei ci ha
parlato, ad appena un anno dall'avvio della riforma, e quando non sono
neppure scaduti i termini per l'attuazione e l'applicazione della
stessa, visto tra l'altro che il Governo ha elevato a 30 mesi il tempo
per tale attuazione (con un decreto legge che abbiamo approvato tempo
fa).
In terzo luogo, eventuali modifiche non possono essere il frutto della
pressione di interessati opinionisti, di pagine a pagamento sui
giornali o l'opera di un'esigua minoranza, ma dovrebbero essere il
risultato di un rigoroso e documentato monitoraggio sulle reali
difficoltà o sulle incongruenze della riforma stessa. Chiediamo che
tale monitoraggio sia ufficialmente affidato dal ministro all'unico
organismo istituzionalmente competente, cioè il comitato per la
valutazione del sistema universitario istituito con la legge n. 370
del 1999.
In quarto luogo, vanno comunque salvaguardati l'impianto e i principi
fondativi della riforma che, come anche lei ha affermato,
corrispondono pienamente ai criteri, agli obiettivi e agli impegni
internazionalmente sottoscritti dall'Italia insieme ad altri 31
Governi europei con la dichiarazione di Bologna, del giugno del 1999,
in vista della creazione, entro il primo decennio del 2000, di uno
spazio comune europeo dell'istruzione superiore.
Inoltre, eventuali modifiche dovranno vedere, prima del loro varo, il
coinvolgimento dell'intera comunità accademica, degli studenti, delle
parti sociali e delle Commissioni parlamentari, in conformità della
procedura prevista dalla legge n. 127 del 1997 e seguita per
l'approvazione della riforma.
In ultimo, è ben chiaro che, senza risorse finanziarie aggiuntive e
dedicate, la riforma, qualsiasi riforma, non è praticabile e la sua
sperimentazione risulterebbe comunque non credibile.
Un'altra questione cui voglio accennare brevemente, è il diritto allo
studio universitario; ebbene, anche a tale proposito, la legge
finanziaria per il 2002 ha bloccato 200 miliardi di vecchie lire - e
la legge finanziaria per il 2003 si muove nella stessa direzione -
contro i 250 previsti per lo stesso anno dalla legge finanziaria per
il 2001. Ha bloccato lo stanziamento del fondo integrativo per il
diritto allo studio da ripartire tra le regioni; ciò, per di più, a
fronte dell'estensione del diritto allo studio universitario ai
segmenti post laurea e agli studenti delle accademie e dei
conservatori. Il risultato è che, mentre prima si era portati a
raggiungere, sostanzialmente, l'obiettivo storico di dare la borsa di
studio a tutti coloro che ne avevano diritto, oggi si è tornati alla
situazione di decine di migliaia di idonei che non possono usufruire
di essa. Il disagio è gravissimo, in attesa di interventi che
ripristino il previsto flusso di finanziamenti statali, incentivando
così anche un maggiore impegno finanziario delle regioni. Anche a
tale riguardo, vorrei chiederle come si intenda affrontare la
questione, invero fondamentale. Inoltre, vorrei dire che salutiamo
favorevolmente l'accettazione, da parte delle università non statali,
della normativa relativa al diritto allo studio universitario. Lo dico
perché, al riguardo, era stato presentato un disegno di legge, poi
trasformato in un decreto che credo sia pendente davanti al Senato e
di cui avremo modo di discutere. Ma non possiamo acconsentire
all'assegnazione di risorse ad esse riservate. Invero, si tratta di un
principio che riteniamo utile in quanto, di fatto, garantisce la
platea degli aventi diritto anche tra quanti frequentano le
università non statali; non possiamo, però, ritenere che ciò possa
avvenire senza un incremento dei finanziamenti per la totalità del
sistema.
L'altra questione della quale voglio parlare riguarda il finanziamento
delle università; ne abbiamo discusso in Commissione ma lei saprà
meglio di me - e credo si sia già attivata - del recentissimo
documento, approvato all'unanimità dalla CRUI, che, addirittura,
minaccia dimissioni contestuali da parte dei rettori, cosa mai
avvenuta e abbastanza grave rispetto all'intero sistema. La situazione
economica degli atenei è drammatica; la finanziaria ha previsto per
il 2003 un taglio del fondo di finanziamento ordinario ma abbiamo
approvato emendamenti che ne aumentano la dotazione. Non so se tali
emendamenti verranno poi approvati dalla Commissione bilancio e mi
auguro, a tale proposito, che il presidente Adornato svolga un lavoro
efficace ed incisivo. Tuttavia, si tratta di finanziamenti non
adeguati alle reali esigenze delle università, le quali chiedevano
finanziamenti, per il periodo 2003-2005, di almeno 597 milioni di euro
all'anno, per far fronte all'avvenuto rinnovo del contratto nazionale
per il personale tecnico-amministrativo, all'onere aggiuntivo
all'aumento stipendiale (automatico, del 4,31) dei docenti, un onere
aggiuntivo di oltre 145 milioni di euro. Tutti aspetti che non
dipendono direttamente dalle università; mi auguro che il disegno di
legge finanziaria dia qualche segnale positivo però vorrei chiedere
al ministro come pensi di rimediare a tale situazione, che va
affrontata, certo, con la legge finanziaria ma anche, probabilmente,
con altri interventi, anche strutturali. Infatti, se non si fa fronte
alla situazione gravissima in cui versano le università, sarà
impossibile parlare di riforma, sarà impossibile parlare di
innovazione e di ricerca.
Un'altra questione riguarda l'esclusione dei nuovi laureati dalle
scuole di specializzazione per gli insegnanti della scuola superiore;
a tale riguardo, l'avvenuta esclusione, prima con una circolare e poi
con decreto ministeriale, forse un po' frettoloso, dei titolari delle
nuove lauree dalle prove di ammissione alle scuole di specializzazione
per gli insegnanti delle scuole secondarie è un fatto di particolare
gravità. Ritengo sia illegittima; la legge n. 341 del 1990 prevedeva
come titolo di ammissione la laurea (allora quadriennale) e in base
alla legge del 1997 ed al successivo decreto ministeriale vi è oggi,
nel nostro ordinamento, una sola laurea (che si consegue al termine
del triennio). Non si vede, quindi, come il titolare della nuova
laurea, che, di fatto, quindi, ha sostituito la precedente, possa
essere escluso dalle SIS. Ciò, aprendo sicuramente un nuovo
contenzioso e determinando lo svilimento del valore dei titoli di
studio, non costituisce un fatto positivo verso l'opinione pubblica,
verso gli studenti e verso le famiglie, proprio nel momento dell'avvio
della riforma stessa.
Vengo ora ad un'altra questione circa la quale vorrei rivolgerle
alcune domande, senza alcuno spirito polemico ma perché mi sembra
opportuno conoscere la sua opinione. Vorrei domandarle cosa pensa
dell'iniziativa del ministro Tremonti di istituire, con una sua
decisione, il LXXVIII ateneo italiano, una sorta di ateneo personale
che, come lei sa, è stato già ribattezzato, nel mondo accademico,
come ateneo Tremonti. È bastato un semplice decreto ministeriale per
trasformare in università la Scuola superiore dell'economia e delle
finanze e per metterla alle dirette dipendenze del ministro Tremonti,
creando un impensabile anomalo canale di reclutamento governativo dei
professori universitari. Con il rischio che ciò non garantisca il
governo unitario del sistema; governo unitario che dovrebbe essere
garantito e che dovrebbe poggiare soprattutto sulle competenze del
Ministero dell'istruzione e dell'università. A nulla è valso il
promemoria della CRUI, a nulla è valsa la vibrata denuncia del CUN. A
noi, ciò è parso un fatto assolutamente grave e che grave dovrebbe
ritenere anche il ministro dell'università. Quindi, vorrei chiederle,
avendo l'occasione di farlo, quale sia, al riguardo, la sua opinione e
come pensa si possa gestire in futuro tale situazione.
A proposito del CUN, vorrei anche domandarle, circa la sua prossima
scadenza e circa il riordino del CUN stesso, se corrisponda al vero
quanto ho letto sulla sua intenzione di prevedere una composizione del
CUN in parte elettiva e in parte di nomina governativa. Le chiedo, in
primo luogo, se ciò corrisponda al vero e, se corrisponde al vero, mi
limito ad osservare che il CUN dovrebbe essere l'organo di consulenza,
l'organo di governo della comunità scientifica e che nomine
governative, centralistiche da parte del Governo, di qualsiasi
Governo, rischierebbero di ledere il principio di autonomia nello
svolgimento delle proprie funzioni.
Infine, è stato sancito dall'articolo 28 della finanziaria 2002 - ed
è stato anche pubblicamente annunciato da un suo articolo, insieme al
ministro Tremonti - il progetto di trasformare le università statali
e gli enti pubblici di ricerca in possibili fondazioni di diritto
privato. Credo che ciò possa costituire un grave rischio per gli
studi superiori e soprattutto per la libertà e l'autonomia della
scienza. Ben diverso, invece, è il discorso relativo alle fondazioni
strumentali, di servizio per gli atenei, previsti dalla legge
finanziaria per il 2001. Su tale versante, anzi, credo si debba ancora
intervenire; al riguardo, le chiedo a che punto siamo e come pensa di
poter operare.
Infine - e ho davvero concluso, presidente - vi sono alcune questione
che riguardano ancora più da vicino gli studenti. Siccome lei ha
detto giustamente, in più di una occasione, che al centro debbono
stare i ragazzi, gli studenti e i giovani del nostro paese, ritengo
sia opportuno venga monitorato tutto il sistema di tassazione per
l'accesso alle università, dal momento che è inaccettabile esistano
modelli di tassazione non basati sul principio della progressività.
Credo che sia opportuno che tutte le tasse di iscrizione alle lauree
specialistiche non si discostino dalle quote definite per le lauree
triennali: non si può determinare un sistema nel quale il
proseguimento negli studi sia subordinato alla condizione
sociale.
Chiedo inoltre al ministro, per quanto è di sua competenza, che siano
monitorati gli effetti dell'introduzione dell'ISE e che sia verificato
il rispetto del DPCM e degli obiettivi prefissati relativamente alle
tasse e alle borse di studio. Sarebbe anche opportuno (sempre per
quanto di competenza del ministro) prevedere che tutti gli studenti
che abbiano la stessa condizione reddituale ISE (fino alla soglia dei
16 mila euro) siano esentati dal pagamento della tassa di iscrizione e
dai contributi all'università, ciò ai fini di ammortizzare l'uscita
dalle idoneità alla borsa di studio e stabilire quindi un minimo
principio unificante sul pagamento da tasse.
Ho cercato di porre una serie di questioni partendo da un bilancio un
po' diverso da quello da lei tracciato; l'ho fatto però con uno
spirito sicuramente critico, forse un po' aspro, ma mi auguro
sufficientemente costruttivo. Siamo una opposizione che intende
lavorare per il paese e per questo settore strategico che vediamo
assolutamente in difficoltà e per il quale sono convinto che anche
lei ritenga debbano essere messe in campo politiche più adeguate di
quelle che il Governo di centro destra ha messo in campo finora.
ANTONIO PALMIERI. Immagino che ci si attenda che un deputato della
maggioranza svolga un intervento difendendo l'operato del suo ministro
e del suo Governo. Non intendo svolgere un tale tipo di intervento
perché ritengo che non ve ne sia bisogno. Mi accontenterò invece di
puntualizzare alcune brevi considerazioni di fondo, di carattere
strutturale.
Anzitutto ritengo giusto pensare che sarebbe bello avere in audizione
il ministro Tremonti; però è anche vero che sarebbe bello avere in
audizione, ad esempio, Osama Bin Laden, ad esempio l'euro con tutto
quello che ha comportato, sarebbe bello avere in audizione...
(Commenti)
FRANCA BIMBI. Non lo abbiamo detto noi (Commenti)!
PRESIDENTE. Se fate concludere l'onorevole Palmieri capirete che
non pensa ad un collegamento tra Tremonti ed Al Qaida!
ANTONIO RUSCONI. Voleva dire che le possibilità di averlo qui sono
identiche!
PRESIDENTE. La battuta dell'onorevole Rusconi è deliziosa...
ANTONIO PALMIERI. Sì, non è male. Tralascio alcuni eventi
dall'ordine cronologico degli incidenti di percorso che hanno
caratterizzato la vita del nostro Governo (dalla sua nascita ad oggi);
dovrei continuare con la crisi dell'Argentina, la crisi ENRON, la
crisi FIAT e per ultimi - forse per primi - si dovrebbero ricordare i
Governi dell'Ulivo. Questo non per il solito ed abusato discorso del
buco di bilancio o dei tentativi di razionalizzazione - non andati in
porto - che avete tentato di impostare con le vostre finanziarie
(specialmente nelle ultime tre). Ma piuttosto perché le numerose
riforme, i numerosi provvedimenti, riguardanti soprattutto la scuola e
l'università, messi in campo dall'Ulivo nei suoi cinque anni di
Governo, ci impongono di fare una serie di «tagliandi», di
verifiche.
Alcuni esempi di quanto sostengo sono facili. La riforma
dell'università è una riforma che è stato scelto di non fermare, di
lasciare arrivare alla verifica. La stessa riforma del Titolo V della
Costituzione, come avete ricordato, è stata una decisione presa, come
tutti sapete, con quattro voti di scarto in coda alla legislatura e
che ha comportato ad esempio, in sede di riscrittura della riforma,
una serie di correzioni perché andava adeguata al mutato
contesto.
La mia considerazione è che qualsiasi ragionamento approfondito
vogliamo fare sull'oggetto della nostra audizione non può non tener
conto del contesto che dal 19 luglio 2001 cioè da quando il ministro
Moratti venne qui in audizione per la prima volta, è radicalmente
mutato.
Il corollario a questo discorso sul contesto è che anch'io ho
apprezzato i contributi che avete fornito sia in questa discussione
sia durante la discussione sulla finanziaria, anzi oserei dire sempre,
a parte quando ve la prendete col povero Garagnani... (Commenti).
Dobbiamo soltanto essere contenti di come lavoriamo qui.
La seconda riflessione è che fuori da questa sede dobbiamo però
comportarci tutti bene, allo stesso modo. Ho letto ad esempio
dichiarazioni di componenti dell'opposizione con riferimento alla
relazione che dovrò tenere domani per il parere sulla legge sugli
insegnanti di religione. Devo dire che non faccio fatica a riconoscere
in quello che leggo sui giornali, o quello che sento per radio e
televisione - e a volte in Aula - gli stessi colleghi con i quali
lavoro qui. Allora il mio è un sommesso richiamo al fatto di non
agitarsi o di avere due comportamenti. È evidente che poi, fuori da
questa sede, quando si va nelle scuole, negli appuntamenti pubblici,
si alzino inevitabilmente i toni. Dico ciò perché poi vi seguono, o
meglio, voi mandate avanti (non voi direttamente ma l'opposizione in
quanto tale, politica e non solo) gli studenti nelle scuole con tutto
il corollario di iniziative che ben conosciamo. Già siamo a ottobre e
probabilmente partiranno tutti i vari riti, anzi sono già partiti in
questi giorni.
Questo Governo, e di conseguenza questo ministero, si sono dati un
programma articolato su cinque anni. È quindi inevitabile - per noi
non è comodo - che il giudizio su quello che faremo potrà essere
dato compiutamente soltanto alla fine dei cinque anni. Ci siamo
assunti una serie di impegni, cito la riforma della scuola, la
verifica della riforma delle università, l'attuazione piena della
libertà di educazione, il raddoppio dei fondi pubblici per la
ricerca. Il Governo si è impegnato a stanziare un minimo di 15 mila
miliardi di vecchie lire in più da spendere nell'arco della
legislatura. Questo impone il fatto che il giudizio non può che tener
conto del contesto che ho ricordato velocemente prima, ma deve anche
tener conto che lavoriamo nell'arco dei 5 anni della legislatura,
sempre ammesso che le intemperanze di questi giorni - ma questa è una
battuta - ci consentano di farlo.
Un altro aspetto riguarda un discorso di merito. Ribadisco che
lavoriamo su un programma di cinque anni di legislatura ed ho
intravisto «in filigrana» un metodo Moratti; da questo punto di
vista vi è un metodo Moratti che si basa su due atteggiamenti. La
prima parte del metodo è quella usata per la riforma della scuola,
per la riforma dell'università e per tutte le grandi riforme che il
ministero sta mettendo in cantiere. Disporre, cioè, di una
commissione di esperti che studino il problema e che dia vita ad un
documento finale. Questo documento finale è poi oggetto di
discussione pubblica nel paese e nelle istituzioni. Dopodiché segue
il precipitato di un testo di legge che arriva alle Camere e sul quale
noi facciamo poi il lavoro per il quale siamo pagati.
Vi è quindi la seconda parte del metodo che è quella che presenta un
sano realismo. Perché è evidente che in un contesto drasticamente
mutato rispetto al 19 luglio 2001 non si può far altro che adeguarsi
con realismo a questo contesto. Ad esempio, ci si può anche
accontentare - come avete affermato - della sperimentazione. Certo, ma
io considero il caso della sperimentazione un grande atto di realismo.
Perché di fronte all'impossibilità di mettere la riforma in cantiere
sin da settembre (data la lunghezza dei lavori parlamentari e stanti
le difficoltà che comunque la vita parlamentare comporta) ci si è
avviati sulla via della sperimentazione che è una via di realismo e
di concretezza: si compie una verifica sul campo con un test in un
numero congruo di istituti. In questo modo, si trasforma il male in un
bene, per cui lo svantaggio della non approvazione della riforma
diventa il vantaggio di poterla testare e di aggiustarla in corso
d'opera, con realismo laddove occorresse.
Nel mio intervento in Commissione, durante la scorsa settimana, ho
citato le due «r» di razionalizzare e rilanciare, con un sano
realismo; poiché le condizioni del contesto impediscono di erogare
subito parte di quei 15 mila miliardi di vecchie lire, bisogna
prestare attenzione a rimettere mano a ciò che già esiste per farlo
funzionare meglio e per risparmiare risorse da investire nella
scuola.
Von Hayek diceva che le istituzioni sono come una fortezza e, quindi,
valgono in virtù del valore dei soldati che ne fanno parte; ho la
fortuna di conoscere sin dal 1994 il sottosegretario Aprea e il
viceministro Possa, ed in questi mesi ho conosciuto Stefano Caldoro ed
il sottosegretario Siliquini; non conoscevo in precedenza il ministro
Moratti, verso la quale nutro un'insana venerazione dovuta al fatto di
essere, oltre che milanese, interista...
Ritengo estremamente importante il fattore umano: sono sicuro con lei,
signor ministro, perché crede in ciò che fa e questo costituisce un
vantaggio per tutti (non che i ministri precedenti non credessero nel
loro compito); proprio in virtù del modo in cui il ministro
dell'istruzione viene costantemente dipinta da giornali e documenti,
io stesso e tutti i deputati della maggioranza siamo confortati.
Insisto sul fattore umano perché la mia cultura nette al primo posto
la persona con la sua libertà e la sua responsabilità individuale.
Roosvelt diceva: fate ciò che potete con ciò che avete e dove siete;
questa è la condizione in cui ci troviamo ad operare e su questo
lavoriamo.
Primum vivere, deinde philosophari; spesso è faticoso far comprendere
che non stiamo filosofeggiando, ma che stiamo parlando del vivere.
Ribadisco la certezza che per noi, ciò che stiamo facendo appartiene
al primum vivere e cercheremo di farlo al nostro meglio.
PRESIDENTE. La ringrazio. Scherzosamente, le consiglierei di tenere
il paragone con l'Inter per sé, perché per ora i risultati non sono
equivalenti a quelli che ci aspettiamo dal ministro dell'istruzione,
anche se capisco che quest'anno si possa avere qualche speranza in
più.
WALTER TOCCI. Signor ministro, vorrei rivolgerle domande molto
precise e, ovviamente, mi aspetto risposte altrettanto precise,
resistendo alla tentazione di intervenire nel dibattito, anche se il
garbato intervento di Palmieri costituisce, appunto, una
tentazione.
Sono anch'io convinto che il ministro creda in ciò che fa e, dunque,
mi sembra che il modo migliore per interloquire sia chiederle impegni
precisi su alcuni aspetti puntuali, fermo restando che sulle linee
generali avremmo tante altre occasioni di confronto.
La prima domanda riguarda il fatto che tra poche ore, come il ministro
saprà, scade l'ultimatum che l'Europa ha dato al Governo italiano per
la partecipazione alla missione spaziale sul pianeta Venere. Immagino
che in queste due ore il Governo non risponda e, dunque, rischiamo di
essere esclusi da una missione scientifica di altissimo livello. Il
pianeta Venere è, ovviamente, affascinante per i ricercatori e, da
sempre, per l'immaginario collettivo: si tratta di un pianeta che
riempie la letteratura mondiale. È la prima volta che l'Italia viene
esclusa da un'importante missione scientifica internazionale: questo
accade ad un paese che, dopo i russi e gli americani, è stato il
primo a lanciare un satellite ed un suo astronauta nello spazio.
Ministro, le chiedo se è possibile fare ancora qualcosa nei prossimi
giorni, anche se la scadenza è maturata oggi, per recuperare questo
gravissimo strappo dell'Italia rispetto ai progetti spaziali
europei.
In secondo luogo, venerdì si riunisce il council dell'ESA con
all'ordine del giorno il progetto Galileo. Da quanto mi risulta,
venerdì non saremo in grado di sciogliere il nodo, perché permane un
braccio di ferro tra la Germania e l'Italia. Da venerdì, secondo il
PERT di lavoro del progetto si potrebbe cominciare a decidere di
definanziare il progetto: i tempi cominciano a farsi stretti e se non
cominciamo a lanciare i satelliti, nel 2004 si rischia un grave
incidente, cioè di perdere le frequenze che ci sono state assegnate
in sede mondiale per quel progetto. Ho molto rispetto per le
trattative internazionali tra paesi, ma siamo a pochi giorni dallo
show down e mi sembra legittimo porre un interrogativo: è ancora il
caso di insistere nel braccio di ferro tra noi e la Germania per chi
deve detenere il pacchetto azionario di maggioranza del progetto? Non
è più saggio fare come si fa in genere all'ultimo minuto di una
trattativa, cioè cedere su un principio, ma ottenere qualcosa di
sostanziale? La Germania potrebbe assicurarsi il pacchetto azionario
di maggioranza, ma in cambio potremmo portare l'ingegneria di sistema
in una città italiana. Non sarebbe una scelta molto più pratica e
concreta per l'Italia, poiché sbloccherebbe il progetto e ci darebbe,
nella sostanza un primato reale? Ministro, la prego di porgere
attenzione a tale vicenda, perché ho l'impressione, con tutto il
rispetto, che il management dell'ASI non disponga di coraggio e
preveggenza adeguati ad una scelta così delicata
In terzo luogo, il ministro ha citato una trattativa europea ben
riuscita, quella con la Francia sul missile Vega: lo ritengo un ottimo
risultato e mi complimento con il ministro per la trattativa.
Sicuramente, aver ottenuto il riconoscimento del Vega costituisce un
successo per l'Italia e per la FIAT che costruisce questo missile. Chi
si interessa di tecnologie in questo campo, però, considera i missili
come la carrozzeria, cioè la parte meno strategica della tecnologia
spaziale; la strategia è, infatti, contenuta nell'ingegneria di
sistema. Se perdiamo punti nell'ingegneria di sistema ed otteniamo
missili, alla fine il bilancio tecnologico non sarà certo nostro
favore. Poiché la trattativa con la Francia ha dato un esito
positivo, perché non ratifichiamo in Parlamento l'accordo che fu
stipulato due anni fa tra Italia e Francia su Kosmos skynet, dando
avvio ad una ambiziosissimo progetto di telerilevamento via satellite,
che consentirebbe tante altre ricadute nell'attività concreta del
nostro paese?
Il quarto punto riguarda il fatto che questa mattina abbiamo approvato
in Commissione, per quanto di nostra competenza, il disegno di legge
finanziaria: sugli enti di ricerca è risultato un taglio del 5 per
cento e ciò pone un problema a molti di questi enti. Domani alle 14
ci riuniremo nuovamente per decidere il fondo di riparto per il 2002:
su ciò ho poco da dire, perché sostanzialmente si ripete lo schema
dell'anno precedente. Nel decreto ministeriale, però, a mio avviso in
modo ultroneo, si stabilisce un taglio del 10 per cento per il 2003.
Mi domando, perché se in sede di legge finanziaria si taglia il 5 per
cento - immagino che il ministro abbia anche sofferto di questo taglio
perché, se avesse potuto concedere qualcosa in più agli enti di
ricerca, l'avrebbe fatto - quando si tratta di un decreto
ministeriale, sottoposto alla piena autonomia del ministro, si aggrava
questo taglio di un altro 5 per cento, portando dunque al 10, quando
non c'è nessun bisogno e nessuna legge finanziaria che lo
impone.
Per quale motivo costruire un vincolo in più, in questo momento,
quando questi enti già sono in sofferenza finanziaria?
Le chiedo, anche se mancano poche ore - come ho già chiesto ai
colleghi della maggioranza - un attimo di riflessione: togliamo quel
riferimento al taglio del dieci per cento sull'anno prossimo! Abbiamo
già operato un taglio del cinque per cento (io non l'ho votato) che,
come voi affermate, è risultato obbligato da esigenze di contabilità
finanziaria. Ma un taglio del dieci per cento non è imposto da
nessuno, perché lo dobbiamo introdurre da soli (intendo, noi come
settore scientifico)?
Desidero veramente lanciare un appello su questo punto, perché si
tratta di qualcosa che possiamo evitare. Si tratta di un'ulteriore
scure, di un ulteriore brutta notizia che possiamo evitare a persone
che conducono normalmente ricerca e si impegnano ogni giorno,
lavorando ormai con le «briciole».
Tenga conto del fatto che, se adottiamo un taglio del dieci per cento,
i dati che fornisce il CNR - che non sono stati smentiti
dall'onorevole Possa qui in audizione - indicano che lo stanziamento
per il 2003 andrebbe sotto il livello delle spese fisse. Che cosa ha
fatto di male il CNR per meritare uno stanziamento che va al di sotto
delle spese fisse? Abbiamo visto il benchmarking fatto
dall'osservatorio del CIVR, che opera presso il vostro di Ministero,
il quale dimostra che, dal punto di vista del numero delle
pubblicazioni, il nostro CNR non ha niente da invidiare al Max Planck
o al CNRS francese, cioè a dire che con risorse molto ridotte esso ha
una produttività scientifica - utilizzando il parametro delle
pubblicazioni - dello stesso livello degli altri istituti che ho
appena richiamato.
Cosa ha fatto allora di male per meritare un taglio finanziario così
drastico, fino ad un limite che va al di sotto delle spese fisse,
quando in realtà non ce ne è bisogno? In questo caso, non c'è
Tremonti che ci ha chiesto il dieci per cento. Tremonti ha chiesto
soltanto il cinque, allora perché aggiungiamo qualcosa di più? Vi
dico tutto ciò in modo veramente accorato perché vedo che si tratta
di una decisione che si potrebbe evitare.
Per quanto riguarda poi tutti gli altri enti, quello che riceve il
colpo più grave è l'Istituto nazionale di fisica della materia (INFM).
Ho già detto in Commissione che di ciò non ha colpa alcuno. Non sto
accusando voi per avere tagliato le spese. È un fatto che ha una sua
oggettività, perché sono scadute delle leggi settoriali che
assegnavano a quell'ente dei finanziamenti importanti.
Ora, signor ministro, io ascolto i suoi discorsi e cerco di capire,
perché ritengo importante cercare di capire cosa intenda il nostro
interlocutore. Per questo, mi viene da pensare che quando lei disegna
l'ente di ricerca ideale, il modello ideale e il suo funzionamento, se
riflette bene, queste caratteristiche ideali della sua proposta sono
tutte presenti nell'INFM, la quale è un'agenzia snella, senza
burocrazia, con poco personale, che muove centinaia di miliardi.
L'INFM è ad alta internazionalizzazione, perché praticamente tutti i
suoi progetti sono su scala internazionale ed anzi, proprio su quella
scala, riesce anche ad ottenere i finanziamenti, anche perché è in
grado di cofinanziarli. Quindi, se operiamo un taglio, ci sembrerà di
compiere un risparmio ma in realtà produrremo solo un danno, perché
magari verrà a mancare quel cofinanziamento necessario per ottenere
un progetto europeo sul quale l'istituto si era già proposto.
Non solo, la cosa più importante è che sappiamo come l'Istituto
lavori su un settore particolare della ricerca di base, cioè quello
più vicino alle applicazioni tecnologiche e alle innovazioni
imprenditoriali. In questi ambiti si stanno svolgendo importantissime
ricerche sulle nanotecnologie.
In alcuni dei nostri laboratori - spesso ciò si dimentica - si stanno
svolgendo esperimenti sulla nuova generazione di computers, basati su
fenomeni quantistici. È qualcosa di cui si parlerà fra vent'anni, è
vero, ma alcuni dei nostri laboratori sono, a livello internazionale,
accreditati come i migliori del mondo. Perché andiamo allora a
toccare un settore come questo?
In altri termini, ciò che intendo dire è che molto spesso, nelle
macrodecisioni, così come quando si prendono decisioni relative a
tagli di spesa, a volte non si ha - ciò è anche naturale - la
possibilità di intravedere situazioni particolari che si verranno a
determinare e che magari produrranno tagli davvero drammatici ed
effetti molto negativi per il paese.
Le chiederei un'ora del suo tempo per studiare la situazione dell'INFM.
Troviamo, tutti, il modo, se non adesso anche fra qualche mese, di
restituire almeno una parte dei fondi che sono venuti a mancare in
conseguenza della scadenza delle leggi di finanziamento.
Per quanto riguarda il decreto di riorganizzazione del CNR,
l'onorevole Possa, nel corso del suo intervento in Commissione, ha
riferito alcune cose che, francamente, mi hanno molto preoccupato.
Pertanto, desidero sapere se ho capito bene e se lei in qualche modo
confermi o meno quanto detto dal sottosegretario.
Mi sembra di avere capito che voi intendiate istituire un nuovo
livello di governo dell'ente. Attualmente c'è il consiglio di
amministrazione e poi ci sono gli istituti. Voi desiderate inserire un
livello intermedio e chiamarlo dipartimento. Fin qui, può trattarsi
anche di una buona opera di ingegneria organizzativa che può portare
alla sintesi di attività oggi molto diversificate. La cosa che però
ci preoccupa è che questo dipartimento sarebbe di nomina governativa.
Poiché questo dipartimento è immediatamente impegnato
nell'organizzazione dell'attività scientifica, le voglio far rilevare
che sarebbe la prima volta in Italia che si istituisce una nomina
politica nella gestione di laboratori di ricerca scientifica. Una cosa
simile non è mai successa nella storia nazionale, neppure durante il
periodo del fascismo. Non è successa neppure negli anni '80, in cui
la lottizzazione - prima di «mani pulite» - si sviluppò in tutti
gli ambiti della vita nazionale. La ricerca scientifica, infatti,
perlomeno a livello della gestione dei laboratori, rimase immune. Ora,
lei conosce bene la RAI. Se noi creiamo dipartimenti di nomina
politica, mettiamo il CNR su una strada che lo porterà, dopo pochi
anni, a strutturarsi sul modello della RAI. È davvero una strada
sbagliata! Non ci si chiede questo a livello internazionale. Quando i
nostri ricercatori vanno in Europa e si confrontano giorno per giorno
(perché la ricerca è internazionale per definizione), sicuramente
verrà fuori una discrasia, perché negli altri paesi non sono i
governi, né di destra, né di sinistra, a decidere chi debba dirigere
un laboratorio di ricerca. Quella decisione spetta infatti alla
comunità scientifica. Sugli indirizzi, sui criteri e via dicendo
possiamo capire l'intervento del Governo, ma quella decisione, in
particolare, deve spettare alla comunità scientifica, altrimenti si
intacca qualcosa di prezioso per l'Italia e di delicato nel
funzionamento di questo settore. Spero quindi di avere capito
male.
Quindi, al di là di ogni polemica e fuori da deformazioni o
propaganda politica, le ribadisco di avere avvertito, in persone di
diverso orientamento politico, una preoccupazione, una sorta di
ferita, di fronte al rischio di finire sotto la politica del governo.
I ricercatori, per loro natura, hanno un forte spirito di autonomia,
uno spirito nel quale la comunità scientifica opera da sempre e le
assicuro che in molti stato rimasti male, anche molti che pure
guardano ed hanno guardato a voi con speranza.
Secondo me, sarebbe molto saggio, da parte sua e da parte del Governo,
fare un passo indietro, staccare la spina, perché tutta questa
vicenda è partita male, anche da un punto di vista delle Commissioni.
Prima di approvare il decreto, ci si dovrebbe anzitutto consultare con
la comunità scientifica. Pervenite, per esempio, ad un documento nel
quale esponete le vostre linee e su questo consultate la comunità
scientifica.
Guardi, signor ministro, magari perderete uno o due mesi in più, ma
le assicuro - si tratta di un consiglio - che ciò varrebbe ad
eliminare una certa diffidenza che si è creata non soltanto a
sinistra e in quelli che la pensano come me ma anche presso
ricercatori di diverso orientamento. Si tratterebbe di una mossa atta
ad eliminare questo clima di diffidenza per poi ripartire, affrontando
un dibattito, ed arrivare, finalmente, ad una sintesi, con il decreto.
Lo ribadisco, far precedere quest'ultimo da una consultazione sarebbe
uno straordinario atto di saggezza.
Per quanto riguarda l'assemblea della scienza, si tratta di un
organismo previsto dalla legge vigente. So che ha mostrato delle
perplessità su questo punto e mi piacerebbe capire il perché.
La ricerca privata è un aspetto sul quale insistete molto; siamo
d'accordo, ma vi sono 1.200 domande, per lo più di privati, che hanno
partecipato ai bandi (bandi FIR e FAR) per circa 4,4 miliardi. Il 70
per cento di queste domande sono di piccole e medie imprese; penso sia
un fenomeno straordinario, peraltro anche poco valorizzato e
conosciuto. Significa che sussiste una propensione all'investimento da
parte di piccole e medie imprese, perfino sulla ricerca di base. È un
fenomeno che andrebbe curato, «coccolato», starei per dire. Come si
risponde, invece, con questa finanziaria? Sostanzialmente, vengono
soddisfatti, se non ricordo male, per un ammontare di 1,5 miliardi
(per lo più, con i vecchi fondi stanziati dagli «sciagurati»
Governi dell'Ulivo) e vengono messi, se non ricordo male, 200 o 300
milioni in più, circa un decimo della domanda residua che è,
appunto, di 3 miliardi. Ma noi mortifichiamo il più importante dei
fenomeni: la nascita di una piccola e media impresa disposta a fare
ricerca di base. La vera arretratezza risiede in ciò. Certo, noi
facciamo spesa pubblica per investimenti un po' meno degli altri ma,
soprattutto, è l'impresa privata che non ha le condizioni per
investire, anche per il suo strutturale nanismo. Ma in questo caso
siamo in presenza di una buona notizia da parte del sistema
imprenditoriale e, quindi, in tale occasione, bisognerebbe che davvero
investissero un po' tutti. Parla spesso dei distretti industriali;
personalmente, condivido quanto dice, anche nell'ultimo articolo
apparso in prima pagina sul Sole24Ore. Ma, poi, qual è la ricaduta di
quanto da lei ha detto? In finanziaria, dove troviamo quanto da lei
proposto circa i distretti industriali?
Quanto al blocco delle assunzioni, esso, nella ricerca, produce un
ulteriore invecchiamento dei nostri ricercatori, che hanno ormai
un'età media di 50 anni, un'età in cui la ricerca quasi non si fa
più. Adesso, blocchiamo le assunzioni dei professori universitari;
lei sa, però, che in rapporto alla popolazione studentesca, sono
circa la metà degli altri paesi europei. Siamo drasticamente
sottodimensionati; se non ricordo male, nei prossimi cinque anni,
peraltro, ne vanno in pensione circa un quarto. Quindi, fra pochi
anni, avremo un drammatico sottodimensionamento dei professori
universitari e ciò mentre parliamo di società della conoscenza e di
quant'altro. È una scelta sbagliata; capisco la compatibilità ma si
tratta di una scelta sbagliata. Ed è anche un po' pericoloso che la
piccola deroga da voi inserita tramite quel piccolo fondo sia
vincolata ad un'autorizzazione del ministro dell'economia e delle
finanze. Ma ciò significa che un'università che vuole assumere un
professore universitario deve preoccuparsi di avere un buon rapporto
con il ministro Tremonti, cosa, invero, difficile anche per voi:
figuriamoci per gli altri! Introduciamo un controllo politico del
Ministero dell'economia e delle finanze sull'assunzione dei professori
universitari. Le domando, ministro Moratti: tale schema è compatibile
con l'autonomia universitaria?
Infine, l'ultima questione con la quale concludo il mio intervento
riguarda il piano spaziale nazionale, da voi approvato in agosto.
Avete proposto, in quella sede, un aumento del 13 per cento per quest'anno;
collega Palmieri, al riguardo dobbiamo cercare di capirci. Sostenete
di avere fissato degli obiettivi a fine legislatura ma ciò non è
vero. Quando stabilite tali programmi, date l'obiettivo di fine
legislatura - peraltro, nessuno ve lo ha chiesto - ma, per essere
troppo bravi, fissate anche le tappe intermedie. Quindi, il piano
spaziale indica, per il 2003, più 13 per cento ma, se si leggono i
documenti - quelli veri -, si trova, al contrario, un meno 10 per
cento. Analogamente, per quanto riguarda le linee guida, non si tratta
di un obiettivo di fine legislatura. Onorevole Palmieri, lei è una
persona precisa; la prego di controllare. Infatti, si dice, anno per
anno, quale sia il gradino e nel 2003 - si sostiene - vi deve essere
un aumento, in rapporto al PIL, dello 0,11. Ma non vi è un tale
aumento; anzi, vi è una diminuzione.
Vi è ormai una divaricazione tra bilanci che chiamo onirici (le linee
guida, il piano spaziale) - bilanci di sogno, che, tuttavia, sono
approvati dal CIPE - e, invece, i bilanci veri, i quali sono di segno
opposto. Lei ha diretto aziende; ma, secondo lei, un'azienda può
funzionare con due bilanci, uno onirico e l'altro reale, completamente
disallineati? Se dunque non può vivere un'azienda con due bilanci
contraddittori, tanto meno può farlo un sistema complesso come
l'amministrazione pubblica. Allora, davvero, onorevole Palmieri, vi
sarebbe bisogno, in tal caso, di grande realismo. Bisogna prendere
atto che quei bilanci costituiscono dei sogni; occorrerebbe, quindi,
fare programmi realistici, con le risorse disponibili da qui ai
prossimi quattro anni. Questa operazione di verità l'ha fatta persino
Tremonti: ce ne è voluto - ed il paese ha pagato anche dei prezzi -
ma, alla fine, l'ha fatta. Credo che ciò debba farsi anche in questo
campo; le linee guida, da questo punto di vista, vanno riscritte.
Analogamente deve farsi per il piano spaziale. È bene per voi, per
noi, per tutti quanti che si facciano programmi realistici.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Tocci, ma vorrei precisarle,
proprio per il suo richiamo al pragmatismo, che, se «passano» gli
emendamenti da noi approvati stamani - ed è auspicio di tutti -
rispetto alle precedenti finanziarie non vi sarebbe un taglio sui due
capitoli (enti di ricerca e fondo) del 5 per cento ma un incremento
del 5 o 6 per cento. Naturalmente, bisogna sperare e
attendere...
WALTER TOCCI. Non dello 0,11 sul PIL?
PRESIDENTE. No, mi riferivo alla sua affermazione rispetto al
taglio del 5 per cento. Se vengono approvati gli emendamenti, abbiamo
un incremento del 5 per cento.
WALTER TOCCI. Questa è la nuova notizia della giornata!
PRESIDENTE. Bisogna vedere se gli emendamenti passano; non è
detto. Comunque, vorrei ringraziarla per il suo intervento; devo dire
che - sarà per la sua presenza, ministro o sarà per l'ora post
vespertina - l'odierna è una delle più interessanti sedute che
abbiamo fatto da quando ci siamo insediati. Devo, però, pregare i
colleghi di contenere i loro interventi in tempo stretti, non più di
cinque minuti. Mi scuso con loro, anche perché immagino che i loro
interventi saranno molto interessanti; inoltre, penso sia interesse
della Commissione, oltre che maggiore agio per il ministro, rinviare
la replica ad altra seduta. Ciò anche affinché la replica possa
essere approfondita, come, del resto, richiedono gli interventi
medesimi.
ANTONIO RUSCONI. Riservandomi eventualmente di consegnare un testo
scritto, dico subito che non vorrei spezzare il clima di cordialità e
che parlerò soltanto della scuola, per ragioni di tempo. Le votazioni
di oggi pesano come un macigno, almeno per quanto mi riguarda. Tutti
gli emendamenti da noi presentati sulla scuola sono stati respinti,
anche quelli la cui approvazione ci era sembrata scontata. Farò
alcuni esempi, nella speranza che lei ci aiuti a recuperarli; abbiamo
chiesto, circa la riduzione del sostegno, che almeno gli alunni
certificati fossero garantiti ma ci è stato detto di no. È stata
respinta la proposta con cui abbiamo chiesto che i progetti
pluriennali, comportanti il completamento delle 18 ore e già
autorizzati dal Ministero, costituissero una delle eccezioni al primo
comma dell'articolo 22 del disegno di legge finanziaria per il 2003.
Quindi, è difficile non essere avviliti anche se ho apprezzato il
tono della sua relazione; a differenza di quelli dei colleghi, ho
trovato il suo intervento alquanto preoccupato e ne ho condiviso le
preoccupazioni. Vi ho anche scorto la volontà di ricercare soluzioni
a problemi reali.
Il primo aspetto è il seguente; in questa finanziaria, la scuola ha
un ruolo secondario. Rispetto a ciò, non mi si può rispondere che
altri l'hanno già fatto; mi sembra un pessimo modo, davvero della
«vecchia politica»...
PRESIDENTE. Mi scusi, altri hanno già fatto cosa?
ANTONIO RUSCONI. Mi riferivo ai precedenti Governi di
centrosinistra; ebbene, mi sembra un pessimo modo di affrontare il
problema, se tutti crediamo che la scuola sia una priorità. Ho visto
questa maggioranza avere la forza numerica e la capacità politica di
scegliere priorità ed urgenze per il paese; l'ha dimostrato anche
recentemente, senza entrare in polemica diretta. Non penso di essere
l'unico parlamentare che, di fatto, desidera un progetto globale del
sistema scolastico nel quale sia chiaro che la scuola è una
priorità, che scaldi gli animi, la passione e gli ideali dei
capigruppo di maggioranza e minoranza e che recuperi risorse ed
impegni di bilancio. Vorrei non si facessero più campagne
denigratorie, ad esempio verso i 18 mila insegnanti che non
insegnano.
Parliamo anche degli oltre 7 mila che occupano posti vacanti di
dirigenti scolastici e dei mille impegnati nelle scuole all'estero,
che mi auguro non vogliamo chiudere; dei 500 che sono in mandato
amministrativo, o parlamentare come il sottoscritto, che non costano
nulla. Parliamo soprattutto del problema dei piccoli comuni, che
rischiano, per il rapporto di alunni, di vedersi conclusa la loro
autonomia. Già questa mattina su alcuni organi di stampa vi era un
piccolo elenco diviso per provincia di istituti che rischiano
ciò.
Vorrei soffermarmi ancora su tre brevi aspetti. Per quanto riguarda la
sperimentazione, il numero di 136 scuole è esiguo. Lo SNALS, che non
passa certo per essere un sindacato schierato con il centrosinistra,
afferma che si tratta di una sperimentazione improvvisata e debole;
che non potrà avere un grande esito anche perché il campione di
scuole è troppo esiguo.
Faccio un appello sul tema delle 18 ore. Di fatto si chiuderanno i
servizi di biblioteca, in alcuni posti lo hanno già fatto, con le 24
ore dello scorso anno. Addirittura arriveremmo al recupero scolastico,
ai debiti scolastici a pagamento. Ed inoltre si copriranno molto
parzialmente le supplenze brevi.
Auspico anche uno studio sull'aumento dei ricorsi perché dal momento
che la quota di supplenze è molto limitata, i dirigenti scolastici
finiscono per suddividere le materie in materie di serie A e materie
di serie B; dove coprire le supplenze e dove no.
Vi è il problema dell'edilizia scolastica rispetto agli impegni entro
il 2004 degli enti locali. Un nostro emendamento al riguardo è stato
bocciato questa mattina. Vi è poi il discorso della legge n.440 del
1997 che rischia di far scoppiare una guerra tra poveri, ovvero tra
enti locali ed istituzioni scolastiche.
Mi permetto due ultime appelli. Condivido, con l'amico Garagnani,
molti ideali - e mi auguro anche molti valori - al di fuori di questa
sede. Oggi però, in qualità di relatore, mi ha contestato quando ho
affermato che sono orgoglioso degli insegnanti che comunque ci sono
nella scuola, dicendo che egli non garantisce sulla qualità degli
insegnanti presenti. Non so se con il termine presenti si riferiva
solamente al sottoscritto, cosa che - lo dico per sdrammatizzare -
sarebbe in tal caso motivata... (Commenti)
Vorrei che partisse un appello per il ministro a riconoscere il valore
di questi insegnanti. Di fatto essi vengono da un anno di umiliazione;
non si è fatto molto per incoraggiarli; se continuiamo a fare certe
dichiarazioni come quelle che abbiamo sentito oggi, assistiamo - per
fare una battuta - alla parodia di Dorian Gray. Cioè dove vi è un
corpo insegnante che invecchia sempre più, addirittura sembra
esangue, addirittura si dice non migliora ma alla fine si ha il
risultato di una scuola che migliora dopo l'esito di questa
finanziaria. Sembra la parodia del famoso quadro.
Infine, sulla legge n. 62 del 2000 sottolineo che la libertà
educativa interessa anche noi. Se non ho sbagliato nel leggere le
tabelle, vi sono le stesse risorse con un numero maggiore di istituti
riconosciuti. Il che vuol dire che ogni istituto avrà una quota di
risorse inferiore. Siccome ritengo che vi sia un unico modo per
credere veramente nella libertà educativa, destinarvi cioè qualche
risorsa in più, mi sembra che questa sia una valutazione
negativa.
Ho apprezzato molto l'invito del presidente della Repubblica, ed in
parte anche di quello del ministro, in occasione dell'apertura
dell'anno scolastico. Se però a quello che abbiamo sentito quel
giorno ci crediamo veramente - non ho motivo per dubitarne signor
ministro - allora siamo sicuri che la legge delega che sottrae al
dibattito parlamentare la discussione degli aspetti più importanti
della riforma della scuola sia lo strumento utile? Secondo, me non
aiuta a fare in modo che maggioranza e minoranza lavorino
insieme.
PRESIDENTE. Le vorrei far presente che, come lei sa, in Commissione
abbiamo all'esame diversi disegni di legge riguardo alla libertà di
educazione, ma sono però tutti di maggioranza. Ho invitato il suo
capogruppo, ma anche tutti gli altri, a presentare una vostra proposta
di legge sapendovi sensibili al problema. Questo può aiutare in vista
di una nostra discussione futura.
All'onorevole Garagnani, che sta per intervenire, chiedo se era
veramente l'onorevole Rusconi l'oggetto della sua affermazione.
FABIO GARAGNANI. Ricordo solo di aver affermato che non si può
dare un giudizio di indiscussa bontà e validità per tutti gli
insegnanti. Mi pare veramente fuorviante; ribadisco ora che vi sono
insegnanti validissimi ed altri pessimi che fanno solo politica o
quanto meno sono totalmente disimpegnati dall'opera educativa. Dire
questo non penso rappresenti un anatema e comunque, siccome lo penso,
lo ribadisco.
Questo dibattito mi è parso opportuno anche perché per la prima
volta, dall'insediamento di questa Commissione, ci si confronta.
Anch'io sono d'accordo con quanto affermato dal presidente Adornato,
cioè che ci si confronta sulle prospettive scolastiche e sulle
prospettive di questa Commissione in presenza del ministro e del
sottosegretario Aprea partendo anche da punti di vista diversi.
Dobbiamo avere il coraggio di confrontarci anche su ottiche diverse,
facendo riferimento alle nostre matrici culturali. La presenza del
ministro - che deve interpretare sì tutto ma che è interprete di un
ben preciso disegno politico della maggioranza - credo serva come
elemento di stabilizzazione e di confronto.
Volevo porre alcune quesiti a me stesso, a voi ma in particolare al
ministro, dandogli atto (non perché sia un atto dovuto e lo
spiegherò) di aver introdotto nella scuola italiana, con il disegno
di legge delega e con alcuni interventi, un primo serio tentativo,
preciso e definito, di cambiare una situazione nella scuola italiana
che si è consolidata nel tempo. Storia ormai più che centenaria
basata su alcuni assi portanti. Statalismo esasperato, controllo dal
centro, nessuno impulso ad avere propria autonomia scolastica;
marchingegni per cui concorsi, promozioni degli insegnanti, eccetera
seguivano vie preordinate, stabilite, fisse nel tempo. Il ministero
dell'istruzione era un Moloc che ha dato l'impressione, soprattutto in
questi ultimi anni, di differenziarsi, di distanziarsi sempre più dal
grosso della società italiana.
Rimane il fatto che molti colleghi, anche in questa occasione come da
sempre, hanno attaccato il Governo sulla sua volontà di dequalificare
la scuola pubblica con una serie di iniziative. Quando il 96 o 97 per
cento delle voci del bilancio del ministero dell'istruzione pubblica
serve per il pagamento degli insegnanti statali, senza assolutamente
stanziare determinati introiti, determinate cifre per la parificazione
scolastica e per progetti e ricerche per la scuola privata, dimostra
che questo è un Governo che si fa carico della situazione della
scuola italiana. A questo punto però mi pongo un problema, pur
rendendomi conto dei drammi che possono nascere e di una situazione
che ormai si è consolidata.
Siamo veramente convinti, percorrendo questa strada, di fare il bene
della scuola italiana? Mi rivolgo ai colleghi della sinistra senza
polemica, poiché li vedo ancorati e vincolati ad una tradizione
statalista: in questa sede, giustamente, si sono preoccupati di
rivendicare una linea di intervento a favore degli insegnanti di
sostegno e di determinati organici, secondo un approccio statalista.
Sposterei radicalmente il discorso, perché credo che esso non
risponda ai bisogni della società italiana. È necessario creare una
struttura pubblica che dia spazio alla libertà di scelta dei genitori
e delle famiglie; i colleghi della sinistra pongono troppo spesso
l'accento sulle esigenze degli insegnanti, mentre non li ho mai
sentiti sottolineare quelle delle famiglie e degli studenti.
ANDREA MARTELLA. Non è vero!
PRESIDENTE. Colleghi, vi prego, non interrompete.
FABIO GARAGNANI. Esistono due visioni diverse.
Nella legge delega del Governo si accenna alla famiglia, cercando di
farsi strada, con estrema fatica, nello statalismo esasperato della
scuola italiana (sia ben chiaro, esso si rifà alla tradizione
risorgimentale), introducendo con coraggio alcuni elementi di novità,
che sottolineo e sui quali invito il ministro a perseverare. Il nostro
sistema scolastico è il peggiore che esiste in Europa, perché troppo
vincolato ad una concezione, come ho già detto, eccessivamente
statalista.
Non chiedo una privatizzazione che avvenga dall'oggi al domani
perché, mi rendo conto che si tratta, per certi aspetti, di un
discorso impopolare: chiedo, però, una maggiore competizione e la
possibilità di svincolare il sistema scolastico dalla rigidità che
lo paralizza, creando alunni molto spesso ignoranti - le statistiche
della commissione Bertagna lo hanno denunciato - e non favorisce una
minima competizione tra scuole ed insegnanti che è l'unica condizione
che può permettere al sistema scolastico italiano di
arricchirsi.
Sono a favore della parità scolastica, per la quale continuerò a
battermi; da consigliere regionale, ho vissuto un'esperienza
particolarmente significativa sui buoni famiglia, combattendo la legge
della mia regione che non era sufficientemente garantista. Mi rendo
conto, infatti, che una società si arricchisce culturalmente quando
ha il coraggio, anche applicando il principio di sussidiarietà, di
proporre vari modelli educativi, i quali competono ed offrono alla
popolazione scolastica e alle famiglie e agli studenti la possibilità
di scegliere. Adesso siamo obbligati a rivolgerci ad un particolare
soggetto.
Ministro, non le chiedo di comportarsi come Margareth Thatcher con il
minatori britannici, (i colleghi della sinistra mi rimprovererebbero)
e mi rendo conto che tranciare la centralità della tradizione
scolastica italiana non è facile.
GIUSEPPE GAMBALE. Meno male!
FABIO GARAGNANI. Non bisogna scandalizzarsi, perché quanto affermo
viene sostenuto da più parti, mentre voi fate riferimento ad una
tradizione culturale che non crede nella libertà scolastica. È
concesso affermare tali idee? So benissimo che nel panorama scolastico
italiano sono impopolari, ma le voglio dichiarare perché si tratta
dei principi per i quali mi sono battuto durante la campagna
elettorale e, prima ancora di essere eletto, nella mia regione.
Il Governo sta dimostrando un'attenzione ai problemi ed il ministro ha
dichiarato in varie riunioni che il disegno di legge finanziaria non
prevede penalizzazioni per la scuola pubblica: caso mai, esse
riguardano l'università e la ricerca scientifica. I livelli di
assistenza della scuola italiana sono garantiti. Credo che, oltre a
questi livelli, onorevole Rusconi, sia necessario cominciare a pensare
- non è facile e lo ammetto - a rendere la nostra scuola più libera
e più competitiva, in grado di coinvolgere maggiormente altri
soggetti.
Temo che, ad un vecchio centralismo statale, oggi subentri il
centralismo regionale: ciò mi sta preoccupando perché l'autonomia
scolastica, così come è stata delineata oggi, inizia a scontrarsi
con le circolari degli assessori regionali, con la rivendicazione del
ruolo delle regioni. Credo di dover chiedere al ministro di evitare un
nuovo centralismo regionale, anche se personalmente ho sempre creduto
nelle regioni. Mi pare che il collega Gambale citasse le regioni
governate dal centrosinistra: io provengo da una regione che ha
rivendicato la propria autonomia, anche in materia di status degli
insegnanti, predisponendo una propria legge organica che invade le
competenze dello Stato. Non mi pare che si debbano creare 18 o 19
repubbliche autonome nel gestire situazioni, che invece devono vedere
coinvolto il livello nazionale.
I colleghi dell'opposizione hanno sostenuto che le sperimentazioni
sono fallite o sono state gestite male: è vero, invece, che in molte
parti d'Italia la CGIL ed i sindacati, spesso molti dirigenti
scolastici, si sono attivati affinché la sperimentazione non
decollasse. Questo è accaduto e sfido chiunque a dimostrare il
contrario: si è voluto che non iniziasse oppure fosse gestite male,
perché esiste un preciso interesse politico, sicuramente di gran
parte della galassia della sinistra, a mantenere l'attuale
stratificazione della scuola italiana che, a mio modo di vedere, non
può permanere.
Riguardo all'accenno sugli insegnanti di sostegno, il ministro ha
spiegato che nessuno è contrario ad aiutare famiglie e bambini in
difficoltà; però, in nome della tutela degli insegnanti di sostegno
si disconosce che fatto che esistono settori della popolazione
scolastica italiana che, in realtà, come diceva il sottosegretario
Aprea, non presentano nessun particolare handicap. La legge deve
essere applicata: casi umani, casi sociali e di degrado devono essere
affrontati in un altro contesto. Questo a mio modo di vedere, nel
rispetto di tutte le idee, dimostra una preoccupazione maggiore per
l'insegnante ed il lavoratore, che è giusta in sé ma non può essere
esclusiva: ci vogliamo preoccupare degli utenti della scuola italiana?
Questo è l'interrogativo di fondo che pongo anche al ministro,
rendendomi conto delle difficoltà nel gestire un ministero che
presenta problematiche complesse, centinaia di migliaia di dipendenti,
che tendono in modo corporativo - anche se non tutti, poiché esistono
insegnanti validissimi - a rivendicare il loro piccolo particolare, a
fronte di una situazione che sta cambiando, come ci insegna
l'Europa.
Il presidente Prodi cita molto spesso la Francia e la Germania: vorrei
che il sistema scolastico italiano assomigliasse a quello tedesco,
britannico, francese.
FRANCA BIMBI. Quando avvengono fatti, purtroppo non così
episodici, come quello dell'assassinio di una ragazza e si scopre che
alcuni degli assassini sono minorenni ai margini della scuola, credo
che dovremo affrontare in modo completamente diverso questa
distinzione che, con un po' ferocia, ci tocca fare in sede di
approvazione del disegno di legge finanziaria, con tutto il rispetto
per il ministro e per l'onorevole Aprea; infatti, il sottosegretario
Aprea, ha dichiarato che l'handicap è definito dalla legge e, dunque,
non è possibile considerare il disagio. Tuttavia, credo che, se
vogliamo partire dai giovani piuttosto che degli insegnanti e dai
genitori, dovremmo tener conto dell'orizzonte di senso di questa
generazione e pensare che non solo la formazione al metodo
scientifico, non solo la trasmissione di competenza, non solo
l'addestramento e l'apprendimento, ma anche e soprattutto il rapporto
educativo deve essere al centro del modo in cui costruiamo
l'università.
Questo è poco nelle sensibilità dei professori universitari, anche
se poi non sono così come Garagnani li immagina, volendo allargarci
anche agli insegnanti.
FABIO GARAGNANI. Fai una caricatura!
FRANCA BIMBI. Tuttavia, ritengo che dovremmo tenere conto di ciò
che sta succedendo alla riforma universitaria, a partire dagli
studenti. Siamo tutti d'accordo che in una società come quella di
oggi un giovane ha di fronte - lo dico in maniera molto grossolana -
due possibilità: quella della frammentazione dell'identità e quella
invece di diventare una persona responsabile che assume il senso delle
relazioni che vive (e quest'ultimo non è il vivere ma forse
l'esistere, che è qualcosa di più!)
In questo senso, dobbiamo renderci conto per scendere su un terreno
pragmatico per cui chi quest'anno - e sono molti - si trova a fare
l'ultimo anno del primo ciclo dell'università, è disorientato di
fronte al fatto che non sa nulla delle lauree specialistiche. Certo,
forse sa qualcosa perché gran parte delle università, già da un
anno e mezzo, ha costruito i dovuti ponti, però è ovvio che in
questo tipo di incertezza non è ancora stato svolto il lavoro di
informazione, socializzazione degli studenti e via dicendo: insomma,
si tratta ancora di una nebulosa.
Mentre il percorso dall'orientamento pre-universitario «al tre» è
stato fatto e ormai costituisce un patrimonio (per questo,
giustamente, il Governo non l'ha toccato), intravedo una
preoccupazione, più che per i destini dei professori, per questo
cambiamento che riguarda gli studenti.
Tuttavia, questo ritardo di un anno sul «più due» è un aspetto
molto grave, assolutamente grave. Tale gravità è aumentata dal fatto
che in una situazione in cui il rapporto numerico tra professori e
studenti è molto squilibrato verso l'alto rispetto a quello di altri
paesi europei, ci troviamo con un corpo di professori che non è mai
entusiasta di alcuna riforma e che, grossomodo, si trova a gestire il
triplo del carico didattico, ma non in senso quantitativo, bensì nel
senso di un riorientamento rispetto al modo di insegnare e alla
missione propria dell'università. Questo è il problema che abbiamo
davanti ed è per questo che le osservazioni svolte dai miei colleghi
prima di me su quello che, sostanzialmente, è il blocco dei
finanziamenti alla riforma universitaria, diventa assolutamente grave.
Se ci trovassimo nella situazione di cinque anni fa, cioè fossimo nel
passato, il danno che causeremmo a queste generazioni si limiterebbe a
quello di non aver pensato come avremmo dovuto quindici anni prima
(ammetto che si tratta di una responsabilità anche delle università
perché non abbiamo pensato per tempo a cambiare tale istituto), in
altri termini, se fossimo nel vecchio sistema, ci sarebbero meno
rischi, mentre, in questo caso, il fatto di trovarsi con una macchina
che è partita e che ha subito un improvviso rallentamento, crea dei
rischi non solo per quanto riguarda la formazione professionale ma
anche di disorientamento.
Ritengo che il ministro, e così anche il sottosegretario, sappiano
benissimo che grande parte delle cause dello scarso successo dei
nostri studenti universitari è legato alla motivazione, cioè al
fatto che non abbiamo abbastanza risorse per una didattica che segua
lo studente nel suo percorso e non solo nelle ore di offerta delle
lezioni. Questo è un motivo importante, confermato anche dalle
ricerche condotte dal CEPU, che essendo un ente profit - cioè a fini
di lucro - comunica alle università un chiaro messaggio: si riescono
a fare laureare gli studenti perché si parte dalle loro
motivazioni!
Per quanto espresso semplicisticamente il concetto, ritengo che
dovremmo leggere con un po' di fantasia, al di là delle intenzioni
del CEPU, questa interpretazione anzi, la ritengo abbastanza
interessante e forse più coerente di quella di tanti nuclei di
valutazione e via dicendo.
Quindi, vogliamo laureati più giovani, ma abbiamo una organizzazione
povera, con professori che, se pure entusiasti, vengono poi depressi
da una politica del Governo che è stata prevalentemente di
annuncio.
Devo ammettere che la cosa più negativa nel complesso nella politica
del Governo, consiste nel fatto che sia passato un anno di annunci, i
quali non sono stati coerenti nel senso di un disegno organico ma
hanno piuttosto offerto dei flash di possibili cambiamenti, talvolta
contraddittori. Questa, anche ascoltando i colleghi che sono restati,
è la situazione che credo abbiano vissuto le università.
Per quanto riguarda l'annuncio sul cambiamento della riforma
universitaria, mi pare che, in un confronto vis a vis, faccia a
faccia, sia più di buonsenso ma non ancora chiaro. Per questo, mi
piacerebbe conoscere alcune delle linee o punti cui la Commissione De
Maio è pervenuta.
Ritengo infatti che sia abbastanza fastidioso, anche per la
Commissione, dovere leggere continuamente sui giornali, su Il Sole
ventiquattr'ore e via dicendo tali sviluppi.
Insomma ci piacerebbe avere una panorama chiaro dell'orizzonte del
cambiamento in atto e dei nodi che si intende affrontare. Alcuni di
questi nodi, letti nella relazione del ministro, sono assolutamente di
buonsenso, anche se, per esempio, non credo affatto che la cosiddetta
proliferazione dei corsi di primo livello, sia stata effettivamente
tale, fatti salvi ovviamente il controllo dei requisiti minimi e via
dicendo.
Noi avevamo bisogno di trasformare dei vecchi profili generici - sto
parlando più delle facoltà umanistiche che di quelle scientifiche -
in profili molto più precisi, talvolta specialistici. È ovvio quindi
che sia creata un'ampia offerta formativa e non è un caso che ci sia
stato un aumento delle iscrizioni. Ciò è accaduto per due motivi.
Innanzitutto, l'attrazione della minore durata. Anche in questo caso
si tratta di una promessa che abbiamo fatto e per questo dovremmo
avere i mezzi e le risorse per mantenerla. La seconda motivazione è
invece legata ad una percezione di cambiamento: non è più
l'università del passato (ciò non è del tutto vero ma perlomeno ci
stiamo - nel senso di tutta la comunità universitaria e il mondo
politico - provando).
Talvolta, il solo cambiamento di nome aumenta la domanda, proprio in
virtù della domanda di una maggiore corrispondenza tra il mondo così
come lo si vive e quello in cui ci si forma. Tuttavia, ciò non va
inteso nel senso di un rapporto diretto tra percorsi formativi e
sbocchi professionali.
A tale riguardo, la questione si complica; ma non voglio affrontarla
stasera. Infatti, vi è una discussione molto importante su due o tre
possibili profili delle lauree di primo livello; ci si chiede se
debbano essere più «generaliste», proiettate verso la
specializzazione e verso il dottorato oppure se debbano essere più
immediatamente specialistiche. Anche da tale punto di vista, vorrei
chiedere al ministro di utilizzare maggiormente un metodo europeo
nell'affrontare il rapporto con l'università e anche nel costruire la
valutazione del sistema. Nell'università italiana abbiamo dei
«pezzi» di best practice; sono dei pezzi disseminati, non
concentrati nella stessa università. Però, se partiamo dai pezzi di
best practice, abbiamo, forse, anche il modo di costruire
pragmaticamente, al di là delle ideologie, un disegno della riforma
che non venga «calato dall'alto».
Un altro aspetto, molto velocemente. Giustamente si tocca il problema
dello stato giuridico; circa lo stato giuridico, abbiamo due nodi
fondamentali tra quelli di sistema: uno riguarda quanti,
scientificamente maturi negli anni '80, per motivi vari non hanno mai
avuto opportunità di carriera. È un nodo perché si tratta di una
parte percentuale non piccola della docenza universitaria, che non
può essere entusiasta di applicarsi ad un cambiamento di qualsiasi
tipo se, dovendo lavorare di più, non ottiene un riconoscimento. Il
secondo nodo, invece, riguarda il tema dell'entrata dei giovani nel
mondo della ricerca e dell'insegnamento. Anche a tale riguardo, il
ministro dovrebbe guardare alle buone pratiche di alcune università;
dal Politecnico di Torino all'università di Padova, vi sono già
esperienze di collaborazione e di ricerca a tempo determinato, forse
fatte ai limiti della legge. Dovremmo lavorare affinché si abbiano
forme flessibili ma anche abbastanza sicure. Di nuovo, in tal caso, il
problema delle risorse si pone come molto importante.
Sono preoccupata, come del resto lo è la CRUI, del fatto che, avendo
deciso di sostenere questa riforma universitaria, pur con tutti i
correttivi immaginabili, vi sia da parte del ministro la tendenza a
permettere il rilascio di diplomi di laurea da parte di istituzioni
non universitarie. È avvenuto per le Scuole superiori di interpreti
ma vi è anche il problema delle accademie e dei conservatori. È
vero, infatti, che una legge già li equipara alle università;
tuttavia, il riconoscimento delle equipollenze senza aver definito i
profili di chi insegna e le classi di laurea mi pare un incentivo ad
una classe docente che, a volte, è anche, in parte, come se la
immagina l'onorevole Garagnani. Si potrebbe ingenerare l'aspettativa
di potere diventare professore universitario solo perché il Governo
regala l'equipollenza; a me ciò sembra un grosso problema che si
collega all'aspetto sottolineato dai colleghi di depressione
dell'autogoverno universitario.
La depressione dell'autogoverno universitario è contraria ad un
principi liberal, ad un metodo liberal. Non voglio dire che si segua
un metodo statalista perché assolutamente non vedo tale intenzione;
mi sembra si cerchi, piuttosto, di percorrere un percorso liberal con
la continua tentazione di accentrare, tentazione vertente non tanto
sul controllo politico quanto sulla centralizzazione e sulla
depressione dell'autogoverno. Tale aspetto non solo, come ricordava
l'onorevole Tocci, contrasta con la tradizione universitaria del mondo
e con la possibilità di essere europei ma anche deprime, a mio
avviso, la fiducia dell'università nel sistema di regolazione, sia
esso del Governo o delle regioni. È uno dei problemi che può,
insieme ai limiti delle risorse, ingessare un sistema che è diventato
apparentemente nuovo ma che può risultare peggiore di come era. In
tal caso, infatti, non arriveremmo mai ad avere quanto credo interessi
tutti, vale a dire: non solo laureati più giovani ma anche più
laureati.
PRESIDENTE. Vorrei sinceramente ringraziare tutti i colleghi per un
dibattito che è stato di alta levatura. Segnalo, scherzosamente, ai
colleghi della maggioranza un mutamento filosofico-linguistico che,
credo, si possa rilevare da stamattina nei colleghi dell'opposizione.
Da un atteggiamento di risentimento politico si è passati ad una
situazione le cui parole chiave sono la rivendicazione del buon senso
e la riduzione del danno. Credo si tratti di un mutamento
probabilmente destinato a cambiare il timbro delle nostre discussioni.
Chiedo scusa per l'osservazione semiseria e annuncio che la parte
finale dell'audizione avverrà mercoledì prossimo, alle ore 15, con
la replica del ministro Moratti. Ringrazio nuovamente il ministro, il
sottosegretario Aprea e tutti gli astanti.
Rinvio, pertanto, il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle ore 23,10.
ALLEGATO
CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ANTONIO
RUSCONI
Penso che lo scopo dell'audizione in Commissione istruzione del 1o
ottobre da parte del Ministro Moratti abbia avuto anzitutto per noi
tutti la necessità di un chiarimento, finalmente di una ripresa in
Commissione di un confronto e di un dibattito sul tema della scuola,
ambito che anche nella recente presentazione della «finanziaria
2003» occupa un ruolo secondario rispetto soprattutto alle premesse e
alle promesse di cui la maggioranza di Governo e il Ministro si erano
fatti garanti.
Il primo aspetto dunque che ci si propone oggi è quello di
comprendere, capire come si possa «migliorare la scuola» nella
qualità dei contenuti, nel livello di attenzione educativa, nella
modernità e nell'innovazione delle proposte, continuando a togliere
risorse, eliminando posti di lavoro, sopprimendo cattedre, sostegno
all'handicap, sezioni nei piccoli comuni. E d'altra parte dobbiamo
dare atto e riconoscere al Ministro che le notizie che filtrano
attraverso la stampa da Palazzo Chigi, evidenziano un costante e
fattivo suo impegno per evitare «tagli» ancora più pesanti: di
fatto è difficile negare dagli articoli dei più grandi quotidiani
nazionali in questi giorni che la scuola, insieme agli enti locali,
sono gli ambiti più sacrificati dalla proposta di legge finanziaria
per il 2003.
E allora, riprendendo un celebre motto di Oscar Wilde «Fatevi
domande: le risposte le sanno dare tutti», vorrei in questa occasione
proporre le questioni, i problemi, le contraddizioni che dirigenti
scolastici, insegnanti, famiglie, alunni, si pongono in questi primi
mesi di inizio anno scolastico, partendo da una premessa che richiede
però una risposta precisa: il Governo e la maggioranza hanno
dimostrato, proprio recentemente con il famoso disegno di legge Cirami,
di avere la forza numerica e la capacità politica di scegliere le
priorità e le urgenze per il Paese anche rispetto alla
calendarizzazione degli impegni del Parlamento: penso di non essere
l'unico parlamentare o l'unica persona attiva nel mondo della scuola
che si domanda quando un progetto globale del sistema scolastico e
formativo diventerà priorità, scalderà gli animi, le passioni
ideali dei capigruppi di maggioranza, troverà, come si è fatto per
altre leggi, risorse e impegni di bilancio, perché, per assurdo, i
dati della finanziaria per il mondo della scuola sono chiari e
facilmente interpretabili.
Infatti, solo ora, si comprende la campagna denigratoria iniziata da
ormai un anno, che evidenzia come area di spreco i 18.000 «insegnanti
che non insegnano», senza premettere che oltre 7.000 sono fuori
cattedra perché impegnati a coprire posti vacanti di dirigenti
scolastici, in attesa di regolare concorso, oltre 1.000 impegnati
nelle scuole italiane all'estero, 500 e oltre in mandato
amministrativo o parlamentare, come il sottoscritto, che non gravano
per nulla sul bilancio dello Stato, eccetera, il tutto per poter
nascondere più facilmente le aride cifre di risparmiare sui tagli al
personale in servizio 242 milioni di euro nel triennio 2003-2005 (si
pensi solo alle 1.200 cattedre «sparite» quest'anno in
Lombardia).
La coerenza, dunque, come scrive e afferma in più occasioni il
Ministro dell'economia è che «la ridefinizione di ruoli e di compiti
del personale» si fondi «sul presupposto che si proceda alla
concreta realizzazione del contributo al processo riduttivo della
spesa».
Se analizzati dunque secondo un ferreo criterio ragionieristico, anche
i provvedimenti degli ultimi giorni hanno una logica coerente e
comprendo pure la grave preoccupazione di tanti piccoli comuni sul
futuro dei loro istituti visto che le 2000 strutture scolastiche con
rapporto alunni/docenti inferiore al 9,5 potrebbero essere accorpate
ad altre, risparmiando i costi dei dirigenti e dei direttori
amministrativi.
E allora vorrei passare in breve ad altri quesiti: sull'inizio della
sperimentazione, di cui solo il 1o ottobre si è conosciuta
l'identità delle 236 scuole, vorrei citare due brevi giudizi di
sindacati noti per la loro autonomia: lo Snals, infatti, afferma che
si tratta di «una sperimentazione improvvisata e debole, che non
potrà avere un grande esito, anche perché il campione di scuole è
troppo esiguo (3 per cento) per avere validità scientifica, mentre la
Gilda rincara dicendo che «la realtà è che oggi nessuno sa quando
la sperimentazione partirà effettivamente».
Riguardo invece all'obbligo minimo della cattedra di 18 ore in orario,
con la conseguente abolizione delle ore a disposizione, si prende atto
che si chiudono i servizi di biblioteca, sarà ridimensionato il
sostegno e l'attività di recupero scolastico, si copriranno molto
parzialmente le supplenze brevi, con l'unica certezza, già
sperimentata in parte quest'anno, di un aumento consistente dei
ricorsi, perché le classi vengono private di una parte delle ore di
lezione per materia che, paradossalmente, vengono certificate a fine
anno.
Si prende atto inoltre della riduzione dei progetti delle prime classi
della scuola elementare a tempo pieno, di una scuola che per il blocco
delle assunzioni si rassegnerà ad essere «anagraficamente» più
vecchia impedendo di fatto a giovani capaci e entusiasti di scegliere
l'insegnamento, come professione, di una edilizia scolastica ancora
priva di adeguati fondi, mentre per esempio permane l'impegno per enti
locali e scuole di adempiere agli obblighi sulla sicurezza prevista
dalla legge 626 entro il 2004.
E non si possono dimenticare altre questioni che il mondo della scuola
pone: la riduzione dei finanziamenti, in particolare sull'autonomia,
previsti dalla 440 stanno scatenando una «guerra tra poveri», ovvero
tra dirigenti scolastici e amministratori dei comuni, per recuperare
fondi per iniziative culturali e spese generali, la fuga di docenti
dagli IPSIA a seguito della proposta di legge sul doppio canale, la
mancanza di qualsiasi dibattito e confronto di giudizio sulla nuova
maturità, soprattutto rispetto al quadro europeo dove vige il
principio, molto chiaro, della distinzione tra formazione e
valutazione, mentre permane il valore legale del titolo di studio con
la relativa valutazione del voto finale.
Penso, inoltre, all'obiettivo che riguarda la lingua inglese,
all'emendamento Napoli già bocciato in finanziaria 2002 e la
successiva circolare 77 dell'8 luglio 2002 che stabilisce che non
potranno essere attivati posti in più per insegnanti specialisti,
alla riduzione dei docenti di sostegno, alla riforma degli organi
collegiali che, dopo aver affrontato la discussione generale in aula,
si è improvvisamente arenata.
Infine, mi premono due considerazioni: i finanziamenti sulla legge 62
sulla libertà educativa non hanno avuto quegli incentivi che le
promesse elettorali sembravano prevedere, anzi appaiono procedere con
lentezza i riconoscimenti dei requisiti per i nuovi istituti e i
rapporti ancora non chiari tra riforma della scuola e progetto di
legge sulla devolution.
Infine, vorremmo raccogliere l'appello autorevole del Presidente della
Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, per l'inizio dell'anno scolastico e
pure l'invito recente del Presidente del Consiglio a lavorare insieme:
ma come si può coniugare o semplicemente investire in questa proposta
se non rinunciando allo strumento della legge delega che sottrae al
dibattito parlamentare la discussione degli aspetti più importanti
della riforma della scuola?
COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE
Resoconto stenografico
Seduta di mercoledì 23 ottobre 2002
Seguito dell'audizione del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Letizia Moratti, sugli orientamenti del Governo in materia di istruzione, università e
ricerca
LETIZIA MORATTI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Grazie, presidente. Cercherò di rispondere alla maggior parte delle osservazioni e richieste di chiarimento, ma vorrei cogliere l'occasione odierna per ringraziare tutti i componenti della Commissione per lo spirito costruttivo, per la concretezza e la profondità del dibattito e delle osservazioni che sono state proposte.
Vorrei partire dalla riaffermazione delle principali linee guida della nostra azione di Governo, poiché l'onorevole Gambale ha lamentato la modestia delle iniziative del Governo in merito alla scuola. La nostra azione si è sviluppata su due direttrici precise: la prima ha riguardato la certezza delle scelte strategiche di lungo periodo nei confronti della scuola. Sottolineo che siamo in presenza di una legislazione frammentaria, confusa, a volte contraddittoria, e a volte, inapplicabile. Tale legislazione frammentaria ci ha consigliato di rimettere ordine in tale contesto; e con questo spirito e con questa modalità abbiamo delineato un percorso sfociato nel disegno di legge delega. Vorrei ricordare che abbiamo utilizzato lo strumento della delega, ma la puntualità delle norme che sono contenute nel disegno di legge delega fanno comprendere che abbiamo avuto ed abbiamo l'intenzione di tenere un dibattito molto approfondito.
Abbiamo voluto delineare un quadro che riteniamo organico e che fornisce una linea precisa di architettura di sistema; esso può essere discutibile e, sicuramente, emendabile però crediamo che sia chiaro e trasparente sia nelle finalità sia nelle linee di impostazione generale.
Vorrei ricordare che abbiamo agito in un contesto istituzionale innovativo, nato in seguito all'entrata in vigore del titolo V della Costituzione; esso ci ha guidato nell'elaborazione del disegno di legge, rivedendo il ruolo dello Stato. Non a caso, parliamo di norme generali e di principi essenziali per le prestazioni nell'ambito del settore professionale, ispirandoci al nuovo assetto costituzionale.
Riteniamo di aver tenuto un dibattito ampio ed approfondito con tutte le componenti del settore scolastico e riaffermiamo la volontà di sviluppare un dibattito ampio ed approfondito con il Parlamento, che è il punto centrale di rappresentanza dell'intero paese. Questa è stata la prima direttrice sulla quale ci siamo mossi.
La seconda riguarda l'amministrazione della scuola nel suo insieme, come sistema e macchina organizzativa. La messa a punto di tale macchina organizzativa è stata ed è tuttora - poiché costituisce un problema non risolto - una operazione molto complessa per le dimensioni ed il numero di risorse umane che vi sono impiegate: essa coinvolge un milione di dipendenti che forniscono un servizio pubblico di estrema importanza ad otto milioni circa di studenti e a circa 16 milioni di famiglie. Veniamo da una stagione nella quale le regole, i criteri ed i vincoli di una buona amministrazione e non sono sempre stati tenuti nella dovuta considerazione; molto spesso sono stati vanificati gli obiettivi principali, quelli di rendere un buon servizio e agli studenti e alle famiglie.
Abbiamo innanzitutto cercato di mettere sotto controllo le principali variabili di questo sistema, in modo da rispondere davanti al Parlamento ed al paese dell'uso delle risorse. Entrambe le direzioni che ho descritto hanno un unico centro ispiratore, costituito dall'interesse primario dell'educazione e della formazione delle giovani generazioni. Siamo confortati dal parere ad esempio dell'onorevole Garagnani e dell'onorevole Palmieri, che ci hanno invitato a proseguire sulla strada di fornire risposte concrete e positive agli studenti ed alle famiglie.
Nella consapevolezza di dover percorrere una lunga strada, vorrei ricordare alcuni risultati che abbiamo raggiunto, il primo dei quali è l'inizio regolare dell'anno scolastico. Dopo circa cinquant'anni in cui non si riusciva a dare inizio all'anno scolastico in modo regolare, finalmente in tutte le scuole italiane l'inizio delle lezioni, sia lo scorso anno sia quest'anno, è partito regolarmente ed ha assunto il significato che deve avere: un atto dovuto dell'amministrazione nei confronti degli studenti e delle famiglie. In tutte le classi i docenti sono al lavoro dal primo giorno, evitando «caroselli» di supplenti che negli anni scorsi duravano fino al mese di gennaio o febbraio e producendo un effetto positivo sugli studenti, sulle famiglie, ma anche sui docenti stessi, che vengono pagati dal primo giorno di scuola.
Il secondo punto che vorrei sottolineare è l'assunzione degli aventi diritto: dopo, credo, dieci anni di rinvii e di attese lo scorso anno, tra luglio ed agosto, abbiamo assunto in ruolo in un mese più di 60 mila insegnanti. Devo ricordare, per la precisione, che 30 mila sono stati immessi in ruolo per scelta di questo Governo; abbiamo sanato una posizione che riguardava la prima tranche di 100 mila che costituiva un'eredità del Governo precedente, ma 30 mila sono stati assunti in ruolo per scelta di questo Governo. Senza l'approvazione della legge n. 333 del 2001 le operazioni di assunzione sarebbero ancora in corso e, probabilmente, non si sarebbero concluse prima del novembre 2004.
Il terzo risultato è rappresentato dalla formazione degli insegnanti: credo che in questo ambito sia stato raggiunto un esito estremamente positivo. Invece di organizzare dei corsi, come avveniva precedentemente, scarsamente approfonditi, in questo caso, attraverso l'utilizzazione di nuove tecnologie, incluse quindi quelle di e - learning, e con il coinvolgimento nell'INDIRE, l'anno scorso abbiamo provveduto alla formazione iniziale di oltre sessantamila insegnanti, con risultati giudicati dai docenti medesimi molto soddisfacenti.
Tra la documentazione consegnata alla Commissione oggi, è stata inserita anche la valutazione che gli insegnanti hanno espresso rispetto ai corsi formativi tenuti l'anno passato.
Altro dato rassicurante credo che potrà individuare nella valutazione dei risultati degli apprendimenti. È stato avviato, questo anno, un progetto pilota di esperienza volontaria, che ha coinvolto ben 2.800 istituzioni scolastiche, valutato anch'esso in modo estremamente positivo da scuole, docenti e studenti: si tratta di un'iniziativa che incomincia, pur non avendo valore statistico (in quanto progetto pilota, e fondato sul criterio dell'auto osservazione), ne ha sicuramente però uno simbolico molto rilevante. Tale progetto, in ragione degli esiti conseguiti, è in grado di fornirci preziose indicazioni. Sicuramente esso contribuisce a far crescere la cultura della valutazione, importante per accompagnare il processo di modernizzazione della scuola in senso qualitativo.
Stiamo attualmente procedendo con un secondo progetto di valutazione per il 2003, sempre in forma volontaria, più esteso del precedente sia in termini di discipline (oltre all'italiano e alla matematica sono incluse le scienze) sia in termini di gradi scolastici. È dunque un progetto più ampio di quello dell'anno passato, che avrà valore statistico e sicuramente metterà a fuoco le criticità del sistema fornendo suggerimenti su come migliorarlo.
Dal progetto di quest'anno, ad esempio, si può verificare che una delle criticità è quella della non sufficiente realizzazione dei corsi di recupero. Siamo certi che anche l'anno prossimo le indicazioni che riceveremo da questo secondo progetto saranno estremamente utili.
Da ultimo, per quanto riguarda la parte in commento, si è previsto l'intervento di una commissione di studio - attualmente in fase di costituzione -, per l'elaborazione di nuovi piani di studio per i licei. La sua composizione sarà molto ampia e terrà conto di tutte le componenti culturali e scientifiche del paese, esaminando i profili che abbiamo iniziato ad identificare.
Colgo l'occasione per dire che, oltre al primo documento di cui ho parlato, è stato consegnato alla Commissione anche una documentazione relativa al risultato della valutazione del primo progetto pilota richiamato, nonché al profilo delle indicazioni nazionali della scuola dell'infanzia, di quelle primaria e secondaria di primo grado.
Per quanto riguarda i licei, non siamo ancora in quella fase, stiamo elaborando il profilo e lo sottoporremo ad un parere molto ampio del mondo scientifico e culturale del paese, in modo tale da poter fornire - al momento in cui lo trasmetteremo in forma ufficiale al Parlamento - un documento alle cui spalle vi sia stato un ampio dibattito culturale.
Rispetto a qualche osservazione fatta sul principio dell'autonomia delle scuole, vorrei precisare che la riteniamo il risultato e non il presupposto del funzionamento di molti elementi che contribuiscono a comporre l'autonomia medesima. Da un lato, un fattore essenziale è rappresentato dalla flessibilità organizzativa anche in riferimento alla rigidità e alla eccessiva estensione dell'orario di lezione (osservazione, questa, fatta dall'onorevole Capitelli): voglio soltanto ricordare che ciò è stato segnalato già nella precedente legislatura dal Governo (faccio riferimento alla sperimentazione della legge n. 30 del 2000) e anche da questa Commissione, in occasione, credo, di un'indagine conoscitiva sulla dispersione scolastica. Ci stiamo dunque attenendo a delle indicazioni già emerse nel corso della precedente legislatura.
Il secondo fattore cui far riferimento è rappresentato dal sistema di valutazione e informazione alle scuole, elemento anche questo concorrente a dare corpo al sistema dell'autonomia.
Struttura e qualità dei controlli sono fondamentali. Più autonomia viene concessa e maggiore, puntuale e rigoroso dovrà essere il controllo. Occorrerà pertanto una differenziazione dei compiti attribuiti, che saranno di indirizzo ma anche, appunto, di controllo.
Inoltre non potremo non tener conto della formazione continuata degli insegnanti e della loro professionalizzazione. Ovviamente, il decentramento dell'amministrazione è appena agli inizi.
Sono essenziali una chiara ripartizione delle competenze tra lo Stato e gli enti locali e la necessaria integrazione delle stesse, così come previsto dal decreto legislativo n.112 del 1998. Vorrei ricordare in proposito all'onorevole Gambale che non abbiamo disatteso la ripartizione, ma che l'abbiamo rinviata all'anno prossimo perché non sono ancora maturate le condizioni previste dalla legge, la quale rimanda al completamento definitivo del quadro istituzionale dell'amministrazione per il passaggio delle risorse.
Infine, anche la promozione della ricerca è un elemento importante dell'autonomia: a questo fine vorrei ricordare che stiamo rilanciando il ruolo degli IRRE come promotori di ricerca nella scuola e per la scuola.
Un'altra osservazione era stata fatta sempre dall'onorevole Capitelli sul disagio degli insegnanti. Su questo tema vorrei soffermarmi brevemente per dire che probabilmente un disagio è dato da un eccesso di normativa sia a livello centrale che locale, il quale si è sovrapposto al primo.
Stiamo lavorando per una semplificazione della disciplina esistente, al fine di rendere meno oneroso il carico burocratico degli insegnanti: il carico di lavoro improprio potrebbe essere alleggerito facendo sì che i docenti si possano dedicare in maniera più significativa alla loro funzione primaria.
Vorrei anche ricordare che gli insegnanti esercitano certamente un ruolo in questo momento ancora più delicato rispetto a quello svolto nel passato: questa difficoltà, a nostro avviso, è data anche da un indebolimento della «agenzia primaria educativa», cioè la famiglia, ovvero dalla necessità da parte degli insegnanti di essere ancora più a sostegno dei genitori nell'educazione dei figli. Vi è anche un disagio a volte latente del mondo giovanile, e che purtroppo talvolta sfocia in atti di violenza nei confronti dei ragazzi stessi e degli altri.
Siamo perfettamente consci del grande carico che gli insegnanti sopportano e ci attiveremo per far sì che costoro possano anche acquisire competenze ulteriori per far fronte ad un nuovo compito, probabilmente più gravoso rispetto a quello avuto negli anni precedenti.
Quanto alla sperimentazione, mi permetto di dire, rispetto alle critiche emerse in materia, che la nostra attività è stata svolta con criteri di rigore e gradualità e con una condivisione ampia. Nel processo di sperimentazione abbiamo ascoltato formalmente e informalmente tutte le componenti del mondo scolastico, recependo i suggerimenti in materia, particolarmente quelli del Comitato nazionale della pubblica istruzione e dell'ANCI, che svolge un ruolo fondamentale soprattutto nella scuola dell'infanzia. Si è garantita una concertazione ampia, recependo, peraltro, tutte le proposte finalizzate al superamento di alcune criticità fondamentali.
Ricordo che il ruolo della sperimentazione è essenziale per poter accompagnare il processo di riforma, come peraltro la storia della scuola ci insegna, con iniziative volte a mettere a fuoco le criticità e le modalità con le quali superarle.
Vengo ora al disegno di legge finanziaria e ai nodi che sono stati evidenziati. Le misure previste dal disegno di legge finanziaria rappresentano una ottimizzazione dei provvedimenti già adottati lo scorso anno e nell'anno corrente, che tendono a qualificare la composizione della spesa e a valorizzare le capacità professionali del personale.
Per quanto riguarda l'orario di insegnamento dei docenti, si ribadisce la necessità del completamento del numero di ore contrattuali, vale a dire delle 18 ore settimanali. L'obiettivo è quello di definire l'organico di istituto mediante un graduale assorbimento dei posti di insegnamento in più scuole, i quali creano disagio sia agli insegnanti sia alla organizzazione didattica nei singoli istituti scolastici. Vi fornisco soltanto un dato, che ritengo sia importante: nell'anno scolastico 2001-2002 le cattedre con orario inferiore alle 18 ore settimanali erano circa il 58 per cento del totale. Le ore mancanti al completamento di tale orario corrispondono all'equivalente di 27 mila posti di insegnamento. Perciò, un graduale (lo ribadisco, graduale) assorbimento di queste ore consentirà, in primo luogo, di rispondere ad una esigenza di equità, vale a dire quella di permettere a tutti i docenti di svolgere la loro attività per 18 ore; in secondo luogo, di ridurre i posti di insegnamento dispersi su più scuole. Questo è l'obiettivo prefissato. Credo, con questo, di aver risposto anche alle critiche avanzate dall'onorevole Rusconi.
Per quanto attiene al personale ATA, ritengo necessario ricordare che, purtroppo, vi è stato un momento di discontinuità, in negativo, nella sua gestione, quando è passato dagli enti locali allo Stato, nel 1999. Ciò ha determinato alcune incongruenze molto vistose rispetto alle previsioni di spesa contenute nella legge relativa, perché i provvedimenti attuativi non prevedevano una copertura finanziaria. In altre parole, la legge era priva di copertura. Questa operazione, perciò, avrebbe dovuto essere effettuata a costo zero. Era ovvio che così non potesse essere, anche perché, statalizzando il personale ATA, si è tenuto conto dei parametri applicati non dagli enti locali ma dallo Stato. Nel passaggio, il personale è raddoppiato perché i parametri statali erano doppi rispetto a quelli degli enti locali. Ciò ha comportato una lievitazione di 42 mila posti, oltre ai 72 mila prima esistenti, per ottenere lo stesso servizio, che non è migliorato: si è trattato semplicemente di una operazione che, a causa della modifica dei parametri verso l'alto, ha comportato un accrescimento sostanziale quanto immotivato. Per delineare una entità del fenomeno, nel complesso l'organico ATA è passato da 147 mila unità, prima della legge ricordata, a 262 mila, oltre ad un ulteriore aumento di 14 mila posti: in totale 280 mila unità. Il tutto, nel giro di pochissimi anni. Questo ci ha imposto una riflessione sulla composizione delle organici, tenendo conto anche della necessità di effettuare una riqualificazione, richiesta anche dallo stesso personale.
Per quanto riguarda il personale dichiarato inidoneo all'insegnamento per motivi di salute, vorrei ricordare soltanto i dati relativi a quanti siano stati dichiarati tali in via permanente, tralasciando gli altri, quelli inidonei soltanto per periodi determinati di tempo (mi riferisco alla legge n. 113): sono 3900, tra docenti e dirigenti. Proponiamo di trasferire questo personale presso le amministrazioni in cui già presta servizio: vogliamo avere una allocazione delle risorse corretta, cioè personale che, nella scuola, deve prestare servizio per la scuola. Questa revisione della allocazione delle risorse ci sembra coerente rispetto al servizio prestato.
A nostro avviso, tutte queste norme non dequalificano la scuola pubblica, che rimane al centro del nostro interesse. Il 94 per cento degli studenti frequenta la scuola pubblica; perciò, quest'ultima svolge un ruolo essenziale, di cui tenere conto quando pensiamo ad un rafforzamento dell'istituzione scolastica nel suo complesso. Non riteniamo che le misure adottate vadano nella direzione di una dequalificazione; al contrario, esse tendono a riqualificare e a dare maggiore coerenza, al fine di liberare risorse da investire ulteriormente nel servizio di istruzione.
Quanto alle necessità delle istruzione ai detenuti nel carcere di Poggioreale, richiamate dall'onorevole Gambale, posso rispondere che la questione è sistemata. Tuttavia, a nessun livello dell'amministrazione era giunta alcuna segnalazione di questo problema che, peraltro, è stato risolto.
Riguardo agli insegnanti di sostegno, non mi soffermo in maniera particolare sul tema, se non per affermare che non abbiamo variato il criterio esistente. Perciò, il rapporto di un docente di sostegno per 138 studenti è rimasto invariato. La norma introdotta nel disegno di legge finanziaria ha la finalità di prevedere le deroghe con una migliore e più equa ripartizione. Purtroppo, siamo in presenza di una diversificazione sia delle modalità con le quali la normativa sull'handicap viene interpretata sia, di conseguenza, delle modalità con cui le risorse sono assegnate. Limitatamente agli insegnanti in deroga rispetto ad un criterio rimasto invariato, vorremmo avere la possibilità di effettuare una ripartizione più equa rispetto alle vere esigenze dell'handicap. Non mi soffermo ulteriormente sulla questione poiché l'onorevole Aprea ha presentato, alla Commissione parlamentare per l'infanzia, un rapporto estremamente documentato, che è a vostra disposizione, rispetto all'attuale situazione dell'handicap, contenente anche alcune iniziative e proposte. Vi troverete una analisi molto precisa della situazione attuale - ripartita sia regione per regione sia in base ad altri criteri - delle principali criticità e anche delle proposte che riteniamo di sviluppare per andare incontro ad un problema serio che, tuttavia, deve essere ripensato, come è stato suggerito da più parti nel corso della discussione.
Ho consegnato a questa Commissione anche l'atto di indirizzo all'ARAN per il rinnovo del comparto scuola. I principi che ci hanno ispirato sono stati ampiamente condivisi da tutto il mondo sindacale. Questo atto di indirizzo è stato redatto a seguito di riunioni ampie ed approfondite. Mi limito a lasciare la documentazione relativa affinché possa essere da voi consultata.
Per quanto riguarda l'università, desidero rispondere, essenzialmente, all'onorevole Capitelli che vi aveva dedicato alcune riflessioni. Vorrei chiarire che il Governo ha analizzato le problematiche relative alla riforma non appena si è insediato. Tali problematiche hanno richiesto un forte sostegno da parte del Ministero, che non ha mancato di fornirlo.
Credo che siano note le difficoltà e le perplessità esistenti rispetto alla riforma. Nell'ambito nelle linee programmatiche che dettano la nostra azione di Governo, abbiamo ritenuto necessario sostenere la riforma, perché le università e gli studenti erano pronti. Tuttavia, pesano alcune criticità, la prima delle quali riguarda una non completa preparazione dell'università ad affrontare la riforma. L'Italia, si differenzia in ciò dagli altri paesi, rappresentando un'anomalia: la «dichiarazione di Bologna» ha previsto due cicli di insegnamento universitario nei 29 paesi firmatari, ma negli altri paesi le sperimentazioni non sono state omogenee in tutte le facoltà.
Abbiamo sostenuto la riforma, consentendo alle università che erano pronte di attivare i corsi: nel frattempo, abbiamo dato più tempo a quelle che mostravano dubbi, per verificare la praticabilità ed eventualmente apportare modifiche.
Una seconda criticità risiedeva nella carenza di risorse, perché apparentemente la riforma avviata dal precedente Governo non prevedeva aumenti di spesa (era a carico dell'università) e non venivano previsti incrementi.
Un terzo elemento problematico è costituito dall'assenza di consultazioni vere e non formali: la legge prevedeva consultazioni con il mondo produttivo, che sono avvenute nella maggior parte dei casi in maniera formale e non sostanziale. Non sempre gli sbocchi professionali sono stati coerenti con il percorso di laurea. Nel primo semestre del 2001 erano già state presentate delle proposte: al momento del nostro insediamento al ministero le proposte di nuovi corsi di laurea erano circa 3000, di cui 850 completamente nuovi. Non ci può essere imputato nessun ritardo rispetto a ciò, perché abbiamo lavorato in maniera estremamente intensa - e abbiamo richiesto al CUN di fare altrettanto - per attivare i corsi di laurea in tempo, affinché gli studenti potessero iniziare quello stesso anno.
Il compito del CUN non è stato semplice, perché ha dovuto lavorare con dati su supporto cartaceo; quest'anno siamo riusciti ad informatizzare le procedure ed abbiamo reso più semplice, per quanto riguarda le lauree specialistiche, il suo incarico. L'approvazione è avvenuta in tempo utile per le iscrizioni e nessun ritardo, ripeto, può essere imputato al ministero.
È, invece, necessaria una riflessione sulla revisione della qualità dell'offerta formativa: non mi soffermo su quanto ho già detto, ma ricordo che abbiamo attivato una serie di azioni mirate a migliorare la qualità dell'offerta formativa. La prima è quella dei requisiti minimi, messi a punto insieme al comitato di valutazione, che consentono di giudicare le lauree deboli, che non presentano i criteri quantitativi necessari per poter dare servizi adeguati agli studenti. Stiamo studiando, con il comitato di valutazione universitaria, criteri qualitativi che sono certamente più difficili rispetto a quelli quantitativi (è più semplice valutare il numero di posti disponibili, delle aule, delle biblioteche, delle facilities rispetto alla qualità della didattica), ma riteniamo di doverci impegnare anche su questa strada. Stiamo collaborando molto bene con il mondo universitario, in maniera particolare con la CRUI (la conferenza dei rettori) che è molto sensibile al tema della valutazione.
Stiamo attivando due iniziative: la prima, riguarda la valutazione, da parte del CIVR, degli enti di ricerca. Consegnerò alla Commissione anche il primo rapporto che questo organismo ci ha fornito, che traccia elementi importanti al fine di minimizzare le criticità ed i punti deboli del sistema degli enti di ricerca. Estenderemo la valutazione anche alla ricerca universitaria e, per questo motivo, stiamo lavorando con il CIVR per l'individuazione di linee guida per la valutazione del sistema universitario. Devo dire che il mondo universitario è estremamente collaborativo, così come lo è stato sulla valutazione e sui criteri minimi, perché avverte l'esigenza di fornire alla società civile, al paese, agli studenti, alle famiglie, una chiara e trasparente considerazione dei risultati raggiunti. Stiamo collaborando con la CRUI sulle linee che saranno definite nei prossimi mesi - probabilmente entro la fine di novembre - per fornire al sistema universitario criteri ed indirizzi sulle modalità con le quali effettuare autovalutazione e quella dei valutatori esterni.
Vorrei, inoltre, ricordare la costituzione della banca dati dell'offerta formativa, che elenca tutti i corsi di studio attivati, gli sbocchi professionali, e le attività didattiche ed i servizi agli studenti, che fornisce un'informativa puntuale sulle diverse offerte degli atenei e l'anticipazione della definizione annuale dell'offerta formativa, in modo tale che gli studenti possano riceverla in tempo utile per le preiscrizioni; stiamo, inoltre, realizzando una guida universitaria che segua gli studenti dalla scuola all'università.
Per quanto riguarda i risultati raggiunti in questo primo anno, confermo che il nostro obiettivo è quello di accompagnare la riforma e non di fermarla, affinché possa essere più flessibile e personalizzata rispetto alle diverse esigenze del mondo accademico e degli studenti. Abbiamo cominciato a raggiungere risultati positivi rispetto ad una proliferazione di lauree che era decisamente eccessiva, anche perché molte volte si trattava di laurea «deboli», senza sbocchi professionali, prive di un numero adeguato di studenti e di professori; l'applicazione dei requisiti minimi ci ha portato a rivedere il numero delle lauree, compiendo un accorpamento e riducendo l'offerta delle lauree specialistiche. Rispetto ai circa 3000 corsi di laurea approvati, abbiamo 1600 corsi di laurea specialistica; si è prodotto, dunque, un aggiustamento da parte delle università rispetto ad un'offerta che era eccessiva e dettata da criteri diversi da quelli di una offerta realmente rispondente alle esigenze degli studenti.
Sempre rispetto alla riforma e alle considerazioni svolte dagli onorevoli Martella e Bimbi, comunico che la commissione De Maio sta completando il proprio lavoro.
Dopo il 31 ottobre - questo è il termine ultimo che la commissione si è dato - disporremo del quadro di riferimento necessario per rivedere il decreto ministeriale n. 509 del 1999, a proposito delle classi di laurea, dei settori scientifici disciplinari e dei criteri dei crediti (si intende eliminare, a tal riguardo, rigidità all'attuale sistema a livello sia di laurea triennale sia specialistica, sganciando la prima dalla seconda, e pensando ad un meccanismo non più di trecento ma di centoventi crediti per le lauree specialistiche).
Il quadro si completerà dopo il 31 di ottobre, al termine del lavori della commissione De Maio. Sottoporremo le indicazioni conseguenti - come è stato fatto per le linee guida della ricerca - all'esame del mondo scientifico (ci sarà un confronto con il CRUI, il CUN, il comitato degli studenti e il comitato di valutazione) e ovviamente le presenteremo in Parlamento.
Si tratta dunque un lavoro in corso di svolgimento ed è questa la ragione per cui i risultati non sono stati ancora notificati a questa Commissione. Analogo discorso riguarda il problema del reclutamento e dello stato giuridico.
La commissione Di Maio ha terminato in merito i propri lavori e ci ha consegnato una bozza che è attualmente allo studio del Ministero: non appena sarà completata l'analisi di questo progetto, lo presenteremo sotto forma di disegno di legge alle Camere, naturalmente tenendo conto del lavoro che già in questa Commissione è stato svolto (mi riferisco in particolare ad alcune proposte di legge che si occupano del problema specifico). Siamo convinti che il lavoro congiunto porterà sicuramente a risultati positivi.
Vengo ora al disegno di legge finanziaria, per la parte relativa alle università. È vero che il DPEF prevedeva stanziamenti decisivi per il settore universitario mentre il disegno di legge finanziaria non li contempla: sicuramente vi è una differenza tra il Documento programmatico e quanto disposto con la manovra finanziaria di questo anno.
Riconfermo, tuttavia, l'obiettivo di legislatura del Governo e l'impegno, anche personale, del Presidente del Consiglio, a partire da questo disegno di legge finanziaria, a rivedere le dotazioni del fondo di finanziamento ordinario.
Voglio ricordare peraltro che esiste già un emendamento votato in Commissione che il Governo sta valutando. Siamo certi che il Parlamento potrà apportare miglioramenti rispetto alla dotazione prevista; e verrà sostenuto dal Governo in questo senso.
Condividiamo le preoccupazioni espresse dall'onorevole Bimbi, in modo particolare sul livello complessivo degli investimenti e sul rapporto negativo tra docenti e studenti che, in sede di confronto internazionale, il nostro sistema universitario registra rispetto ad altri paesi. Siamo consapevoli dell'esigenza di ampliare le risorse esistenti. Questo comunque rimane un impegno di legislatura, avendo il disegno di legge finanziaria dovuto tener conto di situazioni congiunturali nazionali e internazionali che sono note e su cui non mi soffermo.
Intendo invece sottoporre alla attenzione della Commissione alcune azioni già messe in atto dal Governo, in modo particolare per sviluppare una politica maggiormente indirizzata ai servizi agli studenti: attraverso la destinazione della quota di riequilibrio del 2002, si è voluto tra l'altro finalizzare stanziamenti alle attività di orientamento e adeguamento delle strutture e dei servizi agli studenti, in maniera particolare con riguardo a laboratori e biblioteche. Analoga finalizzazione vi è stata nell'incentivazione dell'impegno didattico.
Ebbene, il 20 per cento del fondo di incentivazione alla didattica, pari a 9 milioni di euro, è stato correlato alle spese effettuate dagli atenei per azioni ed iniziative di tutorato ed orientamento. Abbiamo iniziato pertanto a focalizzare le risorse sui servizi agli studenti: si tratta quindi di una azione che è stata già intrapresa.
Per quanto riguarda una delle osservazioni sollevate rispetto alle università non statali, voglio ricordare che queste usufruiscono complessivamente per il 2002 di 108 milioni di euro, mentre nella finanziaria per il 2003 gli stanziamenti previsti sono pari a 104 milioni di euro. Sottolineo che si tratta di risorse di gran lunga inferiori a quelle destinate alle università statali.
Il decreto legge del 2002, n. 212 in corso di esame al Senato, prevede contributi specifici complessivamente pari a 10 milioni di euro, a titolo di rimborso per i mancati introiti, per tasse e contributi da parte degli atenei non statali relativi agli studenti esonerati in quanto capaci e meritevoli ma privi di mezzi. Ci sembra assolutamente doveroso questo intervento.
Le università statali si finanziano con i contributi degli studenti, ma non appare corretto porre a carico delle stesse l'onere dell'esonero dovuto ai sensi dell'articolo 34 della Costituzione.
Quanto ad un'altra osservazione emersa in materia universitaria, rispetto alle SSIS, sottolineo quanto segue: con un apposito decreto ministeriale abbiamo inteso chiarire che, per accedere alle SSIS, i candidati dovranno essere in possesso del requisito del titolo di laurea conseguito in base al previgente ordinamento. In tal modo risulterebbero esclusi i soggetti che hanno ottenuto il titolo di laurea ai sensi della riforma. La ragione di tale scelta è dovuta al fatto che tale iniziativa si colloca nell'attuale quadro normativo - che regola la formazione degli insegnanti in ordine al grado di scuola -, da cui quindi non potevamo prescindere. Per questo motivo abbiamo introdotto detta previsione.
Da ultimo, per quanto riguarda il Consiglio nazionale universitario, ricordo che il CUN è stato riorganizzato in via legislativa nel 1997: esso ha compiti consultivi e anche funzioni di rappresentanza spesso però disattesi anche in ragione di una estrema incertezza nella composizione degli organi interni alla struttura, la quale cambia frequentemente nel tempo. Per questo motivo e in ragione della funzione consultiva che il CUN svolge, riteniamo di dover rivedere la composizione del Consiglio medesimo, prevedendo al suo interno anche la presenza di esponenti del mondo scientifico e culturale di designazione ministeriale. Si tratterà di una composizione mista.
Per quanto riguarda le fondazioni universitarie, altro tema emerso dal dibattito, abbiamo avviato un tavolo tecnico con la CRUI: oggi sono solo quattro le fondazioni universitaria avviate. Talune difficoltà ci vengono peraltro segnalate in relazione alle modalità con le quali si costituisce il capitale delle fondazioni medesime. Abbiamo ritenuto di attivare il tavolo tecnico con la CRUI per superare proprio quegli ostacoli tecnici che, al momento, rendono non agevole la diffusione di tali organismi.
Riteniamo che possano le fondazioni universitarie costituire uno strumento valido e, quindi, vorremmo superare questi elementi di criticità, insieme alla CRUI.
Per quanto riguarda gli enti di ricerca, vorrei precisare che i tagli cui si è fatto riferimento non sono quelli previsti nel disegno di legge finanziaria. Quest'ultimo prevede, infatti, una riduzione, per gli enti di ricerca, dell'1,6 per cento, relativamente all'esercizio 2003, e non del 10 per cento, come era stato da più parti ipotizzato. Peraltro, lo stanziamento previsto per il 2004 è sostanzialmente identico a quello del 2002. Si riparte, cioè, da uno stanziamento uguale a quello del 2002.
Riteniamo che il riordino degli enti di ricerca potrà comportare sostanziali economie, che potranno compensare ampiamente i tagli e le riduzioni apportate per il 2003.
Relativamente alla osservazione del onorevole Tocci, vorrei precisare che, nel corso della istruttoria per il riordino degli enti di ricerca, non è mai stata presa in considerazione l'eventualità di una nomina ministeriale dei direttori dei dipartimenti del CNR: questa ipotesi non è mai stata presa in considerazione da parte del Ministero. Naturalmente, non appena saranno definite, a livello di Governo, le linee di intervento, avvieremo un'ampia fase di confronto, così come è stato fatto per le linee guida sulla ricerca, sia con il mondo scientifico, quindi gli enti di ricerca, sia con le università sia, naturalmente, con il Parlamento. (...)
La fase di consultazione si svolgerà, certamente, prima del decreto, come è stato per le linee guida. Ad oggi, esiste una bozza di decreto ancora non ultimata. Il percorso prevede di definirla con il ministro della funzione pubblica, poiché si tratta di una funzione congiunta e non ce la sentiamo di sottoporre un testo ad una consultazione senza il concerto, come deve essere, del Ministero della funzione pubblica che è il coproponente. Quando si sarà perfezionata questa intesa, proporremo la bozza di testo alla comunità scientifica e agli enti di ricerca. È vero che il modello INFM (l'Istituto nazionale di fisica della materia) è un modello, come ricordava l'onorevole Tocci, tuttavia, se il decreto conterrà - com'è prevedibile in base alla bozza attuale - l'accorpamento nell'ambito del CNR, riteniamo che questo non diminuirà o svilirà il ruolo né il modello degli INFM. Al contrario, potrà essere un modello, all'interno del CNR, anche per altri istituti o dipartimenti. Questo accorpamento, quindi, non altera il modello ma sarà una sua valorizzazione all'interno di una struttura diversa.
Per quanto riguarda le osservazioni relative all'assemblea della scienza e della tecnica, ritengo ci siano state difficoltà oggettive, riscontrate già dal Governo precedente, nella definizione delle liste di elettorato attivo e passivo. Si trattava di un meccanismo molto complesso e difficile, tanto è vero che non è stato attivato neppure dal precedente Governo, pur trattandosi di una previsione effettuata nella precedente legislatura. Riteniamo di non percorrere quella strada; tuttavia, consideriamo importantissima una diversa forma di rappresentanza diretta della comunità scientifica nelle scelte strategiche per la ricerca e, quindi, troveremo soluzioni, anche nell'ambito del riordino degli enti, per valorizzare proprio la rappresentatività della comunità scientifica.
Confermo l'impegno del Governo a raggiungere, al termine della legislatura, il livello di spesa per la ricerca previsto dalle linee guida approvate dal CIPE. Desidero soffermarmi su due punti del disegno di legge finanziaria relativi agli enti di ricerca e, cioè, sul FIRB e sul FAR. Per quanto riguarda il FIRB, ricordo che la dotazione iniziale, prevista nella scorsa legislatura, ammontava, per il triennio, a 39 milioni di euro. Questa era la sua dotazione effettiva. Non poteva considerarsi altrettanto effettiva quella di circa 377 milioni di euro, che era una una tantum derivante delle licenze UMTS. Perciò, partivamo da una situazione reale di 39 milioni di euro. Innanzitutto, il Governo ha reso permanente il FIRB, ribadendo e confermando la volontà di attribuire alla ricerca di base un ruolo centrale e fondamentale nel nostro paese. Per tale ragione, ha reso permanente il fondo e lo ha dotato di 100 milioni di euro, per il 2003, di altri 100 milioni di euro, per il 2004, e di ulteriori 100 milioni di euro, per il 2005. Ribadisco che, riguardo al FIRB, non abbiamo arretrati: tutte le domande sono state esaurite e tutti i progetti ammessi al finanziamento sono stati finanziati. Sono circa 320 progetti per circa 480 milioni di euro, se non ricordo male.
Per quanto riguarda il FAR, pur in presenza di una situazione congiunturale non favorevole, il Governo ha apportato un piccolo ampliamento al suo finanziamento, pari a 80 milioni di euro nel triennio. Sottolineo che, relativamente al FAR, esiste una situazione di sofferenza, rispetto alle richieste delle imprese. Desidero ricordare che esso dispone di una dotazione annua di stanziamenti in finanziaria e di interventi in dotazione di circa 800-1000 miliardi l'anno. A questi si aggiungono i nuovi stanziamenti previsti dal disegno di legge finanziaria. A tale proposito, è vero che abbiamo alcuni arretrati; tuttavia, desidero confermare che le domande già giudicate valide, per un valore equivalente a circa 800 miliardi di lire, saranno finanziate. Quindi, non ci saranno arretrati relativamente alle domande che hanno già avuto una aggiudicazione positiva. Naturalmente, il FAR rappresenta una delle voci rispetto alle quali ci auguriamo vi potrà essere un incremento, trattandosi di organismo per il quale la ricerca ha maggiori necessità di risorse.
Per quanto riguarda la missione Venus, è vero che l'ASI non prevede la partecipazione ad essa, per il momento. Siamo concentrati su due altre missioni, quelle di Marte e Saturno, e non riteniamo opportuno disperdere risorse su troppe missioni. Peraltro, se dovessimo intraprendere la missione Venus, l'assorbimento di risorse, per quanto riguarda l'osservazione planetaria, sarebbe del 40 per cento. Perciò, vogliamo equilibrare le risorse senza disperderle in tutte le missioni, il che non è possibile. Abbiamo compiuto alcune scelte e, a meno che non intervengano fattori che ci consiglino di parteciparvi, ci concentreremo su quelle ricordate, di Marte e Saturno.
Per quanto riguarda Galileo, ci vede impegnati a diversi livelli: a livello ESA e a livello di conferenze ministeriali tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dei trasporti. Esiste una norma, ereditata dalla precedente legislatura, che offre la possibilità a Galileo industries - che rappresenta interessi importanti per tutto il settore aerospaziale - di essere collocata in Italia solo se noi sottoscriveremo una quota pari a quella sottoscritta dal paese che si impegnerà per la quota maggiore. Per questo motivo, per difendere la sede di Galileo industries in Italia, riconfermiamo la nostra volontà di sottoscrivere al livello del paese che sottoscriverà di più. Abbiamo dimostrato grande flessibilità perché non abbiamo condotto una battaglia sterile o di principio. Abbiamo chiarito ciò che volevamo, ci siamo dichiarati disponibili a una leadership condivisa, anche ampia, con altri paesi ma vogliamo difendere la possibilità di avere nel nostro paese la sede di Galileo industries che, per le nostra industria, è estremamente significativa. Negli ultimi giorni abbiamo, su questa nostra posizione, ricevuto l'assenso ed il favore di Francia e di Inghilterra; quindi, solo la Germania continua ad opporsi ad una nostra leadership o una co-leadership. Avendo avuto il pieno appoggio di Francia di Inghilterra, riteniamo allo stato attuale di mantenere la nostra posizione.
Credo di aver risposto a tutte le domande e vorrei ringraziare moltissimo i componenti della Commissione per le proposte e le critiche che hanno avanzato, consentendoci di puntualizzare alcune questioni e di portare a conoscenza del Parlamento alcuni elementi problematici che non avevamo ancora dibattuto e discusso. |